This paper focuses the controversial discipline of the subscription rights in the limited liability company. Scholars are divided, in fact, on the rule that allows to sacrifice validly (and effectively) the said member law.
The method used combines, wherever possible, the results of the two doctrinal orientations already developed on point, to arrive at an original solution.
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1. Il problema - 2. Diritto d’opzione e diritto di sottoscrizione: i due istituti a confronto - 3. Il divieto di escludere o limitare il diritto di sottoscrizione in occasione dell’operazione di cui all’art. 2482-ter c.c. - 4. La posizione che afferma la legittimazione della maggioranza al sacrificio del diritto di sottoscrizione del socio - 4.1. La posizione mediana - 4.2. La terza opzione possibile - 5. L’aumento delegato e la violazione del diritto di sottoscrizione - NOTE
Com’è noto, la norma di cui al 1° comma dell’art. 2481-bis c.c. riconosce a ciascun socio di s.r.l. il diritto 1 di sottoscrivere un eventuale aumento di capitale a pagamento, a meno della presenza nell’atto costitutivo di una clausola (inserita tanto al momento della costituzione dell’ente quanto successivamente) che attribuisca alla maggioranza la legittimazione a decretarne il sacrificio 2. Una disposizione siffatta può essere interpretata in modi differenti, sebbene sia necessario rilevare, sin da ora, che la Relazione ministeriale – nella parte relativa alla disciplina delle modificazioni dell’atto costitutivo nel tipo che ci occupa – specifica, al riguardo, che la scelta è dovuta all’esigenza “di assicurare anche in questo caso il carattere personalistico” della s.r.l. 3. Fatta questa premessa, si può pensare, intanto, che una previsione così costruita – a dispetto di quanto si è detto da ultimo, con riguardo al contenuto della Relazione – valga unicamente ad affermare l’uguaglianza formale tra i membri di un ente che funziona secondo il principio capitalistico e vincola la minoranza al volere della maggioranza 4: in questo caso, dunque, il diritto del socio potrebbe essere sacrificato in forza di una decisione di modifica dell’atto costitutivo, assunta nelle forme previste dalla legge 5. In questo caso, peraltro, l’eventuale decisione di aumento che – in mancanza della suddetta clausola – limitasse o escludesse il diritto di sottoscrizione del socio dovrebbe considerarsi meramente annullabile 6. Si può ritenere, invece, che il medesimo diritto del socio non possa essere sacrificato senza il suo consenso. In questa luce, in dottrina, vi è chi rileva che non avrebbe senso alcuno aver previsto una siffatta prerogativa, se poi la si potesse cancellare in forza di una decisione che non fosse stata assunta all’unanimità 7. A questo punto, però, la medesima dottrina afferma che la eventuale decisione (della maggioranza) che introducesse la clausola che consente di deliberare un aumento a pagamento, che limiti o escluda il diritto di sottoscrizione del socio, non sia totalmente priva di effetto; essa deve bensì considerarsi (preferibilmente) nulla e, come tale, impugnabile secondo le previsioni di legge 8. Si [continua ..]
Il nostro discorso deve prendere le mosse dall’analisi di alcune delle differenze 12 tra s.p.a. e s.r.l. in punto di tutela del diritto del socio a mantenere inalterata la misura della propria partecipazione, in occasione di un aumento a pagamento del capitale sociale. In questa chiave, bisogna iniziare col ricordare che il diritto d’opzione è riconosciuto all’azionista a meno che non ricorra uno dei casi, previsti tassativamente dalla legge, nei quali il medesimo diritto può essere (in tutto o in parte) sacrificato. L’eventuale limitazione o l’esclusione della prerogativa in parola nelle (sole) occasioni previste dall’art. 2441 c.c. può essere deliberata dalla maggioranza prevista per la modifica dell’atto costitutivo, senza che al socio non assenziente sia riconosciuto – in consonanza con l’orientamento preferibile in punto di interpretazione della controversa ipotesi di cui al 1° comma, lett. g), dell’art. 2437 c.c. – il diritto di recedere a seguito dell’ingresso di nuovi soci, con la (solo) indiretta 13 variazione della misura della sua partecipazione e il relativo e conseguente cambiamento più generale degli assetti di potere all’interno dell’ente; nelle suddette occasioni, egli potrà perciò solo provare a vendere le proprie azioni sul mercato. Il socio di minoranza di una s.p.a., dunque, quando ricorrano le circostanze che giustificano il sacrificio (parziale o totale) del (suo) diritto d’opzione, deve sottostare alla volontà della maggioranza. Ciò nondimeno, la previsione di cui alla prima parte del 1° comma dell’art. 2441 c.c. si apre con la statuizione che dispone che le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni debbano essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Quello in parola, dunque, è uno dei momenti nei quali emerge con particolare evidenza l’impostazione, rafforzata dalla legge delega, in virtù della quale la s.p.a. è un tipo societario costruito sulla centralità dell’azione. Sono le azioni già in portafoglio a giustificare il diritto all’accrescimento proporzionale della propria posizione da parte del loro titolare in occasione dell’aumento; e sono i medesimi titoli azionari – in virtù della loro [continua ..]
Il dettato normativo è chiaro: nella circostanza richiamata in conclusione del precedente paragrafo, i soci sono gli unici legittimati a sottoscrivere l’aumento 17. La previsione in parola deve essere messa in relazione – ma non confusa 18 – con quella che reca il principio generale che regola le operazioni di riduzione del capitale per perdite nella s.r.l., contenuto nella norma di cui all’art. 2482-quaterc.c. 19. Quest’ultima disposizione esclude, infatti, la possibilità di modificare la misura delle partecipazioni e dei diritti dei soci, in occasione di una qualunque riduzione nominale (non diversamente da quanto la norma di cui all’art. 2481-ter, 2° comma, c.c. dispone – specularmente – con riguardo alle operazioni di aumento nominale). Un limite siffatto non opera, e non potrebbe essere diversamente, con riferimento all’aumento che consegue alla riduzione propiziata dalla perdita più grave che possa interessare un ente capitalistico. In caso contrario, infatti, i soci verrebbero obbligati dalla legge a mantenere inalterata la misura della loro partecipazione, anche quando la loro volontà fosse eventualmente diversa. Essi dunque possono decidere di non sottoscrivere o di sottoscrivere solo in parte; con la possibilità (nel caso in cui l’atto costitutivo lo consenta 20, in consonanza con la previsione di cui al 2° comma dell’art. 2481-bis c.c.) per gli altri membri della compagine sociale 21, di sottoscrivere l’inoptato e veder proporzionalmente crescere – in quest’ultima ipotesi – la propria partecipazione (almeno nella misura necessaria al raggiungimento del minimo legale). Occorre chiedersi quale sia il senso di una previsione siffatta. Al riguardo si deve innanzitutto tenere conto di quanto emerge dalla Relazione, nella quale si afferma che la ragione dell’introduzione del divieto risale all’esigenza di “impedire prassi non commendevoli che la pratica ha a volte elaborato per ridurre sostanzialmente o addirittura eliminare la partecipazione di minoranza” 22; e poi si devono aggiungere due considerazioni collegate tra loro. Da una parte, occorre perciò rilevare che la misura del capitale minimo previsto per il tipo che ci occupa 23 porta (almeno tendenzialmente) a escludere [continua ..]
Veniamo ora all’analisi delle tesi volte a comprendere quale sia il principio in virtù del quale può essere introdotta nell’atto costitutivo la clausola che consente alla maggioranza di sacrificare il diritto di sottoscrizione del socio. La prima posizione della quale occorre tenere conto è quella in base alla quale la clausola che autorizza la maggioranza a sacrificare il diritto di sottoscrizione del socio può essere introdotta in virtù di una (decisione che non è altro che una semplice) modifica dell’atto costitutivo. La legittimazione spetterebbe dunque alla (medesima) maggioranza richiesta per la modifica in parola, la quale sarebbe altresì legittimata a sacrificare il diritto di sottoscrizione del socio 28. Alla stregua di una simile interpretazione della disciplina che ci occupa, la s.r.l. perderebbe sin dal momento immediatamente successivo a quello della sua costituzione il proprio preteso tratto personalistico, mantenendo intatta la propria indole capitalistica. Al riguardo, anzi, ci sentiamo di aggiungere che – sulla scorta di una lettura siffatta – sembrerebbe più lineare la posizione – assunta da alcuni di coloro che vi si riconoscono 29 – per la quale non sarebbe neanche possibile tornare indietro e introdurre una previsione statutaria di segno opposto, che rimettesse all’unanimità dei consensi la decisione in parola. Una simile soluzione sarebbe infatti incompatibile con i caratteri essenziali propri di un tipo capitalistico puro come quello che – almeno con riguardo alla disciplina che ci occupa – una simile interpretazione della norma di cui al 1° comma dell’art. 2481-bis c.c. sottintende. D’altro canto, sia altresì consentito rilevare che l’inserimento di una clausola come quella appena prefigurata (e ammessa – almeno in linea teorica – da alcuni autorevoli studiosi), la cui violazione comportasse però la mera annullabilità della relativa decisione di aumento a pagamento 30, non modificherebbe in termini sostanziali la tutela riservata al socio titolare del diritto di sottoscrizione 31. Avremmo peraltro un tipo nel quale, a fronte del divieto di riservare ai terzi un aumento come quello di cui all’art. 2482-ter c.c., la maggioranza potrebbe decidere di limitare o escludere il diritto di sottoscrizione del socio in [continua ..]
Veniamo così all’analisi della seconda posizione formatasi in dottrina con riguardo alla ricostruzione del principio che regola l’introduzione nell’atto costitutivo della s.r.l. della clausola che consente il sacrificio del diritto di sottoscrizione del socio, in virtù di una decisione di modifica assunta a maggioranza. Secondo i sostenitori della posizione in parola, la previsione di cui alla seconda parte del 1° comma dell’art. 2481-bis c.c. presuppone il consenso di ciascuno dei soggetti altrimenti legittimati a sottoscrivere un aumento a pagamento. Nella ricostruzione alla quale ora rivolgiamo la nostra attenzione, peraltro, l’eventuale pretermissione del socio, legittimato a votare sull’inserimento della clausola capitalistica nell’atto costitutivo, non provocherebbe l’inefficacia della relativa decisione, bensì la sua invalidità. In questa prospettiva, appare difficile configurare la norma di cui all’articolo evocato da ultimo come una previsione che introduce un chiaro tratto personalistico nella disciplina del tipo per quote (come, invece, emerge dalla Relazione). A dire il vero, peraltro, la dottrina favorevole alla lettura in discorso non si sofferma in modo particolare sulla ricostruzione della natura del diritto di sottoscrizione, riconosciuto al socio dal legislatore. Essa dimostra comunque di valutare unicamente l’eventualità che si tratti di un diritto individuale 37; ovvero della prerogativa che nei tipi capitalistici – prima della riforma – è valsa a porre un argine al potere della maggioranza, individuando delle situazioni soggettive del socio intangibili da parte della società 38. Ebbene un autorevole studioso ritiene che il diritto di sottoscrizione sia un diritto relativamente indisponibile, intangibile dalla maggioranza, ma insuscettibile di provocare l’inefficacia della decisione che venisse assunta contro la volontà del suo titolare 39. La suddetta conclusione discenderebbe dalla tendenza, che emerge dalla novella, alla stabilizzazione degli atti organizzativi 40, con la conseguente compressione della tutela reale del socio, al quale rimane il solo rimedio risarcitorio, ogni qual volta venga danneggiato da una decisione della società 41. In definitiva, (anche) l’analisi (più generale) condotta al riguardo (da quanti condividono la tesi in [continua ..]
La soluzione più equilibrata al nostro problema sta nella scelta del legislatore di fare della s.r.l. un tipo capitalistico con dei forti tratti personalistici. In diversi termini, riteniamo che i soci possano stabilire sia di lasciare che la decisione di aumento a pagamento venga assunta in consonanza con il principio che governa modifiche dell’atto costitutivo negli enti a base personale sia di prevedere che la stessa venga adottata secondo la regola (della maggioranza) che presiede alle assunzione delle omologhe determinazioni nelle società di capitali. Il principio dispositivo è dunque quello dell’unanimità 48. E la decisione di abbandonare il regime personalistico per passare al sistema proprio dei tipi capitalistici non può essere assunta, evidentemente, se non in consonanza con le regole che operano nel sistema (personalistico) che si intende lasciare 49. La scelta in parola determina perciò il passaggio – in parte qua – della società sul versante capitalistico 50, con la conseguente applicazione (anche) all’operazione in parola delle norme della s.p.a. In un caso siffatto, in altri termini, i soci decidono di optare per un sistema che predilige l’efficienza e trascura (parzialmente) la salvaguardia degli interessi di ciascuno ed è assolutamente coerente con una scelta assunta nelle forme proprie delle modifiche dell’atto costitutivo nelle società personali che da quel momento in poi agli aumenti a pagamento si applichi la disciplina della s.p.a. 51. In caso contrario, invece, qualora i soci medesimi non intendano abbandonare il regime che da principio presiede all’assunzione delle decisioni di aumento a pagamento nella s.r.l., l’eventuale violazione del loro diritto di sottoscrizione dovrà essere considerata inevitabilmente inefficace 52. In diversi termini, occorre tenere conto del fatto che il tratto personalistico della disciplina dell’aumento a pagamento al quale fa riferimento la Relazione è effettivamente tale ed è sinonimo della vocazione della s.r.l. a promuovere la centralità del socio. Quest’ultima non viene meno neanche nel caso in cui, in virtù di una decisione assunta all’unanimità, i soci passino al regime capitalistico. Anzi, è esattamente il contrario. È solo con il consenso di ciascuno dei legittimati, [continua ..]
A questo punto, rimangono poche considerazioni da svolgere con riguardo all’aumento delegato, con violazione del diritto di sottoscrizione del socio. La dottrina si interroga in ordine alla disciplina da applicare nel caso in cui gli amministratori delegati all’aumento 57 siano stati autorizzati 58 ad assumere una decisione che escluda indebitamente dal(la partecipazione al)l’operazione il socio, titolare del diritto di sottoscrizione. Ci si chiede, in specie, se, in una ipotesi siffatta, sia estensibile alla s.r.l. la previsione di cui al 4° comma dell’art. 2388 c.c. 59. Ebbene, in ossequio alla tesi da noi proposta in queste pagine, la soluzione da adottare sul punto è una sola. Nel caso, infatti, in cui i soci abbiano optato per il regime capitalistico, occorrerà necessariamente applicare alla s.r.l. tutta la relativa disciplina, con la conseguente estensione in via analogica alla medesima della previsione evocata da ultimo. Nel caso, invece, in cui i soci abbiano inteso conservare (o ripristinare) il regime personalistico, l’eventuale difetto di potere degli amministratori, che avessero deliberato l’aumento, seppure in forza della delega che li abiliti a porre in essere l’operazione, ma non con l’indebita – e, quindi, inefficace – limitazione o esclusione del diritto di sottoscrizione del socio dovrà considerarsi opponibile ai terzi 60, a dispetto della previsione che afferma l’inopponibilità ai medesimi delle limitazioni ai poteri degli amministratori (art. 2475-bis c.c.) 61.