Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La tutela del socio recedente tra legge e autonomia: aspetti problematici di diritto sostanziale e processuale (di Francesco Garofalo)


In una prospettiva più attenta alle istanze di tutela del socio recedente di società di capitali, il presente articolo analizza il profilo patrimoniale del recesso in una cornice normativa di valorizzazione dell’autonomia statutaria quale “alternativa” alla disciplina legale, secondo un modello volto a definire il perimetro applicativo dei criteri statutari di determinazione del valore di recesso. Sono stati, inoltre, approfonditi oltre gli aspetti sostanziali anche quelli processuali sugli strumenti di impugnazione apprestati per il recedente, individuando le modalità ed i limiti dell'intervento dell’autorità giudiziaria in ordine alla determinazione della somma spettante al socio, nonché lo spazio di manovra concesso all’autonomia statutaria in deroga al procedimento ordinario di impugnazione della determinazione, riservando un favor alla giustizia arbitrale come mezzo di risoluzione di tali controversie societarie, mediante la specificazione nello statuto di un’apposita clausola compromissoria.

The protection of the withdrawing shareholder between law and autonomy: problematic aspects of substantive and procedural law

With a view to protecting the withdrawing shareholder of a joint-stock company, this article analyses the patrimonial profile of withdrawal by emphasising the statutory autonomy as an “alternative” to the legal discipline, according to a model that defines the limits of application of the statutory criteria for determining the withdrawal value. In addition to the substantive aspects, the article also examines the procedural aspects of the legal remedies available to the withdrawing shareholder. It identifies the methods and limits of judicial intervention in the determination of the amount due to the shareholder, as well as the power granted to the statutory autonomy to derogate from the ordinary procedure of challenging the determination. This is intended to favour recourse to arbitration as a means of resolving such corporate disputes, through the specification of an arbitration clause in the articles of association.

SOMMARIO:

1. L’estensione dell’autonomia statutaria e i suoi limiti applicativi - 2. La determinazione del valore di recesso: l’adozione di criteri statutari e i confini di una deroga “controllata” ai criteri legali - 3. Segue. Ambito di applicazione e fattispecie controverse - 4. Efficacia del recesso: lo status socii in rapporto al procedimento di determinazione del valore di recesso - 5. La contestazione sul valore di liquidazione: la nomina giudiziale del­l’e­sperto (e la facoltà di deroga alla disciplina generale) - 6. Il procedimento di impugnazione della determinazione del recesso: natura giuridica e aspetti processuali - 7. La clausola compromissoria statutaria nel diritto societario - 7.1. Segue. L’arbitrabilità del valore del recesso: ambito di applicazione e relativi limiti - 7.2. Segue. L’“estraneità” dell’autorità di nomina arbitrale: un limite all’autonomia statutaria - NOTE


1. L’estensione dell’autonomia statutaria e i suoi limiti applicativi

Il recesso dalle società di capitali ha rappresentato, sin dalla riforma del 2003, un tema molto dibattuto e controverso in ragione della tensione fra gli interessi contrapposti e la difficoltà di conciliare la disciplina, anche cogente, dell’istituto con la rilevanza assegnata all’autonomia statutaria nonché alla facoltà di deroga delle norme dispositive. Non essendo questa la sede adatta per indagare, nella loro interezza, le principali questioni relative il diritto di recesso, quale rimedio alla modificazione degli equilibri societari che si manifesta attraverso l’“uscita” del socio dalla compagine sociale, conviene focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti problematici, alla luce dell’esperienza maturata in questi anni di applicazione della nuova disciplina, privilegiando appunto l’ottica dell’autonomia statutaria come strumento di valorizzazione e sviluppo dell’istituto. Un primo aspetto su cui è, invero, opportuno soffermarsi riguarda la possibilità di determinazione delle fattispecie in cui tale diritto nasce e può essere esercitato e delle relative modalità. In tal senso, occorre verificare la legittimità della scelta statutaria che si propone come deviazione della fattispecie tipicamente regolata dalla legge. Tra i vari orientamenti dottrinali in argomento, gli uni più conservativi e gli altri più sensibili alle esigenze dell’autonomia statutaria, risulta che i criteri legali rappresentino quella “garanzia minima” prevista dal legislatore in favore del recedente in tutte quelle ipotesi in cui la causa del recesso venga stabilita dalla legge. Si consideri, tuttavia, che dalla nuova disciplina del recesso nelle società di capitali, orientata ad una regolamentazione pattizia del recesso, emerge un’apertura in favore dell’autonomia statutaria, con il limite della meritevolezza dell’interesse perseguito, che costituisce, in ogni caso, un vincolo mai superabile nel sistema degli atti negoziali a contenuto patrimoniale [[1]]. Ancorché la mancanza di puntualizzazioni non aiuti nella individuazione della soluzione sistematicamente più corretta (ammesso che vi sia), ove l’exit si configuri quale diritto indisponibile concesso al socio dalla legge, il criterio legale viene a costituire quell’indefettibile requisito (di validità delle [continua ..]


2. La determinazione del valore di recesso: l’adozione di criteri statutari e i confini di una deroga “controllata” ai criteri legali

Tra i punti salienti della nuova normativa, il quadro complessivo che emerge in tema di società di capitali risulta caratterizzato da un’ampia e rilevante modifica dei criteri di valutazione, trasformati da parametri inadeguati ad indicatori del valore equo della partecipazione del recedente. La determinazione del valore della quota del socio recedente svolge una importante funzione di bilanciamento tra l’esigenza di tutela del diritto di disinvestimento e di exit del socio e, al tempo stesso, la necessità di salvaguardare l’integrità e la consistenza patrimoniale della società [[9]]. La “rivitalizzazione” del recesso dalle società di capitali passa certamente dalla portata innovatrice della disciplina sulla determinazione [[10]] che ha abbandonato il modello storico-bilancistico quale unico parametro qualificante, secondo la dottrina maggioritaria ormai inadeguato ed anacronistico (oltre, in special modo, penalizzante per il socio recedente), favorendo un approccio quantitativo e qualificativo basato prettamente sulla consistenza patrimoniale [[11]] e reddituale [[12]]-[[13]]. Proprio la stima del profilo reddituale, stante gli evidenti margini di aleatorietà che vi sono riconnessi, impone l’adozione di cautele essenzialmente volte a ponderare il dato emergente da una mera formula matematica (tra le diverse disponibili), con la realtà del contesto economico-ambientale, oltre che della specifica attività svolta. Il recesso si rivela, così, strumento di disinvestimento individuale del socio recedente [[14]] ma, allo stesso tempo, anche mezzo di negoziazione tra i soci (recedenti e rimanenti) [[15]]. Ed infatti, quale mezzo di disinvestimento, il recesso è volto a “liberare” il capitale vincolato a un progetto imprenditoriale in cui non si nutre più fiducia, innescando, così, una negoziazione tra i soci sulle condizioni economiche di uscita. In questo senso, l’autonomia statutaria rappresenta quello strumento utile per raggiungere ed agevolare la negoziazione delle modalità di determinazione della quota, laddove i soci prevedano una modifica dei termini economici e dei criteri legali di determinazione del valore della quota a seguito di recesso, nel rispetto di determinate condizioni e del contraddittorio tra società e recedente. Pertanto, ove si consideri l’essenza [continua ..]


3. Segue. Ambito di applicazione e fattispecie controverse

In una cornice normativa di valorizzazione dell’autonomia statutaria, che peraltro disciplina, seppur nel rispetto di determinati limiti (per una più agevole individuazione del valore di liquidazione), sia i casi di esercizio del diritto di recesso, sia la determinazione del corrispettivo da corrispondere al recedente, l’ampliamento statutario e la regolamentazione convenzionale tendono ad elaborare soluzioni specifiche ed adeguatamente incisive all’interno della stessa normativa del recesso. Diventa, quindi, rilevante l’individuazione del perimetro dell’intervento dell’au­tonomia statutaria nell’elaborazione di eventuali criteri alternativi per il calcolo dell’importo spettante al socio uscente. La dottrina tende a prediligere una interpretazione che qualifichi come deroga ai criteri legali di determinazione qualsiasi modificazione del criterio stesso, a prescindere dal contenuto e dagli esiti di tale modificazione [[26]]. Quanto detto rileva in quanto non sarebbe facile valutare aprioristicamente ed in maniera asettica una deroga e/o alterazione ai criteri legali in termini di maggiore o minore convenienza per il recedente, dal momento che una previsione statutaria che deroghi rispetto all’applicazione dei criteri legali può portare a risultati diversi anche in relazione al momento in cui il recesso viene esercitato. Non è possibile, pertanto, ragionare in astratto per stabilire se una modifica statutaria ai criteri da adottare porti ad un risultato che sia per il recedente più vantaggioso o, al contrario, più svantaggioso. È, dunque, necessario soffermarsi piuttosto sull’incidenza modificativa “controllata” dei criteri statutari, nonché sulla loro idoneità ad esprimere una valutazione anche peggiorativa del valore che sarebbe espressione dei criteri legali [[27]]. In questa prospettiva, quanto alla imperatività delle disposizioni di legge in materia, l’indirizzo maggioritario in dottrina ammette la validità, limitatamente alle cause non inderogabili di recesso, di clausole derogatorie anche in senso peggiorativo per il socio rispetto al regime legale [[28]]. Tale assunto non poggia solo su dati testuali, basandosi, altresì, sull’analisi della fisionomia stessa del rimedio del recesso, fra tutela dell’interesse del socio alla salvaguardia del proprio potere [continua ..]


4. Efficacia del recesso: lo status socii in rapporto al procedimento di determinazione del valore di recesso

Dall’esercizio del diritto di recesso del socio scaturiscono una serie di effetti, tanto di natura patrimoniale (nei termini in cui si è finora affrontato) quanto di natura sostanziale (quali la perdita la perdita dei diritti, dei poteri e delle facoltà di cui dispone come membro dell’impresa); quest’ultimi riguardano, nello specifico, la partecipazione e l’intervento del socio all’interno della società nel periodo che intercorre tra la ricezione, da parte della società, della dichiarazione di recesso e l’uscita dello stesso dalla compagine sociale. Quello della perdita dello status socii in conseguenza dell’esercizio del diritto di recesso è un fiume carsico, un tema per molto tempo sotterraneo, dimenticato e poco considerato. Eppure rimane ancor oggi uno dei punti più dibattuti della disciplina del recesso. È vero che la riforma del 2003 ha avuto il merito, più volte ribadito, di valorizzare l’istituto del recesso con un reticolo dettagliato di norme, ma ha del tutto tralasciato il problema delle sorti del socio recedente nelle more del procedimento di uscita (non sempre caratterizzato da una breve durata). Per cercare di fare chiarezza sull’argomento è necessario ripercorrere brevemente i tempi dell’uscita del socio, così come risultano scanditi dal codice civile, al fine chiarire gli effetti (in capo al recedente) rispetto al profilo patrimoniale di determinazione del valore del recesso. Pur non essendo questa la giusta sede per un’analisi completa ed approfondita della questione, quello che preme comprendere, ai fini che qui rilevano, è ciò che scaturisce dalla volontà già espressa dal socio di recedere dalla società, nel momento che precede la liquidazione della quota. Difatti, più che dell’efficacia del recesso, è bene verificare la condizione del socio recedente nel lasso di tempo che va da quando viene esercitato il diritto al suo effettivo soddisfacimento in termini di liquidazione della quota [[37]]. Oltre l’individuazione dell’istante in cui può dirsi concluso il rapporto sociale è di ineludibile importanza, per la certezza dei rapporti giuridici, la definizione degli effetti che si producono in quel lasso (rectius, limbo) temporale e le ricadute sul piano sostanziale. Il legislatore, omettendo di prendere [continua ..]


5. La contestazione sul valore di liquidazione: la nomina giudiziale del­l’e­sperto (e la facoltà di deroga alla disciplina generale)

In caso di contestazione o di disaccordo sulla determinazione del valore della quota gli articoli 2437-ter, comma 6, e 2473, comma 3, c.c. prevedono che il valore di liquidazione venga determinato da un esperto di nomina giudiziale. Su istanza della “parte più diligente”, l’esperto è chiamato ad un accertamento sul quantum del rimborso [[48]]. Ancor prima di entrare nel merito del giudizio di impugnazione della determinazione dell’esperto, un aspetto su cui occorre preliminarmente soffermarsi riguarda la fase sub-procedimentale di nomina del terzo. La nomina giudiziale dell’esperto risente, oggi, dell’abrogazione, con l’entrata in vigore dell’art. 54 legge 18 giugno 2009, n. 69, sia dell’intero Titolo IV del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, sia degli artt. 25-33 che regolavano il relativo procedimento (rientrante nell’ambito di quelli “in camera di consiglio”). Nonostante l’abrogazione di queste norme, pare, tuttavia, che alcuni dei quesiti, già sollevati ab origine, possano essere (ancora) riproposti. D’altronde, l’evidente difetto di coordinamento fra l’abrogazione del rito societario e la disciplina del recesso per le società di capitali sembra suggerire un’analisi del quadro normativo di riferimento. Partendo dal dato testuale, gli artt. 2437-ter c.c., per le s.p.a., e 2473 c.c., per le s.r.l., (in assenza di diverse previsioni statutarie) prevedono la nomina giudiziale di un esperto secondo lo schema dei procedimenti camerali di volontaria giurisdizione che, ai sensi dell’art. 1349 c.c. [[49]], in caso di contestazione, determini il valore di liquidazione [[50]]. Malgrado la sua apparente chiarezza, la disciplina è tutt’oggi foriera di complesse questioni interpretative che intersecano, da un lato, la disciplina giuridica e, dall’altro, le vicende processuali. È, tuttavia, pacifico che il tribunale, su istanza della parte più diligente, si limiti, in un procedimento non contenzioso di volontaria giurisdizione, a nominare l’e­sperto, e non effettui la determinazione del valore della partecipazione, la quale è compiuta dall’esperto nominato, con un atto (la relazione giurata), che è a lui e­sclusivamente imputabile. Pertanto, sono individuabili due fasi nettamente distinte, sia oggettivamente, sia soggettivamente. La nomina [continua ..]


6. Il procedimento di impugnazione della determinazione del recesso: natura giuridica e aspetti processuali

Il contrasto tra le parti sul valore di liquidazione, determinato dalla contestazione, ex art. 2437-ter, comma 6, c.c., o dal disaccordo, ex art. 2473, comma 3, c.c., (i due termini sono equivalenti) dà vita a una controversia giuridica (poiché il contrasto riguarda una situazione giuridica soggettiva) sul diritto al rimborso; tale controversia viene risolta, limitatamente al profilo del quantum del credito, dall’esperto (chiamato, dunque, a comporre un singolo e specifico segmento della lite) [[55]]. In breve, la figura deve essere collocata non sul piano del diritto sostanziale, bensì su quello del diritto processuale, quale strumento eteronomo di risoluzione delle liti. Quanto finora affermato vale da premessa a ciò che verrà trattato in questo paragrafo e che riguarda, nello specifico, gli aspetti processuali e la natura giuridica del controllo giudiziale che consegue dall’impugnazione avverso la determinazione del terzo. Innanzitutto, dal punto di vista sostanziale, occorre sottolineare che il giudizio di impugnazione della determinazione dell’esperto non può avere ad oggetto i criteri di valutazione adottati [[56]]. Tale procedimento non può in alcun modo investire questioni giuridiche relative i criteri di determinazione: l’esperto nominato svolge, dunque, un’attività di stima del valore economico del recesso nel rispetto dei criteri legali (ed eventualmente statutari) adottati. Il profilo sulla natura (contenziosa o di volontaria giurisdizione) del procedimento di impugnazione della determinazione del terzo merita di essere esaminato alla luce delle opinioni della dottrina e della giurisprudenza rispetto alle esigenze di certezza dei rapporti societari e di buona gestione sociale. Particolarmente rilevante è, inoltre, l’individuazione del giudice dinnanzi al quale impugnare la determinazione dell’esperto, nelle ipotesi espressamente indicate di manifesta iniquità o erroneità. Dal combinato disposto delle norme finora citate non emerge con chiarezza se si debba ricorrere innanzi al giudice che ha nominato l’esperto (nei casi di nomina giudiziale, ex art. 1349 c.c.), ovvero al giudice superiore in sede di reclamo o, ancora, se occorra richiedere una pronuncia nell’ambito di un diverso ed autonomo giudizio ordinario di tipo contenzioso [[57]]. Muovendo dal presupposto che, salvo che i soci non [continua ..]


7. La clausola compromissoria statutaria nel diritto societario

L’autonomia statutaria in materia di regolamentazione del recesso si spinge fino ad ammettere l’operatività della clausola compromissoria che consenta la devoluzione ad arbitri delle controversie connesse al contratto sociale per la risoluzione di questioni relative ai rapporti interni [[66]]. L’attribuzione di tali questioni alla competenza arbitrale è evidentemente frutto della naturale propensione delle vertenze economiche a cercare sbocchi arbitrali; le ragioni che hanno condotto il legislatore a concedere all’autonomia statutaria il potere di disciplinare la fattispecie con l’introduzione di una clausola compromissoria risiedono, anzitutto, nell’esigenza di maggiore celerità del giudizio arbitrale (e in campo economico il tempo, come si sa, è un fattore decisivo) e di maggiore specializzazione del giudicante. La clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società che attribuisce alla competenza arbitrale la risoluzione delle controversie connesse al contratto sociale deve senz’altro ritenersi estesa “alla controversia riguardante il recesso del socio dalla società”. Tale contrasto in materia di recesso (che è, appunto, controversia relativa al rapporto sociale) si estende, dunque, anche alla questione relativa al (solo) valore della quota, poiché l’esercizio del recesso coinvolge al contempo sia lo status di socio sia il diritto (di natura patrimoniale) ad esso conseguente, qual è quello alla liquidazione del valore della partecipazione. L’elemento chiave su cui si basa l’intera analisi dell’aspetto patrimoniale del recesso in relazione all’applicabilità di una simile clausola poggia sulla natura contrattuale della misura del rimborso che attribuisce ai soci un’ampia facoltà di affidare alla competenza arbitrale la risoluzione di controversie sociali, ovvero il completamento di una fattispecie che riguardi una vicenda patrimoniale di tipo convenzionale [[67]]. Tuttavia, prima di analizzare tale profilo, è opportuno fare una premessa di carattere sostanziale, quantomeno per sgomberare il campo da equivoci logico-giuridici e tracciare così le opportune differenze che sussistono tra l’istituto dell’ar­bitrato, così come si dirà infra richiamato dal d.lgs. n. 5/2003, e quello (solo apparentemente “vicino”) [continua ..]


7.1. Segue. L’arbitrabilità del valore del recesso: ambito di applicazione e relativi limiti

Per la definizione delle controversie sorte su questioni relative al profilo patrimoniale, i soci possono, quindi, ricorrere alla competenza arbitrale. Ed infatti, se da un lato, l’autonomia statutaria esercitabile dai soci ben può individuare specifiche modalità attraverso le quali giungere alla determinazione del valore della quota, dall’altro è ragionevole considerare legittime quelle clausole che prevedano una disciplina diversa in tema di regolazione di rapporti. L’ambito di applicazione del recesso, pur essendo delimitato dalla legge sia sotto il profilo soggettivo sia sotto quello oggettivo, finisce per tollerare un determinato margine di variabilità nella selezione delle vicende litigiose che sono devolvibili agli arbitri, allorché venga assegnata all’autonomia negoziale una certa rilevanza. È, dunque, lecito ritenere che la controversia sulla liquidazione della quota di recesso possa essere devoluta in arbitrato societario, per due ordini di ragioni. Innanzitutto, osservando il significato testuale-letterale, per la portata specifica della clausola, nella quale assume valore esplicativo l’avverbio “anche” (“tutte le controversie insorgenti tra soci o tra soci e società che abbiano ad oggetto diritti disponibili, anche quando sia oggetto di controversia la qualità di socio”); ciò comporta che debba annoverarsi tra quelle oggetto di devoluzione ogni controversia che presupponga il rapporto sociale nella causa petendi, a prescindere dall’essere o meno in contestazione la (perdurante) qualità di socio. In secondo luogo, per la stessa portata della clausola compromissoria a cui esplicitamente l’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003 rinvia. Difatti l’espressione generale richiamata dal predetto articolo consente un adeguamento dell’oggetto dell’arbitrato societario ai “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”. Ciò permette di disciplinare, quali materie compromettibili, non solo le controversie che investono direttamente il rapporto sociale (id est, il rapporto in atto), ma anche quelle che abbiano a oggetto diritti nascenti da (e presupponenti il) rapporto sociale, dal momento che, come si è già avuto modo di affermare, nel­l’oggetto del processo rientri il rapporto sociale anche quando oggetto di giudizio siano in sostanza (solo) le utilità [continua ..]


7.2. Segue. L’“estraneità” dell’autorità di nomina arbitrale: un limite all’autonomia statutaria

Anche rispetto all’applicazione della clausola compromissoria e alla struttura dell’arbitrato societario (specie per quel che riguarda la nomina arbitrale) si è avvertita l’esigenza di conciliare l’esigenza di dare massimo rilievo all’autonomia statutaria, con quella, altrettanto giusta, di trovare una via d’uscita quando quella stessa autonomia renda inattuabile il patto arbitrale. L’art. 34 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, al comma 2, stabilisce, infatti, che tutte le clausole compromissorie statutarie devono prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri e, sotto pena di nullità, che la nomina degli stessi avvenga ad opera di un soggetto estraneo rispetto alle parti in lite; la previsione di un siffatto meccanismo di nomina ha rappresentato una netta cesura rispetto all’ordinario meccanismo contenuto nel codice di rito, rendendolo una vera e propria species di clausola arbitrale in ambito c.d. societario, dove certamente, in modo più forte rispetto ad altri settori del diritto, l’indipendenza e l’imparzialità dell’arbitro necessitano di una tutela e di una cautela di livello superiore [[80]]. Il legislatore ha, così, ipotizzato un criterio di nomina eterodeterminata, prevedendo (quindi limitando) l’intervento del giudice ordinario solo in caso di omissione della nomina da parte del terzo. Ciò detto, però, ci si chiede come mai lo stesso legislatore abbia sentito l’esi­genza di stabilire che le parti debbano indicare le “modalità di nomina” degli arbitri, quando in realtà è lui stesso a stabilirlo [[81]]. Volendo valorizzare l’inciso (senza confinarlo alla riduttiva scelta del terzo designatore), potrebbe sostenersi, prima facie, una qual certa apertura verso diverse modalità di nomina che rispettino il criterio eterodeterminato ma allo stesso tempo permettano un maggiore apporto e coinvolgimento, seppur indiretto, delle parti (ad esempio, mediante la previsione di liste condivise dalle quali il terzo, in ogni caso esterno alla società, possa trarre il nominativo dell’arbitro o degli arbitri). Tale meccanismo di nomina, dai contorni un po’ sfumati, solleva ancora alcuni interrogativi in punto di nomina arbitrale che in realtà il legislatore, dal canto suo, ha mancato di definire e risolvere; la disciplina, infatti, non [continua ..]


NOTE