Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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L´autonomia negoziale tra lex contractus, lex societatis, e lex mercatus nel «mercato comunitario delle regole» (di Massimo V. Benedettelli)


SOMMARIO:

1. Verso un «diritto internazionale privato liberista»? Presupposti e limiti della autonomia internazionalprivatistica - 2. L'autonomia internazionalprivatistica in materia di impresa collettiva all'interno del «mercato comunitario delle regole» - 3. Quattro distinti regimi conflittuali per la disciplina della impresa collettiva in situazioni caratterizzate da elementi di estraneità - 4. Il rapporto tra i diversi regimi conflittuali nell'ambito dell’ordinamento comunitario - NOTE


1. Verso un «diritto internazionale privato liberista»? Presupposti e limiti della autonomia internazionalprivatistica

Spira da tempo in dottrina, come probabile riflesso della prassi (e delle aspirazioni) degli imprenditori internazionali, un’aria da diritto internazionale privato «liberista», vale a dire un diritto internazionale privato che in materia di rapporti economici e commerciali attribuirebbe ai privati una signoria quasi assoluta nella disciplina delle fattispecie con elementi di estraneità che li interessano, e che riserverebbe agli strumenti (più o meno efficaci) dell’eccezione di ordine pubblico e del­l’in­ter­vento di norme di applicazione necessaria il compito (eventuale) di limitare i poteri di autonomia così esercitati. Questa particolare manifestazione della autonomia privata troverebbe esplicazione non solo nel settore «classico» dei contratti del commercio internazionale, ma anche in quello, al primo strettamente contiguo, dell’attività d’impresa svolta in forma collettiva, e ciò con riguardo ai tre momenti fondamentali (i) della costituzione ed organizzazione dell’impresa (diritto societario), (ii) del suo finanziamento mediante la raccolta di capitale di rischio o di debito (diritto dei mercati finanziari), e (iii) della sua crisi (diritto fallimentare). Si tratterebbe di un effetto della globalizzazione (in una delle tante possibili accezioni del termine), e cioè della formazione (o della pressione verso la formazione) di un unico mercato mondiale in cui domanda e offerta di beni, servizi, forza-lavoro, capitali, si confronterebbero direttamente, e della strutturale inadeguatezza dello Stato-nazione a controllare le dinamiche di un tale mercato e dei soggetti in esso attivi. Gli Stati, più che subire questo fenomeno, lo favorirebbero, e ciò sul presupposto (al quale l’ana­lisi economica del diritto darebbe fondamento teorico e legittimazione) per cui, lasciando liberi gli imprenditori di scegliere lo «statuto normativo» della propria azione nel c.d. «mercato delle regole», si raggiungerebbero più elevati livelli di efficienza, e, quindi, di benessere sociale: il diritto, infatti, sarebbe uno degli elementi o fattori che l’imprenditore «usa» per lo svolgimento della propria attività, o comunque sulla base del quale definisce il proprio «calcolo d’impresa»; le scelte «migliori» o «peggiori» operate a tale proposito [continua ..]


2. L'autonomia internazionalprivatistica in materia di impresa collettiva all'interno del «mercato comunitario delle regole»

Recenti sviluppi del diritto comunitario indicano un crescente favor dell’ordinamento della Comunità Europea verso il riconoscimento di poteri di autonomia internazionalprivatistica quanto alla disciplina dell’attività di impresa svolta in forma collettiva. Tali sviluppi sono il verosimile portato della policy di «armonizzazione minima» seguita dalle isti­tuzioni comunitarie in tale materia, anche sulla scorta delle riflessioni contenute nel rapporto del­l’High Level Group of Experts sulla modernizzazione del diritto societario: attribuire agli Stati membri ampia discrezionalità normativa, sia pur nel rispetto di un «nucleo forte» di norme (o principi) di diritto materiale uniforme, e privilegiare il coordinamento delle loro competenze attraverso discipline di valenza conflittuale, significa infatti, da un lato, legittimare l’insistenza sul mercato unico, sullo spazio cioè in cui si svolge il processo di integrazione economica, di una pluralità di fonti aventi pari grado, dall’altro, creare le premesse per una «concorrenza» tra i diversi regimi che tali fonti volta a volta pongono sulla base delle diverse valutazioni dei legislatori nazionali. Questo favor comunitario verso l’autonomia internazionalprivatistica ci sembra possa riscontrarsi in tutti e tre i settori che, come si diceva, appaiono fondamentali per la ricostruzione dello statuto applicabile agli imprenditori collettivi: diritto societario, diritto dei mercati finanziari, diritto fallimentare. Quanto al diritto societario, va innanzitutto richiamato uno dei principi desumibili dalla dottrina elaborata dalla Corte di giustizia nella nota giurisprudenza «Centros», quello per cui i privati (rectius: i beneficiari della libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 48 del Trattato) sarebbero liberi di costituire società commerciali (vuoi di capitali, vuoi di persone) scegliendo tra i diversi «modelli» predisposti dai diritti interni degli Stati membri quello che essi ritengono più congeniale ai loro interessi, anche quando non esista alcun «contatto» tra l’impresa collettiva (i suoi soci, i suoi amministratori, il suo centro d’affari, i suoi stabilimenti) e lo Stato della lex societatis così prescelta, e financo nel­l’ipo­tesi in cui [continua ..]


3. Quattro distinti regimi conflittuali per la disciplina della impresa collettiva in situazioni caratterizzate da elementi di estraneità

Come già da noi osservato in passato nello studio di alcuni temi particolari (la responsabilità degli amministratori, le offerte pubbliche d’acquisto ed i prospetti), con riguardo alla disciplina della impresa collettiva in situazioni caratterizzate da elementi di estraneità possano operare quattro distinti regimi conflittuali, e cioè insiemi integrati di norme e principi in punto di giurisdizione, legge applicabile, riconoscimento ed esecuzione di provvedimenti stranieri, a loro volta possibile espressione del ricorso a diversi metodi internazionalprivatistici di coordinamento tra gli ordinamenti degli Stati membri. Il primo regime a entrare in rilievo è ovviamente quello della lex societatis, quale individuabile sulla base non solo dei principi che la Corte di giustizia ricava dagli artt. 43 e 48 del Trattato di Roma, ma anche delle disposizioni del Regolamento «Bruxelles I» sul foro generale delle persone giuridiche e sul foro esclusivo in materia societaria di cui all’art. 22, n. 2, dalle disposizioni della Convenzione di Roma (art. 1, 2° comma, lett. e) e f)) che escludono dall’emprise della disciplina uniforme contratti o altri atti di autonomia negoziale (e questioni ad essi relative) se afferenti la materia societaria, dalle simili disposizioni del futuro Regolamento «Roma II» (art. 1, 2° comma, lett. d)) che pure affermano la non applicabilità delle disciplina sulla legge regolatrice delle obbligazioni extracontrattuali a certi illeciti societari. Come abbiamo cercato di dimostrare in precedenti lavori, tale regime conflittuale da un lato, in linea di principio, tutela il diritto di ciascuno Stato membro a definire il contenuto del proprio diritto societario, e quindi anche il suo ambito di applicazione in situazioni caratterizzate da elementi di estraneità, dall’altro, sempre in linea di principio, obbliga ogni Stato membro a riconoscere società costituite ai sensi della legge di un altro Stato membro, e risolve gli eventuali conflitti di competenza che potrebbero originarsi per effetto dell’operare di tali due principi dando prevalenza alla lex societatis scelta ai soci o promotori dell’ente. Questa ricostruzione comporta due, importanti conseguenze. Innanzitutto, essa implica che l’ordinamento comunitario impone agli Stati membri di adottare, in materia di [continua ..]


4. Il rapporto tra i diversi regimi conflittuali nell'ambito dell’ordinamento comunitario

È di tutta evidenza che il coordinamento tra gli ordinamenti degli Stati membri con riguardo alla disciplina delle imprese collettive potrà svolgersi in modo notevolmente diverso a seconda che operi l’uno o l’altro dei predetti regimi conflittuali, anche per effetto del maggiore o minore spazio che, come si è visto, ciascuno di essi attribuisce alla autonomia privata. Ora, già l’esperienza del diritto interno testimonia delle difficoltà che si possono incontrare quando si cerchi di distinguere tra disciplina della società, disciplina del mercato mobiliare, disciplina della insolvenza. Si pensi alla possibilità che le regole in punto di corporate governance, di partecipazioni reciproche, di patti parasociali, di tutela delle minoranze, di offerte pubbliche di acquisto, che la maggior parte degli ordinamenti contemporanei dettano con riguardo alle società di capitali quotate su mercati regolamentati, vengano intese come funzionali alla protezione del risparmio nei mercati in cui questo viene raccolto o alla organizzazione del mercato in cui i titoli vengono negoziati, o piuttosto come attinenti allo statuto sociale dell’emittente, come se l’appello al pubblico risparmio desse origine ad un «tipo» societario a se stante. Si pensi alla possibilità di considerare l’offerta al pubblico come proposta per la conclusione di un contratto, ed ai poteri di autonomia che conseguentemente vengono attribuiti all’offerente nel definirne il contenuto. Si pensi al fondamentale istituto della responsabilità degli amministratori (verso la società, verso i soci, verso i creditori ed i terzi in genere), ed al diverso significato che esso assume quando venga ricostruito come elemento della organizzazione interna dell’ente societario, ovvero come sanzione per il mancato rispetto di regole vigenti in un mercato regolamentato a garanzia del suo buon funzionamento, o ancora come elemento della disciplina dell’insolvenza, o infine come espressione del generale principio di diritto comune che obbliga a risarcire il danno ingiusto. Si pensi poi al dibattito aperto da tempo tra i commercialisti europei sulla idoneità del capitale sociale a svolgere la funzione di garanzia dei creditori attraverso la regola rigida del c.d. «sistema del netto», e sulla opportunità di ricorrere a meccanismi alternativi, per esempio [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2007