<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Clausola put a prezzo preconcordato e divieto di patto leonino: la Cassazione si pronuncia a favore della legittimità dell'accordo (di  Francesca Prenestini)


Il contributo esamina contenuti e implicazioni dell’ordinanza n. 17498 del 4 luglio 2018, con cui la Corte di Cassazione ha valutato la compatibilità di un accordo parasociale a scopo di finanziamento in forma partecipativa, contenente un’opzione put a prezzo preconcordato, con il divieto di patto leonino di cui all’art. 2265 c.c., affermando la legittimità di un siffatto accordo negoziale. Dopo un’approfondita disamina della norma, anche alla luce dell’interpretazione resa dalla dottrina e dalla giurisprudenza, il contributo analizza la pronuncia della Corte di Cassazione e si sofferma su taluni passaggi criptici della stessa, tra cui l’individuazione dei presupposti in presenza dei quali l’accordo parasociale possa integrare un negozio in frode alla legge, costituendo il mezzo per eludere il divieto di patto leonino.

Put option clause at a fixed striking price and prohibition of a leonina societas agreement: the Court of Cassation rules in favor of the validity of the agreement

The essay examines contents and implications of ruling n. 17498 of 4 July 2018, in which the Court of Cassation assessed the compatibility of a shareholders’ agreement for the purpose of participatory financing, containing a put option at a fixed striking price, with the prohibition under Art. 2265 of the Italian Civil Code (so called prohibition of “patto leonino” or leonina societas agreement, according to which any agreement that excludes a shareholder from any participation to the losses or to the profits of the company is void and null) and affirmed the validity of such an agreement. After an in-depth examination of the statutory rule, also in the light of the interpretation made by the legal scholarship and the case-law, the contribution analyzes the decision of the Court of Cassation and focuses on certain cryptic passages of the same, including the identification of the conditions in the presence of which a shareholders’ agreement integrates a contract in fraud of the law, constituting the means to circumvent the prohibition under Art. 2265 of the Italian Civil Code.

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CASSAZIONE CIVILE, I Sezione, 4 luglio 2018, n. 17498. – Schirò Presidente – Nazzicone Relatore – D. S.p.A. c. S. S.p.A. (Artt. 2265, 2247, 1331, 1322 c.c.)   Massima ufficiale È lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società.  (Omissis)   Fatti di causa La DeA Partecipazioni s.p.a. ricorre, sulla base di cinque motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano del 19 febbraio 2016, la quale ha respinto l’impugnazione della decisione del tribunale della stessa città, che ha dichiarato nullo l’accordo concluso in data 1 agosto 2007, come modificato il 23 giugno 2008, tra la medesima e la Sopaf s.p.a., perché elusivo del divieto di patto leonino di cui all’art. 2265 cod. civ. La corte territoriale ha ravvisato la nullità del­l’accordo parasociale, il quale, nell’ambito della organizzazione di una “cordata” per l’acquisi­zio­ne di Banca Bipielle Net s.p.a. (poi Banca Network Investimenti s.p.a.), concedeva alla DeA s.p.a. l’opzione put con riguardo alla partecipazione sociale rappresentativa del 14,99% del capitale sociale della banca, da esercitare entro il 31 dicembre 2008 dietro corresponsione del prezzo di acquisto delle azioni, oltre interessi e (dopo la modifica con il patto avvenuta nel 2008) gli eventuali ulteriori versamenti eseguiti a patrimonio netto. Essa ha richiamato i principi enunciati dalla corte di legittimità, i quali esigono, ai fini del giudizio di nullità, che sia stata pattuita l’esclusione assoluta e costante del socio dalla partecipazione agli utili ed alle perdite: come nella specie, posto che DeA s.p.a. avrebbe potuto votare in assemblea ogni aumento del capitale e versare qualsiasi importo senza rischio di perdite, essendo il proprio investimento destinato ad essere rimborsato interamente da Sopaf s.p.a. Né, aggiunge la Corte del merito, sussiste un autonomo interesse meritevole di tutela ex art. 1322 cod. civ., restando quindi l’accordo idoneo ad eludere il divieto di patto leonino. Premesso che il divieto di cui all’art. 2265 cod. civ. può essere violato anche da un patto parasociale, la Corte d’appello ha ravvisato la causa [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. La dottrina - 5. Il commento - NOTE


1. Il caso

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 17498 del 4 luglio 2018 affronta il controverso tema della compatibilità di un accordo parasociale a scopo di finanziamento in forma partecipativa, contenente un’opzione put a prezzo preconcordato, con il divieto di patto leonino di cui all’art. 2265 c.c., pervenendo all’affermazione della legittimità di un siffatto accordo negoziale [1]. La vicenda in esame trae origine da un’o­pe­razione mirante all’acquisizione del capitale sociale di una banca, alla quale avevano preso parte, tra gli altri, due società per azioni. In tale contesto era stato stipulato un accordo con il quale la prima società concedeva un’opzione put a favore della seconda; in particolare, la società opzionaria avrebbe potuto cedere la partecipazione detenuta, corrispondente al 14,99% del capitale sociale della banca, dietro corresponsione di un prezzo non inferiore a quello di acquisto delle azioni, maggiorato degli interessi convenzionali, entro una determinata data. Tale accordo era stato oggetto di una successiva modifica, volta a includere nel prez­zo anche eventuali versamenti a patrimonio netto che la società opzionaria avesse, nelle more, effettuato in favore della banca [2]. Nei precedenti gradi di giudizio l’accordo era stato ritenuto elusivo del divieto di patto leonino sancito dall’art. 2265 c.c., che sanziona con la nullità gli accordi con i quali uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite [3]. Nello specifico, il Tribunale di Milano aveva dichiarato la pattuizione nulla perché elusiva della ratio della disciplina richiamata, reputando i motivi dei contraenti non legati a interessi di per sé meritevoli di tutela. La Corte d’Appello aveva successivamente confermato il giudizio di nullità dell’opzione put, rigettando l’appello proposto. Ad avviso della Corte d’Appello, il trasferimento del rischio operato nel caso di specie aveva condotto a una assoluta e costante esclusione dell’alea connaturata all’investimento finanziario, configurandosi come un tentativo di eludere il divieto di patto leonino mediante il ricorso a un accordo tra soci neppure meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. La Corte d’Appello aveva, in particolare, evidenziato come fosse stata la [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Al centro dell’ordinanza è la previsione di cui all’art. 2265 c.c. che, come detto, sanziona con la nullità il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. La dizione della rubrica (“patto leonino”) evoca l’origine, di matrice favolistica, della denominazione del divieto. Si narra, infatti, che, catturata la preda in collaborazione con altri animali, un leone abbia preteso di tenerla tutta per sé [5] ovvero, secondo un’altra versione, abbia sbranato uno dei soci (l’asi­no) intimando, di fatto, all’altro (la volpe) di rinunciare spontaneamente a un’e­qua spartizione del bottino [6]. Nella trasposizione della morale della favola in principio giuridico, in effetti, pare potersi intravedere l’intento di reprimere la sopraffazione del leone: l’ordinamento societario non ammette il dispotismo del socio “leo” che, in spregio ai connotati essenziali e tipici del rapporto sociale [7], ottenga l’estromissione di altri soci dalla ripartizione degli utili ovvero che esiga di rimanere immune da ogni partecipazione alle perdite [8]. In realtà, l’estensione della nullità al patto di esclusione dalle perdite risale al medioevo, posto che tanto nella favola quanto nel contesto del diritto romano, teatro storico del divieto di costituzione della “società leonina”, si aveva riguardo alla sola esclusione dai guadagni [9]. Nella ricerca della ratio della disposizione di cui all’art. 2265 c.c. [10], occorre dar conto dell’evoluzione gradualmente affermatasi nel pensiero degli interpreti, segnata dal passaggio da una ricostruzione dicotomica delle ragioni del divieto di patto leonino all’individuazione di una ratio sostanzialmente unitaria. Secondo un’interpretazione risalente, di cui Sraffa fu diretto assertore [11], la norma de qua avrebbe un duplice fondamento. In particolare, il divieto di estromettere il socio dalla partecipazione agli utili affonderebbe le sue radici nella nozione stessa di contratto di società, implicante la divisione dei guadagni, e, in quanto tale, sarebbe previsione del tutto superflua. Di contro, la pattuizione dell’esclusione di un socio dalla partecipazione alle perdite non priverebbe il contratto di società di un [continua ..]


3. I precedenti giurisprudenziali

Poste le necessarie premesse circa la ratio e la portata dell’art. 2265 c.c., si giunge al punto focale della vicenda affrontata dalla Cassazione. L’ordinanza in commento si inserisce nel solco di un risalente dibattito, che vede due posizioni contrapposte: da un lato, quella che ravvisa un conflitto tra le clausole put a prezzo predeterminato previste da accordi parasociali a scopo di finanziamento con il divieto di patto leonino di cui all’art. 2265 c.c.; dall’altro, quella che, seppur con diverse sfumature, propende per la liceità della fattispecie. La struttura dei suddetti accordi, generalmente stipulati all’atto dell’ingresso nella compagine sociale di un “socio finanziatore”, prevede che a beneficio di quest’ultimo sia convenuta un’opzione di vendita della partecipazione sociale a un prezzo predeterminato, tale da ricomprendere, oltre al valore di acquisto, una remunerazione del capitale investito sotto forma di corresponsione di interessi e, nelle pattuizioni più sofisticate, una copertura da eventuali versamenti effettuati a favore della società prima dell’esercizio dell’opzione. Tale congegno integrerebbe, secondo il primo orientamento, una potenziale violazione del divieto di esclusione del socio dalla partecipazione alle perdite sancito dall’art. 2265 c.c., stante la sostanziale garanzia del recupero del­l’investimento indipendentemente dalle sorti della società. Sebbene siano rinvenibili precedenti alquanto datati in argomento [25], è soltanto in epoca più recente che la soluzione al dilemma circa l’ammissibilità di simili accordi si è resa impellente, con la diffusione del meccanismo nell’ambito di operazioni in cui una finanziaria regionale, all’atto del­l’acquisizione di una partecipazione di minoranza finalizzata a concorrere al risanamento della società partecipata, conveniva con i “soci imprenditori” un patto di retrocessione della partecipazione a prezzo preconcordato [26]. In giurisprudenza, una fondamentale decisione in materia è rappresentata da una nota sentenza della Corte di Cassazione [27], richiamata anche dall’ordinanza in esame, che ha contribuito a fissare i criteri per la valutazione della legittimità di pattuizioni statutarie o contenute in accordi parasociali rispetto al [continua ..]


4. La dottrina

All’incerto scenario delineatosi sul fronte giurisprudenziale si affianca, nel dibattito dottrinale, il contrasto tra due orientamenti, l’uno a sostegno dell’inconciliabilità del divieto di patto leonino con accordi parasociali di retrocessione della partecipazione a prezzo predeterminato, l’altro a favore della legittimità del descritto meccanismo di partecipazione a scopo di finanziamento [43]. Il primo orientamento fa leva sul fondamento (moderno) del divieto di patto leonino, individuato nell’esigenza che al potere di gestione sociale corrisponda la partecipazione al rischio di impresa, allo scopo di garantire il buon andamento della società. Ne deriva che, per la sua attitudine a deresponsabilizzare il socio, si porrebbe in diretto contrasto con il divieto un patto di esclusione del socio dagli utili o dalle perdite, pur autonomo rispetto al contratto sociale [44]. Inoltre, sempre alla luce delle ragioni di ordine pubblico economico sottese all’art. 2265 c.c., è stata ribadita la necessità di tener ferma la diversa natura della posizione di socio e di creditore, caratterizzate, l’una, dalla partecipazione a titolo di capitale di rischio e dall’influenza sulla conduzione della società, l’altra dall’apporto a titolo di finanziamento svincolato dall’incidenza sulla gestione. In tale prospettiva, eventuali forme ibride sarebbero ammissibili solo entro i limiti di una partecipazione ridotta alle perdite da parte del socio ovvero dell’attri­buzione di incisivi poteri di controllo al finanziatore, dovendosi concludere, invece, per la nullità dei patti di finanziamento in forma partecipativa [45]. Sul versante opposto, in senso favorevole alla legittimità dei patti in esame si schiera altra dottrina, la quale, in adesione a un antico indirizzo giurisprudenziale, precisa efficacemente che “[q]uello che è vietato è che tra soci si pattuisca che nell’ambito sociale un socio venga esonerato dalle perdite”, non anche che terzi (ovvero persone che rivestano anche la qualifica di soci), interessati all’ingresso di un socio finanziatore nella compagine sociale, si obblighino a rivalerlo delle eventuali perdite che dovesse patire [46]. Secondo una prospettiva più recente, il dilemma circa la validità delle clausole put a [continua ..]


5. Il commento

Nel contesto sin qui delineato si colloca la vicenda in esame. Appare in questa sede opportuno ripercorrere l’iter argomentativo seguito dalla Corte di Cassazione per giungere alla conclusione favorevole alla legittimità di un accordo di finanziamento partecipativo sorretto da una clausola put a prezzo preconcordato. La Corte di Cassazione supera, in primo luogo, le obiezioni sollevate dalla ricorrente circa l’ambito di applicazione del divieto di patto leonino, mostrando di aderire all’o­rien­tamento maggioritario sul punto; ad avviso dei giudici, pur essendo dettato in materia di società semplice, l’art. 2265 c.c. è norma transtipica, che trova applicazione anche con riferimento alla società per azioni. Al fine di operare tale estensione, la Corte richiama la causa tipica del contratto di società, desumibile dall’art. 2247 c.c.: poiché scopo comune della societas, quale unione di più patrimoni, è quello di dividere i risultati derivanti dall’esercizio in comune dell’attività economica, l’integrale estromissione di un socio dalla partecipazione agli utili o alle perdite sarebbe in contrasto con detta causa tipica. I profili su cui, di contro, l’ordinanza si discosta dalle pronunce rese nei precedenti gradi di giudizio riguardano la ricostruzione della struttura dell’accordo e la valutazione degli interessi in rilievo. Sotto il primo profilo, la pronuncia prende le mosse dall’individuazione della ratio del divieto di patto leonino, riconducibile all’esigenza di tutelare la purezza della causa societatis, rievocando le ricorrenti opinioni secondo cui l’esclusione da ogni partecipazione alle perdite o agli utili indurrebbe il socio a disinteressarsi della gestione sociale e a non prodigarsi per l’impresa. La Corte ribadisce il principio, più volte richiamato in giurisprudenza, in base al quale l’esclusione dalle perdite o dagli utili, per assumere rilievo ai sensi dell’art. 2265 c.c., deve essere “assoluta e costante”, con l’ulteriore precisazione che tale requisito impone al giudice di verificare se la causa societatis del rapporto partecipativo del socio risulti alterata dalla clausola di esonero dalle perdite o di esclusione dalla divisione degli utili. Ne deriva che nessun rilievo potrà essere attribuito [continua ..]


NOTE