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1. Premessa e questioni preliminari: scopo lucrativo e attività pubblica. - 2. Le forme organizzative dei ss.pp. a rilevanza economica. - 3. I sistemi di amministrazione e controllo dopo la riforma del 2003. - 4. Tecniche statutarie ed extrastatutarie di realizzazione del controllo analogo. - 5. La disciplina delle imprese partecipate dallo Stato o da Enti pubblici nel codice civile. - 6. Conclusioni. - NOTE
È bene premettere come l’intera materia delle società partecipate da enti Pubblici sia, per me, in fase di metabolizzazione e gli spunti offerti dai relatori che mi hanno preceduto, tra i quali il professor Libertini, hanno ovviamente fornito ulteriori elementi da elaborare. Cito in particolare il professor Libertini perché dalla sua relazione, ma in realtà ancor prima sulla base dei suoi scritti, è nato il dubbio di aver commesso, forse, un errore nell’approcciare al tema affidatomi [1]. Ritenevo, infatti, che operare un raffronto tra società in house e miste, portasse ad operare nella medesima prospettiva legata alla titolarità delle partecipazioni dovendo, quindi, distinguere tra società interamente detenute piuttosto che solo partecipate da Enti pubblici. Alla luce di quanto sostenuto dal professor Libertini, pare opportuno, invece, valutare se, considerata l’evoluzione della giurisprudenza, specie comunitaria, non si tratti piuttosto di concetti che attengono a piani diversi ma che, tuttavia, hanno delle aree di sovrapposizione. L’idea, infatti, che la differenza tra società in house e società miste verta sulla esistenza di una partecipazione totalitaria piuttosto che parziale dell’Ente pubblico e quindi attenga esclusivamente ai diversi assetti societari non sembrerebbe, infatti, immune da osservazioni posto che il c.d. “controllo analogo”, categoria sviluppatasi nell’ambito degli affidamenti in house, non sembrerebbe richiedere, secondo più recenti ricostruzioni, il controllo totalitario da parte dell’Ente affidante [2]. È bene, però, subito precisare che, pur essendo la tesi così autorevolmente proposta, vi è forse spazio per valutare se effettivamente, per le società miste, proprio di controllo analogo si possa parlare o se il controllo dominante richiesto, da essere una sorta di graduazione del controllo analogo, non finisca per differenziarsene in misura tale da costituire una diversa categoria [3]. Tuttavia al fine di procedere ad una, se pur breve, disamina delle clausole in materia di amministrazione e controlli delle società in house e miste pare opportuno, partendo dalle considerazioni sin qui ben più autorevolmente svolte, ridefinire per un attimo il perimetro di indagine. Si tratterà, evidentemente, di richiamare, almeno per cenni, la definizione [continua ..]
Venendo, dunque, alla disciplina dei servizi pubblici a rilevanza economica deve osservarsi come il quadro normativo di questo settore è la riprova di una estrema variabilità determinata oltretutto da valutazioni giurisprudenziali a livello comunitario – la cui rilevanza diretta sugli ordinamenti interni è a tutti nota – e dalla conseguente attività di adeguamento del legislatore interno. Al riguardo merita preliminarmente considerarsi, per un verso, come l’aver confinato l’autoproduzione di servizi pubblici locali in un ambito residuale sia apparso eccessivamente limitativo e sia andato oltre le indicazioni desumibili dal diritto comunitario [11]; per l’altro che le indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria sembrano segnare un percorso che non segue una direttrice lineare poiché, come autorevolmente osservato, rispetto alla sentenza TECKAL del 1999 a partire dal punto di svolta della sentenza TRAGSA del 2007, successive ipotesi ricostruttive sino alla sentenza ACOSET del 2009 (peraltro in linea con la comunicazione della Commissione del 12 aprile 2008) hanno fatto cadere i due pilastri su cui reggeva la costruzione precedente: dominio totalitario e destinazione esclusiva dell’attività. E così, come anticipato, la sovrapposizione dei piani controllo analogo e società mista e la conseguente necessità di valutare i possibili sistemi di amministrazione e controllo anche in società non caratterizzate da partecipazione totalitaria di un solo Ente pubblico [12]. In tale tentativo il riscontro della validità delle valutazioni che seguiranno non ha, concretamente, un parametro certo anche perché taluni risultati cui è pervenuta la giurisprudenza comunitaria, per quanto vincolanti, non appaiono sempre condivisibili. Oltretutto va rammentato che, se per talune ricostruzioni le società miste in cui il partner privato è scelto con gara ad evidenza pubblica (come si andrà a breve a considerare), richiedono la previsione di un controllo analogo “se pur attenuato”, altrettanto autorevole dottrina, che invece espressamente esclude tale necessità [13], ha di converso evidenziato la necessità di assetti statutari di governance ispirati ad una più chiara e netta ripartizione dei compiti esaltando il ruolo tecnico gestionale del socio privato. Entrambi i tipi [continua ..]
Come anticipato è opportuno, a questo punto, ed in ragione degli aspetti sin qui richiamati, dare un quadro, se pur approssimativo, dei profili relativi al sistema di amministrazione e controllo dato dal Legislatore della riforma del 2003 per le società per azioni ed a responsabilità limitata che qui interessano. Innanzitutto due elementi “caratterizzanti” pare opportuno richiamare. Primo: per le s.p.a. parrebbe necessario segnalare la competenza gestoria esclusiva dell’organo amministrativo. A tal fine sembra sufficiente qui ricordare il primo comma dell’art. 2380-bis, c.c. novellato che, nel costituire l’unica significativa novità rispetto al corrispondente art. 2380 ante riforma, in modo lapidario statuisce che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori ai quali è riservato il compimento degli atti necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale. La netta separazione che la riforma avrebbe sancito tra competenze assembleari da un lato e competenze gestorie dall’altro è poi ribadita per i sistemi di gestione alternativi, dualistico e monistico, pure introdotti nel 2003, rispettivamente agli artt. 2409-novies e septiesdecies, c.c. Mentre in passato si riteneva che ai soci fosse consentito di modulare i poteri dei due organi a seconda di specifiche esigenze concrete, oggi sembrerebbe preclusa la possibilità di conferire all’assemblea specifiche funzioni gestionali in virtù di espressa previsione statutaria ed anche per volontà degli stessi amministratori. Si tratta di modifica che, per quanto non scevra da critiche, di certo tende a definire con chiarezza e precisione i compiti e le responsabilità degli organi sociali. Ne fa pendant l’art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c. che, nel riscrivere gli ambiti di competenza dell’organo assembleare nelle società prive del Consiglio di sorveglianza, esclude qualsiasi interferenza di detto organo nell’esercizio delle funzioni di amministrazione, potendo essere statutariamente demandata all’assemblea solo l’autorizzazione al compimento di determinate operazioni da parte degli amministratori ferma, in ogni caso, la responsabilità di questi per gli atti compiuti. In ordine a tale aspetto deve però segnalarsi come secondo talune autorevoli ricostruzioni – operate anche sulla scorta di rilievi di diritto [continua ..]
Nella prassi poi si sono anche utilizzate delle costruzioni tese a realizzare una situazione di controllo analogo attraverso organi atipici (c.d. Comitati di controllo analogo) la cui legittimità è stata anche avallata da talune pronunce giurisprudenziali. Tale prassi troverebbe legittimazione nella norma comunitaria che consentirebbe all’autonomia statutaria di creare modelli di organizzazione atipici senza necessità di verificare la loro compatibilità con la disciplina societaria. In realtà il prof. Libertini ha evidenziato come proprio dalla lettura dell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008 si poteva evincere come una simile interpretazione non fosse condivisibile e come la previsione dell’art. 2449 c.c. dimostri le incompatibilità insite nell’attribuire all’ente pubblico socio diritti amministrativi diversi da quelli spettanti all’organo amministrativo “ufficiale” [23]. In sostanza, nella società per azioni, deve quindi valutarsi il grado di imperatività dell’art. 2380-bis c.c. in precedenza richiamato. Ma nell’affrontare tale questione non può sfuggire che il problema dell’esistenza o meno del controllo analogo e degli strumenti giuridici che lo garantiscono è un problema di diritto interno e che il sistema delle società di capitali è caratterizzato da un tasso di imperatività che non consente di porlo su di un livello inferiore alla normativa comunitaria. Evidentemente la questione presuppone, poi, una ulteriore valutazione che, per quanto pacifica, ritengo meriti un atteggiamento forse più critico da parte dell’interprete come suggerisce l’opinione di chi [24] ritiene che nel caso di società interamente pubbliche non vi dovrebbe essere alcun bisogno del controllo analogo (non fosse altro perché si tratta di società fuori dal mercato). Tuttavia secondo la giurisprudenza unanime il potere di nomina degli amministratori non sarebbe sufficiente a garantire il controllo analogo dell’ente affidante sulla società affidataria. In concreto l’autonomia degli amministratori non dovrebbe poter andare al di là della mera gestione corrente mentre l’alta amministrazione dovrebbe esser riservata, in qualsiasi forma idonea, all’Ente Pubblico o agli Enti Pubblici associati. Ed in tale prospettiva la necessità di [continua ..]
Merita ora richiamare, se pur per brevi cenni, le tematiche legate alla previsione dell’art. 2449 c.c. L’art. 2449 si inquadra in una tendenza del legislatore volta a ridimensionare l’influenza della partecipazione pubblica nelle imprese. Giova intanto osservare, a conferma di quanto già evidenziato [31], come anche negli studi che si sono occupati del fenomeno, nel tentativo di definizione della società con partecipazione dello Stato o di altri Enti Pubblici, è emersa l’impossibilità di condurre il fenomeno ad unità. Una prima questione è tuttavia collegata all’applicabilità dell’art. 2449 a modelli diversi dalla s.p.a. Ci si è quindi chiesti se sia possibile una applicazione analogica per le s.r.l. Nell’affrontare le varie tematiche è stato evidenziato come normalmente la nomina dei componenti degli organi amministrativi avviene in sede assembleare (v. art. 2368), ma come sia già prevista la possibilità di regole particolari (ad esempio voto di lista) tuttavia non extrassembleari. Il principio di proporzionalità, cui l’art. 2449 consente di derogare, costituisce una applicazione del principio plutocratico. Normalmente una partecipazione del 50% del capitale sociale comporta il diritto di nominare l’intero organo ed in tal caso non c’è interesse all’applicazione dell’art. 2449 c.c. (al più potrebbe esservi interesse del socio privato di minoranza) che, viceversa, diviene rilevante in caso di partecipazione minoritaria. In ragione delle diverse fattispecie astrattamente ipotizzabili si è così valutato: – se vi è solo maggioranza relativa (in assenza di voto di lista) vi è interesse ad utilizzare l’art. 2449 pur nel rispetto della proporzionalità (ma in questo caso sarebbe sempre meglio un numero fisso dei componenti dell’organo amministrativo); – se è previsto il voto di lista la proporzionalità va valutata nel complessivo (tra i membri del consiglio direttamente nominati e quelli garantiti con voto di lista) e potrebbe portare alla inibizione dal presentare una propria lista; – se non c’è maggioranza relativa ma voto di lista, nel presupposto di una composizione numerica fissa del c.d.a. e nel rispetto del principio della proporzionalità, alla partecipazione pubblica può [continua ..]
Volendo ora tentare di tirare le fila dalle considerazioni sin qui svolte, appare opportuno rimarcare come la prospettiva risulti certo più articolata ove si ritenga di dover garantire il “controllo analogo” anche nelle società miste, quanto meno in relazione alle decisioni strategiche. La necessità di confrontarsi con quelli che sono i dati desumibili dalla giurisprudenza comunitaria non consente, tuttavia, di giungere a risultati pienamente convincenti; difatti se già per le società interamente detenute da Enti pubblici sembrerebbe non sufficiente il controllo che è connaturato alla posizione di “socio unico” ogni soluzione diversa dall’essere l’amministrazione affidata allo stesso socio potrebbe apparire non idonea. Ma, evidentemente, ciò precluderebbe comunque la scelta del tipo s.p.a. posto che anche la necessità di autorizzazioni preventive da parte del socio potrebbe, nell’ottica di certa giurisprudenza, rivelarsi non sufficiente a garantire il controllo analogo, né sembrerebbero idonee scelte orientate verso sistemi di amministrazione alternativi introdotti dal legislatore della riforma societaria che, comunque, non garantirebbero l’ingerenza diretta del socio nell’amministrazione. Tuttavia, anche svalutando del tutto la possibilità che l’Ente pubblico mantenga con il suo rappresentante, sia che lo rappresenti quale socio sia che ne sia espressione quale amministratore, un rapporto comunque di matrice pubblicistica, appare difficile sostenere che all’Ente non venga comunque garantito un controllo analogo a quello che esercita sui suoi uffici non fosse altro attraverso il potere di sostituzione. Evidentemente, diversamente ragionando, la pervasività del controllo utilizzando gli strumenti “societari” potrà poi essere fissata a seconda che debba avere ad oggetto le sole scelte strategiche o anche l’attività giornaliera, il c.d. day to day, potendosi graduare all’interno di questi due estremi. In tale ottica autorizzazioni assembleari, se combinate con l’indicazione stringente dell’oggetto sociale, potrebbero garantire, quanto meno, che non vengano compiute operazioni in contrasto con la missione. Diversamente il mero potere di nomina abbiamo visto non dovrebbe mai considerarsi sufficiente. Unica alternativa, altrimenti, sarebbe quella del [continua ..]