<p>Impresa Società Crisi di Palazzolo Andrea, Visentini Gustavo</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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I presunti riflessi dell'art. 2482-quater c.c. sulle delibere di ricapitalizzazione (di Francesco Paolo Petrera)


SOMMARIO:

1. La questione: consenso unanime necessario per procedere alla ricapitalizzazione di una società a responsabilità limitata alla luce dell'art. 2482-quater c.c.? - 2. Una breve disamina delle tesi a confronto ante riforma - 3. La ricerca dell'effettiva portata innovativa dell'art. 2482-quater c.c. - 4. Limiti e contrasti sistematici della tesi del necessario consenso unanime. Effetti della sua applicazione nelle varie ipotesi di riduzione del capitale per perdite - 5. L'incidenza della revocabilità a maggioranza dello stato di liquidazione ... - 7. La tutela per il socio di minoranza (o meglio che non intenda sottoscrivere l'au­mento) - NOTE


1. La questione: consenso unanime necessario per procedere alla ricapitalizzazione di una società a responsabilità limitata alla luce dell'art. 2482-quater c.c.?

Costituisce oggetto di discussione la portata della disposizione introdotta dall’art. 2482-quater c.c. secondo cui «in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite è esclusa ogni modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci» [1]. Nel presupposto che a seguito dell’azzeramento del capitale sociale o di sua riduzione al disotto del minimo legale, essendosi verificata una causa di scioglimento della società, sorga il diritto dei soci alla loro quota di liquidazione [2], la norma parrebbe comprovare la necessità dell’unanimità dei consensi per la delibera di ricapitalizzazione. Considerata la valenza «innovativa» che si è ritenuto di poter attribuire, in tale prospettiva, al dettato normativo così modificato, deve però proporsi una prima osservazione di carattere metodologico: se effettivamente la disposizione in oggetto, nelle intenzioni del legislatore, avesse dovuto rivestire funzione dirimente rispetto ad un problema ormai risalente, ci si sarebbe potuto aspettare una qualche indicazione nella relazione governativa di accompagnamento alla riforma cosa, invece, della quale non vi è traccia [3].


2. Una breve disamina delle tesi a confronto ante riforma

La questione, infatti, di per sé non sarebbe nuova, risultando, in passato, oltretutto formulata in modo sostanzialmente equivalente per le società a responsabilità limitata, come per le società per azioni. Già vigente la vecchia disciplina si discuteva se fosse legittimo, in tali ipotesi, procedere alla ricapitalizzazione a maggioranza, a rischio di privare, in caso di perdite pari o superiori al capitale, il socio dissenziente (ma in realtà anche solo assente o che, comunque, non intendesse sottoscrivere l’aumento) [4] della propria qualità di socio [5]; il rischio, in sostanza, era, ed è, quello di operare di fatto una esclusione. In tali casi, infatti, il socio che non avesse partecipato alla ricapitalizzazione (ma si badi quand’anche avesse espresso parere favorevole alla deliberazione in tale senso) si sarebbe trovato escluso dalla società, perché con l’azzeramento del valore della partecipazione è come se (ma il meccanismo è certo più complesso ed ha ben più rilevanti implicazioni teoriche, solo si consideri che per alcuni autori l’azzeramento di per sé sarebbe incompatibile con la posizione di socio ancor prima che con la possibilità di determinare dei quorum assembleari) [6] alla quota si sostituisca un diritto di opzione a sottoscrivere l’aumento. Il mancato esercizio di tale diritto vedrebbe il socio ormai fuoriuscito dalla compagine sociale senza alcun «riconoscimento» economico. Sulla scorta di tali valutazioni e tenuto conto della impossibilità di imporre ulteriori apporti oltre quelli relativi alla originaria sottoscrizione [7], non mancava in dottrina (ed anche in giurisprudenza [8]) chi, in tali condizioni, riteneva illegittima una delibera presa a maggioranza. Tale tesi avrebbe avuto, oltretutto, una valida giustificazione di carattere economico: sostanzialmente, l’esistenza delle c.d. «riserve latenti», ossia di valori patrimoniali non iscrivibili a bilancio e, quindi, di un valore, si potrebbe dire, «ulteriore» rispetto alle risultanze contabili, porterebbe al dover riconoscere in capo ai singoli un diritto alla quota di liquidazione [9]. Tale diritto, tuttavia, al di là di ogni valutazione «economica» della questione, si riteneva, specie in giurisprudenza, dovesse arrestarsi di fronte alla [continua ..]


3. La ricerca dell'effettiva portata innovativa dell'art. 2482-quater c.c.

Per un corretto inquadramento della problematica è bene tener presente, con specifico riferimento alle società a responsabilità limitata, per le quali, appunto, la riforma avrebbe avuto sul punto particolare rilevanza, che nel codice del 1942, la disciplina relativa alla riduzione del capitale si limitava ad un mero richiamo all’art. 2447 c.c. (dato in materia di s.p.a.), e tuttavia, statuendosi, all’ultimo comma dell’art. 2496 c.c., che «In caso di riduzione del capitale per perdite i soci conservano i diritti sociali secondo il valore originario delle rispettive quote». Focalizzando quindi l’analisi sulle sole società a responsabilità limitata, salve le conseguenze che dalle conclusioni cui si perverrà possono trarsi indipendentemente dal tipo sociale, dal confronto tra vecchia e nuova disciplina emerge, sostanzialmente, in ordine alla oggi dichiarata immodificabilità dei diritti, la necessità di tener conto della possibilità di particolari posizioni soggettive che si determinano nel caso vengano colte le opportunità introdotte dall’art. 2468 c.c. novellato; diversa giustificazione dovrebbe, invece, avere l’enunciare l’immodificabilità della quota. Quindi, l’ultima parte di tale disposizione, ossia il riferimento alla possibile modificazione «dei diritti» spettanti ai soci, trova facilmente giustificazione in relazione alla possibilità che ai soci della s.r.l. possano oggi essere attribuiti particolari diritti, che, evidentemente, il legislatore si preoccupa non subiscano modificazioni per effetto della riduzione del capitale per perdite. [15] E si potrebbe, tuttavia, discutere se, in caso di ricapitalizzazione (e quindi in caso di nuovi apporti cui, si rammenti sempre, i soci non possono esser tenuti) tali diritti debbano necessariamente esser riconosciuti nella loro originaria estensione [16]; ma la questione richiede più approfondite valutazioni, che in qualche modo involgono le stesse problematiche della sorte di tali diritti in caso di aumento gratuito del capitale ed in ispecie in presenza di soci ai quali sia stato attribuito un diritto agli utili non proporzionale alla partecipazione [17]. In questa sede deve, tuttavia, più propriamente valutarsi se la stessa norma, nell’escludere ogni modificazione delle quote di partecipazione, possa effettivamente [continua ..]


4. Limiti e contrasti sistematici della tesi del necessario consenso unanime. Effetti della sua applicazione nelle varie ipotesi di riduzione del capitale per perdite

Ma quand’anche nella norma si volesse comunque leggere l’intento di escludere la possibilità di procedere a ricapitalizzazioni non «totalitarie», come pare affermato sulla base di una sorta di interpretazione autentica [22], ne andrebbe verificata la coerenza con il sistema, in primis valutando come l’esclusione di ogni modificazione delle quote è collegata a «tutti i casi di riduzione del capitale per perdite». Correttamente e coerentemente dovrebbe, quindi, desumersi che in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite i successivi aumenti (necessari o non) non possano essere decisi che con il consenso unanime; nessun argomento letterale potrebbe, difatti, portare a distinguere a seconda della diversa incidenza delle perdite, come invece viene pure prospettato [23]. Tale prospettazione sconta, quindi, un difetto di fondo perché così viene, in fatto, interpretata una norma (l’art. 2482-quater c.c.) sulla base degli effetti che si verificherebbero solo in alcune delle sue applicazioni (vale a dire nei soli casi nei quali si determinerebbe il diritto alla quota di liquidazione). Ad ogni modo rinviando per tale aspetto a quanto in seguito evidenziato, nel valutare la tenuta di tale tesi, anche solo nelle ipotesi che producono lo scioglimento della società, viene già in evidenza quello che, probabilmente, è il vizio logico che ne è a base; ossia non è nella riduzione del capitale per perdite che si può – normalmente – verificare la modificazione delle quote, o meglio del loro «peso», ma solo e soltanto nei successivi aumenti; e ciò sempre che non venga garantito il criterio proporzionale nell’esercizio del diritto alla sottoscrizione o tale sottoscrizione non venga, in fatto, esercitata secondo tale criterio.[24] Né è oltretutto riprova, ed anzi assume estrema importanza, l’art. 2481-bis c.c. [25] – norma effettivamente nuova –, che al primo comma esclude la possibilità di offerta di quote di nuova emissione a terzi nell’ipotesi di ricapitalizzazione a seguito di perdite che riducano il capitale al disotto del minimo legale. In tale norma (che viene oltretutto criticata per l’atecnicità, proprio perché prima facie sembrerebbe non applicabile a tutti i casi di riduzione del capitale sociale per perdite, salvo giungere a [continua ..]


5. L'incidenza della revocabilità a maggioranza dello stato di liquidazione ...

Ma c’è forse una argomentazione ancor più probante ed oltretutto legata ad una profonda modifica operata dal legislatore della riforma ed assolutamente in linea con lo spirito che ha informato la stessa: la possibilità di revocare a maggioranza lo stato di liquidazione. Verificatasi cioè una causa di scioglimento della società o, ancor meglio, – alla luce di quando si andrà ad analizzare – apertasi la fase di liquidazione della società, è riconosciuto alla maggioranza dei soci il diritto di revocare la liquidazione e, quindi, ripristinare la causa originaria del contratto di società. Per quanto gli effetti di tale delibera risultino subordinati alla mancata opposizione dei creditori e, quindi, differiti al decorso del termine previsto per consentire tale opposizione (aspetto che ha comunque, una indubbia rilevanza), [33] i soci prendendo tale decisione vincolano nuovamente il patrimonio, ormai altrimenti destinato ad essere monetizzato per pagare i creditori e quindi esser ripartito tra i soci, all’esercizio dell’attività sociale. Se quindi in precedenza tra le argomentazioni a sostegno della necessità del consenso unanime per procedere alla revoca dello stato di liquidazione vi era quella che riconosceva al socio un diritto, uti singuli, alla quota di liquidazione, con la riforma l’esistenza di tale diritto personale viene espressamente esclusa. La rilevanza di tale norma in relazione alla questione che si va affrontando è di tutta evidenza e merita di essere valutata secondo un duplice ordine di considerazioni che, tuttavia, sono riconducibili ad un unico principio. Per un verso può, appunto, osservarsi che l’aver negato l’esistenza di un diritto del singolo socio alla quota di liquidazione nel corpo dell’art. 2487-ter c.c. è dato che deve esser necessariamente preso in considerazione e che, anzi, può rivelarsi in certo modo dirimente. Non si potrebbe in alcun modo giustificare l’esistenza di un diritto alla quota di liquidazione nella sola fattispecie in cui la causa di scioglimento sia data dalla riduzione del capitale per perdite al di sotto del limite legale; oltre a non esservi alcun dato positivo che possa giustificare una tale ricostruzione né alcuna indicazione sistematica desumibile dall’intero quadro normativo, la possibilità di revoca della liquidazione a [continua ..]


7. La tutela per il socio di minoranza (o meglio che non intenda sottoscrivere l'au­mento)

Resterebbe, così, da valutare se e quali tutele possano essere riconosciute al socio che, in caso di azzeramento del capitale sociale, non possa o non voglia partecipare alla ricapitalizzazione se, appunto, la relativa deliberazione si ritenesse adottabile a maggioranza. A tal fine è opportuno tener sempre presente il presupposto «economico» della tesi che si analizza secondo la quale dalla liquidazione della società, e quindi dalla liquidazione delle quote, potrebbero emergere dei valori latenti tali da garantire, presumibilmente, al socio il recupero, almeno parziale, del conferimento iniziale. Da un punto di vista sostanziale è come se si dovesse garantire al socio non interessato alla ricapitalizzazione una sorta di diritto di recesso. Tale diritto, in realtà, competerebbe al socio se all’interno delle operazioni ex artt. 2447 e 2482-ter c.c. potesse, contrariamente a quanto evidenziato, individuarsi una revoca della liquidazione, se pur implicita [52]. Ma in tale prospettiva oltre a doversi richiamare le osservazioni appena esposte relative alla determinazione del momento in cui, a seguito della riforma, può ritenersi aperta la fase della liquidazione in genere, deve, a maggior ragione, pure rammentarsi come le dette operazioni precedono l’apertura della fase di liquidazione se non proprio il verificarsi della causa di scioglimento. Si è già detto che l’art. 2484 c.c., individuando le cause di scioglimento al n. 4 fa salvo quanto disposto dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c. e così sancisce, in modo inequivocabile, che l’aumento «contemporaneo» alla riduzione del capitale per perdite, ossia l’operazione di ricapitalizzazione, preclude «a monte» di considerare aperta la fase della liquidazione. D’altronde si è pure segnalato che se così non fosse e se quindi la ricapitalizzazione comportasse la revoca della liquidazione, ne conseguirebbe l’applicabilità della disciplina data dall’art. 2487-ter c.c., e segnatamente la previsione di un termine per l’oppo­sizione dei creditori, ma ciò si porrebbe in aperto contrasto con le finalità sottese alla stessa introduzione di una espressa disciplina della revoca della liquidazione. Tuttavia, per quanto il dato positivo e l’interpretazione sistematica non sembrano lasciare spazio a dubbi sul punto, può, in un [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2008