1. Il caso - 2. Normativa di riferimento - 3. Premessa - 4. Brevi cenni sul controllo della Corte dei conti. Dottrina e giurisprudenza - 5. Perseguimento dell’interesse pubblico anche mediante l’uso di strumenti associativi di diritto privato. Dottrina e giurisprudenza - 6. Il commento. Patto di stabilità come strumento di coordinamento della finanza pubblica - 7. Segue: sintesi sugli effetti giuridici determinanti sulle società in virtù dell’art. 13, d.l. n. 233/2006 (Decreto Bersani) - 8. Commento conclusivo - NOTE
La Sezione regionale di controllo per la Calabria della Corte dei conti ha riscontrato alcune perdite in capo a società partecipate dal comune di Reggio Calabria e il mancato rispetto del patto di stabilità interno per la spesa. Il Magistrato relatore ha richiesto al Presidente della Sezione di deferire la questione alla sezione di controllo per l’adozione di una specifica pronuncia ai sensi dell’art. 1, 168° comma, legge 23 dicembre 2005, n. 266 e per sentire dichiarare l’obbligo del comune di Reggio Calabria a riformulare il bilancio di previsione 2006, secondo le indicazioni della Corte dei conti entro il termine consentito dalla vigente normativa. Investita delle questioni la Sezione regionale di controllo per la Calabria con la deliberazione n. 59 dell’adunanza del 17 novembre 2006 ha contestato al comune il mancato rispetto delle previsioni del Patto di stabilità interno e ha previsto, pertanto, il conseguente obbligo di riformulazione delle previsioni del bilancio di previsione 2006; ha disposto, così, il divieto per l’amministrazione comunale di effettuare spese per acquisto di beni e servizi in misura superiore alla corrispondente spesa dell’ultimo anno in cui si è accertato il rispetto degli obiettivi del Patto di stabilità interno, ovvero, ove l’ente sia risultato sempre inadempiente, in misura superiore a quella del penultimo anno precedente ridotta del 10%; ha disposto, inoltre, il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e di ricorrere all’indebitamento per gli investimenti. Al comune è stato imposto l’obbligo di tenere sotto costante osservazione l’evoluzione dei debiti fuori bilancio. Al Consiglio comunale, competente per legge all’assunzione delle decisioni in merito alle partecipazioni societarie, invece, è stato ordinato di verificare la sussistenza di un pubblico interesse al mantenimento delle partecipazioni in società che presentano forti perdite, adottando ogni opportuno provvedimento per evitare di dover concorrere al ripianamento di ulteriori perdite mediante esborso di fondi a carico dell’erario comunale. Inoltre, con particolare riferimento a due delle società partecipate dallo stesso comune, una delle quali – originariamente costituita per la esternalizzazione (c.d. società in house) dei servizi informatici comunali [continua ..]
Art. 104, Trattato Maastricht 7 febbraio 1992 Legge 14 gennaio 1994, n. 20 Art. 110, d.lgs. n. 58/1998 (t.u.f.) Art. 28, legge 28 dicembre 1998, n. 448 D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 Legge 5 giugno 2003, n. 131 Art. 1, commi 166 e segg., legge 23 dicembre 2005, n. 266 Art. 13, d.l. 4 luglio 2006, n. 223 Art. 117 Cost. Art. 119 Cost. Art. 2357 c.c.
Nella sentenza si colgono diversi aspetti interessanti che si cercheranno di esaminare nel modo più schematico possibile. Preliminarmente, l’attenzione sarà rivolta, seppur brevemente, al ruolo che la Corte dei conti, come nel caso in commento, riveste in ambiti in cui l’uso dello strumento societario è adottato dai pubblici poteri; successivamente si esamineranno gli effetti del perseguimento dell’interesse pubblico da parte delle pubbliche amministrazioni sugli strumenti associativi di diritto privato adottati dalle medesime. Inoltre, si esaminerà l’istituto del Patto di stabilità, caratterizzante l’intera gestione finanziaria degli enti, osservando altresì la ratio della previsione legislativa contenuta nella Legge Finanziaria 2006, per poi concludere con una sintesi circa gli effetti giuridici determinati sulle società dall’art. 13, d.l. n. 233/2006.
Rinunciando ad esporre le tappe di un iter complesso ed articolato circa la giurisdizione della Corte dei conti, si cercherà di evidenziarne brevemente gli aspetti che emergono dal caso in esame. Al centro della sentenza vi è il controllo della Corte nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione perseguita mediante modelli di origine privatistica e, nella fattispecie in esame, attraverso l’utilizzo dello strumento societario. Rimandando alle conclusioni l’aspetto relativo all’azione esclusiva della Corte dei conti, che si assume fondata sulle prerogative di controllo della medesima, nei confronti della determinazione della volontà del socio-ente pubblico in merito alla cessione delle partecipazioni nella società di capitali privata, ci si dovrà prima soffermare su due argomenti: la funzione della Corte dei conti riguardo l’attività degli enti locali e la natura dei controlli. Non è questa la sede opportuna per condurre un’approfondita ricostruzione storica, cosicché ci si limiterà a sintetizzare alcune delle tappe rilevanti a tal proposito e ben evidenziate nella sentenza in esame. In primo luogo, si può ricordare che il ruolo istituzionale di controllore delle autonomie locali, già affidato in passato alla Corte dei conti, è stato certamente rafforzato in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione (legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3) e ribadito con la legge 5 giugno 2003, n. 131 (cosiddetta legge La Loggia). Essa assegna formalmente il controllo sulla gestione degli enti locali alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti [1]. Nel quadro attuale, le autonomie locali vengono così sottoposte non solo alla giurisdizione, ma anche al controllo della Corte dei conti; controllo diretto ad assicurare il rispetto degli equilibri finanziari e la corretta gestione delle risorse [2]. La legge 23 dicembre 2005, n. 266 [3] e, in particolare i commi 166 e s. dell’art. 1, a tal proposito, dettano norme in tema di tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, prescrivendo, in particolare, che gli organi degli enti locali deputati alla revisione economico-finanziaria devono redigere e trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione [continua ..]
Secondo quanto affermato nella decisione in esame, il controllo sulla situazione economica e finanziaria delle società partecipate dal comune ha registrato risultati d’esercizio in perdita e un patrimonio netto di valore negativo. Le perdite accumulate dalle società partecipate hanno così generato il dubbio circa la sussistenza di un interesse pubblico del comune a permanere nella compagine societaria. È senz’altro questo uno degli aspetti rilevanti della decisione in oggetto, laddove si legge: «stanti i risultati, rappresenta un obbligo dell’azionista pubblico di maggioranza valutare attentamente la sussistenza di un pubblico interesse a mantenere in vita una società che ha avuto un volume di ricavi pari a zero …». Il frequente utilizzo da parte dell’ordinamento pubblicistico dell’uso di strumenti associativi di diritto privato [15] e segnatamente dello schema societario come modello organizzativo, pone l’attenzione se tali modelli siano comunque idonei a soddisfare l’interesse pubblico [16]. Sul punto la Corte ricorda che la ratio delle disposizioni in materia di società per azioni pubbliche, maggioritarie e minoritarie, contenuta nel Titolo V del Testo Unico degli enti locali (approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) è unicamente quella di migliorare, attraverso l’utilizzo di moduli privatistici, la gestione dei servizi pubblici «che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali». Così ribadisce che deve essere escluso che gli enti locali possano procedere alla costituzione di società per azioni per finalità diverse rispetto a quelle stabilite dalla legge, ivi incluse le finalità esclusive di natura prettamente commerciale ed imprenditoriale. Le prime considerazioni sembrano dover partire, in generale, dalla verifica dell’idoneità degli strumenti di diritto privato utilizzati dall’organizzazione amministrativa a distribuire i compiti fra le partizioni di un apparato amministrativo istituzionalmente deputato allo svolgimento di pubbliche funzioni per poi rivolgere la nostra attenzione sul modello della società mista. Come ha osservato un’autorevole dottrina è necessario, infatti, soffermarsi innanzitutto sugli interessi, [continua ..]
Da quanto fin ora esposto emerge che l’ambito di riferimento del controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti è molto ampio, poiché riguarda sia la regolare tenuta dei conti sia la verifica del rispetto formale e sostanziale degli equilibri di bilancio [21]. A quest’ultimo riguardo è indispensabile l’accertamento del rispetto di due limiti posti agli enti locali, ossia: il patto di stabilità interno e i vincoli all’indebitamento di cui all’art. 119 Cost. Il legislatore ha affidato alle sezioni di controllo della Corte dei conti il compito di vigilare sul rispetto della normativa relativa al patto di stabilità interno, con lo specifico compito di indirizzare alle amministrazioni interessate apposite e specifiche segnalazioni in modo che ciascuna di esse possa assumere, nella propria autonomia e nel rispetto dei vincoli di solidarietà con gli enti che costituiscono la Repubblica, ogni opportuna decisione. Per quanto qui interessa, si esaminerà come sopra anticipato, il ruolo del patto di stabilità interno come strumento di coordinamento della finanza pubblica. Nella sentenza i giudici rilevano, infatti, che con riferimento agli enti locali, ad ogni assunzione di spesa deve corrispondere la relativa previsione di bilancio. Ne consegue l’obbligo del comune di garantire il rispetto delle previsioni del patto sin dal momento della formazione del bilancio di previsione [22], che secondo la definizione della dottrina rappresenterebbe un documento contabile «dal quale risultano tutte le operazioni finanziarie che un dato soggetto economico prevede di poter realizzare in un determinato periodo di tempo» [23]. Per comprendere le regole concernenti il rispetto del patto di stabilità interno è opportuno soffermarsi, seppur brevemente, sull’origine dello stesso [24]. Con l’approvazione del Trattato di Maastricht, gli Stati europei si sono impegnati ad evitare che i bilanci pubblici di ciascuna nazione presentino disavanzi eccessivi. Secondo tale disposto, il principio della finanza sana si è tradotto, pertanto, nel divieto di disavanzi eccessivi [25]. Al fine di rafforzare il vincolo fra i paesi aderenti e dare vita alla moneta unica, nel 1997 nasce il patto di stabilità. Il regolamento n. 1466/1997 crea poi un meccanismo preventivo di controllo sull’evoluzione [continua ..]
Non è possibile giungere alle conclusioni senza avere richiamato l’art. 13 del d.l. n. 223/2006, come convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Non è ovviamente questa la sede più idonea ad approfondire in maniera dettagliata la portata di tale norma. Si cercherà solo di individuarne la ratio, sintetizzarne l’ambito di applicazione e, in ultimo, confrontare la disposizione del decreto Bersani con la disciplina sull’in house providing, al fine di offrire semplicemente spunti pratici sul tema. Occorre premettere che l’art. 13 del decreto Bersani [32] ha posto dubbi in merito alla propria costituzionalità, per due ordini motivi: in primo luogo, sembra che il legislatore nel tentativo di regolare il mercato e quindi tutelare la concorrenza, rischi di invadere l’autonomia organizzativa delle regioni e degli enti locali; in secondo luogo, da alcune pronunce della Corte costituzionale sembrerebbe emergere da un lato, un principio di tutela della concorrenza come «materia trasversale» sulla quale possono agire tutti i livelli di governo e, dall’altro, un principio di tutela della concorrenza come elemento di legittimazione dell’intervento del legislatore statale nell’ambito dell’organizzazione degli enti territoriali [33]. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’analisi si dimostra semplice perché è lo stesso legislatore a definire la ratio della disposizione; infatti, al riguardo è indicativa la norma stessa (art. 13): «al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori». Questa disposizione ha probabilmente voluto inquadrare la norma dal punto di vista costituzionale rendendo esplicito il richiamo alla tutela della concorrenza. Di stesso avviso è una recente giurisprudenza amministrativa, la quale ha affermato che l’intento della norma è quello non solo di tutelare il principio di concorrenza e trasparenza ma anche quello di garantire la libertà di iniziativa economica [34]. Per quanto attiene, viceversa, l’ambito di applicazione della legge, occorre distinguere l’ambito soggettivo da quello oggettivo. Sotto il profilo soggettivo, le disposizioni contenute nell’art. 13 si applicherebbero: «… a società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o [continua ..]
Sono molti gli spunti di interesse offerti dalla sentenza. Si è osservato come la legge 23 dicembre 2006, n. 266 abbia delineato non solo una nuova e significativa modalità di verifica sulla finanza degli enti locali, sia per quanto concerne il rispetto degli obiettivi previsti dalla normativa sul patto di stabilità interno sia per l’accertamento di comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, ma ha altresì stabilito una specifica competenza in capo alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. È emerso inoltre, la natura del controllo della Corte sulla gestione delle pubbliche amministrazioni, in particolare la sua connotazione specifica di controllo avente natura collaborativa, nel senso già chiarito in passato dalla Corte costituzionale con la sentenza 27 gennaio 1995, n. 29 [38]. Due i rilievi di cui tener conto. Il primo concernente l’obbligo in capo al comune di Reggio Calabria di riformulare le previsioni del bilancio 2006 nonché l’obbligo di comunicare alla Corte stessa le necessarie misure correttive, appare ragionevole perché rappresenterebbe la doverosa conseguenza dovuta al mancato rispetto delle previsioni del patto di stabilità interno, per le ragioni sopra evidenziate. Il secondo riguardante l’onere imposto al Consiglio comunale di Reggio Calabria di verificare la sussistenza di un pubblico interesse al mantenimento delle partecipazioni azionarie in società che hanno presentato forti perdite, si dimostra altrettanto legittimo, in ossequio al tradizionale principio della funzionalizzazione dell’attività amministrativa o, principio di funzionalità. Secondo quanto affermato dalla dottrina, infatti, l’amministrazione ha sempre l’obbligo, l’obbligo giuridico, che deriva dalla stessa finalità dello Stato, di agire nello e per l’interesse pubblico. Se l’attività della pubblica amministrazione è finalizzata al soddisfacimento dell’interesse pubblico inteso in senso generale, può dirsi che la funzionalizzazione rappresenta la concretizzazione del fenomeno, per mezzo della quale al singolo ente o soggetto pubblico sono ricollegati fini ed interessi pubblici specifici, proiezione fattuale dell’interesse pubblico generale. Ne deriva che nel momento in cui, come nel caso in esame, i soggetti pubblici [continua ..]