<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


L'assemblea: ovvero, delle competenze dei soci e del modo di esercitarle nella società a responsabilità limitata riformata (Due esperienze a confronto) (di Giuseppe Guizzi)


SOMMARIO:

1. Una considerazione preliminare - 2. Le competenze dei soci nella s.r.l.: la competenza gestoria ai sensi dell'art. 2479, 2° comma, n. 5 c.c. e il significato della regola in confronto alla norma dell'art. 44, 1° comma, h) della ley de sociedades de responsabilidad limitada n. 2/1995 - 3. Ancora sulle competenze gestorie dei soci: la maggiore incisività del potere di avocazione di cui all'art. 2479, 1° comma, c.c., in rapporto all'art. 44, 2° comma, ley n. 2/1995 - 4. Una suggestiva ipotesi di lavoro: la contitolarità del potere di amministrazione da parte dei soci come regime residuale della s.r.l. riformata? - 5. Le modalità di esercizio delle competenze dei soci: il carattere necessariamente assembleare secondo la ley n. 2/1995 vs. la possibilità di adozione di procedimenti diversi consentita dalla disciplina italiana novellata - 6. Il problema dell'identificazione della fattispecie «decisione non assembleare» - 7. L'omogeneità di struttura e di valore tra deliberazione e decisione e le sue implicazioni - 8. Le condizioni d'esistenza della fattispecie decisione - 9. L'approvazione delle decisioni e delle deliberazioni: il diverso ruolo del principio d’unanimità nell'ordinamento italiano e nell'ordinamento spagnolo - NOTE


1. Una considerazione preliminare

Quando Niccolò Abriani mi ha cortesemente trasmesso il programma completo delle due giornate di studio, nel leggere il titolo che gli organizzatori hanno ritenuto di assegnare alla sezione del tardo pomeriggio di oggi, e destinata ad ospitare questa relazione, sono riecheggiati vividi nella mia memoria alcuni versi di un poeta spagnolo del secolo scorso, Pedro Salinas, che in una delle prime composizioni della sua più bella raccolta, La voz a ti debida, scriveva: «Si tú no tuvieras nombre,/ yo no sabría qué era/… Si tú no tuvieras nombre,/todo sería primero, inicial,/ todo inventado por mí». La decisione di delimitare attraverso la formula «Junta General» il tema oggetto di riflessione mi sembra, infatti, rappresentare una scelta tutt’altro che neutra; in questo caso «il nome» scelto per designarne l’ambito assume un valore altamente condizionante gli itinerari della ricerca, e, senza lasciare molto spazio «all’invenzione creativa dell’interprete», reca impresso in sé un sottinteso abbastanza esplicito. Con esso gli amici e colleghi spagnoli sembrano in fondo già volerci indicare una strada, una chiave di interpretazione del fenomeno societario di cui qui ci stiamo occupando, e dirci che, almeno nella loro prospettiva, la società a responsabilità limitata, in quanto persona giuridica, non possa che conservare integra quella che secondo la più risalente e affinata riflessione concettuale su tale figura (basti pensare agli studi di Gierke) ne costituisce la connotazione essenziale: l’esistenza di un’orga­niz­zazione corporativa. Con tutto quello che, dunque, una simile struttura implica [[1]]: vale a dire, per un verso, la rigida separazione dalla persona dei soci della funzione decisionale inerente alla gestione dell’impresa, e la conseguente assegnazione di essa ad un ufficio specializzato, l’organo amministrativo; per altro verso l’unificazione interna della compagine sociale, la quale allora, là dove si risolverà all’esercizio delle, seppure limitate, competenze ad essa riservate, sarà naturalmente chiamata ad esprimersi con metodo assembleare, inteso quale unico insieme di regole capace di determinare la riduzione ad unità delle singole posizioni individuali e così l’imputazione al [continua ..]


2. Le competenze dei soci nella s.r.l.: la competenza gestoria ai sensi dell'art. 2479, 2° comma, n. 5 c.c. e il significato della regola in confronto alla norma dell'art. 44, 1° comma, h) della ley de sociedades de responsabilidad limitada n. 2/1995

Per quel che concerne il tema delle competenze riconosciute ai soci, è evidente la discontinuità tra il modello della s.r.l. riformata e quello accolto dal codice del ’42 – il modello cioè della «pequeña anónima» a cui pure, e nonostante la contraria orgogliosa rivendicazione dei «Motivi», mi sembra essere improntata la stessa legge spagnola del 1995, ancorché in forma più puntuale (il legislatore spagnolo, a differenza del nostro codificatore del ’42 ha comunque dettato norme autonome, non operando con la tecnica del rinvio) [[5]]. Il nostro legislatore rifugge dall’impostazione fondata sul catalogo tendenzialmente chiuso – competenza dei soci solo per le modifiche delle regole organizzative dell’attività, per la scelta dei preposti alla gestione e per l’esercizio dell’azione di responsabilità, per l’approvazione del bilancio dell’esercizio e per la decisione sulla destinazione dei risultati – e dall’idea che i soci come collettivi­tà non si occupino della gestione dell’impresa, se non in virtù di una espressa riserva contenuta nel­l’atto costitutivo. Quest’idea – che era quella dell’art. 2364, n. 4 vecchio testo c.c. (applicabile in passato, per richiamo, anche alla s.r.l.) e che è conforme a quanto stabilisce l’art. 44, 1° comma, lett. h), della vostra legge n. 2/1995 [[6]] – è abbandonata dalla nostra riforma societaria, che anzi riconosce ai «soci» come «collettività» il potere di decidere su qualsiasi atto di gestione, senza bisogno di nessuna previsione dell’atto costitutivo, ma semplicemente sul presupposto che vi sia una richiesta di uno o più soci che rappresentino un terzo del capitale (così art. 2479, 1° comma, c.c.). Si tratta di una previsione, a mio avviso, molto significativa. In primo luogo perché taglia alla radice tutta la controversa problematica – con cui si era misurata la nostra dottrina – sull’esistenza di limiti impliciti alla possibilità di introdurre una clausola che avesse voluto riservare ai soci in sede assembleare scelte gestorie (si pensi alla discussione se si prestasse ad essere devoluto il compimento solo di atti di straordinaria amministrazione, ovvero modificativi della [continua ..]


3. Ancora sulle competenze gestorie dei soci: la maggiore incisività del potere di avocazione di cui all'art. 2479, 1° comma, c.c., in rapporto all'art. 44, 2° comma, ley n. 2/1995

Ma la previsione è significativa anche perché conduce al risultato di imputare la paternità della scelta direttamente ai soci. Sotto questo profilo mi sembra, allora, che la norma dell’art. 2479 introduca una grande differenza con impostazioni come quella che nel nostro ordinamento possiamo ritrovare ancora nella disciplina delle società per azioni (penso soprattutto a quella «chiusa», che non intenda, cioè, fare ricorso al mercato del capitale di rischio) ai sensi dell’art. 2364, n. 5, c.c.; o come la ritroviamo in forma, se non mi inganno, ancora più accentuata per la vostra s.r.l. nel 2° comma dell’art. 44. Con impostazioni, cioè, che riconoscono il potere ai soci, collettivamente, di impartire istruzioni o di autorizzare il compimento di atti di gestione pure decisi dagli amministratori. In particolare, rispetto alla soluzione adottata dall’art. 44, 2° comma, ley n. 2/1995, la differenza è notevole per almeno due ragioni. Innanzitutto, perché, mentre il potere di dare istruzioni che la legge spagnola riconosce all’assem­blea dei soci è sì attribuito in via di principio, ma può essere escluso attraverso espressa disposizione statutaria [[9]], il potere di pronunziarsi che il nostro nuovo testo dell’art. 2479, 1° comma, riconosce ai soci, ove la decisione venga sollecitata da quello tra essi che rappresenti (o tra quelli che congiuntamente rappresentino) un terzo del capitale, ovvero anche da un amministratore, è un potere che non può essere convenzionalmente limitato [[10]]. A questo proposito debbo, infatti, dire che non mi sembrano per nulla convincenti – e spero che non me ne vorrà l’amico Niccolò Abriani, convinto assertore del contrario – gli argomenti invocati per sostenere la natura derogabile [[11]] della disposizione dettata dalla norma in esame. Non è convincente, innanzitutto, l’affermazione secondo cui il primo indizio del carattere non imperativo si dovrebbe trarre dalla circostanza che nel sistema della s.r.l. riformata le uniche decisioni attinenti alla gestione riservate in via esclusiva ai soci si identificano, in sostanza, con quelle relative al compimento delle operazioni di cui al 2° comma n. 5 dell’art. 2479 c.c. [[12]]. Tale argomento, in realtà, non è pertinente, [continua ..]


4. Una suggestiva ipotesi di lavoro: la contitolarità del potere di amministrazione da parte dei soci come regime residuale della s.r.l. riformata?

Già queste riflessioni potrebbero, probabilmente, bastare per rimarcare la distanza di fondo tra le due impostazioni italiana e spagnola [[23]], e confermare anzi l’impressione iniziale, cioè che il tratto distintivo sia proprio nell’assenza di specializzazione funzionale dell’organizzazione della società a responsabilità limitata come definita dalla riforma. Ma sotto certi aspetti il discorso, per quanto riguarda il profilo qui in esame, può essere spinto probabilmente anche più oltre. Quel che intendo dire è, infatti, che se solo si valorizzano alcuni dati normativi, talora troppo semplicisticamente trascurati come frutto di «sviste» del legislatore, si può prospettare addirittura la conclusione che l’immanenza della competenza gestoria dei soci non discenda soltanto dal fatto – pure obiettivamente significativo – che essi possano in qualunque momento appropriarsi di nuovo di ogni potere di decisione in ordine alla conduzione dell’impresa, allora solo «delegato» agli amministratori, ma discenda dal fatto che è l’esistenza stessa dell’ufficio specializzato di amministrazione ad essere meramente eventuale, essendo l’ipotesi normale, nel silenzio dell’atto costitutivo, quella della gestione, allora collettiva, da parte di tutti i soci [[24]]. A tale riguardo mi sembra estremamente significativa, soprattutto, la circostanza che ai sensi del­l’art. 2379, 2° comma – che pure dovrebbe individuare le competenze inderogabili dei soci – si stabilisca, al n. 2, che tra esse rientra la nomina degli amministratori, solo però se questa eventualità è prevista dall’atto costitutivo. Dato direi significativo, appunto perché per un verso apre spazio alla possibilità che nulla sul punto sia previsto nel medesimo, e dunque nemmeno un ufficio specializzato di amministrazione distinto rispetto ai soci, e dall’altro, perché – non potendo immaginarsi un’orga­niz­­zazione collettiva in cui siano del tutto assenti regole di esercizio delle funzione gestoria – induce a concludere che appunto, in difetto di soluzioni ulteriori del contratto sociale (cioè, per esempio di riserva del potere di gestione solo ad uno o più soci determinati) il potere spetti a tutti indistintamente. Una [continua ..]


5. Le modalità di esercizio delle competenze dei soci: il carattere necessariamente assembleare secondo la ley n. 2/1995 vs. la possibilità di adozione di procedimenti diversi consentita dalla disciplina italiana novellata

Il secondo aspetto che stimola la riflessione del giurista italiano chiamato a confrontarsi con la rinnovata disciplina della s.r.l., e con il tema delle competenze attribuite ai soci collettivamente, è quello che attiene alle modalità del loro esercizio. Anche qui sembra potersi, infatti, cogliere un segno di quel processo di progressiva erosione degli elementi che connotano le organizzazioni corporative: vale a dire il superamento del principio della necessaria collegialità delle decisione, almeno per chi ritenga che l’essenza della collegialità sia da ravvisare nell’essere la decisione non solo l’esito di un procedimento rigorosamente scandito e formalizzato, ma anche un procedimento di cui momento essenziale sia quello della riunione nella quale i partecipanti alla collettività organizzata si confrontano ed esprimono ciascuno la propria volontà destinata a sommarsi con quella degli altri avente il medesimo segno, e così a comporre quella volontà della maggioranza destinata a imporsi come regola di azione per l’intero gruppo. Il nostro legislatore – raccogliendo sotto quest’aspetto la soluzione tratteggiata dall’art. 14 della legge spagnola del 1953 per le s.r.l. con un numero di soci non superiore a quindici [[27]], e poi abbandonata dalla legge del 1995 – ha, infatti, ritenuto di aprire la strada anche a forme alternative, rispetto a quella assembleare, di formazione delle decisioni sociali. Quello assembleare viene configurato, infatti, come metodo inderogabile solo rispetto ad alcune decisioni, che poi si risolvono in quelle di modifica dell’atto costitutivo (comprese quelle di riduzione del capitale sociale, là dove la società abbia già provveduto a portare le perdite a nuovo), di compimento di operazioni che implicano sostanziale modifica dell’oggetto sociale o dei diritti dei soci, o ancora tutte quelle su cui i soci siano stati sollecitati a decidere su richiesta ai sensi del già ricordato art. 2479, 1° comma – e poi configurato come metodo residuale. Solo, cioè, in difetto di una diversa scelta dell’atto costitutivo, il quale può dare, invece, ingresso a procedimenti di formazione delle decisioni che si svolgono senza istituire nessuna forma specifica di confronto tra i soci: vale a dire o con il metodo della consultazione referendaria – per tale intendendosi [continua ..]


6. Il problema dell'identificazione della fattispecie «decisione non assembleare»

Delle due modalità quella assembleare non propone all’interprete soverchie problematiche ricostruttive, potendosi evidentemente attingere alla ricchissima ed articolata riflessione teorica sviluppata dalla nostra dottrina. Di ben maggiore interesse si presenta, invece, il tema delle decisioni non assembleari. In questo caso, in assenza di una disciplina puntuale del fenomeno, il problema che si presenta è, infatti, quello di riuscire ad identificare quali siano gli elementi che permettano di riconoscere agli eventuali consensi espressi dai soci, pure al di fuori di un procedimento assembleare, l’attitudine a dar vita a delle decisioni non già «di soci» ma piuttosto «sociali», imputabili cioè al gruppo come tale [[28]]. Ciò che intendo dire è, in altri termini, che in contesti in cui opera la regola maggioritaria, il ripudio del principio di collegialità, rischia di rendere obiettivamente evanescente la linea di confine tra consensi espressi dai soci uti singuli, e così destinati a mettere capo ad un accordo per essi soltanto vincolante, e consensi espressi appunto uti soci, destinati invece a convergere per far venire ad esistenza una regola di condotta dotata di rilievo metaindividuale, come decisione riferibile all’intera collettività, e così destinata a imporsi a tutti i membri, anche a quelli dissenzienti.


7. L'omogeneità di struttura e di valore tra deliberazione e decisione e le sue implicazioni

Il tema è ovviamente complesso, e nell’economia di una relazione quale quella che qui si viene svolgendo, può essere solo accennato [[29]]. Quel che preme, però, sottolineare è che esso in tanto può essere convenientemente affrontato solo se si ha ben presente una premessa di vertice. Ovvero che anche in questo caso, non diversamente da quanto avviene per la deliberazione assembleare [[30]], siamo in presenza di una vicenda che non è riducibile sotto il profilo della struttura e del valore giuridico, ma anzi e da esso assai distante, al paradigma delle più classica delle figure negoziali: quella del contratto. Anche nell’ipotesi di decisioni adottate al di fuori dell’assemblea, i consensi non rilevano, infatti, come manifestazioni di volontà destinate ad essere scambiate e a combinarsi per dar vita ad un accordo, né meno che mai quali volontà destinate a produrre effetti giuridici ad esse conformi. Essi si presentano, piuttosto, nella forma elementare di manifestazioni di consenso/dissenso rispetto a un progetto di decisione sottoposto alla loro approvazione; si atteggiano, in una parola, in termini di semplici voti rispetto ad una proposta appunto messa in votazione (e che sia così lo testimonia, proprio l’art. 2479, il cui ultimo comma non per caso ragiona di voto anche rispetto alle decisioni che qui ci occupano). Senza che occorra, perché la decisione possa dirsi formata, che tra le volontà individuali venga a stabilirsi alcuna relazione di tipo qualitativo, bastando semplicemente, in termini così rigorosamente obiettivi, che voti caratterizzati da un dato segno prevalgano numericamente su quelli di segno contrario, secondo la misura stabilità dalla legge e dall’atto costitutivo [[31]]. La considerazione che precede mi sembra importante, anzi decisiva, perché è solo avendola presente che si può abbozzare la linea di soluzione del problema che ci occupa. Proprio perché, sia sul piano della struttura che su quello del valore che esse esprimono, non è dato registrare alcuna contrapposizione tra i fenomeni della deliberazione assembleare e della decisione non assembleare (come si evince, del resto, anche dal fatto che il problema dell’invalidità delle due fattispecie viene poi affrontato dal legislatore in termini unitari [[32]]), ne discende che [continua ..]


8. Le condizioni d'esistenza della fattispecie decisione

Se si procede secondo questa linea – che consiste, in buona sostanza, nel respingere l’idea che le decisioni non assembleari della s.r.l. siano l’esito dell’applicazione del c.d. metodo negoziale puro di cui una parte autorevole della nostra dottrina e della giurisprudenza ragiona per spiegare l’essenza delle decisioni nelle società di persone (ma è dubbio, a mio giudizio, che quell’esito sia necessitato anche nelle società personali [[33]]) – a me pare che dall’esame della disciplina positiva sia possibile per l’interprete, seppure con qualche difficoltà per il pressoché totale silenzio del legislatore, trarre alcune indicazioni abbastanza chiare in ordine a quali siano gli elementi in presenza dei quali è dato attribuire valore di decisione sociale a una serie di consensi espressi dai soci nelle forme alternative indicate dall’art. 2479, 3° comma, c.c. Ed in particolare pervenire alla conclusione che anche rispetto alle decisioni adottate fuori assemblea non è il semplice aggregarsi di una maggioranza quel che concreta la decisione e la rende riconoscibile appunto come «sociale», riferibile cioè al gruppo organizzato, ma sempre e solo una maggioranza che si formi all’esito di un procedimento. Un procedimento in cui: (i) il potere d’impulso è riservato a coloro ai quali, secondo l’articolazione in concreto adottata, sia demandato l’esercizio delle competenze di amministrazione in senso stretto – intese, cioè, come insieme di attività finalizzate a consentire l’ordinato svolgimento dell’azione comune –; (ii) a cui siano chiamati a partecipare tutti i soci; (iii) che si perfeziona e giunge a compimento non appena la maggioranza dei consensi si sia raggiunta, ove gli amministratori provvedano a riconoscere e a documentare il ricorrere di tale circostanza, ancorché senza dover attendere che tutti i soci si siano espressi. Ovviamente anche a questo riguardo il discorso non può che svilupparsi, qui, se non in termini abbastanza assertivi [[34]]. Quanto al primo profilo, che essenziale alla fattispecie sia la circostanza che la manifestazione dei consensi venga sollecitata, e che tale sollecitazione debba provenire da chi, secondo l’organizzazione in concreto adottata, sia abilitato all’esercizio [continua ..]


9. L'approvazione delle decisioni e delle deliberazioni: il diverso ruolo del principio d’unanimità nell'ordinamento italiano e nell'ordinamento spagnolo

L’analisi dei temi e problemi legati alle forme e modalità di esercizio delle competenze spettanti ai soci collettivamente, potrebbe proseguire a lungo; anzi si presterebbe ad occupare assai più di una relazione, ben potendo costituire, essa sola, oggetto di un intero seminario di studi. Chi vi parla non può, ovviamente, abusare della vostra pazienza. Dovendo, allora, avviarmi necessariamente alla conclusione, vorrei in ultimo – tra i tanti aspetti che potrebbero essere ancora evocati – richiamare l’attenzione su un punto: vale a dire quello attinente al carattere eminentemente relativo e convenzionale della regola maggioritaria come criterio guida di formazione delle decisioni sociali nella nostra s.r.l. riformata. Se è vero, infatti, per un verso che, almeno in punto di disciplina residuale, tra le novità più significative in tema di quorum deliberativi è la loro tendenziale omogeneizzazione verso una soglia unitaria, quella della maggioranza assoluta calcolata per quote di interesse (oggi richiamata anche per molte delle modifiche statutarie per le quali, in passato, avrebbe invece trovato applicazione la maggioranza rafforzata dei due terzi), non si può, però, per altro verso, negare che l’approccio del legislatore sia nel senso della possibilità non solo di adottare quozienti più elevati, ma anche di sacrificare del tutto l’esigenza di facilità deliberativa con adozione del principio di unanimità. Una soluzione, quest’ultima, che, almeno per la maggioranza dei nostri interpreti [[39]] – ancorché con il dissenso di un’autorevole collega presente qui con noi [[40]] –, era già prospettabile nella vigenza della disciplina della s.r.l. tratteggiata dal codice del ’42; e che sembra ulteriormente avvalorata, oggi, da sicuri indici normativi – il riferimento espresso alla salvezza della diversa disposizione dell’atto costitutivo che emerge sia al 6° comma dell’art. 2479 per le decisioni non assembleari che all’art. 2479-bis, 3° comma, per le deliberazioni assembleari [[41]] – quando non anche dalla circostanza che il criterio di unanimità si affaccia tra le stesse pieghe del modello legale. Si pensi, in questo senso, alla regola che presiede alla modifica dei diritti particolari di cui [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2007