Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Recesso e modifica dei diritti patrimoniali dell'azionista (di Sara Addamo)


La sentenza del Tribunale di Bologna riconosce la legittimazione del socio all’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437, 1° comma, lett. g. c.c. in caso di modifica statutaria incidente sulle prerogative di carattere patrimoniale del socio, senza approfondirne le ragioni. La locuzione “diritti di partecipazione” deve intendersi limitata ai soli diritti di carattere patrimoniale in quanto quelli amministrativi, ad esclusione del diritto di voto, sono disciplinati da norme inderogabili. Dall’ambito applicativo del diritto di recesso debbono altresì escludersi le modifiche che incidono unicamente sulla sfera soggettiva del socio, come sul peso della relativa partecipazione, in conseguenza della posizione personale dell’azionista medesimo. Il commento prosegue aderendo alla pronuncia del Tribunale felsineo laddove afferma che la comunicazione del recesso non debba contenere le motivazioni alla base della volontà di uscire dalla società ed applica solo in via residuale il criterio di liquidazione delle azioni dell’“eventuale valore di mercato”, ovvero quando vi siano contrattazioni significative, idonee a definire un valore effettivo e reale dell’azione.

Right of withdrawal and shareholder’s profit rights amendment

The judgment of the Court of Bologna recognizes the shareholder legitimacy to exercise the right of withdrawal pursuant to art. 2437, 1st par., lett. g) c.c. in the event of an Articles amendment affecting the shareholder’s patrimonial prerogatives, without deepening the reasons. The term “participation rights” must be understood as limited only to the profit rights, as the administrative ones, with the exception of the right to vote, are governed by mandatory rules. The right of withdrawal also does not apply to amendments that affect the subjective sphere of the shareholder, like the ability to adopt a corporate resolution as a consequence of the number of shares owned by the individual shareholder. The paper continues by adhering to the decision of the Court of Bologna where it states that the withdrawal notice does not need to contain the reasons behind the will to leave the company and where it applies the redemption criterion of the “possible market value” only when there are significant negotiations, capable of defining an effective and real value of the share.

TRIBUNALE BOLOGNA, Sezione specializzata in materia di impresa, 28 dicembre 2018 – Florini Presidente – Rossi Relatore – Romagnoli Giudice – S. C. S.p.A. c. C.D.   (Artt. 2437, 1° comma, lett. g), 2437-bis, 2437-ter c.c.) La modifica dello statuto incidente sulle prerogative di carattere patrimoniale del socio, con particolare riguardo al momento della destinazione degli utili, rientra nell’ambito applicativo della norma di cui all’art. 2437, 1° comma, lett. g. c.c., configurandosi come condizione sostanziale idonea a giustificare l’exit del socio. La comunicazione di recesso non deve necessariamente indicare i diritti asseritamente incisi, né il punto specifico della delibera che ha indotto il socio a recedere. La liquidazione delle azioni del socio deve avvenire utilizzando il criterio più adatto a «catturare» il valore attuale della società e mediante il valore di mercato, solo in via residuale, allorquando gli scambi siano significativi e in grado di definire un valore oggettivo del titolo. (1)   Svolgimento del processo Con atto di citazione regolarmente notificato, la S. C. S.p.A. conveniva in giudizio il sig. C. D., ex dipendente ed ex presidente della medesima compagine societaria attrice, al fine di vedere accertata e dichiarata l’illegittimità del recesso esercitato dal convenuto in ragione delle modificazioni dello statuto sociale assunte con deliberazione assembleare in data 25 aprile 2015. Deduceva parte attrice che l’illegittimità e invalidità del recesso conseguiva già dalla omessa indicazione, nella comunicazione de qua, di una serie di elementi indispensabili, tra cui: i diritti asseritamente incisi dalla modifica statutaria (se di voto o di partecipazione) e la specifica precisazione della modifica ritenuta lesiva, tra le plurime approvate dalla assemblea. La attrice sosteneva, più in generale, e nel merito, che le determinazioni assunte in sede di deliberazione assembleare non recavano un diretto ed effettivo pregiudizio ai diritti di partecipazione del socio (e quindi del sig. D.), e comunque lamentava che l’omessa indicazione, nella dichiarazione di recesso, della modifica concretamente ritenuta lesiva da parte del recedente le aveva precluso la possibilità di un eventuale eser­cizio dello ius poenitendi e quindi la revoca della deliberazione assunta, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2437-bis 3° comma. Si costituiva regolarmente il sig. D., contestando in toto quanto affermato da parte attrice e chiedendo il rigetto delle domande ex adverso proposte. In particolare, il convenuto deduceva la piena validità ed efficacia dell’atto di recesso, che conteneva tutti gli elementi prescritti dal dettato dell’art. 2437-bis c.c. e affermava la diretta ed effettiva [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso e la normativa di riferimento - 2. L’interpretazione dei “diritti di partecipazione” in dottrina e nei precedenti giurisprudenziali - 3. Segue: modifiche dirette, indirette e di fatto - 4. Altre questioni attorno all’esercizio del diritto di recesso: il contenuto della comunicazione di recesso - 5. Segue: il criterio di liquidazione dell’eventuale valore di mercato delle azioni - NOTE


1. Il caso e la normativa di riferimento

La sentenza del Tribunale di Bologna del 28 dicembre 2018 è una delle poche, ma sempre più frequenti, pronunce aventi ad oggetto l’interpretazione della norma di cui all’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c. che riconosce il diritto di recesso a fronte di modificazioni dello statuto concernenti i di­ritti di voto o di partecipazione. Nel caso in esame l’assemblea straordinaria di una società per azioni aveva deliberato una modifica della clausola statutaria relativa alla distribuzione degli utili, sostituendo la precedente formulazione che prevedeva la destinazione ai soci di una percentuale fissa, pari all’ottanta percento, degli utili netti di bilancio in proporzione al valore delle azioni possedute, con un nuovo disposto che attribuiva al Consiglio di Amministrazione la facoltà di determinare l’entità di utili da distribuire. Pertanto, ferma la competenza dell’as­semblea ordinaria rispetto alla decisione finale in merito alla distribuzione degli utili maturati nel corso di un dato esercizio, la stessa non era più vincolata a distribuirli nella percentuale dell’ottanta percento, bensì nel diverso ammontare proposto dall’or­gano amministrativo. A seguito di tale modifica, un socio di minoranza aveva esercitato il diritto di recesso, ai sensi dell’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c., affermando la diretta ed effettiva incidenza della modifica statutaria sul proprio diritto di partecipare agli utili, mentre la società negava tale incidenza. Il Tribunale di Bologna, senza addentrarsi nel dibattito attorno alle possibili interpretazioni estensive o restrittive della locuzione “diritti di partecipazione”, ha sostenuto che, senza alcun dubbio, la modifica incidente sulle prerogative di carattere patrimoniale del socio e relativa, in particolare, al momento della destinazione degli utili, ri­entri nell’ambito applicativo della fattispecie della norma di cui si tratta, legittimando l’uscita del socio dalla società. Ciò veniva motivato, anzitutto, in ragione del ruolo che ricopre il diritto agli utili, il quale rappresenta lo scopo tipico dell’agire in forma societaria e realizza la funzione economico sociale del contratto di società, ovvero la causa del vincolo societario, come si desume dalla semplice lettura dell’art. 2247 c.c. Inoltre, dall’analisi comparata [continua ..]


2. L’interpretazione dei “diritti di partecipazione” in dottrina e nei precedenti giurisprudenziali

La decisione del Tribunale di Bologna si inserisce in un contesto di riscoperto interesse giurisprudenziale rivolto all’interpre­tazione della causa inderogabile di recesso contenuta nella lett. g) dell’art. 2437, comma 1, c.c., sviluppatosi dopo un decennio dall’introduzione della norma con la riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) [2]. Tale fenomeno manifesta una tendenza in ascesa rispetto al ricorso da parte dei soci di minoranza allo strumento del recesso a fronte di modifiche del contratto sociale decise dalla maggioranza, che alterino i diritti inerenti alla partecipazione sociale. A seguito della riforma del 2003, infatti, sono state definitivamente superate quelle interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali che sostenevano l’esistenza di residue aree di modificabilità dello statuto all’unanimità [3], così risultando consolidato il principio mag­gioritario, il quale ha trovato un bilanciamento proprio nel rafforzamento del diritto di recesso, alla stregua di istituto posto a presidio degli interessi dei soci di minoranza [4]. Il legislatore non solo ha ampliato le ipotesi di recesso e la legittimazione ad esercitarlo, estesa anche ai soci astenuti, consentendo altresì l’introduzione in statuto di clausole convenzionali – quantomeno nelle S.p.A. che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio – ma ha anche garantito una congrua determinazione del valore di liquidazione della partecipazione rapportata all’effettivo valore del patrimonio della società, così rendendo il diritto di recesso un rimedio generale ed appetibile per il socio dissenziente [5]. In tale scenario si colloca la causa inderogabile di recesso di cui all’art. 2437, comma 1, lett. g), c.c., la quale consiste in un’ipotesi paradigmatica di contrasto tra una decisione assembleare di modifica a maggioranza dello statuto e la posizione soggettiva del singolo azionista, in quanto la modificazione incide proprio sui diritti di voto e di partecipazione che gli spettano [6]. La genericità del testo normativo [7] che attribuisce il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti “le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione” ha sollevato un importante dibattito dottrinale [8], oltre che giurisprudenziale, a [continua ..]


3. Segue: modifiche dirette, indirette e di fatto

La pronuncia in commento precisa, senza particolare enfasi, che la modifica dello statuto in oggetto abbia investito direttamente i diritti di partecipazione dei soci. Il modo con cui la delibera genera degli effetti sulla posizione soggettiva dell’azio­nista, ovvero direttamente, indirettamente, o in via di mero fatto, apre il secondo fondamentale dibattito su cui la dottrina si è divisa in merito all’ambito applicativo della causa di recesso ex art. 2437, comma 1, lett. g), c.c. Anche in questo caso gli orientamenti interpretativi possono essere schematicamente ricondotti a due poli, l’uno restrittivo e l’altro estensivo, ma bisogna essere consapevoli che le opinioni sono assai più diversificate e che, in particolare, le posizioni sulle modifiche dirette, indirette, o di fatto – di cui, peraltro, non vi è una definizione unanimemente condivisa – si combinano diversamente rispetto alla questione esaminata precedentemente in merito al significato dei “diritti di partecipazione” [21]. Ciò premesso, l’opinione maggioritaria adotta un atteggiamento restrittivo e ritiene che soltanto le modifiche che incidano direttamente e formalmente sui diritti di voto o di partecipazione legittimino l’esercizio del diritto di recesso [22], senza distinguere tra modifiche indirette e di fatto. Anche secondo la prevalente giurisprudenza il recesso sarebbe legittimato solamente di fronte a delle deliberazioni per la cui adozione, in assenza del rimedio dell’exit, si potrebbe dubitare dell’applicazione del principio mag­gioritario, ovvero quelle che hanno direttamente ad oggetto la modificazione dei diritti di voto o di partecipazione dei soci [23]. Un’interpretazione estensiva, secondo questa dottrina, attribuirebbe al socio un inesistente diritto alla sostanziale immodificabilità dell’assetto societario originario [24], privando la norma sul recesso, la quale deroga al principio di vincolatività per tutti i soci delle delibere assunte a maggioranza, di qualunque tassatività. L’interpretazione restrittiva, consentita da un dato letterale generico ed ambiguo [25], è mossa principalmente dalla preoccupazione per cui l’apertura a modifiche indirette o di fatto renderebbe sostanzialmente illimitato l’ambito applicativo della norma di cui al­l’art. 2437, [continua ..]


4. Altre questioni attorno all’esercizio del diritto di recesso: il contenuto della comunicazione di recesso

Dalla lettura della sentenza in commento emergono altre due questioni in tema di esercizio del diritto di recesso da società per azioni. La prima riguarda un aspetto formale, ovvero il contenuto della comunicazione di recesso, il quale desta interesse principalmente per la sua unicità, ovvero considerata la pressoché totale assenza di precedenti giurisprudenziali in merito. La società attrice, in particolare, ha sostenuto che la comunicazione di recesso fosse viziata e, quindi, invalida in quanto priva del­l’esatta indicazione del punto della delibera su cui si era fondata la determinazione a recedere, ovvero della modifica allo statuto e dell’indicazione dei diritti che avrebbe inciso. Tale vizio è invero insussistente, come correttamente rilevato dai giudici felsinei, in quanto non esiste a monte alcun obbligo del socio recedente, positivamente disciplinato, volto ad indicare le motivazioni, o comunque a giustificare le ragioni della propria volontà di uscire dalla compagine societaria. Infatti, l’art. 2437-bis c.c., che disciplina i termini e modalità di esercizio del recesso, richiede che la comunicazione avvenga tramite lettera raccomandata – o altri strumenti che garantiscano lo stesso, od un maggiore, grado di certezza della ricezione – sia spedita entro un dato termine e, dal punto di vista del contenuto, con formulazione insolitamente chiara e precisa, vi sia “l’indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato” [38]. Quindi, deve ritenersi sufficiente la semplice manifestazione esteriore della volontà di abbandonare la società, in conseguenza al proprio dissenso relativo ad una determinata deliberazione assembleare, mentre non si rinviene alcun riferimento ad un dovere di motivazione specifica, in relazione alle parti della delibera che hanno indotto il socio a recedere, né nemmeno sarebbe possibile ricavare un simile obbligo interpretativamente. Ciò in quanto, da un lato, si avrebbe un forte rischio di svolgere un ruolo creativo, più che ermeneutico, considerata l’assenza di appigli normativi e, dall’altro lato, si individuerebbe un requisito che di fatto ostacolerebbe o, quanto meno, complicherebbe l’esercizio del [continua ..]


5. Segue: il criterio di liquidazione dell’eventuale valore di mercato delle azioni

La seconda questione trattata nella sentenza in commento, una volta accertata la legittimità dell’an del recesso, sia dal punto di vista sostanziale che formale dell’eser­cizio del diritto, riguarda la determinazione del valore della partecipazione del socio receduto. Tanto il procedimento di liquidazione della partecipazione del socio (art. 2437-quater c.c.), quanto i criteri di determinazione del valore delle azioni (art. 2437-ter c.c.), sono stati oggetto di rilevanti modifiche a seguito della riforma del diritto societario che, come più volte osservato, ha ampliato significativamente i presupposti di esercizio del recesso. Il recesso del socio è divenuto un’ipotesi di disinvestimento alternativa alla cessione delle azioni sul mercato anche grazie all’in­dividuazione di criteri di liquidazione delle azioni non più penalizzanti, quali, per le società per azioni non quotate (come quella in esame), la “consistenza patrimoniale della società”, le relative “prospettive reddituali” e “l’eventuale valore di mercato delle azioni”, così modificando il regime previgente, che prevedeva il rimborso delle azioni del socio receduto “in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio” [43]. È nella complessiva ottica di rafforzamento dell’istituto del recesso che occorre interpretare i criteri per l’individuazione del valore di rimborso – da ritenersi oramai concorrenziale, o meglio “a prezzo fair”, rispetto alla possibilità di vendere le azioni sul mercato – e pertanto volti a cogliere, col minor grado di incertezza applicativa possibile, il valore attuale della società [44]. Il metodo misto patrimoniale e reddituale [45], avallato dal Tribunale di Bologna, è uno tra i più diffusi e condivisi [46], poiché consente di tenere conto dei dati contabili, i quali sono un punto di partenza, sebbene non più del tutto vincolanti [47], con quelli prospettici e reddituali, per cui non si intende soffermarsi ulteriormente sul tema [48]. Di maggior rilievo è invece il passaggio della sentenza in commento che si inserisce nel dibattito dottrinale [49] sulla portata del riferimento al criterio dell’“eventuale valore di mercato”, ove si [continua ..]


NOTE