LODO ARBITRALE – 10 marzo 2010 – Sanfilippo Arbitro Unico – Zappalà Agatino (avv. ***) c. Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. (avv. ***)
Società in accomandita semplice – Azione sociale di responsabilità – Compromettibilità
(Art. 34 d.lgs. 5/2003)
L’azione sociale di responsabilità è compromettibile in arbitri. La disponibilità del diritto ad essa sotteso si desume sia dall’art. 2393, sesto comma, c.c., il quale prevede la facoltà della società di rinunciare o di transigere l’azione di responsabilità precedentemente proposta, sia dall’art. 34, quarto comma, d.lgs. 5/2003, nella parte in cui stabilisce espressamente che la clausola arbitrale può avere ad oggetto le controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti (1).
Società in accomandita semplice partecipata da due soci – Legittimazione dell’accomandante all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità per i danni cagionati dalle gravi irregolarità compiute dall’accomandatario – Ammissibilità
(Art. 2260 c.c.)
Benché la legittimazione ad esercitare l’azione sociale di responsabilità spetti alla società, in un’accomandita semplice partecipata soltanto da due soci, l’accomandante è legittimato ad esperire in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. l’azione de qua nei confronti dell’accomandatario gravemente inadempiente (2).
Società in accomandita semplice – Divieto di concorrenza – Sviamento di clientela – Quantificazione del danno
(Art. 2301 c.c.)
Gli inadempimenti dell’accomandatario – quali la violazione del divieto di concorrenza (art. 2301 c.c.) e la mancata distribuzione degli utili (art. 2262 c.c.), ma anche la mancata redazione del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite (art. 2320, terzo comma, c.c.) – integrano gli estremi per l’esercizio dell’azione di responsabilità. La quantificazione del danno da sviamento di clientela causato dalla violazione del divieto di concorrenza di cui all’art. 2301 c.c. non è ricavabile dalle mancate provvigioni, bensì dalla differenza fra l’ammontare complessivo dei mancati ricavi e i costi che la medesima società avrebbe dovuto sopportare. La determinazione di tali costi – non essendo suscettibili di prova nel preciso ammontare – deve essere effettuata in via equitativa ex art. 1226 c.c., avvalendosi del criterio di redditività dell’impresa (3).
Società in accomandita semplice – Mancata redazione del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite – Diritto di controllo – Socio non amministratore – Mancata distribuzione degli utili
(Artt. 2261, 2262, 2320 c.c.)
La corresponsione degli utili ai soci integra un debito della società. L’accomandante può, però, agire anche nei confronti dell’accomandatario al fine di precostituirsi un titolo per escutere, in caso di infruttuosa escussione del patrimonio sociale, il patrimonio dell’accomandatario medesimo (4).
IL TRIBUNALE ARBITRALE
costituito nell’ufficio di Arbitro Unico presso la Camera Arbitrale e di Conciliazione della Camera di Commercio I.A.A. di Catania, via Cappuccini n. 2, giusta verbale del 21 ottobre 2008, nel procedimento iscritto al n. 2/2008, promosso con domanda di arbitrato depositata presso la segreteria generale della Camera in data 29 aprile 2008 (prot. n. 27474, da Zappalà Agatino, rappresentato e difeso dall’avv. Marco Bellomo, nei confronti di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s. e di Zanuccoli Antonino, rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Porto, e notificata in data 23 maggio 2008, ha pronunciato il seguente
LODO
Svolgimento del procedimento
Espone l’attore di essere socio accomandante di detta Yellow Cab s.a.s., costituita nel dicembre del 1978, con socio accomandatario ed amministratore sin dalla costituzione il convenuto Zanuccoli Antonino, ed avente quale oggetto sociale “la rappresentanza con o senza deposito di articoli di abbigliamento per uomo, donna e bambini nonché la loro produzione anche con lavorazione affidata a terzi e la loro vendita all’ingrosso anche attraverso il sistema della tentata vendita” (art. 2, atto costitutivo). […]
Con l’atto introduttivo del presente giudizio arbitrale, l’attore ha formulato domanda di risarcimento in proprio favore contro Zanuccoli Antonino, per la somma di euro 250.000,00 “o quella diversa somma che sarà ritenuta equa all’esito dell’esame del documento di riepilogo delle quote F.I.R.R. versato”, per l’inadempimento degli obblighi di non concorrenza per come definiti dall’art. 6 dell’atto costitutivo di Yellow Cab s.a.s., secondo cui “I soci accomandatari si impegnano a prestare a favore della Società e senza limiti di sorta la propria prestazione di lavoro personale obbligandosi a disimpegnarla nell’esclusivo interesse sociale comune, non potendo svolgere per conto proprio od altrui, attività concorrente con quella della Società, né partecipare quale socio in veste di unici titolari di altre imprese concorrenti o non concorrenti con la Società”; ha chiesto quindi in via istruttoria ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. a carico della Fondazione ENASARCO, nonché l’esibizione delle scritture contabili della società convenuta.
Con il medesimo atto introduttivo, parte attrice ha pure proposto domanda di mero accertamento dell’inadempimento del convenuto Antonino Zanuccoli, nella qualità di amministratore di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s., relativamente agli obblighi di comunicazione annuale, per come specificati in atto costitutivo, del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite ex art. 2320, comma 3°, c.c.
L’attore ha altresì formulato domanda di condanna del medesimo Zanuccoli Antonino, in solido con la Yellow Cab s.a.s., al pagamento di utili di cui si asserisce la mancata corresponsione […].
Con memoria di risposta del 20 giugno 2008, depositata presso la Segreteria generale della Camera (prot. n. 41069 del 23 giugno 2008), parti convenute, dichiarando di accettare l’arbitrato, e contestando nel merito in fatto ed in diritto le pretese attoree, hanno eccepito preliminarmente, sia (a) la carenza di legittimazione dello Zappalà per asserita esclusione dalla società Yellow Cab, sia (b) la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni come pure del diritto al pagamento degli utili; hanno formulato domanda riconvenzionale (i) di accertamento dell’intervenuta esclusione di Zappalà Agatino dalla società Yellow Cab, (ii) in subordine, con compensazione rispetto ad eventuali crediti accertati, di condanna al pagamento delle somme corrispondenti alle perdite subite dalla società medesima, nonché (iii) di risarcimento dei danni per danno all’immagine professionale, per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., e per un mancato affidamento bancario, nella complessiva somma non minore di euro 100.000,00. […].
Con memoria del 19 dicembre 2008, l’attore, dopo aver promosso con la domanda di arbitrato azione per violazione dell’obbligo di non concorrenza contro il convenuto Zanuccoli Antonino chiedendone la condanna al risarcimento danni a favore dell’attore medesimo, ha dedotto che tale domanda “è senz’altro da ricondurre all’azione di responsabilità ex art. 2393 c.c., esperibile nei confronti dell’amministratore anche direttamente dai soci delle società di persone”, invocando “la legittimazione dei soci a far valere gli interessi della società”. […].
All’udienza dell’11 novembre 2009, le parti hanno precisato le conclusioni come in appresso.
Segnatamente parte attrice ha così concluso: […] richiamato tutto quanto già dedotto ed eccepito negli atti e nei verbali di causa, precisa le seguenti conclusioni.
Voglia l’Ill.mo Arbitro:
1) accertare e dichiarare che il Sig. Zanuccoli Antonino ha violato i suoi doveri di amministratore e di socio accomandatario ed in particolare le prescrizioni dell’art. 6 dell’atto costitutivo, esercitando attività in concorrenza con quella della Yellow Cab S.a.s., sia in proprio che tramite partecipazione alla F.lli Zanuccoli S.a.s di Zanuccoli Salvatore, facendo intestare a se stesso o alla F.lli Zanuccoli S.a.s. mandati di agenzia che altrimenti avrebbe potuto gestire la Yellow Cab S.a.s.;
2) accertare e dichiarare che la Yellow Cab S.a.s non ha mai provveduto a distribuire utili al socio accomandante Zappalà Agatino e che, in violazione dell’art. 2320 ultimo comma del codice civile ha sempre omesso di fornire comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, impedendo al socio accomandante di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società; e che a partire dal 2004 non ha più tenuto il libro giornale, non ha redatto bilancio di esercizio né ha tenuto il libro degli inventari.
E per l’effetto:
a) condannare il Sig. Zanuccoli Antonino a risarcire la Yellow Cab S.a.s. dell’importo di€056.603,25, così come quantificato nella relazione del CTU;
b) condannare il Sig. Zanuccoli Antonino, in qualità di amministratore e socio accomandatario della Yellow Cab S.a.s., in solido con la società appena citata, a pagare all’attore gli utili relativi al periodo 1986 – 2003, quantificati in€438,11;
c) condannare il Sig. Zanuccoli Antonino, in qualità di amministratore e socio accomandatario della Yellow Cab S.a.s., in solido con la società appena citata, a pagare al Sig. Zappalà Agatino relativamente agli anni 2004, 2005, 2006 e 2007 la somma ritenuta equa di giustizia. Il tutto oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al soddisfo e oltre spese, onorari e competenze del presente arbitrato”.
Parti convenute hanno quindi così concluso […] respinta ogni contraria eccezione, deduzione e richiesta, rigettando la domanda proposta da Zappalà Agatino per i motivi esposti negli atti difensivi,
1) Ritenere la competenza dell’Arbitro sino all’epoca in cui l’attore era accomandante, e, in coerenza, dichiararlo non legittimato oggi, non essendo socio, ad adire la Camera per proporre alcuna azione, a carico di Yellow Cab s.a.s. e del sig. Zanuccoli Antonino, che attenga a fatti successivi alla sua uscita dalla società.
2) In ogni caso, qualora l’attore fosse ritenuto legittimato, dichiarare prescritta, e comunque, infondata l’azione di danni promossa contro Zanuccoli Antonino.
3) In ogni caso, qualora l’attore fosse ritenuto legittimato, dichiarare prescritta, e comunque, infondata la richiesta di pagamento, a carico dei convenuti in solido, di utili della società Yellow Cab s.a.s.
4) Ritenere non di competenza del Tribunale Arbitrale, la domanda nuova che parte attrice ha prospettato quale azione sociale di responsabilità perché tardiva e comunque non connessa con la domanda iniziale., e perché è improponibile secondo la clausola compromissoria che deve riguardare interessi individuali e non interessi a valenza generale, e come tali indisponibili in virtù del meccanismo binario di nomina.
5) Ritenere tale domanda in ogni caso inammissibile perché parte attrice non è legittimata a proporre alcuna azione sociale di responsabilità a carico dell’amministratore della Yellow Cab s.a.s.
6) Ritenere tale domanda prescritta e comunque infondata.
IN VIA RICONVENZIONALE
7) Accertare e dichiarare che Zappalà Agatino non è più socio della Yellow Cab s.a.s. per essere uscito dalla società a causa del mancato ripianamento delle perdite.
8) In subordine dichiarare l’esclusione di Zappalà Agatino per l’inadempienza agli obblighi sociali.
9) Dichiarare, comunque, l’attore tenuto a corrispondere alla società Yellow Cab s.a.s l’importo di euro 64.420,00 (un terzo di euro 193.259,23) corrispondente alla sua quota di perdite secondo il bilancio al 31/12/07 e/o a quella maggiore somma che risulterà dovuta sino alla dichiaranda esclusione. In coerenza condannarlo al pagamento di tale importo. Con rivalutazione e interessi a decorrere da ciascun bilancio.
10) Compensare tale debito soltanto con eventuali crediti accertati.
11) In ogni caso condannare Zappalà Agatino per il risarcimento dei danni causati dal discredito professionale arrecato, per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., e per il mancato affidamento bancario. E tanto nella complessiva somma di euro 100.000,00 o in quella maggiore che risulterà dovuta. Con rivalutazione e interessi sino al soddisfo.
In via istruttoria si insiste nella richiesta di stralcio della documentazione non ritualmente prodotta e negli articoli di prova non ammessi”. […].
* * *
Motivi della decisione
L’eccezione di inammissibilità è infondata. Il presente procedimento si inquadra, infatti, in un arbitrato di tipo amministrato, il quale si svolge sotto il controllo di una istituzione – la Camera Arbitrale e di Conciliazione presso la Camera di Commercio I.A.A. di Catania – che, come tale, non si limita alla nomina degli arbitri, ma che disciplina, con proprio regolamento, la procedura applicabile (art. 832 c.p.c.): l’accettazione di un simile arbitrato amministrato da parte del convenuto non ha potuto dunque che implicare adesione al relativo regolamento di procedura. A norma dell’art. 2, comma 1, regolamento di procedura, infatti, “il procedimento arbitrale è retto dal regolamento in vigore al momento della presentazione della domanda”; allo stesso è dato derogare soltanto in presenza di “regole fissate di comune accordo dalle parti” (oltre che, in ulteriore subordine, dalle regole fissate dal Tribunale Arbitrale). Il riferimento formulato dalla difesa di parte convenuta, contenuto nella memoria di risposta depositata in data 20 giugno 2008, presso la Camera Arbitrale, relativo all’accettazione del giudizio arbitrale “secondo diritto e secondo il rito ordinario previsto dal codice di procedura civile” (memoria cit., p. 29), anche a volerlo intendere quale proposta di una disciplina in deroga al regolamento di procedura emanato da questa medesima Camera Arbitrale, non ha comunque visto perfezionare il comune accordo necessario, ai sensi degli artt. 816-bis e 832 c.p.c., oltre che a norma del regolamento di procedura, per fissare regole in deroga al regolamento di procedura stesso, non avendo l’attore aderito a siffatta proposta di deroga. E il convenuto, proseguendo in questo procedimento arbitrale senza tempestivamente eccepire di accettare il giudizio arbitrale soltanto in presenza di una adesione dell’attore alla richiamata proposta di deroga procedimentale, ha quindi per definizione accettato di sottoporsi al presente procedimento per come retto dal regolamento di procedura proprio della Camera arbitrale.
Deve dunque affermarsi l’applicazione della norma del regolamento di procedura (art. 26) secondo cui, in presenza di tempestiva eccezione di controparte, “il Tribunale Arbitrale decide sul merito delle domande nuove proposte dalle parti nel corso del procedimento” là dove ricorra la condizione secondo cui “la nuova domanda è oggettivamente connessa con una di quelle pendenti nel procedimento”, fermo naturalmente il rispetto del principio del contraddittorio, tramite apposita fissazione di congrui termini (nella specie concessi, come sopra richiamato in punto di svolgimento del procedimento). Trattasi in particolare di regola in linea, sia con la ricostruzione dell’opinione dominante che nega in capo agli arbitri lo ius imperii necessario per imporre alle parti termini preclusivi, quali quelli ex art. 183 c.p.c., sia con l’orientamento della giurisprudenza che esclude in linea di principio la necessaria applicazione delle regole proprie del rito ordinario ove le parti (o l’arbitro) non ne abbiano fatto espresso e concorde richiamo, una volta che sia fatto salvo comunque il principio del contraddittorio (cfr., ex multis, Cass., 8 febbraio 2005, n. 2531). […].
L’eccezione è infondata. L’assunto secondo cui l’azione sociale di responsabilità non possa essere oggetto di giudizio arbitrale perché involgente diritti non disponibili, tali dunque da incontrare il limite di cui all’art. 806, comma 1°, c.p.c., e all’art. 34, comma 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, trova smentita, per opinione dominante, anzitutto, nella sicura disponibilità del diritto per come tipizzata dagli istituti della rinuncia e della transazione dell’azione ex artt. 2393, comma 6°, e 2394, comma 3°, c.c. (e cfr., nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 18 maggio 2007, n. 11658, in motivazione, § 1; Cass., 23 febbraio 2005, n. 3772, in motivazione § 7.1); istituti della rinuncia e della transazione come tali senz’altro configurabili nel tipo societario personale nella specie in rilievo.
La compromettibilità di tale controversia, del resto, ha pure trovato riconoscimento esplicito da parte del legislatore nell’art. 34, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, per il quale “gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti”; norma, questa, applicabile alla società di persone qui in rilievo (arg. ex art. 1, lett. a), d.lgs. n. 5/2003: in termini, Trib. Trento, 8 aprile 2004, in Società, 2004, 996), e segnatamente in relazione al presente procedimento arbitrale amministrato, ove il potere di nomina dell’ufficio arbitrale risulta affidato, giusta art. 34, comma 2, d.lgs. n. 5/2003, a soggetto estraneo alla società, ai sensi dell’art. 12, regolamento di procedura. […].
Il Tribunale non ignora che l’eccezione del convenuto ripropone una opinione che ha trovato accoglimento in parte della dottrina come in parte della giurisprudenza, ma ritiene che – al di là della soluzione da darsi al più generale problema della legittimazione del socio di società personale ad esperire l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori – la questione rilevante nella fattispecie per cui è causa, relativa segnatamente alla legittimazione del socio accomandante di società in accomandita semplice bipersonale a promuovere l’azione sociale di responsabilità contro il socio accomandatario, vada risolta in senso positivo.
La soluzione positiva – secondo la prospettazione attorea – dovrebbe passare dal superamento del principio ricevuto nel nostro ordinamento secondo cui l’azione sociale risarcitoria contro gli amministratori non appartiene alla disponibilità del singolo socio, ma è promuovibile dalla società che la eserciti secondo i procedimenti decisionali e di rappresentanza propri del tipo sociale, restando al socio in quanto tale la sola legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni subiti direttamente dal suo patrimonio per atti o fatti degli amministratori, e non già di riflesso a seguito della diminuzione di valore della relativa partecipazione sociale. Tale principio ha infatti trovato, com’è noto, nella disciplina riformata delle società di capitali, una flessione in materia di gruppi (art. 2497, comma 3°, c.c.), ed una deroga per il tipo della società a responsabilità limitata (art. 2476, comma 3°, c.c.), e, secondo la prospettazione attorea, tali deviazioni dal ricordato principio (e particolarmente quella in tema di s.r.l.) costituirebbero – in linea con accreditata opinione dottrinale, accolta anche in giurisprudenza – regole suscettibili di applicazione analogica nei tipi personali quali punto di emersione di un diverso principio di applicazione generale (ove non disposto altrimenti, come per il tipo s.p.a.), che assegna a ciascun socio la legittimazione individuale all’azione sociale di responsabilità. Trattasi di tesi da tempo argomentata da parte di autorevole dottrina che riconosceva la legittimazione individuale al socio movendo dall’idea che nelle società di persone, in quanto prive di personalità giuridica, i soci si sarebbero posti quali contitolari del patrimonio sociale su cui incide il danno, onde ciascun socio, proprio quale soggetto contitolare di un diritto, avrebbe dovuto poter disporre della legittimazione a far valere il diritto medesimo. Ora, anche a ritenere che questa teorica non incontri piena conferma nell’evoluzione dell’ordinamento (segnatamente sin dal novellato ex art. 2659 c.c., in punto di trascrizione di atti di società personali), perdendo sempre più credito simili distinzioni fra tipi societari sotto il profilo della soggettività giuridica, è comunque indubbio che tale linea di pensiero è tesa a dare soluzione, nel silenzio del legislatore, a situazioni che, in fatto, proprio nei tipi societari di persone, possono sostanzialmente impedire, a fronte dell’inerzia della società, l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori da parte di soci privi del potere di rappresentanza, per i quali il sistema reclama invece tutela (cfr., in senso ammissivo, Trib. Napoli, 3 marzo 2008, in Società, 2009, 889; Trib. Milano, 9 giugno 2005, in Corr. merito, 2005, 883, che richiama i princìpi del mandato; Trib. Milano, 11 settembre 2003, in Giur. comm., 2004, II, 434, per l’ammissibilità dell’azione di responsabilità contro l’accomandatario esperita in via surrogatoria dall’accomandante; Trib. Napoli, 17 aprile 1998, in Società, 1998, 1324, sempre per l’esperibilità in via surrogatoria; e v. anche Trib. Alba, 10 febbraio 1995, in Società, 1995, 828; Trib. Milano, 8 ottobre 1990, in Società, 1991, 57; Trib. Vicenza 25 febbraio 1976, in Giur. it., 1977, I, 2, 794; App. Milano, 18 febbraio 1975, in Casi e materiali (Società di persone), Milano, 1978, 797; Trib. Napoli, 16 febbraio 1967, ivi, 784; App. Trieste, 11 marzo 1960, ivi, 791). È tuttavia da ritenere che il sistema prevede comunque congrue tecniche di tutela, che non impingono il tralatizio principio del nostro ordinamento invocato da parti convenute. Occorre invero muovere dal dato indiscutibile che l’azione risarcitoria de qua è nella disponibilità della società, che la esercita quindi secondo le regole di decisione e di rappresentanza sue proprie, come può evincersi pure dall’art. 2301, comma 3°, c.c., il quale, proprio in caso di inosservanza del divieto di concorrenza, dispone che “la società ha diritto al risarcimento del danno”.
In questo quadro, nel tipo societario dell’accomandita semplice, qui in rilievo, anche a non volere negare che la decisione sul promovimento dell’azione di responsabilità contro l’amministratore rimanga di competenza della collettività dei soci, deve pur sempre riconoscersi che l’accomandatario, quale amministratore, incontra il divieto di concorrere a tale decisione in ragione della sua posizione di conflitto di interessi (arg. ex art. 2373, cpv., c.c.). Nella fattispecie per cui è causa, dunque, trattandosi di società partecipata soltanto da due soci, il socio accomandante dispone per definizione del potere di decisione sul promovimento dell’azione sociale contro l’altro socio accomandatario; e tuttavia, non essendo l’accomandante titolare del potere di rappresentanza della società, che rimane in capo all’accomandatario ancorché non esercitabile per conflitto di interessi, l’azione di responsabilità potrebbe essere esperita, in via diretta, da parte della società soltanto tramite la nomina di un curatore speciale ex art. 78, cpv., c.p.c. Nel presente procedimento arbitrale, l’attore, peraltro, formulando domanda di risarcimento dei danni per violazione di obblighi di non concorrenza da parte del convenuto Zanuccoli per vedere lo stesso condannato alla reintegrazione del patrimonio sociale di Yellow Cab s.a.s., e chiamando in causa la medesima società Yellow Cab, è da ritenere aver esercitato, in via surrogatoria, l’azione spettante alla società, per la tutela del soddisfacimento dei diritti di credito che l’attore medesimo vanta nei confronti della stessa società Yellow Cab, e segnatamente del diritto agli utili, per come azionato nel medesimo procedimento (oltre al diritto alla quota di liquidazione in sede di scioglimento della società, in caso di mancata proroga della società nell’approssimarsi della relativa scadenza, giusta art. 4, atto costitutivo).
Diritti di credito, questi, che giustificano in capo all’attore l’esercizio in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. dell’azione sociale di responsabilità. Ed infatti, per un verso, è nella specie ragionevole il rischio che le richiamate ragioni creditorie dell’attore, agente in surrogatoria, non trovino soddisfacimento in presenza di un accentuato squilibrio economico di medio-lungo periodo della società debitrice, per come accertato dalla CTU (I relazione, p. 8 s.); per altro verso, sussiste l’inerzia – legata, come si è detto, alla struttura stessa della compagine – della società medesima nel promuovere l’azione sociale di responsabilità contro l’accomandatario. Del resto, in presenza dei presupposti di qualificazione della legittimazione surrogatoria all’azione de qua, è da condividere il rilievo emerso in giurisprudenza secondo cui l’esercizio nomine proprio di un diretto alieno non necessiti di formule sacramentali, ma possa ben evincersi, come nella specie, dal complessivo tenore degli atti di causa e dalla relativa fattispecie concreta (in termini, Trib. Napoli, 3 marzo 2008, cit.; Trib. Napoli, 17 aprile 1998, cit.). […].
Deduce segnatamente l’attore che il convenuto Zanuccoli Antonino costituiva insieme a terzi la F.lli Zanuccoli s.a.s. di Zanuccoli Salvatore, avente per oggetto sociale “la rappresentanza, con o senza deposito, di articoli di abbigliamento per uomo, donna e bambini, di produzione italiana ed estera, e di ogni altro genere connesso e conseguente”, partecipando alla stessa sì quale socio accomandante, ma in realtà disimpegnando un’attività di agente di commercio a favore di tale ultima società, e così violando i richiamati obblighi di non concorrenza; deduce pure che il medesimo convenuto Zanuccoli Antonino assumeva incarichi di agente di commercio quale imprenditore individuale, ancora una volta con violazione dei richiamati obblighi di non concorrenza.
Occorre preliminarmente precisare che rimangono in capo all’attore gli oneri sia di allegazione sia di prova dell’inadempimento, venendo qui in rilievo una obbligazione di non fare, onde l’inadempimento si pone come fatto costitutivo della responsabilità: la violazione di un obbligo di non fare costituisce, difatti, fatto positivo, e non già negativo come avviene per le obbligazioni di fare e di dare, onde non potrebbe farsi carico al debitore della prova del costante rispetto dell’obbligo (Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533). Tali oneri sono stati parzialmente assolti dall’attore per quanto segue.
(Omissis). Acquisito dunque che tutte e tre le imprese in discorso operavano sullo stesso mercato delle agenzie di commercio nel settore dell’abbigliamento, il dedotto inadempimento dell’obbligo di non concorrenza, da parte del convenuto Zanuccoli Antonino, ai danni della Yellow Cab s.a.s., dallo stesso amministrata quale socio accomandatario, va partitamente considerato in ragione delle singole imprese mandatarie di incarichi di agenzia in favore delle quali l’attore assume che il convenuto medesimo avrebbe operato violando gli obblighi di non concorrenza più volte richiamati. […].
(Omissis). Occorre anche precisare che il mercato rilevante ai fini dell’accertamento di un rapporto di concorrenza tra le imprese mandatarie di incarichi di agenzia F.lli Zanuccoli e Zanuccoli Antonino (quale imprenditore individuale), da un lato, e la Yellow Cab, dall’altro, non può considerarsi, come invece dedotto dal convenuto, limitato alla specifica linea di articoli di abbigliamento trattata (ora maschile, ora femminile, ora infine per bambini). Ed infatti, se è requisito naturale di un rapporto di agenzia la clausola di esclusiva per la quale la mandataria è obbligata a non assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza (art. 1743 c.c.), è tuttavia, pure ben possibile che l’impresa incaricata del rapporto di agenzia non sia mono-mandataria, ma svolga l’attività di agenzia quale pluri-mandataria – come detto nella specie accaduto – ed allora per più imprese anche non in concorrenza. Ma il punto è, per quanto qui rileva, che Yellow Cab aveva programmato (per oggetto sociale) ed effettivamente esercitato (secondo le sopra richiamate risultanze istruttorie) attività di agenzia nel mercato dell’abbigliamento, senza specifica limitazione ad una od altra linea di prodotti del medesimo mercato dell’abbigliamento; di tal che, il rapporto di concorrenza rilevante ai fini dell’inadempimento di cui alla domanda attorea è quello relativo agli incarichi di agenzia nel settore dell’abbigliamento tutto. […].
La quantificazione del relativo danno va quindi rapportata, alla stregua delle allegazioni attoree, al mancato guadagno subito dalla Yellow Cab, al netto dei relativi costi, per non aver potuto percepire le provvigioni di cui hanno di volta in volta beneficiato la F.lli Zanuccoli s.a.s. e l’impresa individuale di Zanuccoli Antonino, grazie alla violazione degli obblighi di non concorrenza da parte del medesimo convenuto Zanuccoli. Deve in particolare aversi riguardo al calcolo delle provvigioni operato dalla CTU, con metodo induttivo movendo dalla “stampa contabilità F.I.R.R. per ditta”, in considerazione del fatto che l’ammontare del F.I.R.R. (Fondo delle Indennità Risoluzione Rapporto), risultante dalla documentazione ENASARCO per ciascun incarico di agenzia, è calcolato sul totale delle provvigioni corrisposte dai preponenti all’impresa mandataria, secondo date percentuali e in ragione di determinati scaglioni, nel rispetto dei criteri di cui agli accordi economici collettivi di settore, richiamati nella CTU […].
In particolare, la quantificazione dei mancati ricavi è data dalle voci in appresso indicate: (i) in primo luogo, le mancate provvigioni relativamente agli incarichi di agenzia commissionati da imprese preponenti della mandataria F.lli Zanuccoli s.a.s., le quali risultano essere state anche preponenti della Yellow Cab […];
(ii) in secondo luogo, le mancate provvigioni con riguardo agli incarichi di agenzia commissionati da parte di impresa preponente della mandataria F.lli Zanuccoli s.a.s., per i quali incarichi vi è prova del rapporto di concorrenza (v. supra, n. 10) tra Yellow Cab s.a.s. e la stessa F.lli Zanuccoli […];
(iii) in terzo luogo, le mancate provvigioni rispetto agli incarichi di agenzia commissionati da parte di impresa preponente della mandataria impresa individuale di Zanuccoli Antonino, per i quali incarichi vi è prova del rapporto di concorrenza (v. supra, n.10) tra Yellow Cab s.a.s. e la stessa impresa individuale di Zanuccoli Antonino […].
Peraltro, non essendo tali costi suscettibili di prova (o restandone estremamente difficoltosa la prova) nel relativo preciso ammontare, ricorrono nella specie le condizioni per l’applicazione di un criterio equitativo di quantificazione del danno ex art. 1226 c.c. (cfr. Trib. Torino, 15 marzo 2001, in GADI, 2001, 706; Trib. Genova, 19 giugno 1993, ivi, 1994, 368, n. 3036; Trib. Milano, 5 novembre 1987, ivi, 1987, n. 2215; App. Firenze, 26 febbraio 1987, ivi, 1987, n. 2250; Trib. Lecco, 20 aprile 1984, ivi, 1984, 445, n. 1768; App. Bologna, 21 luglio 1981, ivi, 1981, n. 1427; App. Firenze, 16 marzo 1972, ivi, 1972, 596, n. 89), naturalmente al lordo degli oneri fiscali (cfr. Trib. Milano, 5 novembre 1987, ivi, 1987, n. 2215).
Dovendo la valutazione equitativa del danno far riferimento a criteri standard di determinazione dello stesso, e non potendosi dire sul punto presente una tipizzazione giurisprudenziale consolidata per casi analoghi a quello per cui è causa, rinvenendosi nella richiamata giurisprudenza l’applicazione di percentuali forfetarie astratte di redditività d’impresa, per di più con notevoli oscillazioni tra il 9% e il 30% sui mancati ricavi, questo Tribunale ritiene che occorra far riferimento a criteri di valutazione sulla redditività d’impresa non già astratti, e come tali opinabili, bensì quanto più calati nella realtà aziendale di specie. In questa prospettiva, vengono utilmente in rilievo i criteri di determinazione della redditività già noti all’ordinamento tributario, ed in particolare alla disciplina dell’accertamento con adesione (art. 2, comma 4, periodo 2°, d.p.r. 31 luglio 1996, n. 460); criteri che presentano un intrinseco grado di accettabile oggettività da poter assurgere a parametro di massima nella valutazione equitativa del danno per cui è causa. La richiamata disciplina, all’evidenza ispirata dall’esigenza di individuare criteri forfetari di accertamento di valori reddituali, infatti, fissa, sia pure a fini del calcolo dell’avviamento, la nozione di redditività dell’impresa, stabilendo che “la percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d’impresa e i ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo”, stabilendone l’applicazione alla media degli ultimi tre periodi d’imposta. Ora, ricorrono senz’altro nella specie gli elementi per determinare col richiamato metodo la redditività dell’impresa di Yellow Cab s.a.s., posto che, per un verso, il denominatore del rapporto (ricavi) si identifica con l’ammontare delle provvigioni perdute in capo alla Yellow Cab, per come sopra accertato, e che, per altro verso, il numeratore del medesimo rapporto (reddito d’impresa) è relativo al reddito della medesima Yellow Cab per come fiscalmente dichiarato dalla stessa società Yellow Cab per i periodi d’imposta dal 2005 al 2007 (modelli Unico Yellow Cab s.a.s. 2006, 2007 e 2008), quali unici dati disponibili, non sussistendo nel periodo dati contabili attendibili sul piano civilistico (per quanto infra, n. 16).
Facendo quindi applicazione di un criterio omologo a quello normativo sopra richiamato, la percentuale di redditività media dell’impresa di Yellow Cab è da ritenere pari al 9,41%, considerando gli ultimi esercizi per i quali risultano versati agli atti di causa le dichiarazioni fiscali di Yellow Cab stessa […]. Applicando dunque la percentuale di redditività media del 9,41% all’ammontare complessivo dei mancati ricavi di Yellow Cab s.a.s., per come sopra accertati nella somma di euro 1.735.963,00, il danno subito dalla medesima società, per violazione degli obblighi di concorrenza da parte del suo amministratore, e da risarcire da parte del convenuto Zanuccoli Antonino a favore del patrimonio della Yellow Cab s.a.s., è da quantificare nella somma di euro 163.354,11. Tale somma è soggetta a rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, con decorrenza – per ciascun relativo sub-totale di mancati utili (calcolati applicando il superiore coefficiente di redditività del 9,41% sui relativi sub-totali di mancate provvigioni) – dalla chiusura degli esercizi di spettanza delle provvigioni, non percepite da Yellow Cab per come sopra accertato (v. supra n. 12) e secondo i relativi sub-totali indicati analiticamente per anno nella CTU (II relazione, tabelle di pp. 6 ss.). La somma così rivalutata è quindi soggetta ad interessi legali dalla notificazione della domanda di arbitrato sino al soddisfo.
In sede di precisazione delle conclusioni, la difesa sempre di parte attrice ha poi chiesto la condanna del medesimo Zanuccoli “in qualità di amministratore e socio accomandatario della Yellow Cab S.a.s., in solido con la società appena citata”. La difesa di parti convenute però contesta, in quanto “incomprensibile”, la richiesta di condanna al pagamento degli utili a carico del convenuto accomandatario Zanuccoli in solido con la società Yellow Cab dallo stesso amministrata, assumendo che l’accomandatario godrebbe di una posizione autonoma rispetto alla società alla quale soltanto potrebbe essere chiesto il pagamento degli utili.
E tuttavia, se è indubbio che l’obbligazione di distribuzione del pagamento degli utili concreti un debito sociale, è da ritenere che il socio, quale creditore rispetto ad utili non corrisposti, può sempre agire, in sede cognitiva, anche contro il socio accomandatario, per precostituirsi il titolo esecutivo, necessario per escutere il patrimonio dell’accomandatario, in caso di incapienza della società. Resta ferma naturalmente in capo all’accomandatario la possibilità di far valere il beneficium excussionis, nella fase esecutiva (artt. 2304 e 2318 c.c.), eventualmente con l’esperimento dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. (Cass., 15 luglio 2005, n. 15036; Cass.,12 agosto 2004, n. 15713).
È invece nella specie da escludere, nonostante il richiamo in sede di precisazione delle conclusioni della qualità di amministratore del convenuto Zanuccoli, che l’attore abbia proposto azione risarcitoria individuale contro l’amministratore per danno diretto al patrimonio dell’attore medesimo in ragione della mancata distribuzione degli utili, essendo quest’ultima azione per presupposti e conseguenze distinta dall’azione di adempimento alla corresponsione degli utili, la quale, per l’interpretazione complessiva degli atti di causa, è da ritenersi la sola introdotta nel presente procedimento.
P.Q.M.
Il Tribunale Arbitrale, definitivamente pronunciando su ogni domanda e istanza delle parti,
i) dichiara la propria competenza a conoscere della domanda di risarcimento dei danni subiti da Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s., proposta contro il convenuto Antonino Zanuccoli per violazione degli obblighi di non concorrenza di cui in motivazione;
ii) dichiara l’attore Agatino Zappalà legittimato ad esercitare in via surrogatoriaex 2900 c.c. l’azione di responsabilità spettante a Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s. contro il convenuto Antonino Zanuccoli per violazione degli obblighi di non concorrenza di cui in motivazione;
iii) rigetta l’eccezione di prescrizione della medesima azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2941, n. 7, c.c.;
iv) dichiara l’inadempimento del convenuto Antonino Zanuccoli, nella qualità di socio accomandatario e amministratore di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s., in ordine agli obblighi di non concorrenza di cui in motivazione;
v) condanna il convenuto Antonino Zanuccoli, per l’inadempimento di cui sopra (subii), al pagamento in favore di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s. della somma di euro 163.354,11 (centosessantatremilatrecentocinquantaquattro/11), oltre a rivalutazione monetaria per come in motivazione (n. 13) ed interessi legali dalla notificazione della domanda di arbitrato sino al soddisfo.
vi) accoglie la domanda di mero accertamento dell’inadempimento del convenuto Antonino Zanuccoli, nella qualità di amministratore di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s., relativamente agli obblighi di comunicazione annuale, per come specificati in atto costitutivo, del bilancio e del conto dei profitti e delle perditeex 2320, comma 3°, c.c.
vii) in accoglimento parziale dell’eccezione di prescrizione, dichiara prescritto il diritto agli utili conclusivamente azionato dall’attore Agatino Zappalà, in qualità di socio di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s., per il periodo intercorrente dal 1° gennaio 1989 al 10 aprile 1997;
viii) accerta il diritto agli utili conclusivamente azionato dall’attore limitatamente agli esercizi dal 1986 al 2007, non dichiarati prescritti per come sopra (sub vii), nella somma capitale pari ad euro 26.515,77 (ventiseimilacinquecentoquindici/77);
ix) condanna Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s. al pagamento della detta somma capitale di euro 26.515,77, oltre agli interessi moratori come in motivazione (nn. 17 e 13), a favore dell’attore Agatino Zappalà;
x) condanna Antonino Zanuccoli, nella qualità di socio accomandatario di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s., al pagamento in solido degli accertati utili dopo l’escussione del patrimonio socialeex 2304, 2313 e 2318 c.c., per la superiore somma comprensiva di interessi moratori come sub ix);
xi) rigetta la domanda riconvenzionale di esclusione del socio Agatino Zappalà da Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s.;
xii) rigetta la domanda riconvenzionale di rifusione delle perdite di Yellow Cab di Antonino Zanuccoli & C. s.a.s. a carico del socio accomandante Agatino Zappalà;
xiii) dichiara la propria incompetenza a conoscere della domanda riconvenzionale di risarcimento danni per lesione della reputazione professionale e per mancato affidamento bancario di Antonino Zanuccoli;
xiv) rigetta la domanda di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.;
xvi) compensa integralmente tra le parti le spese del presente procedimento e le spese di difesa sostenute dale parti medesime, ricorrendo giusti motivi ex art. 92 c.p.c. come in motivazione (n. 20);
Così deciso in Catania, addì 10 marzo 2010.
(Omissis).
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1. Il caso - 2. Normativa di riferimento - 3. Orientamenti di dottrina e giurisprudenza - 4. Nota di commento - NOTE
Il provvedimento arbitrale che si pubblica offre la possibilità di rivisitare la risalente questione sulla legittimazione del singolo socio di società di persone ad esperire l’azione sociale di responsabilità nei confronti del socio amministratore. La vicenda da cui esso muove può sintetizzarsi nei termini che seguono. Il socio accomandate di una società in accomandita semplice, partecipata soltanto da due soci, agisce in giudizio – arbitrale – per denunciare le gravi irregolarità gestorie ascrivibili alla condotta dell’altro socio, accomandatario e amministratore, nonché per ottenere il pagamento degli utili non distribuiti. L’attore lamenta, nella specie, che l’amministratore, in proprio e quale legale rappresentante della società, avrebbe arrecato danno sia al patrimonio sociale che al proprio patrimonio personale, a causa e in ragione delle violazioni: (i) dell’obbligo di non concorrenza nei confronti della società, di cui all’art. 2301 c.c.; (ii) del diritto di controllo del socio ex art. 2320, 3° comma, c.c.; e (iii) del diritto del socio alla percezione periodica degli utili maturati, ai sensi dell’art. 2262 c.c. Egli assume, pertanto, la configurabilità a carico dello stesso accomandatario di due distinti titoli di responsabilità: il primo verso la società, per il depauperamento del patrimonio sociale cagionato dalla violazione del divieto di concorrenza (responsabilità dunque da inadempimento al contratto sociale e agli obblighi di corretta amministrazione); il secondo nei propri confronti e come coobbligato passivo in solido con la società, per il pagamento degli utili non corrisposti [1]. L’accomandatario amministratore, al contrario, contesta, in via preliminare, la legittimazione attiva del ricorrente all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità e, nel merito, nega di aver mai svolto alcuna attività concorrente con quella della società e censura l’irragionevolezza della domanda di corresponsione degli utili. All’esito delle allegazioni e delle deduzioni delle parti, l’Arbitro unico accoglie parzialmente le istanze di tutela del ricorrente. Le conclusioni alle quali egli perviene, all’esito di un serrato procedimento argomentativo – al quale peraltro non sfugge [continua ..]
I principi di diritto enunciati nel lodo arbitrale investono tematiche che – come si vedrà – sono state (e sono) oggetto di ampio confronto in dottrina e in giurisprudenza e che hanno alimentato dibattiti, i cui esiti non sono ancora, peraltro, del tutto fermi ed assestati. Si tratta, essenzialmente, dei problemi che gravitano attorno ai temi dell’azione di responsabilità e del diritto del socio al controllo e agli utili nelle società di persone, nonché, in via processualmente preliminare, della compromettibilità in arbitri delle stesse materie dedotte in giudizio. a) Cominciando da quest’ultimo tema, l’art. 34, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 regola, com’è noto, il modello di arbitrato c.d. “endosocietario”. La norma prevede che gli atti costitutivi di tutte le società, ivi comprese, dunque, le società di persone – ma ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio – possano contenere clausole compromissorie per la risoluzione di alcune o di tutte le controversie insorgenti tra i soci o tra i soci e la società, aventi ad oggetto diritti disponibili (art. 34, 1° comma, d.lgs. n. 5/2003). Possono, inoltre, essere devolute in arbitrato anche le controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti (art. 34, 4° comma, d.lgs. n. 5/2003). b) L’art. 2260, 2° comma, c.c. disciplina l’azione sociale di responsabilità verso gli amministratori di società semplice per l’inadempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tale disposizione – che, in virtù del combinato disposto degli artt. 2315 e 2293 c.c., si applica anche alla società in accomandita semplice – afferma che la responsabilità degli amministratori è solidale, ma che essa non si estende agli amministratori che dimostrino di essere esenti da colpa. La stessa norma, però, non disciplina l’esercizio dell’azione di responsabilità, né individua espressamente i legittimati attivi ad incardinare il giudizio: se solo la società o anche i singoli soci. A differenza di quanto espressamente previsto nella disciplina della società per azioni e della società a responsabilità limitata, poi, l’articolo riguardato tace pure sulle ipotesi di [continua ..]
Assecondando l’iter logico argomentativo dello stesso lodo, va in primo luogo analizzata la questione della compromettibilità in arbitri dell’azione sociale di responsabilità. a) Com’è noto, con l’introduzione del rito societario ad opera del d.lgs. n. 5/2003 – rito poi abrogato dalla legge n. 69/2009 – il legislatore aveva previsto anche uno speciale arbitrato societario, tuttora in vigore. L’art. 34 d.lgs. n. 5/2003 dispone, infatti, che le controversie interne a tutte le società commerciali (ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bisc.[2]), aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, possano essere devolute, attraverso una clausola statutaria (c.d. clausola compromissoria), alla cognizione di un arbitro, nominato da un soggetto estraneo alla società. Per quanto qui interessa, le questioni rilevanti attengono all’ambito di applicazione dell’art. 34 e alle c.d. condizioni normative interne di compromettibilità [3]. Guardando anzitutto al profilo dei referenti soggettivi della norma, deve rilevarsi che, nonostante il generico rinvio operato dall’art. 34 agli atti costituitivi delle società, l’opinione prevalente si sia indirizzata nel senso che la disciplina dell’arbitrato societario sia applicabile anche alle società di persone, ad esclusione però della società semplice [4]. Per quanto concerne il profilo oggettivo, invece, come è noto, la compromettibilità delle controversie societarie presuppone la disponibilità del diritto ad esse sotteso. Il legislatore delegato, infatti, non ha raccolto la possibilità – concessa dall’art. 12, 3° comma, legge n. 366/2001 – di prevedere, in deroga agli artt. 806 e 808 c.p.c., l’arbitrabilità delle controversie anche in materia di diritti indisponibili; e risulta tuttora controverso, anche in materia societaria, il confine tra diritto disponibile e diritto indisponibile. In giurisprudenza, per valutare la disponibilità del diritto e la compromettibilità della controversia, si fa leva ora sulla natura dell’interesse coinvolto, ora sulla (in)derogabilità delle norme di volta in volta rilevanti [5]. Nella specie, si afferma che se [continua ..]
Contestualizzando la motivazione del lodo in epigrafe nel quadro di sintesi normativo, dottrinale e giurisprudenziale tracciato, sembra meritevole di ulteriore riflessione il tema della legittimazione del socio ad esercitare l’azione di responsabilità. Come riportato in punto di fatto, l’Arbitro unico ha ritenuto che il socio accomandante, sussistendo nel caso di specie i presupposti per l’applicazione dell’art. 2900 c.c., fosse legittimato ad esercitare l’azione sociale di responsabilità in via surrogatoria. A tale conclusione, tuttavia, non sembra precluso affiancare una diversa soluzione: e cioè che, ferma la legittimazione principale in capo alla società, anche l’accomandante – ma, più in generale, il singolo socio di società personali – sia legittimato ad esperire l’azione sociale di responsabilità, nell’interesse della società, in forza di un titolo concorrente di legittimazione [33]. Come già sopra illustrato, si tratta di una posizione sostenuta in dottrina; e le motivazioni ad essa sottese sembrano meritevoli di ulteriore indugio. Nella specie, in questa direzione sembrano valorizzabili (i) la previsione che, nelle società di persone, assegna a ciascun socio il potere di richiedere la revoca giudiziale dell’amministratore e poi (ii) la norma che attribuisce al socio di s.r.l. la legittimazione a promuovere l’azione sociale di responsabilità. I principi e gli interessi sottesi a tali disposizioni sembrano convergere, per l’appunto, nel senso del riconoscimento, nelle società personali, di una legittimazione concorrente del singolo socio ad esercitare l’azione sociale di responsabilità. (i) Come detto, una prima argomentazione muove dalla disciplina della revoca giudiziale dell’amministratore. In particolare, l’art. 2259, 3° comma, c.c., stabilisce che la revoca per giusta causa possa essere chiesta giudizialmente da ciascun socio: e proprio ponendo l’accento su questo potere individuale del socio si è sostenuta la legittimazione del socio ad esercitare anche l’azione sociale di responsabilità [34], osservandosi al riguardo che parrebbe effettivamente incongruo ritenere il singolo socio legittimato a richiedere in giudizio la revoca dell’amministratore, ma non ad [continua ..]