<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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L'azione diretta del terzo nel modello bancario (di Simone Cicchinelli)


SOMMARIO:

1. Premessa. - 2. Il rapporto tra modello azionario e modello bancario. - 2.1. (Segue). Il dialogo tra autonomia e eteronomia. - 2.2. L’organizzazione dell’esercizio nell’impresa bancaria. - 3. Le caratteristiche dell’azione diretta ex art. 2395 c.c. - 3.1. L’azione individuale e le ragioni dell’impresa. - 3.2. L’azione individuale e il modello bancario. - 3.3. (Segue) L’azione individuale e il modello bancario. - 4. L’azione individuale nella disciplina sull’impresa bancaria. - 4.1. La previsione della commissione di massimo scoperto. - 4.2. Il c.d. anatocismo bancario. - 4.3. Le offerte che includono (necessariamente) un finanziamento. - 5. Cenni conclusivi. - NOTE


1. Premessa.

L’esigenza di analizzare il ruolo che l’azione diretta del terzo [come anche del socio] gioca nell’organizzazione bancaria nasce da un duplice ordine di considerazioni, l’una operativa e l’altra concettuale: (i) da un lato, l’attuale crisi del mercato creditizio che induce a ricercare possibili e ulteriori tecniche di tutela configurabili in capo alla clientela; (ii) dall’altro, la particolare natura dei contratti bancari e dell’attività su cui essi insistono la quale postula un coinvolgimento del terzo [allora non socio] nell’organizzazione dell’impresa [1]. In tal senso non sembra inutile ricordare che la conclusione dei contratti bancari rappresenta un incontro tra due differenti modalità dell’agire privato: l’atto [il rapporto singolarmente concluso] e l’attività [procedimentalizzazione dell’agire altrui per la strutturazione e il collocamento di prodotti e servizi presso la clientela]. Questo diverso modo di manifestazione dell’autonomia privata, in una attenta composizione di interessi privati e pubblici sottesi al rapporto banca-cliente, non può non portare conseguenze anche sul piano dell’organizzazione imprenditoriale; specialmente se la si intende come attività [economicamente e] obiettivamente data rispetto alla forma societaria che può assumere [2].


2. Il rapporto tra modello azionario e modello bancario.

Lo scrutinio del rapporto tra i modelli azionario e bancario si ritiene non possa prescindere, come invero è già stato autorevolmente segnalato [3], dalle specificità proprie dell’attività svolta: con il corollario, non privo di interesse, per il quale alcune regole tipicamente societarie possono non trovare compiuta applicazione [4]. Nel modello bancario dovrebbe essere, pertanto, tutelato l’ordinato svolgimento dell’attività e il rapporto con la clientela: il che, mette conto di osservare, consente di valorizzare le regole poste a tutela dell’impresa a scapito di quelle dettate a presidio degli investimenti effettuati dai soci. La tendenza dell’indirizzo maggioritario, di contro, è quella – con particolare riguardo ai problemi di corporate governance – di intendere la disciplina societaria come un complesso di regole volte a governare l’attività del soggetto [società] che svolge una delle attività elencate dall’art. 2195 c.c.: senza che ci si curi di approfondire le peculiarità dei fattori produttivi di queste [5]. Si intende, allora, spostare concettualmente l’attenzione su come le norme prendono in considerazione l’impresa bancaria e, per quanto di stretto interesse, le modalità attraverso cui viene disciplinata l’organizzazione dell’agire imprenditoriale: i valori che tali regole intendono tutelare si riflettono direttamente sull’organizzazione del­l’esercizio [6] conseguendone sul piano dell’impresa un irrigidimento degli assetti, in quanto gli interessi protetti “sull’impresa bancaria appunto (non sulla società soltanto) si puntualizzano” [7], e su quello societario una disciplina, specialmente in tema di governance, profondamente diversa considerati i connotati essenziali del modello azionario.


2.1. (Segue). Il dialogo tra autonomia e eteronomia.

L’impostazione pressoché prevalente in letteratura [8] sottolinea la propensione della legislazione bancaria a valorizzare l’autonomia privata nonostante l’incidenza che sulla struttura societaria ha l’azione di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia: in tal senso i suddetti modelli non sarebbero tra loro poi così distanti rendendosi ineludibile l’applicazione delle regole previste per l’impresa azionaria [9]. Sul piano concettuale, il rapporto tra azione di vigilanza e governance è risolto configurando la società come soggetto dell’impresa e, in definitiva, come imprenditore che esercita l’attività bancaria; così le problematiche scaturenti dal predetto rapporto potendo valutarsi solamente sul piano della disciplina societaria [10]. Nella contrapposta [e dianzi indicata] prospettiva, invece, si è ritenuto, guardando alla disciplina societaria come forma organizzativa dell’impresa e di essa rappresentante i profili essenzialmente finanziari [11], che il contenuto dell’azione di vigilanza prudenziale attenga essenzialmente alle modalità con cui l’impresa stessa si organizza. La concezione della società come soggetto e dell’attività bancaria come comportamento si ritiene porti a oscurare il valore che la presenza di interessi extrasociali [12] ha sulla struttura organizzativa dell’impresa. Con particolare attenzione ai profili di eteroregolamentazione previsti nell’ordinamento settoriale del credito [13] si osserva [14] che la norma disciplina in modo peculiare la direzione e il coordinamento dei fattori di produzione in ragione dei caratteri propri dell’orga­nismo produttivo. In altre parole, deve constatarsi che l’imposizione di requisiti organizzativi, che nell’interesse alla stabilità del mercato creditizio trova diretta giustificazione [15], postula sul piano societario un’influenza diretta del ruolo che i peculiari fattori di produzione giocano nell’esercizio dell’impresa bancaria [16]: la previsione di regole puntuali, tese a garantire l’efficienza di quest’ultima, è dettata dalla composizione di interessi privati e pubblici [17]. La sintesi di questi, infatti, trova espressa previsione [continua ..]


2.2. L’organizzazione dell’esercizio nell’impresa bancaria.

Impostato in que­sti termini il problema relativo all’estensione delle regole societarie al modello ban­cario [19], si tratta di valutare, pur incidentalmente, il contenuto del potere gestorio. Se l’organismo produttivo, quale fenomeno giuridico, si presta ad essere scomposto tra sostanza e forma (la disciplina societaria rappresentando il valore attribuito al fenomeno stesso) [20] l’adozione del modello azionario per lo svolgimento del­l’attività bancaria postula la sussistenza di uno specifico interessedell’ordina­mento che potrà essere perseguito solamente imponendo all’esercizio dell’impresa specifiche modalità organizzative. L’assetto dei poteri riconosciuto, dal testo di diritto scritto, in capo all’organo amministrativo non può non ritenersi inciso dalle finalità che la struttura dell’impresa deve rispettare per poter operare nel settore del credito: in altre parole, l’interesse [sociale] da perseguire si esaurisce nel contemperamento di due esigenze, tra loro connesse; (i) da un lato, gestire prudenzialmente le diverse tipologie di rischio imposte dalla disciplina prudenziale; (ii) dall’altro, non acuire le tensioni di liquidità che possono manifestarsi sul mercato dei finanziamenti [21]. La prima conclusione alla quale si perviene considera l’organizzazione delle operazioni attive (la raccolta del risparmio presso il pubblico) e passive (l’esercizio del credito) come il cuore della prestazione gestoria, che testimonia, altresì, il collegamento sussistente, lo si ribadisce, tra le peculiarità dei fattori produttivi d’im­presa ed i poteri dell’organo amministrativo [22]. Mette conto di anticipare che l’esercizio d’impresa bancaria coinvolge interessi eterogenei, la cui analisi e selezione richiede talune precisazioni: (i) il fattore “rischio” [23], a differenza delle imprese che esercitano altre attività commerciali, è un elemento ipostatizzato, che impone alla funzione gestoria il rispetto di precise regole procedimentali [24]; (ii) la funzione creditizia, che insiste sui connotati della struttura imprenditoriale, si pone come oggetto esclusivo dell’agere degli amministratori; (iii) il rapporto tra funzione e struttura [continua ..]


3. Le caratteristiche dell’azione diretta ex art. 2395 c.c.

La responsabilità dell’organo amministrativo ex art. 2395 c.c. è tema da tempo dibattuto e ricostruito dalla letteratura maggioritaria in termini di responsabilità extracontrattuale [26]. La peculiarità di tale regime risiederebbe nel fatto che i danni ricadono direttamente nel patrimonio del socio e del terzo a seguito dell’atto doloso o colposo compiuto dal­l’amministratore [27]: l’assunto è talmente pacifico da intendersi come “presupposto univoco dal quale muovere ogni indagine in cui si intenda approfondire il tema trattato” [28]. Deve rilevarsi, ad uno scrutinio più attento, che l’assimilazione all’am­bito di applicazione dell’art. 2043 c.c. si arresta ad una mera assonanza letterale dato che diversi sono i profili di alterazione. A cominciare dagli aspetti più direttamente operativi (la non coincidenza circa la decorrenza del termine di prescrizione: che l’art. 2395, 2° comma, c.c. àncora alla data del compimento dell’atto) e per finire con quelli concettuali (id est: relativi al fatto che la produzione del danno origina dalla violazione delle anzidette regole gestorie), si constata una struttura sensibilmente differente rispetto alla tutela aquiliana: aspetto, questo, conclamato dalla dissociazione fra chi risponde dell’obbligazione risarcitoria e chi si vede imputare l’atto [29]. La responsabilità diretta dell’amministratore nei confronti dei soci e dei terzi sorge comunque nello svolgimento della prestazione gestoria [30]; il che indurrebbe perlomeno a rimeditare la qualificazione extracontrattuale della responsabilità in parola. Così si potrebbe optare per l’utilizzo delle regole di cui agli artt. 1218 ss. c.c. valorizzando sia la sussistenza di specifici obblighi che gli amministratori dovrebbero rispettare nello svolgimento del loro mandato [31] sia la violazione di norme poste a tutela di terzi [32]. Dando conto del doppio ruolo che gli amministratori rivestono nell’organizzazione societaria, sarebbe possibile postulare una responsabilità contrattuale di questi in virtù del rapporto di amministrazione che ingloba altresì la posizione degli azionisti; le fattispecie del “contratto con effetti protettivi in favore di terzi” e del c.d. “obbligo senza [continua ..]


3.1. L’azione individuale e le ragioni dell’impresa.

La tesi della responsabilità contrattuale, pur manifestando le difficoltà che si sono sopra evidenziate, ha il pregio di aver messo in luce lo stretto collegamento fra l’ingiustizia del danno e la violazione delle regole gestorie che governano l’ordinato esercizio dell’impresa azionaria: il presupposto, allora, degli artt. 2392 e 2395 c.c. sarebbe il medesimo [38]. Da questa premessa è opportuno muovere considerando che la disposizione in esame non può interpretarsi scindendone il contenuto: una parte, quella che richiama i soci, che si fonderebbe sulla distinzione tra danno diretto e riflesso; l’altra, quella che si riferisce ai terzi, da ricostruirsi secondo i meccanismi dell’illecito aquiliano (pur con le peculiarità proprie del contesto societario in cui questo si produce [39]) [40]. Ciò, peraltro, rischierebbe di tradire i canoni interpretativi in forza dei quali la ratio di una norma andrebbe sempre valutata alla luce degli interessi che intende proteggere [41]; si tratta, per il tramite di un’attività interpretativa che valorizzi il contenuto della norma in rapporto al sistema (non solo positivo, ma anche socio-economico) di riferimento, di scrutinare i diversi interessi coinvolti e le conseguenze dannose derivanti dalla lesione di questi [42]. La prospettiva [oggettiva] dei diversi regimi di responsabilità riconosciuti dal testo di diritto scritto, i quali ad una lettura disattenta della norma parrebbero inquadrarsi secondo gli schemi dei rapporti intersoggettivi, implica invero un rinvio alle caratteristiche proprie della gestione [43]. Di tal che anche la posizione dei terzi, in un rovesciamento dell’ordine concettuale in forza del quale la legittimazione ad agire presuppone una lesione di un diritto soggettivo, deve scrutinarsi domandandosi quali regole gestorie, tra quelle violate dall’organo amministrativo, siano in grado di arrecare a questi un pregiudizio meritevole di ristoro [44]. Il problema diventa quando, oltre alla società e al suo patrimonio, debbano tutelarsi interessi, si noti, ulteriori e differenti rispetto a quelli rilevanti nella forma del­l’organismo produttivo [45]. In tal senso, non dovrebbe ritenersi possibile far discendere il carattere collettivo dell’azione né dal [continua ..]


3.2. L’azione individuale e il modello bancario.

Si è avuto modo di evidenziare che il ricorso all’art. 2395 c.c. escluderebbe l’inquadramento di tale azione sia secondo lo schema della responsabilità contrattuale (posto che non vi sarebbe violazione di obblighi di protezione a favore di terzi) sia secondo quello della tutela aquiliana, perché diverso sarebbe il presupposto per agire; in altre parole, non può dirsi lesa nessuna posizione giuridica soggettiva del terzo ove a questa voglia assegnarsi un significato, per l’appunto, tecnico. Può notarsi, pur incidentalmente, che la natura dell’azione in parola meglio si comprende ove la si raffronti con l’altra prevista dall’art. 2394 c.c. che legittima i creditori ad agire nei confronti degli amministratori nell’ipotesi in cui, a causa della violazione degli obblighi conservativi del patrimonio sociale e dell’insufficienza di questo a soddisfare l’insieme delle pretese creditorie collettivamente considerate, il patrimonio stesso abbia subito un danno. Di certo, può ora obiettarsi, il confine tra creditore e terzo appare piuttosto labile; si pensi all’ipotesi di un fornitore che abbia deciso di instaurare un rapporto contrattuale con l’impresa essendo indotto da una rappresentazione contabile non veritiera (e più nello specifico: da un bilancio falso) [49]. In questo caso, non è agevole, sul piano strettamente processuale, leggere la vicenda secondo la disciplina dell’una o dell’altra azione. Decisiva, pertanto, è l’imputazione del danno: (i) l’art. 2394 c.c. postula la vocatio in jus nella sola ipotesi in cui si produca una lesione del patrimonio sociale; (ii) l’azione diretta del socio [o del terzo] è esperibile solo ove questi abbiano subito una perdita nel patrimonio individuale. In entrambi i casi, tuttavia, la causazione del danno deve sempre ricondursi alla violazione delle regole che governano l’or­dinato e efficiente svolgimento dell’impresa. La sensazione, così impostato il discorso, è che l’impianto inerente alla responsabilità dell’organo amministrativo si esaurisca in una diversa collocazione dei valori del patrimonio sociale sulla base degli interessi che la norma intende tutelare (a seconda, quindi, che l’azione sia esperita dai creditori o dai soci) [50]; se, come si ritiene, così è, [continua ..]


3.3. (Segue) L’azione individuale e il modello bancario.

L’aspetto da ultimo segnalato, inerente alla necessità che sussista un legame, ancorché indiretto, tra la violazione delle regole gestorie e la struttura patrimoniale dell’impresa, consente di porre in risalto il fatto che l’organizzazione dell’esercizio e del finanziamento, aspetti – questi – distinti nelle altre imprese commerciali, sono inscindibilmente le­ga­ti nell’impresa bancaria: basti pensare all’emissione di un prestito obbligazionario, che nel modello azionario implica l’acquisizione di valori destinati alla remunerazione dei fattori produttivi; mentre in quello bancario rappresenta un aspetto [organizzativo e] indefettibile della stessa attività [59]. Senza poter ora indugiare sul collegamento funzionale tra raccolta del risparmio e esercizio del credito [60], si può considerare che le operazioni di raccolta (e la relativa struttura contrattuale), di cui i depositi del risparmio del pubblico rappresentano la forma tipica [61], sono già espressione dell’attività bancaria e ne integrano in maniera diretta e funzionale l’or­ganizzazione dell’esercizio: se ne deduce, ai nostri fini, che il contenuto tipico della prestazione gestoria si presta ad essere ricostruito guardando all’esercizio e al finanziamento come due aspetti dello stesso fenomeno; dove la raccolta del risparmio si pone come unica base patrimoniale in grado di remunerare l’esercizio del credito. Si è visto che uno degli indirizzi interpretativi più recenti ha riconosciuto come sussistente il danno diretto nelle sole ipotesi in cui questo risulti qualitativamente diverso o quantitativamente eccedente rispetto al danno sociale [62]; pur tenendo ferme queste considerazioni, in sé condivisibili, la valorizzazione delle regole gestorie aventi portata individuale, come quelle dettate sui requisiti organizzativi prodromici alla conclusione di operazioni creditizie, aiuta a meglio comprendere il legame tra la violazione di queste e la struttura patrimoniale dell’impresa che, di fatto, si esaurisce nella disciplina del patrimonio di vigilanza. Sulla struttura finanziaria della società bancaria non è possibile, in questa sede, soffermarsi; ma ai nostri fini deve solamente evidenziarsi che il rapporto tra gestione e patrimonio si manifesta certamente più [continua ..]


4. L’azione individuale nella disciplina sull’impresa bancaria.

Della pro­spettiva delineata è possibile cogliere diversi frammenti dalla disciplina prudenziale, dettata a presidio degli interessi sottesi alla tutela dei depositi del pubblico risparmio. In particolare, le disposizioni pubblicate dalla Banca d’Italia in tema di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” [68] si soffermano sui requisiti organizzativi che le banche debbono predisporre e rispettare al fine di presidiare, in stretta connessione con i rapporti contratti con la clientela, i rischi legali e di reputazione. Di tale legame non sembra sia il caso di dubitare posto che il rispetto dei predetti presidi implica una forte connessione con i “controlli sull’ade­guatezza patrimoniale a fronte dei rischi legali e di reputazione” [69]: tema, questo, che contribuisce a scolpire il contenuto della prestazione gestoria desumibile impliciter dall’art. 53 t.u.b. [70]. Ed ancora: tutti quegli aspetti che della concessione di finanziamenti rappresentano coelementi essenziali della fattispecie, si prestano ad essere considerati all’interno del conflitto, interno alla forma societaria, tra la gestione prudenziale dei rischi e l’obiettivo di non acuire il c.d. credit crunch. La fissazione di remunerazioni sempre più complesse del costo del credito, specialmente nelle prassi patologiche (e nel correlato apparato rimediale di cui anche l’azione de qua ne rappresenta espressione), deve essere valutata alla luce di quell’equilibrio che gli amministratori devono ricercare nel contemperamento di interessi contrapposti. Non è privo di interesse sottolineare come tali considerazioni permettano di collegare la produzione diretta del danno in capo al terzo, richiamata dallo stesso 1° comma dell’art. 2395 c.c., e la tutela delle componenti esterne all’impresa; in un reciproco rapporto di complementarietà che qualifica lo svolgimento dell’attività bancaria. Il principale compito dell’organo amministrativo, in conclusione, è quello di stabilire delle procedure interne e costituire, ove lo richieda la complessità della struttura aziendale, dei comitati interfunzionali, la cui funzione sia quella di garantire la correttezza dei rapporti con la clientela. Non può sottacersi, allora, il legame tra la [continua ..]


4.1. La previsione della commissione di massimo scoperto.

Le disposizioni regolamentari, come noto, hanno cura di dettagliare il contenuto delle componenti rappresentative del costo che la banca sostiene nel tenere a disposizione dell’affi­dato una certa somma di denaro: tra queste, la commissione di massimo scoperto è stata interessata da un intenso dibattito giurisprudenziale pratico e teorico che ha portato all’introduzione di una nuova commissione onnicomprensiva, parametrata sulla somma messa a disposizione del cliente e sulla durata dell’affi­da­­mento [73]. Mette invece conto di osservare che la sottoscrizione di contratti includenti forme complesse di remunerazione degli affidamenti o degli sconfinamenti (tra cui, per l’appunto, la commissione in oggetto) implica l’adozione di specifiche procedure tese ad agevolare la controparte nella conclusione dell’accordo anche per consentirgli l’esercizio del diritto di recesso; oltre che per scegliere un altro prodotto, confacente alle proprie esigenze [74]. L’eventuale danno cagionato al cliente potrà derivare da entrambe le suddette ipotesi. Da una rapida analisi empirica può constatarsi che la clientela tende, in sede di citazione, a richiedere l’illegittimità della clausola in parola al fine di ottenere la ripetizione di quanto è stato corrisposto alla banca [75]. Se questo è corretto sul piano contrattuale non può ignorarsi la sovrapposizione, tipica dei c.d. contratti d’im­pre­sa [76], della visione procedimentale sottesa alla struttura imprenditoriale di chi fisiologicamente non può non contrattare con il pubblico; nel caso dell’attività bancaria di un pubblico, per così dire, qualificato in considerazione del fatto che questa non potrebbe nemmeno pensarsi senza la raccolta dei risparmi (come del resto risulta esplicito dalla lettera dell’art. 10, 1° comma, t.u.b.). L’articolazione dell’eser­cizio d’impresa bancaria, di cui il combinato disposto tra l’art. 2381, 3° comma, c.c. e la richiamata disciplina prudenziale si rende promotore, postula un intenso legame tra lo strumentario contrattuale (il/i singolo/i atto/i concluso/i con la clientela) e quello invece proprio dell’organizzazione imprenditoriale; nella quale la composizione di interessi, non solo privati, richiede l’adozione (id est: la preferenza) [continua ..]


4.2. Il c.d. anatocismo bancario.

 Lo scrutinio della fattispecie, di natura giurisprudenziale, dell’anatocismo bancario conduce alle medesime riflessioni che si sono svolte in ordine alla commissione di massimo scoperto [78]. Gli sviluppi del dibattito, animatosi presso la giurisprudenza teorica e pratica, sono particolarmente noti: specialmente a seguito della recente modifica apportata all’art. 120, 2° comma, t.u.b. che sembrerebbe aver reintrodotto la c.d. produzione di interessi su interessi [79]. Su tale materia, inoltre, le problematiche si sono poste sul versante strettamente processuale: si pensi all’intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 78/2012, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2 del d.l. n. 225/2010. Quest’ultima disposizione, intervenendo sull’art. 2935 c.c., prevedeva la decorrenza del dies a quo del termine di prescrizione dal momento in cui veniva effettuata ogni singola scrittura sul conto, ivi compresi anche gli addebiti degli interessi anatocistici. Questo abbreviamento dei termini per agire nei confronti della banca è stato dai più ritenuto illegittimo in quanto l’effetto solutorio delle singole rimesse decorrerebbe dalla chiusura del [rapporto] di conto corrente (o, comunque, dalla risoluzione di questo). Non è possibile, con tutta evidenza, procedere funditus alla disamina delle richiamate questioni. Ma nella visuale che caratterizza le nostre vicende può segnalarsi che gli accorgimenti di carattere organizzativo che l’organo amministrativo deve assicurare in ogni fase dell’attività bancaria prestata insistono nondimeno su quelle clausole che, nelle operazioni effettuate in conto corrente, contemplano la periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori. In altre parole, non si ritiene che – per citare le ipotesi maggiormente significative – la costituzione di comitati interfunzionali, il coinvolgimento delle funzioni di controllo interno e la periodica valutazione dell’adeguatezza e dell’efficacia delle procedure definite in tema di strutturazione e collocamento dei prodotti siano profili inidonei a creare un collegamento diretto tra l’organizzazione [dell’impresa] e la struttura contrattuale dei rapporti conclusi con la clientela.


4.3. Le offerte che includono (necessariamente) un finanziamento.

La normativa prudenziale si fa carico di regolare quei casi in cui una banca decida di offrire contestualmente, accanto al classico contratto di finanziamento, altri servizi, anche attraverso soggetti terzi, la cui prestazione deve essere accompagnata da una serie di cautele particolari. Più nel dettaglio l’organo amministrativo, nel rispetto dei principi di trasparenza e correttezza che permeano l’attività [pre]contrattuale [80], deve preoccuparsi di adottare procedure organizzative e di controllo interno che assicurino nel continuo: (i) una valutazione delle diverse tipologie di rischio connesse con l’offerta contestuale di più contratti. Si pensi all’ipotesi, piuttosto ricorrente nella pratica, in cui accanto al finanziamento vengono offerti contratti non funzionali alle caratteristiche di quest’ultimo; (ii) la piena comprensibilità, per la clientela, del prodotto complessivamente inteso (ivi compresa la struttura e le caratteristiche di questo). Anche la fattispecie in parola, al fine di consentire l’applicazione dell’art. 2395 c.c., postula il coinvolgimento al contempo di specifici doveri gestori e di valutazioni sul piano prudenziale; specialmente perché la concessione di finanziamenti unitamente alla sottoscrizione di prodotti a questi collegati potrebbe incidere sul merito creditizio del cliente.


5. Cenni conclusivi.

Nel contesto dell’organizzazione imprenditoriale del modello bancario, anche alla luce delle peculiarità di questo rispetto al modello azionario, emerge una distinzione – si ritiene gravida di conseguenze operative – tra regole gestorie aventi portata individuale e collettiva. Tale distinzione se da un lato induce ad individuare un collegamento diretto tra la prestazione gestoria, tipicamente posta in capo all’organo amministrativo, e la posizione dei correntisti, dal­l’altro consente di qualificare giuridicamente la pretesa di quest’ultimi alla dotazione dei presidi idonei alla prestazione di determinati servizi: senza che ciò porti, come si è già avuto modo di precisare, ad imporre alla banca l’adozione di specifici criteri tecnici [81]. In tutte quelle ipotesi in cui la violazione di regole gestorie aventi portata individuale causi un danno nel patrimonio del singolo, questo sarà legittimato ad utilizzare quegli strumenti che sul piano [non contrattuale, bensì] procedimentale trovano espressa considerazione: con il corollario, forse non privo di interesse, per cui la disciplina sulla responsabilità dell’organo amministrativo, non potendosi disinteressare delle peculiarità dei fattori produttivi, si presta ad essere interpretata come una regola organizzativa dell’attività d’impresa, ancorché esercitata in forma collettiva.


NOTE