Tribunale di Lucca, Sezione civile, 23 gennaio 2013, – Giuntoli, Presidente – Capozzi, Relatore
Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Cessione d’azienda – Inclusione tra i crediti ceduti del credito risarcitorio vantato dalla società cedente nei confronti di un consigliere d’amministrazione in forza di promossa azione sociale di responsabilità – Esclusione
(Artt. 1260, 2476, 2559 c.c. e 111 c.p.c.)
Nel caso di cessione dell’azienda sociale, il credito risarcitorio vantato dalla società nei confronti dell’amministratore per atti di mala gestio non può ritenersi automaticamente trasferito al cessionario dell’azienda. Quest’ultimo, invece, secondo la decisione in commento, subentra nella titolarità del credito solo quando la cessione dello stesso (i) è stata espressamente prevista dalle parti (o è implicitamente rinvenibile) nell’atto di cessione ed (ii) è stata preventivamente autorizzata dai soci. (1)
(Omissis)
La società imputa al suo ex consigliere d’amministrazione d’averle causato un ingente danno in conseguenza di una condotta omissiva, consistita nella mancata vigilanza, nell’ambito delle funzioni delegategli, sull’operato dell’impiegato amministrativo R.L., che si era reso responsabile in danno della società delle seguenti condotte illecite (anche di rilevanza penale): (a) emissione – nell’anno 2006 e nei primi mesi dell’anno 2007 – di n. 208 assegni con firma di traenza falsificata dello stesso B. (unico legittimato ad emettere assegni per la società), con una sottrazione pari ad euro 399.956,39; (b) emissione di n. 29 bonifici bancari verso soggetti che non avevano effettuato alcuna prestazione in favore di Alfa s.r.l., per una sottrazione di euro 71.659,17; (c) illecito utilizzo di carte di credito aziendali per acquisti e prestazioni effettuate non nei confronti della società, per un danno di euro 6.869,15; (d) furti ed ammanchi relativi al bilancio 2005, per un danno pari ad euro 44.807,00.
Le condotte del L. erano state inoltre causa dell’indeducibilità fiscale di alcuni costi e del pagamento di sanzioni tributarie, per un ulteriore danno a tale titolo ammontante ad oltre 123.000,00 euro. Infine, la società aveva sostenuto costi di “due diligence” per 25.000,00 euro.
Ha chiamato, inoltre, in garanzia A.C. e M.G. – il primo quale amministratore di fatto e dominus della società; il secondo quale altro componente del CdA, che si occupava degli aspetti operativi ed aveva il potere/dovere di esercitare controlli sull’amministrazione – chiedendo che, in tesi, gli stessi fossero condannati direttamente a risarcire i danni alla società e, in ipotesi, fossero tenuti a mallevarlo di quanto eventualmente pagato all’attrice.
Ha proposto, infine, domanda riconvenzionale diretta ad ottenere il corrispettivo a lui spettante, pari ad euro 10.807,50, per i mesi da marzo a luglio 2007, in forza del contratto di collaborazione concluso inter partes in data 27.2.2003.
Prima dell’udienza di discussione ha depositato comparsa d’intervento la società Beta s.r.l., assumendo d’intervenire in giudizio quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, avendo acquistato da Alfa s.r.l. – con atto a rogito di notaio B. di Lucca in data 19.5.2009, n. 73377 di repertorio – il ramo d’azienda costituito “dall’attività d’organizzazione e progettazione di corsi di formazione scolastica e aziendale ed effettuazione di master”, comprensivo di debiti e crediti, tra cui il credito oggetto di giudizio.
5.1. – Va escluso, anzitutto, che la società Beta s.r.l. possa essere qualificata successore a titolo particolare nel diritto controverso. La lettura dell’atto di cessione del ramo d’azienda, di cui al rogito B. del 2009, sopra meglio individuato, non evidenzia affatto la cessione del credito risarcitorio per cui è causa.
Nel contratto non si fa menzione del credito in questione, né esso può implicitamente ritenersi incluso – diversamente da quanto ritenuto dall’interveniente – nella cessione del ramo d’azienda per effetto della formula “il ramo d’azienda viene ceduto nel suo totale complesso, con mobili, arredi, macchinari, marchi e quant’altro oltre che con debiti e crediti …”.
Ogni atto dispositivo dell’azione sociale di responsabilità (rinuncia, transazione, cessione del credito risarcitorio) deve passare, infatti, per una preventiva deliberazione dell’assemblea sociale, della quale non è fatta menzione nell’atto di cessione del ramo d’azienda.
Dal che discende che l’intervento della Beta è inammissibile, difettandone giustappunto il presupposto costituito dalla successione a titolo particolare nel diritto controverso (111 c.p.c.).
5.2. – La domanda riconvenzionale del convenuto B. è improponibile, così come tempestivamente eccepito dall’attrice, siccome oggetto di clausola compromissoria (v. clausola n. 15 del contratto di collaborazione 27.2.2003, prodotto da parte attrice quale doc. 3).
5.3. – L’eccezione di difetto di legittimazione (processuale) passiva è destituita di fondamento, nessuna distonia sussistendo tra le allegazioni dell’attrice (che imputa al convenuto una responsabilità a titolo d’omissione) e il petitum formulato in citazione (condanna del convenuto al risarcimento del danno per omessa vigilanza sul dipendente infedele).
5.4. – L’eccezione di improponibilità della domanda per effetto della nullità della delibera di promovimento dell’azione sociale di responsabilità è destituita, a sua volta, di fondamento giuridico.
Il riferimento alla categoria della nullità non è corretto, giusta la previsione dell’art. 2479-ter, co. 2, c.c., il quale dispone che “qualora possano recare danno alla società, sono impugnabili a norma del precedente comma le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società”.
Ora, al di là del fatto che il socio maggioritario, che concorra alla decisione di promuovere l’azione sociale di responsabilità, non può essere considerato in conflitto d’interessi con la società per il sol fatto che si possa affermare che egli sia un amministratore di fatto, quando l’oggetto della deliberazione riguardi il promovimento dell’azione sociale di responsabilità nei confronti di altri amministratori, e che la delibera in ogni caso non potrebbe considerarsi lesiva (danno eventuale) del patrimonio sociale, essendo finalizzata ad un’attività di ripristino dello stesso, resta il fatto che l’azione d’invalidità deve essere promossa (c.d. onere) dai soci, da ciascun amministratore e dal collegio sindacale, ove presente, a pena di decadenza, entro novanta giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci e che l’invalidità in esame non può essere fatta valere in via d’eccezione, come avvenuto nel caso di specie.
6.1. – Il B. è stato amministratore della società attrice dal 29.11.2002 al luglio 2007. In tale periodo la società è stata amministrata da un consiglio d’amministrazione, di cui il B. è stato prima amministratore e poi anche presidente. Con la delibera del CdA 20.11.2003, con la quale fu nominato presidente, fu delegata al B. (c.d. delega atipica, attuata in difetto di preventiva deliberazione dell’assemblea sociale, così come invece richiesto dallo Statuto di Alfa s.r.l., v. art. 24.3), tutta una serie di attribuzioni, tra cui, per quanto rileva nel presente giudizio, “quelle di effettuare gli acquisti, purché previsti nel budget in essere nel periodo cui l’acquisto si riferisce; disporre il pagamento per le somme dovute ai fornitori, prestatori, professionisti, dipendenti, collaboratori e docenti, anche mediante addebito diretto sui conti correnti esistenti presso il sistema bancario, purché nei limiti dell’importo di euro 10.000,00; di disporre il pagamento di imposte, tasse e contributi dovuti dalla società in dipendenza dell’attività dalla stessa svolta”.
La tesi della società attrice è che il B., nella predetta qualità di presidente del CdA e di consigliere delegato, sia tenuto a rispondere dei danni subiti dalla società a seguito del comportamento del dipendente infedele (rag. L.), meglio descritto nei paragrafi iniziali relativi all’oggetto del processo – dipendente che nell’organigramma della società era immediatamente sottoposto al B. – per aver omesso di vigilare, nell’ambito delle attribuzioni delegategli, sulla gestione sociale e così di rilevare tempestivamente il comportamento illecito del dipendente L.
In altre parole, la società imputa al B. una condotta omissiva che ha consentito al dipendente L. di realizzare i suoi fini illeciti mediante sottrazione – attuata con diverse tecniche – di risorse della società.
La tesi difensiva del B. è che egli ha svolto le sue attribuzioni con diligenza e competenza (v. pag. 8 comparsa di risposta) e che, in realtà, tutte le funzioni decisorie, operative e di controllo erano saldamente mantenute dal socio dr. A.C., vero dominus della società (pag. 11 comparsa di risposta).
6.2. – La domanda è fondata.
6.2.1. – La mancanza di diligenza del B. si apprezza immediatamente ove si consideri che il dipendente L., che era il capo contabile in Alfa ed era sottoposto al B. nell’organigramma sociale (v. doc. 9 prodotto dallo stesso B.), ha compiuto le attività distrattive con atti riferibili allo stesso B. (mediante falsificazione delle firme su assegni bancari o l’emissione di bonifici bancari).
Soltanto il Presidente del CdA (v. delibera CdA del 20.11.2003) aveva il potere di firmare gli assegni per gli importi sino ad euro 10.000,00 e soltanto il Presidente del Cda poteva disporre i bonifici bancari.
Inoltre, come allegato dall’attrice e non specificamente contestato dal convenuto, i libretti degli assegni erano nella materiale disponibilità del B. e conservati in una cassaforte della quale avevano le chiavi soltanto il B. e lo stesso L.
Una verifica periodica dei libretti degli assegni o degli estratti conto trimestrali avrebbe consentito al B. di accorgersi immediatamente degli illeciti del dipendente infedele.
È proprio la tipologia degli illeciti in questione e la loro frequenza (sono stati emessi n. 208 assegni con firma falsificata del B.) a rendere evidente che se il B. avesse esercitato diligentemente le sue attribuzioni si sarebbe accorto subito dell’emissione di assegni con sua firma falsificata e di bonifici da lui non autorizzati o comunque a favore di fornitori inesistenti.
Soltanto una gestione poco attenta e diligente ha consentito la realizzazione dei fenomeni distrattivi per circa un anno e mezzo.
6.2.2. – Irrilevante è in ipotesi – nei confronti della società attrice – che il socio C. esercitasse, di fatto, funzioni di amministratore, poiché ciò non esimerebbe il convenuto da responsabilità nei confronti dell’ente del quale era consigliere d’amministrazione (di diritto).
6.2.3. – La CTU, redatta dal dr. L.C., ha riscontrato soltanto in parte i danni lamentati dall’attrice ed ha evidenziato come, in difetto delle prove documentali indicate nella stessa consulenza, non sia possibile verificare gli addebiti diversi dai fenomeni distrattivi, sulla cui verità storica nessuna contestazione è stata sollevata dal convenuto e sulla cui veridicità depongono le stesse denunce – querele da lui presentate.
Il Collegio si riporta per relationem alla CTU, che è condivisa nel metodo e nei risultati.
Pertanto, la domanda attrice merita accoglimento limitatamente ai danni riferibili a fenomeni distrattivi attuati con l’emissione di bonifici bancari verso fornitori inesistenti e l’emissione di n. 208 assegni con firma falsificata del B. Inoltre, va riconosciuto il danno emergente costituto dai costi di due diligence sostenuti dall’attrice in conseguenza dei fatti illeciti per cui è causa.
Il totale del danno è pari ad euro 416.340,51 (euro quattrocentosedicimilatrecentoquaranta/51).
In questi limiti quantitativi la domanda è fondata e merita accoglimento … (Omissis)
Lo statuto di Alfa s.r.l. (v. doc. 1 di parte attrice) ha modellato la disciplina dell’amministrazione su quella della società per azioni, richiamando, fra l’altro, la disciplina dell’art. 2381 c.c. e prevedendo, in particolare, per quanto interessa ai fini della decisione, la possibilità per i soci di consentire al consiglio d’amministrazione di delegare le proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi membri (art. 24.3).
A parere del Collegio, l’esistenza di siffatta scelta statutaria consente di superare le perplessità manifestate dal precedente giudice relatore nel decreto di fissazione dell’udienza di discussione e di ritenere applicabile analogicamente – per colmare le numerose lacune dell’art. 2476 c.c. – la disciplina delle società per azioni.
La fattispecie in esame pone così il problema della rilevanza della c.d. delega non autorizzata, posto che, in presenza di una delega di attribuzioni dal cda al B., non è stata prodotta la preventiva decisione autorizzativa dei soci.
Com’è noto, prima della riforma del diritto societario, la giurisprudenza di legittimità era ferma nel negare validità alla delega non autorizzata (cfr. Cass. civ. 29/8/2003, n. 12696 [Foro it., 2004, I,3176]; Cass. civ. 4/4/1998, n. 3483 [Società, 1999, 62]), con una soluzione che aveva suscitato un serrato coro di critiche in dottrina, che era invece orientata a riconoscere validità alla delega atipica, fermo restando la sua inidoneità ad escludere la responsabilità solidale di tutti gli amministratori (deleganti e delegati) verso la società.
Certo era tuttavia in tale contesto normativo – sia che si ritenesse valida la delega atipica, sia che la si ritenesse invalida – che essa non era idonea ad escludere la responsabilità solidale dei consiglieri deleganti.
Soltanto se la delega fosse stata preventivamente consentita dall’assemblea dei soci, sarebbe stata idonea ad escludere la responsabilità solidale degli amministratori deleganti per la violazione dei doveri relativi all’esercizio delle attribuzioni delegate, fermo restando la responsabilità degli stessi (quanto alle funzioni delegate) per omessa vigilanza sul generale andamento della gestione delegata o per non aver impedito (o fatto quanto potevano per impedire) il compimento degli atti pregiudizievoli degli amministratori delegati (o per non averne eliminato o attenuato le conseguenze dannose).
La riforma del diritto societario ha introdotto alcune novità di significativo rilievo.
Il novellato art. 2392, comma primo, seconda alinea, c.c. prevede che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri previsti dalla prima alinea, “a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori”.
La formulazione della norma è sensibilmente diversa da quella del precedente testo dell’art. 2392 c.c., che prevedeva la responsabilità solidale degli amministratori “a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori”.
In particolare, il passaggio dalla formula “attribuzioni proprie di uno o più amministratori” a quella “funzioni in concreto attribuite a uno o più amministratori” ha aperto lo scenario a possibili interpretazioni diverse da quella in precedenza dominante, dirette a dare rilevanza esterna anche alla delega atipica.
E, in effetti, l’interpretazione dottrinale prevalente assume che la riforma avrebbe dato rilevanza normativa, con l’espressione sopra esaminata, proprio alla prassi delle c.d. deleghe non autorizzate, sicché anche in tal caso opererebbe l’esclusione del vincolo di solidarietà.
Gli amministratori deleganti sarebbero responsabili – secondo una prima variante esegetica – negli stessi limiti previsti all’art. 2381 c.c. per la delega autorizzata, sicché nessuna differenza sussisterebbe sul piano della disciplina della responsabilità dei consiglieri deleganti tra deleghe autorizzate e deleghe non autorizzate. In base a diversa variante interpretativa, maggioritaria in dottrina, la limitazione prevista dall’art. 2381 c.c., in forma della quale i consiglieri deleganti sono tenuti ad agire in maniera informata e a vigilare sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, non sarebbe applicabile in caso di delega non autorizzata: i consiglieri deleganti sarebbero tenuti in forza del generale dovere di amministrare diligentemente ad esercitare una più penetrante, analitica e continua vigilanza sull’esercizio delle funzioni attribuite in concreto ai consiglieri delegati.
Per la verità non è mancato chi in dottrina ha sostenuto che niente sarebbe cambiato rispetto al passato: l’espressione “funzioni in concreto attribuite a uno o più amministratori” sarebbe equivalente a quella precedente e opererebbe, per assumere rilevanza esimente nei confronti della società, in presenza di una delega autorizzata. Soltanto in tal caso sarebbe escluso il vincolo di solidarietà e gli amministratori deleganti vedrebbero esclusa la responsabilità per le funzioni delegate. In caso di delega non autorizzata, invece, permarrebbe la responsabilità solidale verso la società, fermo restando la necessità di valutare l’incidenza della delega atipica nei rapporti interni in caso di regresso tra i coobbligati, giusto il principio generale di solidarietà di cui all’art. 2055 c.c., applicabile anche in caso di responsabilità contrattuale o quando per alcuni danneggianti la responsabilità abbia natura contrattuale e per altri natura extracontrattuale.
Secondo il collegio è preferibile la prima soluzione interpretativa, nella seconda variante esaminata, perché maggiormente aderente alla formulazione letterale dell’art. 2392, co. 1, seconda alinea, ove l’espressione “funzioni in concreto attribuite” sembra evocare l’assenza di delega autorizzata e recepire il dibattito dottrinale sviluppatosi nel vigore del diritto societario ante riforma e, quindi, dare rilevanza esterna anche alla c.d. delega non autorizzata.
Questa essendo la soluzione interpretativa condivisa dal collegio, ne discende che, derivando la responsabilità del B. dalla violazione di doveri propri alle attribuzioni delegategli dal CdA con la delibera 20.11.2003, l’azione di regresso nei confronti del consigliere delegante (M.G.) non è ammissibile, stante l’esclusione del vincolo di solidarietà.
L’espletata istruttoria ha confermato, almeno in parte, la tesi del convenuto/chiamante in causa.
Esaminando partitamente le prove precostituite e quelle costituende, si può osservare quanto segue.
– a) Il contenuto dei documenti prodotti dal convenuto B. (docc. nn. 4, 9, 10, 12, 14 e ss.) evidenzia che il C. esercitava veri e propri poteri gestori; in particolare, in punto di scelta, assunzione e gestione del personale e di scelta dei fornitori o degli immobili presso i quali esercitare I’attività d’impresa. Dai documenti risulta che nessun dipendente poteva essere (formalmente) assunto dagli amministratori senza il consenso del C., il quale, anzi, era lui direttamente a selezionare il personale e a dare indicazioni agli amministratori (di diritto) in ordine alla tipologia di contratto e al corrispettivo (v., ad esempio, doc. 18 di parte convenuta, mail del C. al B. relativa all’assunzione del dipendente M. P.).
– b) II contenuto degli altri documenti prodotti dal B. (docc. 3, 5, 6, 7, 8, 11, 13) non è espressivo, invece, diversamente da quanto ritenuto dal convenuto, dell’esercizio di poteri d’amministrazione, trattandosi di iniziative compatibili con la figura del socio e con i poteri di informazione, consultazione e controllo ad esso riservati dall’art. 2476, co. 2° c.c.
– c) La conclusione sub a) riceve conferma dall’esame dell’istruttoria orale.
Il teste C. (v. verb. ud. 21/9/2011) ha riferito che era stato collaboratore della società attrice negli anni 2004-2005 per il settore delle autonomie locali e che il suo rapporto di collaborazione era stato deciso dal C., dal quale aveva ricevuto ordini ed istruzioni durante lo svolgimento del rapporto. II teste ha anche aggiunto di aver partecipato diverse volte, in qualità di consulente, a riunioni del CdA. A tali riunioni aveva sempre partecipato anche il C., che, in alcune occasioni, aveva dato direttive ai membri del consiglio, relativamente, ad esempio, ai budget di settore, alle strategie aziendali dei singoli settori, ai fornitori ai quali rivolgersi. II teste ha ancora riferito che il C. era destinatario di report periodici sulla contabilità dei singoli settori e, a suo parere, il B. sembrava che avesse più un ruolo di collaboratore che di amministratore.
La teste B., ex collaboratrice della società attrice, ha riferito di essere stata selezionata dal C., così come tutti i dipendenti assunti successivamente al suo ingresso in Alfa; che era il C. a scegliere i fornitori, a dare il via libera ai pagamenti, e a decidere quando interrompere i rapporti di fornitura e che era sempre il C. che contrattava direttamente con i terzi per la locazione degli immobili presso cui Alfa avrebbe esercitato la sua attività (v. verb. ud. 21/9/2011). Significativa poi è la procedura di pagamento dei fornitori descritta dalla teste: “arrivava la fattura che veniva vistata dapprima dalla Direzione Amministrazione e Controllo, poi passava alla Direzione Master, che, a sua volta, vistava la fattura, quindi passava al C. che dava l’OK e, quindi, il B. poteva effettuare il pagamento”.
L’insieme di questi elementi di prova dimostra che il C. svolgeva di fatto vere e proprie funzioni d’amministrazione, e che tutte le decisioni strategiche per l’impresa (in ordine al personale da assumere e all’organigramma sociale, ai settori nei quali operare e ai relativi budget) erano prese soltanto da lui. Anche la scelta dei fornitori era effettuata dal C. Mentre la gestione dei relativi rapporti (tra cui la gestione dei pagamenti), vedeva la concorrenza di diverse competenze (compresa quella del C.).
Tali elementi comprovano che il C. era amministratore di fatto della società e che egli aveva riservato a se le decisioni di maggiore interesse e la gestione dei rapporti con i fornitori, e che vi era un’interferenza tra tali funzioni gestorie e quelle attribuite al B., quale presidente del CdA. e consigliere delegato, in relazione al governo dei rapporti con i fornitori e, in particolare, alla gestione dei pagamenti.
Tale conclusione non giustifica, però, l’accoglimento integrale della domanda di malleva, non potendo sostenersi che il B. (e, come lui, gli altri amministratori di diritto) fosse pienamente esonerato dalla gestione sociale. Se è vero, infatti, che le scelte gestorie di maggiore interesse erano effettuate soltanto dal C., è altrettanto vero che (per le altre scelte) gli amministratori di diritto, ciascuno nell’ambito del settore delegato in forza di delega atipica (il B. per l’area finanziaria, il G. per l’area operativa), continuavano ad esercitare i propri poteri, sia pure in concorso con il C., donde Ia responsabilità solidale di quest’ultimo (con il B., per i fatti rilevanti nel presente giudizio) ex art. 2392 c.c., comma primo ultima alinea.
In effetti, Ia tipologia di illeciti commessi dal dipendente infedele (L.) era tale che poteva essere agevolmente rilevata sia dal B., trattandosi della falsificazione della sua firma, sia dal C., il quale – scegliendo i fornitori con cui Ia società avrebbe dovuto contrattare e concorrendo alla gestione dei pagamenti, secondo le modalità descritte dalla teste B. – avrebbe potuto anch’egli rilevare agevolmente i fenomeni distrattivi (pagamenti verso fornitori inesistenti).
Non avendo il convenuto offerto precisi elementi per graduare diversamente Ia colpa tra lui e il C., queste si presumono uguali (2055, co. 3, c.c.).
In questi limiti Ia domanda di malleva merita accoglimento.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lucca, decidendo in via definitiva, così provvede:
– dichiara inammissibile l’intervento della Beta s.r.l.;
– dichiara improponibile, stante l’esistenza di clausola arbitrale, Ia domanda riconvenzionale proposta dal convenuto M.B.;
– condanna M.B. a pagare in favore di Alfa s.r.l., a titolo di risarcimento danni, la somma di euro 416.340,51 (euro quattrocentosedicimilatrecentoquaranta/51), oltre rivalutazione monetaria … (Omissis);
– respinge l’azione di regresso promossa nei confronti di M.G.;
– accoglie l’azione di regresso promossa nei confronti di A.C. nei limiti della motivazione e, per l’effetto, condanna A.C. a tenere indenne M.B., nella misura del 50%, di quanto questi sarà tenuto a pagare in favore di Alfa s.r.l. in forza dei precedenti capi del dispositivo e di quello sulle spese (comprese quelle di CTU);
(Omissis)
Articoli Correlati: amministratore/i - profili processuali - cessione d
1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 2.1. Trasferibilità del credito risarcitorio derivante da mala gestio dell’amministratore e profili processuali - 3. Gli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina - 3.1. Operazione di cessione del credito sociale derivante da mala gestio degli amministratori e competenza dei soci - 3.2. Cessione dell’azienda e successione nel credito risarcitorio derivante da mala gestio dell’amministratore - 4. Il commento - 4.1. Il problema del rapporto di pertinenza - 4.2. Conclusioni - NOTE
La società Alfa S.r.l. conveniva in giudizio ex art. 2392 c.c. il proprio ex amministratore, ritenendolo responsabile di mala gestio. Prima dell’udienza di discussione interveniva in giudizio ex art. 111 c.p.c. la società Beta S.r.l., che allegava di essere succeduta nel diritto controverso in seguito all’acquisto dalla società attrice di un ramo d’azienda costituito “dall’attività di organizzazione e progettazione di corsi di formazione scolastica e aziendale ed effettuazione di master”, unitamente ai “mobili, arredi, macchinari, marchi, e quant’altro oltre che con debiti e crediti”. Il Giudice di prime cure, con motivazione estremamente sintetica, dichiarava inammissibile l’intervento di Beta S.r.l. affermando che la generica previsione contrattuale circa il trasferimento dei “crediti” inerenti il ramo d’azienda non era sufficiente a determinare la successione a titolo particolare nel diritto controverso e che, comunque, la cessione di tale credito, così come “ogni atto dispositivo dell’azione sociale di responsabilità”, avrebbe reso necessaria una “preventiva deliberazione dell’assemblea sociale”, di cui invece non si faceva menzione nel contratto di cessione. Il caso in esame consente alcune riflessioni in ordine alla trasferibilità del credito per risarcimento danni vantato da una società nei confronti del proprio amministratore a causa di cattiva gestione e alla sorte di tale credito nel caso di cessione dell’azienda sociale.
L’art. 1260 c.c. dispone la libera trasferibilità di qualsiasi credito [1], fatta eccezione per i crediti aventi carattere strettamente personale e per quelli il cui trasferimento sia espressamente vietato dalla legge (come accade, ad esempio, nell’ipotesi prevista dall’art. 1261 c.c., ove, al fine di evitare speculazione sulle liti, il legislatore esclude che possano essere ceduti a magistrati, cancellieri, ufficiali giudiziari, avvocati e notai i crediti oggetto di controversie sorte avanti l’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni) [2]. La natura personale dei crediti può essere espressamente stabilita o implicitamente desunta dal regolamento convenzionale del rapporto obbligatorio [3]. La sottrazione dei crediti personali al regime di libera trasferibilità si giustifica in ragione dell’esigenza di tutelare il debitore nei casi in cui non sia per questi indifferente adempiere a favore di un soggetto diverso dall’originario creditore [4]. Il credito sarà, quindi, da considerarsi personale e, come tale, non liberamente cedibile, quando l’identità dell’originario creditore assuma rilevanza (economica o di altra natura) in relazione alla prestazione, alla cooperazione richiesta al creditore o ad altri profili meritevoli di tutela giuridica. Si è a tal proposito affermato che sono da considerarsi incedibili perché di carattere personale i crediti derivanti da rapporti familiari e le pretese alimentari [5]. Il credito risarcitorio vantato dalla società nei confronti dell’amministratore che si sia reso responsabile di illeciti gestori, dunque, non sembra sottrarsi al generale regime di libera trasferibilità di cui all’art. 1260 c.c. La prestazione debitoria, infatti, si sostanzia nella corresponsione al creditore di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno ed è tesa esclusivamente alla reintegrazione del patrimonio sociale; non si vede, pertanto, come la natura e il contenuto della prestazione possano essere influenzati in alcuna misura dall’identità del creditore e determinare l’intrasferibilità del diritto di credito. Il carattere controverso del diritto, inoltre, non dovrebbe influenzare la libera trasferibilità dello stesso, dal momento che la disciplina codicistica non richiede che il [continua ..]
A questo punto, occorre verificare se esistono ulteriori limiti specifici alla cessione del credito risarcitorio della società nei confronti del proprio amministratore. Ad avviso del Tribunale di Lucca, qualsiasi “atto dispositivo dell’azione sociale di responsabilità” – ivi inclusa qualsiasi cessione del credito risarcitorio – renderebbe necessaria “una preventiva deliberazione dell’assemblea sociale”. Siccome nel caso in esame l’atto di vendita del ramo d’azienda non conteneva alcun riferimento a tale preventiva approvazione, la cessione del credito oggetto della controversia non poteva ritenersi conclusa a favore dell’acquirente Beta S.r.l. e, pertanto, l’intervento in giudizio di quest’ultima doveva considerarsi inammissibile, difettandone il presupposto sostanziale della successione a titolo particolare nel diritto controverso. Sulla scorta di tali considerazioni, invero piuttosto criptiche, sembrerebbe che, ad avviso del Giudice, non solo l’operazione di cessione del credito de qua avrebbe richiesto una preventiva approvazione, in forma assembleare, da parte dei soci, ma anche che le parti avrebbero dovuto menzionare espressamente l’intervenuta deliberazione assembleare nell’atto di cessione del ramo; di talché, in assenza di tale espresso richiamo nel regolamento contrattuale e, a monte, dell’approvazione dei soci di cui all’art. 2476, 5° comma, c.c., la vendita del credito non poteva ritenersi conclusa. Il passo della sentenza in commento suggerisce l’idea della totale indisponibilità del credito vantato nei confronti dell’amministratore per mala gestio in mancanza di esplicita decisione dei soci o, da altro punto di vista, profila una sorta di sovranità di questi su ogni decisione concernente il credito in discorso. Al fine di apprezzare la correttezza di questa conclusione, appare utile individuare le ragioni che hanno ispirato la disciplina della competenza assembleare concernente l’azione sociale di responsabilità per comprendere se i presupposti della sua applicazione ricorrono anche nel caso di cessione a titolo oneroso del credito sociale vantato nei confronti dell’amministratore. La funzione precipua dell’azione sociale di responsabilità è la reintegrazione del patrimonio sociale danneggiato dagli amministratori; essa, appartenendo alla [continua ..]
Secondo quanto prospettato dal Tribunale di Lucca, la cessione del credito risarcitorio de quo avrebbe potuto ritenersi conclusa solo ove fosse stata espressamente e specificamente prevista dalle parti o, comunque, chiaramente rinvenibile dal regolamento contrattuale. Di tal guisa, la clausola contrattuale che disponeva il trasferimento di tutti i crediti relativi al ramo ceduto – “il ramo d’azienda viene ceduto nel suo totale complesso, con mobili, arredi, macchinari, marchi e quant’altro oltre che con debiti e crediti” – non è stata ritenuta sufficiente a determinare la successione del cessionario Beta S.r.l. nel credito in parola. La sentenza non lascia intendere l’orientamento del Tribunale di Lucca circa la sorte di tutti gli altri crediti aziendali [30]. Sul punto, la giurisprudenza nettamente maggioritaria propende per la successione automatica nei crediti aziendali nel caso di cessione, anche in assenza di un’espressa convenzione contrattuale [31]. Sulla scorta di tale ricostruzione, l’unico presupposto del trasferimento dei crediti sarebbe l’inerenza degli stessi alla gestione dell’azienda mentre, ricorrendo tale presupposto, l’unico ostacolo alla successione del cessionario nei crediti aziendali sarebbe l’espressa volontà contraria dei contraenti. La circolazione automatica, inoltre, riguarderebbe anche i crediti di natura risarcitoria. In tal senso, una recente pronunzia ha affermato il trasferimento automatico unitamente all’azienda di un credito risarcitorio vantato dalla società cedente a norma dell’art. 2395 c.c. nei confronti dell’amministratore di una cooperativa di cui la stessa cedente era socio [32]. La Corte di Cassazione si era già pronunciata sul trasferimento automatico all’impresa cessionaria di crediti risarcitori ex art. 2392 c.c. verso amministratori e sindaci dell’impresa cedente. Segnatamente, in un caso di conferimento di azienda bancaria in una società per azioni, si è affermato che il trasferimento d’azienda – quale complesso di elementi materiali e immateriali organizzati in un’individualità oggettiva per la funzione imprenditoriale – comporta l’automatica cessione di tutti i crediti relativi all’azienda stessa, inclusi quelli aventi natura risarcitoria [33]. Lo stesso approccio è [continua ..]
Il descritto orientamento giurisprudenziale, assumendo la successione automatica del cessionario in tutti i crediti relativi all’azienda o al ramo ceduti, inclusi quelli di natura risarcitoria, circoscrive il sindacato giurisdizionale alla verifica della pertinenza del credito all’azienda. Solo nel caso in cui tale valutazione abbia esito positivo, infatti, il credito potrà ritenersi automaticamente trasferito al cessionario anche in assenza di una specifica disposizione contrattuale. Occorre pertanto approfondire il criterio della pertinenza e la sua pratica operatività perché indispensabile a delimitare il perimetro dei crediti aziendali. A tal riguardo, la giurisprudenza sembra aver adottato una definizione piuttosto ampia dei crediti aziendali, che comprenderebbe tutti i crediti “inventariabili” come parte del patrimonio aziendale al momento della cessione, ovvero tutte le posizioni creditorie idonee a reintegrare beni riconducibili all’azienda. Una recente pronunzia [38] ha infatti chiarito che sono pertinenti all’azienda i crediti “che trovano causa in atti o in comportamenti aventi ad oggetto singoli beni o il patrimonio aziendale nel suo insieme”. Secondo tale arresto, il rapporto di pertinenza riguarda anche i crediti per il risarcimento di danni “provocati al patrimonio dell’azienda medesima dai componenti degli organi amministrativi e di controllo, i quali abbiano violato i doveri loro imposti dalla carica, al pari di qualsiasi analogo credito risarcitorio che la società possa vantare verso terzi o verso chiunque altro”. Sempre in tema di crediti risarcitori vantati dalla società nei confronti dell’amministratore per mala gestio, la Cassazione aveva già prospettato le medesime conclusioni sostenendo la successione automatica del cessionario nel credito sorto nell’esercizio dell’attività aziendale che avesse “a suo contenuto la reintegrazione del patrimonio aziendale del danno sofferto per un’illecita condotta di coloro che avevano il compito di commercializzarne la produzione” [39]. I crediti aziendali suscettibili di trasferimento automatico comprenderebbero, quindi, anche quelli vantati dall’ente nei confronti degli organi sociali quando la responsabilità viene invocata in relazione ad atti di mala gestio direttamente [continua ..]
Alla luce delle considerazioni esposte, sembra possibile prospettare l’iter logico argomentativo che il Giudice avrebbe potuto percorrere per decidere circa l’ammissibilità dell’intervento della Società Beta S.r.l. In primo luogo, sarebbe stato opportuno esaminare il profilo soggettivo dell’operazione per appurare la correttezza del procedimento formativo della volontà in capo alla società cedente e indagare, in particolare, sulla necessità dell’intervento preventivo dei soci ai sensi dell’art. 2476, 5° comma, c.c. L’esame del profilo causale dell’operazione posta in essere da Alfa S.r.l. e Beta S.r.l. avrebbe dovuto far escludere la necessità della preventiva autorizzazione dei soci ex art. 2476, 5° comma, c.c., dal momento che non era riscontrabile nell’operazione de qua la causa e l’efficacia puramente dismissive che, invece, ricorrono negli atti di rinuncia e/o di transazione contemplati dalla previsione codicistica. Come si è visto, l’operazione in esame non comportava la rinuncia all’esercizio del potere sanzionatorio nei confronti dell’ex amministratore ma, piuttosto, perseguiva finalità differenti, quali la monetizzazione del credito controverso e il trasferimento dell’alea del giudizio e del rischio relativo all’insolvenza del debitore ceduto in capo al cessionario-interventore. Esclusa la necessità dell’approvazione preventiva da parte dei soci, il Giudicante avrebbe dovuto esaminare il contenuto del contratto e gli altri elementi raccolti in giudizio per stabilire se le parti avevano voluto sottrarre il credito litigioso in causa all’applicazione dell’art. 2559 c.c. A tal proposito, in presenza di una clausola che prevedeva genericamente il trasferimento di tutti i crediti afferenti il ramo, è plausibile che il credito risarcitorio nei confronti dell’ex amministratore della società cedente dovesse ritenersi automaticamente trasferito al cessionario, legittimandolo di tal guisa ad intervenire in giudizio ai sensi dell’art. 111 c.p.c. Pertanto, in linea con la giurisprudenza prevalente, il Giudicante avrebbe potuto opportunamente considerare il credito controverso in esame astrattamente suscettibile di trasferimento automatico al cessionario ex art. 2559 c.c. Lo scrutinio non avrebbe potuto tuttavia esaurirsi in tale [continua ..]