Nella decisione in epigrafe, la Corte Suprema del Regno Unito ha preso posizione per la prima volta su alcuni aspetti centrali del risalente orientamento giurisprudenziale che prescrive agli amministratori di una società in crisi di tenere in considerazione gli interessi dei creditori. In particolare, la Corte ha precisato, da un lato, i presupposti oggettivi e soggettivi che fanno sorgere tale dovere e, dall’altro lato, che esso rappresenta comunque il riflesso del più generale dovere di gestione diligente dovuto verso la società.
In the decision at hand, the Supreme Court of the United Kingdom decided for the first time over some pivotal aspects of the long-standing case law requiring the directors to have regard to the creditors’ interests in the vicinity of insolvency. In the first place, the Court indicates which are the objective and subjective prerequisites that give rise to such duty. Secondly, it clarified that the so-called creditor duty is a mere reflection of the more general duty to promote the success of the company that the directors owe to the company itself.
1. Il caso e le questioni controverse - 2. I doveri degli amministratori di società in crisi nell’ordinamento inglese - 3. Le soluzioni fornite dalla UK Supreme Court - 4. Rilevanza della decisione per il diritto della crisi d’impresa italiano - 5. Conclusioni - NOTE
Con la decisione riportata in epigrafe [[1]], la Corte Suprema del Regno Unito ha sviluppato e precisato un orientamento, da tempo noto alla giurisprudenza inglese [[2]], che attribuisce alla crisi societaria una valenza modificativa del contenuto dei doveri degli amministratori in senso favorevole agli interessi dei creditori sociali. Per la ricostruzione in fatto della vicenda, occorre tornare al maggio del 2009, quando gli amministratori di una società inglese, la AWA Ltd. (oggi Windward Prospects Ltd.), disponevano la distribuzione di un dividendo pari a 135 milioni di euro, pressoché corrispondente all’intero patrimonio netto della società, all’unico socio, la società francese Sequana SA, a titolo di parziale pagamento di un debito complessivo di 585 milioni nei suoi confronti. Tale distribuzione, dal punto di vista del diritto societario, nelle fasi di merito è stata ritenuta compatibile sia con le norme di diritto inglese dettate a tutela del capitale sociale, sia con quelle disciplinanti il pagamento di dividendi di cui alla Part 23 del Companies Act del 2006 [[3]]. Inoltre, al momento della distribuzione, la società era perfettamente solvente, sia dal punto di vista patrimoniale che finanziario. Tuttavia, secondo i creditori sociali, i quali agivano prima della dichiarazione d’insolvenza, poi effettivamente avvenuta, l’entità del dividendo distribuito e la contestuale pendenza di un gravoso giudizio di responsabilità risarcitoria a carico di AWA, per il danno ambientale asseritamente cagionato dall’inquinamento del Lower Fox River, nel Wisconsin, avrebbero determinato un concreto rischio di insolvenza, suscettibile di intensificare i doveri degli amministratori nei loro confronti, in misura tale da inficiare la legittimità dell’avvenuta distribuzione di dividendi [[4]]. Nell’ottobre del 2018, la società AWA è stata assoggettata alla insolvent administration, pregiudicando la possibilità per i creditori sociali di ottenere la piena soddisfazione del loro credito. Tra le numerose questioni sottoposte all’attenzione della Corte, e che saranno riprese oltre, il quesito fondamentale attiene alla precisazione dei tempi e delle modalità di attivazione del dovere degli amministratori di considerare, accanto agli interessi della società amministrata ovvero dei suoi soci, anche [continua ..]
Nella letteratura internazionale è ormai constatazione diffusissima che l’orientamento funzionale dell’attività gestoria all’interesse lucrativo dei soci si possa tradurre, in una situazione di crisi, in comportamenti opportunistici, suscettibili di pregiudicare l’aspettativa dei creditori sociali a vedere soddisfatto il proprio credito, ed in astratto maggiormente tutelata da una gestione conservativa [[16]]. Invero, secondo tale prospettiva, in una situazione in cui le partecipazioni siano ormai prive di valore, gli amministratori, in ragione del rapporto fiduciario intrattenuto con i soci, potrebbero essere indotti ad intraprendere operazioni aleatorie, sul presupposto che il rischio del relativo insuccesso ricadrebbe interamente sui creditori sociali, in quanto ormai subentrati ai soci stessi nel ruolo di residual claimants [[17]]. Tale circostanza potrebbe pregiudicare la corretta gestione della crisi e la tempestività dell’accesso alle procedure deputate alla relativa gestione e delineate dalla legge [[18]], ormai assurti, nell’ordinamento italiano, a principi generali del diritto dell’impresa. In questa prospettiva, se nella gestione della società in bonis gli amministratori sono tenuti a operare nell’ottica della valorizzazione del patrimonio sociale, e, viceversa, in un’ottica conservativa al ricorrere dello stato di insolvenza [[19]], più problematica appare la ricostruzione dell’orientamento funzionale dell’attività gestoria nella fase “crepuscolare” della crisi d’impresa (c.d. twilight zone), anche per l’intrinseca difficoltà di individuare il momento che segnerebbe il passaggio a tale fase [[20]]. Eppure, la cennata esigenza di tutela dei creditori sociali all’approssimarsi di una situazione di crisi ha condotto, a livello comparatistico, alla progressiva affermazione della tendenza ad intervenire in vario modo sul piano del diritto societario, nel senso di modificare l’orientamento dei doveri gestori in tale situazione [[21]]. Sul punto, la sentenza in commento contiene una dettagliata ricognizione degli orientamenti sviluppatisi in altri ordinamenti di common law, a partire da quello statunitense, che risulta di particolare interesse in ragione del fatto che il tema in rilievo è ciclicamente tornato all’attenzione degli interpreti lungo il [continua ..]
Come già anticipato, la sentenza in commento ha confermato l’esistenza di un dovere di contenuto gestorio degli amministratori nei confronti dei creditori sociali. Tuttavia, la decisione precisa come si tratti di un dovere “mediato” dall’ente societario, in quanto il creditor duty non dev’essere inteso come direttamente rivolto ai medesimi, essendo i doveri gestori degli amministratori orientati unicamente alla società, in coerenza, peraltro, con il dato della Section 172(3) Companies Act. Tale dovere, nell’impostazione della Corte, non ha pertanto carattere autonomo e “diretto”, ma consiste in un’alterazione del primario dovere di gestione di cui alla Section 172(1) Companies Act, a beneficio anche dei creditori sociali, con conseguenze anche in punto di legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità. Una volta che tale dovere sia stato attivato, nel perseguimento del successo della società gli amministratori dovranno dunque considerare gli interessi dei creditori accanto a quelli dei soci. Ne consegue che, qualora tali distinti ordini di interessi dovessero confliggere, gli amministratori sarebbero tenuti ad operare un bilanciamento tra gli stessi, senza far prevalere l’uno sull’altro [[33]]. Nell’ambito della giurisprudenza inglese, si tratta di una precisazione importante, in quanto in alcune decisioni di merito si era ritenuto che all’emersione del dovere in questione dovesse conseguire l’affermazione del carattere prevalente (paramount) dell’interesse dei creditori sociali, con la conseguenza che dall’attivazione del trigger sarebbe derivato un obbligo di gestione conservativa in capo agli amministratori, con relativa disattivazione della protezione offerta dalla business judgment rule [[34]]. Una simile lettura, secondo la Corte, sarebbe in contraddizione con la stessa disciplina del wrongful trading, che permette agli amministratori di continuare l’attività imprenditoriale, nonostante l’intervenuta insolvenza, fintantoché ritengano ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa [[35]]. Un’altra conseguenza di tale impostazione attiene al profilo della legittimazione a far valere la responsabilità degli amministratori per violazione del creditor duty. Infatti, dal suo carattere “riflesso” dal principale dovere fiduciario [continua ..]
Nell’ordinamento italiano, il tema del cambiamento del parametro gestorio all’approssimarsi dell’insolvenza, e il correlato problema dell’individuazione del momento rilevante a tale fine, è stato tradizionalmente impostato in termini affatto differenti da quelli caratterizzanti gli ordinamenti anglosassoni. Infatti, la vigenza della causa di scioglimento di cui all’art. 2484, comma 1, n. 4), c.c., e del connesso obbligo, al verificarsi della medesima, di gestire la società in senso conservativo (art. 2486, comma 1, c.c.), implicava la sussistenza di un criterio oggettivo, ricorrendo il quale gli amministratori avrebbero dovuto dare prevalenza all’interesse dei creditori [[45]], sul presupposto implicito che una gestione conservativa in vista dello scioglimento della società fosse senz’altro ad esso funzionale [[46]]. La progressiva erosione della disciplina del capitale sociale [[47]], ed il conseguente venir meno della sua funzione segnaletica, culminata con la cennata sospensione della causa di scioglimento derivante dalla riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, ed in generale l’evoluzione del diritto della crisi d’impresa, hanno dato nuova linfa al dibattito relativo alla disciplina dei doveri e delle responsabilità degli amministratori di società in crisi. Innanzitutto, perché la suddetta sospensione rende legittima una gestione non conservativa di una società operante con un patrimonio che sarebbe da considerarsi insufficiente ai sensi della disciplina ordinaria, con la conseguenza che, in una fase di crisi, nel sistema attuale sono leciti anche atti di gestione ispirati ad una logica di valorizzazione del patrimonio sociale. In secondo luogo, il diritto della crisi riformato, nell’elevare a principi generali della funzione gestoria il dovere di istituire assetti organizzativi funzionali alla tempestiva rilevazione della crisi, e il correlato obbligo di attivarsi senza indugio per l’adozione degli strumenti necessari per la risoluzione della medesima, [[48]], sembra rievocare alcuni connotati caratteristici della disciplina del wrongful trading [[49]]. Tali discipline risultano così apparentemente foriere di istanze centrifughe, nel senso che se la prima, consentendo una gestione non costretta dalle maglie della necessaria conservazione del patrimonio sociale, aumenta in astratto [continua ..]
La sentenza della Supreme Court qui analizzata ha precisato diversi punti controversi della giurisprudenza inglese derivata dalla decisione West Mercia. L’impatto pratico della decisione riguarderà soprattutto la ricostruzione del trigger necessario ai fini dell’attivazione del dovere di tenere in considerazione gli interessi dei creditori sociali. Con la menzionata combinazione di requisiti oggettivi e soggettivi, e con la collocazione dei primi in una fase di prossimità all’insolvenza, esso dovrebbe essere di più chiara individuazione rispetto al passato, oltre che di più difficile realizzazione, stante l’aggiuntivo requisito (soggettivo) della conoscibilità delle condizioni oggettive rilevanti in capo agli amministratori. Sia sufficiente osservare che nello stesso caso Sequana la Court of Appeal e la High Court avevano ritenuto di individuare il trigger, rispettivamente, in una generica probabilità di insolvenza ovvero nel mero rischio di accedere ad una procedura d’insolvenza. Per altro verso, la rilevanza pratica della decisione deriva dalla conferma della natura mediata attribuita al creditor duty, in quanto estrinsecazione dei doveri fiduciari che gli amministratori hanno nei confronti della società. Il carattere “riflesso” dei doveri verso i creditori sociali, e la negazione della relativa prevalenza in una situazione di crisi, esclude la possibilità di attribuire a costoro la facoltà di agire autonomamente nei confronti degli amministratori, che sarebbe invero un’interpretazione di dubbia coerenza sistematica in un ordinamento che non prevede alcuna azione diretta di questo tipo. La soluzione adottata dalla Corte fa sì che, dal punto di vista pratico, il creditor duty seguiterà ad essere attivato dal curatore della procedura d’insolvenza cui la società interessata dalla violazione sarà eventualmente sottoposta. Per quanto attiene all’osservatore italiano, tra le pieghe della decisione possono ricavarsi diversi spunti interessanti, essenzialmente attinenti al contenuto dei doveri degli amministratori in una situazione di prossimità all’insolvenza e del sindacato del giudice nel successivo giudizio di responsabilità. Innanzitutto, nella sentenza viene enfatizzato il profilo della conoscibilità, in capo agli amministratori, della imminenza dell’insolvenza, e [continua ..]