<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Le clausole modificative nei contratti di stock options: indagine empirica, natura ed esame di una fattispecie rilevante (di Vassilios Roberto Dragani)


SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Il contratto di stock option. - 3. L'informativa al mercato in materia di stock options. L'informativa preventiva. - 4. L'informativa continua e successiva, con particolare riguardo alle modificazioni sopravvenute. - 5. L'indagine empirica. Il campione utilizzato. - 6. Grado di diffusione e principali caratteristiche dei piani di stock options fra le società quotate dell'Indice FTSE Mib. - 7. Le clausole modificative contenute nei piani analizzati. - 8. La natura delle clausole modificative e la divisione di competenze fra assemblea e organo amministrativo. Considerazioni generali. - 9. Le modificazioni disciplinate ex ante. Le clausole di performance. - 10. Le clausole relative alla cessazione del rapporto di lavoro o collaborazione. - 11. Le clausole relative alle operazioni di hedging. - 12. Le modificazioni regolate ex post. Ambito di applicazione e legittimità di tali modificazioni. - 13. Esame di una fattispecie rilevante: le modificazioni a seguito di aumento oneroso del capitale. Il Piano Snam Rete Gas. - 14. Segue. La rettifica del piano a seguito dell’aumento oneroso di capitale. - 15. Considerazioni a margine delle modificazioni dei piani di stock options a seguito di aumento oneroso di capitale. - 16. Segue. Confronto con la disciplina prevista per le obbligazioni convertibili e i warrants azionari. - 17. Impossibilità di estensione analogica del diritto di opzione come forma di tutela compensativa. - 18. Rettifica delle condizioni come unica e più efficace forma di tutela per i beneficiari del piano ed eventuale rimedio risarcitorio in caso di danno da inadempimento. - NOTE


1. Introduzione.

I piani di stock options in senso stretto sono stati introdotti in Italia verso la fine degli anni Novanta [1], quando alcune caratteristiche dell’ambiente competitivo e istituzionale ne hanno favorito la diffusione [2]. Paradossalmente, tali strumenti si sono diffusi nel contesto societario italiano proprio quando, negli Stati Uniti, l’opinione pubblica e parte della dottrina iniziavano a metterne in discussione l’efficacia [3]. Sul tema delle stock options, e più in generale della remunerazione degli amministratori e dirigenti di società quotate si è espressa più volte anche la Commissione delle Comunità Europee, fornendo, anche recentemente, diverse Comunicazioni e Raccomandazioni [4]. A livello nazionale, il tema delle stock options ha avuto ampio spazio in dottrina sia giuridica che economica [5], e il dibattito sull’opportunità di questa forma di remunerazione ha assunto anche di recente grande rilevanza [6]. L’obiettivo che si prefigge il presente lavoro è quello di approfondire, in particolare, un tema ancora poco trattato dalla letteratura in materia, e cioè le clausole modificative contenute nei piani di stock options; si comincerà dall’analisi delle clausole negoziali a riguardo, contenute in un campione rappresentativo di piani esaminato [7], per poi definire in via generale le caratteristiche di tali previsioni. Sarà opportuno, in via preliminare, tuttavia, delineare i tratti essenziali delle stock options, quale figura contrattuale, e indagare, alla luce delle critiche mosse nei confronti di questo strumento, l’effettiva diffusione dei piani di stock options fra le società italiane [8].


2. Il contratto di stock option.

Per piano di stock option si intende il contratto bilaterale di durata, intercorrente fra la società e l’amministratore o il lavoratore dipendente, con cui si assegna ai secondi il diritto di acquistare o sottoscrivere titoli rappresentativi del capitale della prima (o di altra società del gruppo) ad un prezzo predeterminato (strike price) [9] e successivamente ad un periodo di tempo prefissato (vesting period) [10]; in conformità al meccanismo tipico della proposta irrevocabile, il beneficiario, in quanto oblato, è libero di esercitare o meno il suo diritto, mentre la società è vincolata a far acquistare i titoli oggetto della convenzione [11]. Il diritto d’opzione è assegnato a titolo gratuito [12], con scopo d’incentivazione, sicché la posizione del beneficiario differisce da quella del normale acquirente di un’option call sul mercato, perché questo è tenuto a versare un corrispettivo, il premio, mentre quello non sostiene alcun costo iniziale. Questa peculiarità del contratto di stock option comporta alcune importanti conseguenze: innanzitutto non è un contratto oneroso e l’assenza di un corrispettivo specifico per la consegna dei diritti di opzione esclude la sinallagmaticità del rapporto ad essi relativo, differenziandosi così dal contratto di option, che risulta essere invece a prestazioni corrispettive [13]. L’efficienza motivazionale non si esplica tanto all’atto di attribuzione gratuita del diritto, quanto piuttosto durante la vita dell’opzione stessa, atteso che le potenzialità di guadagno sono misurate dalla probabilità che, entro la scadenza stabilita, il titolo sottostante si rivaluti sul mercato rispetto al prezzo pattuito al momento della concessione dell’opzione. In virtù di questo meccanismo, pertanto il comportamento degli amministratori è orientato ad accrescere il valore di mercato del titolo, agendo in una direzione che, mentre soddisfa il proprio interesse personale, parimenti tende a soddisfare l’interesse degli azionisti alla massimizzazione del valore azionario dell’impresa [14]. Le stock options destinate ai lavoratori dipendenti, perseguono, invece, finalità diverse, e cioè principalmente quelle di: – creare un forte senso di coinvolgimento nei dipendenti, rendendoli più [continua ..]


3. L'informativa al mercato in materia di stock options. L'informativa preventiva.

Nel nostro ordinamento un insieme composito di norme – primarie, secondarie e di fonte autoregolamentare – disciplinano la natura, il volume e il flusso di informazioni che devono essere fornite agli azionisti e al mercato con riferimento alle stock options destinate agli amministratori e ai dipendenti. Un primo complesso di disposizioni concerne l’informativa preventiva, vale a dire le informazioni che devono essere fornite agli azionisti e al mercato prima dell’adozione di un piano di stock option, mentre un secondo complesso di norme disciplina gli obblighi informativi spettanti all’emittente durante la vita del piano di incentivazione. Appare utile a questo punto analizzare le regole in esame nell’ordine cronologico con cui si presentano, partendo dal momento anteriore all’approvazione assembleare del piano fino al momento in cui il piano cessa di esistere. Il contenuto dell’informativa preventiva al mercato che gli emittenti strumenti finanziari quotati o diffusi tra il pubblico in materia rilevante devono fornire in occasione dell’appro­va­zio­ne assembrare dei piani di stock options [16] a favore di esponenti aziendali, dipendenti o collaboratori della società emittente e di altre società del gruppo [17] è disciplinato dal primo comma dell’art. 114-bis t.u.f., introdotto dall’art. 16 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, successivamente modificata dal d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303 [18]. Questa disciplina è integrata dalle previsioni attuative di cui all’art. 84-bis, 1° e 4° comma, Reg. Emittenti e di cui allo Schema 7 dell’All. 3A al medesimo Regolamento, in vigore dal 1° settembre 2007 [19]. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 114-bis t.u.f. e 84-bis Reg. Emittenti, l’emittente, innanzitutto, deve mettere a disposizione dei soci, del pubblico e degli organi di controllo, almeno quindici giorni prima del termine fissato per l’assemblea convocata per 1’approvazione dei piani, la relazione che accompagna la proposta del consiglio di amministrazione in ordine all’approvazione o all’adozione dei piani (c.d. documento informativo) [20]. Tale documento deve contenere le informazioni indicate dal 1° comma dell’art. 114-bis t.u.f., che sembrano costituire un contenuto minimo essenziale [21]. Queste informazioni sono ulteriormente ampliate [continua ..]


4. L'informativa continua e successiva, con particolare riguardo alle modificazioni sopravvenute.

Accanto a quanto appena descritto, sono previsti a carico dell’emittente altri obblighi informativi successivi al momento di approvazione del piano e perduranti fino alla fine dello stesso. L’art. 78, 1° comma, Reg. Emittenti prevede, innanzitutto, l’obbligo di indicare nominativa­mente nelle note integrative al bilancio, e secondo i criteri stabiliti nell’All. 3C Reg. Emittenti, i compensi corrisposti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo e ai direttori generali e, in modo aggregato, quelli corrisposti ai dirigenti con responsabilità strategiche, a qualsiasi titolo e in qualsiasi forma, anche delle società controllate [37]. La norma cardine, tuttavia, in materia di obblighi di comunicazione relativi ai piani di compensi già approvati è l’art. 84-bis, 5° comma, Reg. Emittenti. Tale disposizione prevede a carico degli emittenti stru­menti finanziari aventi sede legale in Italia [38] l’obbligo di informare il pubblico, senza indugio e con le modalità previste nel Capo I Reg. Emittenti e nel comma 1, lettera b), dello stesso art. 84-bis Reg. Emittenti, delle «a) decisioni dell’organo competente inerenti l’attuazione dei piani di compensi basati su strumenti finanziari già approvati dall’assemblea dei medesimi emittenti, riportando le informazioni di cui all’Allegato 3A, Schema 7, per le materie oggetto di decisione e la tabella n. 1 prevista nel paragrafo 4.24 dell’Allegato 3A, Schema 7, compilata sulla base dei criteri ivi indicati; b) degli adeguamenti intervenuti a seguito di operazioni straordinarie sul capitale e di altre operazioni che comportano la variazione del numero degli strumenti finanziari sottostanti le opzioni, indicati nell’Allegato 3A, Schema 7, paragrafo 4.23 [39], riportando i dati rettificati nella tabella n. 1 prevista nel paragrafo 4.24 dell’Allegato 3A, Schema 7». L’art. 84-bis, 5° comma, lett. b), Reg. Emittenti, oltre a introdurre un concetto “dinamico” [40] di informazione sociale relativa ai piani di stock options, farebbe presumere la necessaria modifica dei piani stessi al verificarsi di determinate operazioni sociali. Si ricordi, comunque, che le modificazioni sopravenute, ai sensi dell’art. 114, 1° comma, t.u.f. sono oggetto di specifico e ulteriore obbligo informativo, qualora integrino la fattispecie di [continua ..]


5. L'indagine empirica. Il campione utilizzato.

Il problema della difficile reperibilità di informazioni in materia di piani di stock options in generale, ma anche e, soprattutto, delle modificazioni sopravvenute in seguito alla loro approvazione, ha costituito fino all’entrata in vigore dell’art. 114-bis t.u.f. e del relativo provvedimento di attuazione contenuto nell’art. 84-bis Reg. Emittenti [42] un forte ostacolo alla realizzazione di ricerche sistematiche e complete aventi ad oggetto le principali caratteristiche dei piani di incentivazione azionaria. Ci sono stati, tuttavia, seppur nell’ambito di un progetto di ricerca più ampio, contributi volti ad indagare sul grado di diffusione e sulle principali clausole contenute nei contratti di stock options posti in essere dalle società quotate in Borsa Italiana [43]. Scopo di questa indagine è quello di costituire in via generale un aggiornamento sulla diffusione dei piani di incentivazione in Italia, e, in via particolare, quello di far luce su un fenomeno, ancora poco trattato, che è quello delle clausole modificative contenute nei piani di stock options. Il campione oggetto di indagine è costituito dalle 39 società quotate nell’indice FTSE Mib della Borsa Italiana ed ha come riferimento temporale gli ultimi 3 anni (il triennio 2007-2010). Dal punto di vista soggettivo questa scelta è stata motivata dalla rilevanza in termini di capitalizzazione di tali società all’interno del mercato azionario italiano, nonché dalla presenza di informazioni complete e accessibili in materia di piani di azionariato; mentre si è ritenuto che un arco temporale di 3 esercizi sociali si confaccia all’esigenza di delineare un quadro chiaro e il più possibile preciso del fenomeno, che si caratterizza per un’evoluzione necessaria in più esercizi sociali. Le informazioni sono state raccolte principalmente dai documenti informativi, redatti ai sensi dell’art. 84-bis Reg. Emittenti, ma anche dalla nota integrativa al bilancio, ex art. 78 Reg. Emittenti.  


6. Grado di diffusione e principali caratteristiche dei piani di stock options fra le società quotate dell'Indice FTSE Mib.

I risultati dell’indagine svolta mostrano come il 79% delle società abbiano adottato almeno un piano di stock option negli ultimi 3 anni, percentuale che diminuisce leggermente (72%) se si prende in considerazione un arco temporale più breve, coincidente con l’ultimo esercizio sociale. Dal punto di vista della durata complessiva dei piani, la totalità delle società ha optato per un orizzonte temporale medio-lungo, compreso fra 5 e 11 anni [44]; la maggior parte degli emittenti hanno adottato piani di durata complessiva pari a 6 anni (40%), una buona percentuale di essi hanno scelto un periodo complessivo più lungo, corrispondente (7,5%) e superiore (22,5%) agli 8 anni, mentre il 15% delle società esaminate hanno implementato piani con durata pari a 5 anni. Il periodo di vesting nella maggior parte dei piani analizzati (64%) è fisso, e compreso fra 1 e 5 anni dalla data di assegnazione delle opzioni, con una netta predominanza (67%) di un periodo di maturazione pari a 3 anni; solo nel 9% dei casi si osserva un periodo di maturazione inferiore, mentre una discreta percentuale delle società esaminate (22%) ha optato per un periodo di vesting superiore. Si nota che nel resto dei piani esaminati (36%) è prevista una maturazione scaglionata dei diritti, di modo che ad intervalli di tempo regolari divenga esercitabile solo una certa percentuale delle opzioni assegnate. Il periodo di esercizio dei diritti si pone, invece, all’interno di un intervallo che va da 1 a 8 anni, con netta prevalenza dei piani con un periodo d’esercizio medio-lungo, ossia di tre (32%) e 5 anni (21,4%) anni; una discreta percentuale degli emittenti (17,9%) ha adottato come periodo di esercizio un arco temporale più lungo, mentre solo il 14,2 % di essi un periodo inferiore ai 3 anni. Per quanto riguarda il prezzo d’esercizio dell’opzione, la maggior parte degli emittenti (92%) ha adottato il criterio della media aritmetica dei prezzi ufficiali di Borsa, rilevati nel mese solare precedente la data di assegnazione [45], mentre in due casi si sono prescelti criteri di determinazione dello strike price differenti; una società ha stabilito il prezzo d’esercizio delle opzioni nel valore del titolo sottostante alla data di approvazione del piano da parte dell’As­sem­blea, e, un altro emittente, infine, lo ha determinato tenendo conto della media [continua ..]


7. Le clausole modificative contenute nei piani analizzati.

Prima di analizzare nello specifico il contenuto e la diffusione delle clausole modificative presenti nei piani di incentivazione esaminati, occorre fare alcune classificazioni preliminari. Innanzitutto, le previsioni modificative possono essere distinte in base alla loro attitudine a modificare l’intero piano di azionariato, con effetti nei confronti di tutti i beneficiari indistintamente, ovvero ad incidere sul contenuto dei singoli rapporti contrattuali. Esse, poi, possono disciplinare ex ante l’esatto contenuto della modificazione che si perfezionerà al verificarsi di determinate situazioni o eventi, o, semplicemente, demandarlo a una futura previsione. Come si vedrà meglio in seguito [46], solitamente, le modificazioni già disciplinate dettagliatamente ex ante, all’interno del contratto originario, sono quelle che, a certe condizioni, incideranno sui singoli rapporti, mentre le clausole modificative, che potranno avere effetto sul­l’in­tero piano di azionariato, non troveranno, nella maggior parte dei casi, una disciplina dettagliata in sede di predisposizione del contratto di stock option. La causa di questa scelta potrebbe rinvenirsi nella difficoltà dell’emittente di prevedere in anticipo, in sede di implementazione di un piano di incentivazione, tutti i possibili avvenimenti atti a modificare i diritti nascenti da un piano di stock option e di fornirne una esatta disciplina [47]. Ciò premesso, si riporteranno, ora, le clausole modificative contenute nei piani di stock options analizzati, partendo dalle previsioni, che, per loro natura, sono atte a modificare il contenuto dei singoli rapporti, e nello specifico le clausole di performance, quelle relative alla cessazione del rapporto di lavoro, e quelle di hedging [48]. Si approfondirà, invece, nel prossimo paragrafo, più in dettaglio la natura giuridica delle clausole modificative qui esaminate. La prima clausola modificativa analizzata, presente nella maggior parte dei piani esaminati (72%), consiste nella c.d. condizione di performance. Posto che, intrinsecamente, i diritti connessi ad un piano di stock option hanno la caratteristica di essere convenienti e quindi esercitabili solo a condizione che il valore degli strumenti sottostanti alla data di assegnazione sia inferiore al valore degli stessi alla data di esercizio, prevedendo quindi un’implicita condizione di performance [continua ..]


8. La natura delle clausole modificative e la divisione di competenze fra assemblea e organo amministrativo. Considerazioni generali.

Prima di procedere con la trattazione delle singole fattispecie modificative è necessario chiarire alcuni concetti essenziali. Innanzitutto bisogna chiedersi quale sia la sorte di un piano di stock option a seguito di una qualsiasi variazione più o meno sostanziale; e cioè, se esso possa essere rettificato, mantenendo la sua natura originaria, o se sia necessario predisporre un nuovo piano e annullare quello precedente dopo aver predisposto modifiche che ne alterino la portata originaria; quale sia l’or­gano competente alle modifiche, ma anche e soprattutto, che tipo di tutela sia prevista per i beneficiari del piano che non abbiano ancora esercitato il loro diritto, e come possono essere qualificate dal punto di vista più strettamente giuridico le modificazioni avvenute. Su questi interrogativi il legislatore non si è espresso chiaramente, lasciando all’interprete il compito di ricostruire la fattispecie. Bisogna sottolineare, in primis, che la delibera assembleare di approvazione di un piano di stock option non è revocabile, in quanto vi osta la sussistenza di diritti di terzi ad essa correlati, nella specie ravvisabili nei diritti (potestativi) dei beneficiari del piano all’ottenimento di una posizione sociale che la società ha irrevocabilmente offerto [63]. Da questa premessa dovrebbe concludersi che la società non possa annullare unilateralmente il piano successivamente alla sua approvazione, e che, per l’annullamento e la predisposizione di un nuovo piano sostitutivo di quello precedentemente deliberato, sia necessario il consenso dei titolari delle opzioni, il quale potrà, tuttavia, manifestarsi sia in modo espresso che tacito. Nel regolamento contrattuale si potrà prevedere, tuttavia, una clausola di recesso unilaterale [64] ai sensi dell’art. 1373 c.c., la quale attribuisca alla sola società emittente il potere di recedere unilateralmente dal contratto, “annullando” in concreto il piano già approvato, salve le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (ex art. 1373, 2° comma, c.c.) [65]. Una clausola di questo tipo a favore del beneficiario delle opzioni, invece, non avrebbe nessuna utilità, dal momento che la mera inattività di quest’ultimo sarebbe sufficiente per precludere gli effetti giuridici del contratto [66]. Una volta stabilito questo primo [continua ..]


9. Le modificazioni disciplinate ex ante. Le clausole di performance.

Una delle previsioni più ricorrenti [79] all’interno dei piani di stock options è la clausola che subordina l’effettivo esercizio delle opzioni al raggiungimento totale o parziale di alcuni obiettivi di natura contabile o aziendale [80]. La finalità principale di queste clausole è quella di legare realmente la retribuzione degli amministratori e dei dirigenti agli effetti positivi apportati alla società e agli azionisti dalla loro attività, creando così un nesso tra gli esiti dell’attività decisionale e la creazione di valore economico [81]. Opzioni azionare, con prezzo d’esercizio prestabilito, che maturano indipendentemente da altre condizioni, possono procurare, infatti, lauti guadagni ogniqualvolta il mercato cresca, anche se ciò sia dovuto a variabili esterne (ad es. fenomeni di inflazione, fluttuazioni di mercato o trends relativi ad un certo settore industriale o finanziario) [82]. Si correrebbe, così, il rischio di attribuire compensi sproporzionati rispetto ai risultati realmente conseguiti e a scapito degli azionisti. Nell’ottica di legare realmente la retribuzione degli amministratori agli effetti positivi apportati alla società e agli azionisti dall’attività gestoria, il piano potrà essere strutturato nel senso di subordinare l’esercizio delle opzioni al raggiungimento di obiettivi aziendali specificamente individuati, oppure di un certo indice di redditività, o ancora in modo da agganciare il prezzo di esercizio alla variazione di un indice di mercato. In questo modo si potrà valorizzare una delle principali istanze portate avanti, negli ultimi anni, dal dibattito internazionale e dalle best practices in materia di remunerazione degli amministratori; e cioè l’esigenza che la remunerazione sia adeguata, nel senso di soddisfare le esigenze degli amministratori al massimo profitto, ma anche ragionevole, ossia non eccessiva rispetto alle performances, nell’in­teresse degli stakeholders e in primo luogo degli azionisti alla tutela a alla creazione di valore della partecipazione [83]. La dottrina economica [84] ha largamente dibattuto su quali condizioni di performance meglio si prestino al perseguimento di tali obiettivi, arrivando, anche, a metterne in discussione l’ef­fi­cacia in generale [85]. Dal punto di vista più [continua ..]


10. Le clausole relative alla cessazione del rapporto di lavoro o collaborazione.

Il rapporto professionale che lega il beneficiario di un piano di incentivazione alla società emittente costituisce un elemento fondamentale del contratto di stock option [108]. È chiaro, quindi, che, con l’interruzione di esso, la finalità incentivante ricollegata al piano viene meno, perdendo il contratto la sua causa originaria [109].Tuttavia, ci sono ipotesi di cessazione c.d. normale del rapporto, quali il pensionamento o la morte del beneficiario, e altre non imputabili a una condotta dello stesso. Generalmente, nei contratti di stock options [110] vi è una distinzione fra le ipotesi di cessazione del rapporto definite bad leaver e quelle good leaver [111]. Nei primi casi, solitamente [112], si prevede la decadenza dal diritto ad esercitare le opzioni assegnate, mentre, negli altri, si conserva in capo ai beneficiari (o ai loro eredi), seppur, entro certi limiti, il diritto ad esercitare le opzioni [113]. Le clausole che prevedono la decadenza dei diritti assegnati in caso di cessazione del rapporto di lavoro hanno natura di condizione risolutiva unilaterale [114]. La condizione, infatti, è apposta solo a vantaggio della società emittente, la quale ha lo specifico interesse a che l’ex dipendente o amministratore non consegua il vantaggio derivante dall’esercizio delle opzioni, senza aver contribuito, secondo quanto stabilito nel piano, alla creazione di valore dell’im­pre­sa [115]. L’evento dedotto in condizione dovrà soddisfare, come detto in precedenza [116] con riguardo alla condizione sospensiva di performance, i requisiti della futurità e dell’incertezza [117], oltre a quelli della liceità e della possibilità. Dato che, a differenza della condizione sospensiva di performance, la clausola risolutiva, relativa alla cessazione del rapporto, per sua natura non potrà essere mai accompagnata da un termine, si avrà la pendenza della condizione fino al termine naturale del contratto. Tale termine coinciderà con l’esercizio da parte del beneficiario di tutte le opzioni assegnateli, o, qualora ciò non avvenga, con il termine ultimo previsto per l’e­ser­cizio delle stesse. Come si è fatto per la condizione sospensiva di performance, è utile esaminare, anche nei confronti di questa clausola, se e in che misura si applichino le [continua ..]


11. Le clausole relative alle operazioni di hedging.

L’hedging [121] è una pratica che consiste nell’effettuare una o più operazioni di copertura per proteggersi dai rischi legati ad un altro investimento. In tal modo un soggetto ridurrà o annullerà il rischio derivante da una posizione aperta. Un’operazione di hedging si realizza solitamente mediante l’acquisto o la cessione di uno o più contratti il cui valore sia legato alla stessa fonte di rischio che condiziona il valore della posizione da coprire. Si capisce l’importanza che potrebbe assumere, al fine di tutelare e massimizzare l’effetto incentivante collegato ad un piano di stock option, una clausola che preveda la decadenza dal diritto ad esercitare le opzioni per chi abbia compiuto operazioni atte a neutralizzare il rischio intrinseco ad esse collegato [122]. Una tale previsione, tuttavia, è assai poco frequente nei piani esaminati [123]; essa ha natura di condizione risolutiva unilaterale del contratto [124]. L’interesse alla base dell’evento condizionante, infatti, è unicamente della società, mentre il beneficiario avrebbe un interesse e un vantaggio economico rilevante al mantenimento delle opzioni. Per quanto riguarda le norme a tutela della’aspettativa, durante la fase di pendenza della condizione, si fa riferimento, con riguardo all’applicazione degli artt. 1356-1358 c.c. alla condizione risolutiva di hedging, a quanto sopra riportato relativamente alla condizione risolutiva in caso di cessazione del rapporto di lavoro [125]. È utile, invece, porre l’attenzione su quanto disposto dagli artt. 1359 e 1358 c.c. Come già ricordato [126], la norma di cui all’art. 1359 c.c. disciplina il caso della “finzione” di avveramento della condizione, per cui la condizione si considera avverata se sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva un interesse contrario al suo avveramento. Dal punto di vista soggettivo, questa fattispecie troverà applicazione al caso di nostro interesse, in quanto il titolare dei titoli opzionari sarà, pacificamente, configurabile quale parte portante un in interesse contrario all’avveramento della condizione risolutiva di hedging. L’importanza di questa disposizione, nei confronti del caso in esame, va ravvisata nell’ulteriore tutela, prevista ex lege [127], offerta alla società, nel caso di [continua ..]


12. Le modificazioni regolate ex post. Ambito di applicazione e legittimità di tali modificazioni.

Se nessun dubbio può essere mosso sulla validità di clausole che regolino dettagliatamente vicende modificative del contratto di stock option, qualche perplessità si ha nel momento in cui la possibilità di modificare il piano viene rimessa all’arbitrio futuro di una sola parte, con una specifica disposizione contrattuale in tal senso. Questo avviene nella maggior parte dei piani di stock options [135], nei quali viene affidata ad una successiva ed eventuale determinazione dell’organo amministrativo la possibilità di modificare il contenuto contrattuale, in occasione di operazioni straordinarie o sul capitale [136]. Nel sistema del nostro codice civile non è presente una disciplina specifica riguardo alla fattispecie di “modificazione unilaterale del contratto” [137], ma quest’istituto è presente in altre disposizioni di legge [138] ed è stato oggetto di un’attenta ricostruzione da parte della dottrina [139]. La possibilità concessa alle parti di convenire clausole che accordino soltanto a una di esse la possibilità di modificare i contenuti dell’accordo originario, anche nota come ius variandi, è in astratto ritenuta legittima dalla dottrina pressoché totalitaria [140]. Questo tipo di accordi, del resto, appare pienamente conforme alla nozione di “autonomia contrattuale” che sta alla base del nostro sistema: le parti “possono liberamente determinare il contenuto del contratto” (art. 1322, 1° comma, c.c.) e quindi ben possono liberamente accordare a una di esse uno ius variandi esercitabile ad libitum [141]; naturalmente anche questa attribuzione di poteri unilaterali di modifica del rapporto contrattuale deve soggiacere ai limiti generali che condizionano la validità di qualsiasi accordo e deve essere esercitata secondo correttezza e buona fede [142]. Parte della dottrina e della giurisprudenza aveva obiettato, tuttavia, che lo ius variandi convenzionale non poteva essere ritenuto compatibile col principio dell’accordo quale fonte della regola contrattuale, ai sensi degli artt. 1321, 1325 e 1372 c.c., in quanto in contrasto con il principio di bilateralità del consenso e di vincolatività del rapporto [143], e che una siffatta clausola attributiva di un potere di modifica unilaterale, esercitabile secondo mero arbitrio, sarebbe [continua ..]


13. Esame di una fattispecie rilevante: le modificazioni a seguito di aumento oneroso del capitale. Il Piano Snam Rete Gas.

Dopo aver descritto in linea generale la natura delle diverse clausole modificative dei contratti di stock options, di seguito si fornirà un esame dettagliato delle modificazioni dei piani, a seguito di aumento oneroso del capitale, partendo dalla trattazione di un caso concreto, il Piano Snam Rete Gas 2008. L’Assemblea degli azionisti di Snam Rete Gas ha approvato in data 27 aprile 2006 un piano di stock option per il periodo 2006-2008, autorizzando il Consiglio di Amministrazione a disporre fino a un massimo di 9.000.000 azioni proprie in portafoglio, pari a circa lo 0,46% del capitale sociale. Le opzioni sono state assegnate ai destinatari in tre tranches. Nella prima assegnazione, avvenuta il 26 luglio 2006, sono state attribuite in totale 2.597.500 opzioni al prezzo d’esercizio di euro 3,542. Il 24 luglio 2007 il Consiglio di Amministrazione ha assegnato 2.326.500 opzioni a un prezzo d’esercizio pari a euro 4,322. L’ultima assegnazione è avvenuta il 29 luglio 2008, con cui sono state attribuite complessivamente 2.597.000 opzioni al prezzo d’esercizio di Euro 4,222. Il Piano di stock option 2006-2008 prevede una condizione di performance ai fini dell’esercizio delle opzioni. Al termine di ciascun triennio di vesting, il Consiglio di Amministrazione determina il numero di opzioni esercitabili, in percentuale compresa tra zero e 100, in funzione del posizionamento del Total Shareholders’Return (TSR) del titolo Snam Rete Gas rispetto a quello di sei principali Utilities europee quotate e operanti in mercati regolamentati. Le opzioni possono essere esercitate dopo tre anni dall’assegnazione (periodo di vesting) e per un periodo massimo di tre anni (periodo di esercizio); decorsi sei anni dalla data di assegnazione, le opzioni non esercitate decadono e conseguentemente non attribuiscono più alcun diritto all’assegnatario.


14. Segue. La rettifica del piano a seguito dell’aumento oneroso di capitale.

dove: Prezzo uff. “cum” = prezzo di mercato prima dell’avvio dell’operazione; In data 29 luglio 2009, a seguito di un aumento di capitale a pagamento di Euro 3.500.000, il Consiglio di Amministrazione ha deliberato di rettificare il prezzo di esercizio delle opzioni mediante applicazione del fattore di rettifica AIAF (Associazione Italiana Analisti Finanziari), pari a 0,82014723. Il numero delle opzioni attribuite e il prezzo d’esercizio è stato modificato applicando gli schemi di seguito esposti. I parametri di rettifica Eex= Ecum ´ K dove: Eex   = prezzo di esercizio dopo la rettifica; Ecum = prezzo di esercizio prima della rettifica. Il coefficiente K viene calcolato, secondo il metodo della parità teorica del diritto [153], facendo riferimento al seguente schema: dove: Prezzo uff. “cum” = prezzo di mercato prima dell’avvio dell’operazione; Prezzo teorico “ex diritto” =  dove: V = Numero di azioni vecchie; N = Numero di azioni nuove; P.sott. = prezzo di sottoscrizione delle azioni sottostanti dove: Aex   = Numero dei titoli (lotto) dopo la rettifica.    


15. Considerazioni a margine delle modificazioni dei piani di stock options a seguito di aumento oneroso di capitale.

La disciplina che emerge dall’analisi empirica suesposta consiste nell’applicazione di indici di rettifica al prezzo d’esercizio e al quantitativo dei titoli assegnati per contenere gli effetti distorsivi [154] creati da operazioni di aumento di capitale. È opportuno precisare che, mentre il decremento del valore patrimoniale e della redditività delle azioni costituisce effetto normale, ma non necessario, dell’operazione sul capitale, la diluizione dei diritti amministrativi connessi alla partecipazione rappresenta una conseguenza inevitabile, che incide sfavorevolmente sulla posizione dei sottoscrittori potenziali. Si può parlare, dunque, di un duplice effetto diluitivo [155] causato da operazioni di aumento di capitale: uno che incide sulla posizione amministrativa del futuro sottoscrittore, e l’altro sulla sua posizione economica. L’obiettivo, quindi, degli indici di rettifica consiste nel ripristinare le condizioni precedenti alla delibera assembleare di approvazione dell’operazione. Tale disciplina non trova una trattazione specifica in nessuna norma di legge, e gli unici riferimenti a disposizione dell’interprete si ritrovano nel punto 4.23 dello Schema 7 dell’All. 3A al Reg. Emittenti [156], in cui è previsto solamente un obbligo informativo riguardo alle modalità utilizzate dagli amministratori per “gli aggiustamenti resi necessari a seguito di operazioni straordinarie sul capitale e di altre operazioni che comportano la variazione del numero di strumenti sottostanti, e nell’art. IA.9.1.7, 1° comma, delle Istruzioni al Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana S.p.A., nel quale viene data la facoltà di rettificare uno o più degli elementi caratterizzanti l’op­zione. Nel Piano esaminato, non veniva fornito alcun criterio riguardo ai criteri di rettifica che sarebbero stati utilizzati per adeguare il piano a seguito delle operazioni straordinarie, potendosi configurare così, in via teorica, una violazione del disposto contenuto nello Schema 7 dell’All. 3A Reg. Emittenti. A questa conclusione si giunge fornendo un’interpretazione, in un certo senso rigida, della norma di cui all’art. 84-bis, 5° comma, lett. a), Reg. Emittenti per cui è necessario riportare nel dettaglio tutti gli elementi indicati nello Schema 7, All. 3A; tale interpretazione parte [continua ..]


16. Segue. Confronto con la disciplina prevista per le obbligazioni convertibili e i warrants azionari.

I titoli utilizzati per la predisposizione di un piano di stock option, come è stato descritto in precedenza [158], sono opzioni contrattuali, che conferiscono al portatore il diritto di acquistare o sottoscrivere un quantitativo prefissato di azioni della società emittente, a un prezzo d’esercizio e a una data prestabilite al momento della conclusione del contratto. Com’è noto, nel nostro ordinamento non esiste una specifica disciplina che preveda come debbano essere regolati tali rapporti in presenza di operazioni straordinarie e più nello specifico di operazioni di aumento del capitale; è presente, invece, una specifica trattazione di tali fenomeni riguardo alle obbligazioni convertibili in azioni. Prima di procedere con la descrizione delle previsioni dettate per le obbligazioni convertibili, è utile, tuttavia, mettere in luce quali sono gli elementi di comunanza di questi strumenti con i titoli opzionari sottostanti a un piano di stock option. Il rapporto sottostante all’obbligazione convertibile può essere definito un duplice rapporto. Vi è, come per le obbligazioni comuni, un mutuo dell’obbligazionista alla società emittente e, al tempo stesso, un patto di opzione, che ha per oggetto la novazione del rapporto di mutuo in rapporto di società [159]: l’emittente si vincola nei confronti dell’obbligazionista, ad una proposta irrevocabile di novazione, mentre l’obbligazionista ha, per tutto il periodo della conversione, facoltà di accettare o meno la proposta [160]. È proprio quest’ultimo aspetto, e cioè la facoltà di acquisire, a determinate condizioni già prefissate, una partecipazione sociale, che caratterizza sia il diritto di conversione spettante ai titolari di obbligazioni convertibili sia il diritto di opzione spettante ai beneficiari di un piano di stock option. Ciò premesso, si procederà a un confronto con le previsioni previste per le obbligazioni convertibili e i warrants azionari, per arrivare alla definizione di una disciplina applicabile ai piani di stock options, a seguito di modificazioni dovute ad operazioni di aumento del capitale sociale. L’art. 2441 c.c. prevede, al secondo periodo del primo comma, che i possessori di obbligazioni convertibili abbiano un diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione [161]. Viene in questo modo [continua ..]


17. Impossibilità di estensione analogica del diritto di opzione come forma di tutela compensativa.

Tornando ora all’analisi delle forme di tutela possibili per i titolari dei diritti di opzione, nell’ambito di un piano di stock option, si possono ritenere valide le stesse obiezioni mosse riguardo all’inapplicabilità in via analogica del diritto di opzione, concesso agli obbligazionisti convertibili, ai portatori di warrants. Il carattere di norma eccezionale attribuito all’art. 2441, 1° comma, secondo periodo, c.c., comporta la sola applicabilità della fattispecie in via legale, e non dovrebbe ammettere non solo la sua applicazione per estensione analogica, ma anche nessuna deroga in via negoziale. Detto ciò, bisogna chiedersi ora se sia da considerare valida ed efficace un’eventuale clausola predisposta dagli amministratori, nell’atto di esercizio del loro potere unilaterale di modifica sul piano, la quale attribuisca ai titolari delle stock options un diritto di opzione proporzionale sui titoli di nuova emissione. Il quesito sembra meritare risposta negativa, in quanto l’organo amministrativo appare privo del potere di disporre dei diritti di opzione spettanti ai soci sulle future emissioni azionarie, sicché la clausola con la quale se ne promettesse l’assegnazione in quota ai sottoscrittori potenziali, a scopo anti-diluitivo, dovrebbe reputarsi nulla, o per lo meno, inefficace fino all’intervento della delibera assembleare sull’esclusione parziale dell’opzione degli azionisti [179].


18. Rettifica delle condizioni come unica e più efficace forma di tutela per i beneficiari del piano ed eventuale rimedio risarcitorio in caso di danno da inadempimento.

Una volta chiarito che il rimedio della concessione del diritto d’opzione in misura proporzionale alle opzioni possedute non può risultare applicabile nei confronti dei beneficiari di un piano di stock option, occorre stabilire quale forma di tutela si presti a mantenere inalterata la situazione economica dei possessori dei titoli opzionari a seguito di operazioni sul capitale, e nello specifico di un aumento di capitale a pagamento. Come si ha già avuto occasione di dire [180], non essendoci una disciplina legale specifica in materia, si partirà dall’esame della disciplina negoziale applicata, per arrivare a stabilire in via il più possibile generale ed astratta norme applicabili a tutte le modificazioni dei piani dovute ad aumenti di capitale. Ebbene, dall’analisi della prassi in materia, emerge l’utilizzo di criteri di rettifica, che incidono sul numero delle opzioni attribuite, sul prezzo d’esercizio o su entrambi. Tali modalità di rettifica seguono quanto suggerito dall’art. IA.9.1.7, 1° comma, delle “Istruzioni al Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti da Borsa Italiana S.p.A.”, in materia di rettifica dei contratti di opzioni su azioni, in cui si prevede che a seguito di operazioni sul capitale e/o straordinarie possano essere rettificati “uno o più dei seguenti elementi”, e cioè, il prezzo d’esercizio, il numero di azioni sottostanti, la tipologia delle azioni da consegnare e il numero delle posizioni in contratti. Come abbiamo accennato in precedenza, queste disposizioni non costituiscono un vincolo per la società, la quale, quindi, potrebbe adottare diversi metodi di tutela per i titolari delle stock options, ma il fatto che siano previste da una fonte regolamentare, seppure non in modo imperativo [181], pare essere sentore della preferenza di questo strumento rispetto ad altri rimedi negoziali. Accanto a questa forma di tutela per così dire negoziale, bisogna analizzare almeno due ulteriori profili. Da un primo punto di vista si potrebbe ipotizzare in capo alla società almeno un dovere informativo nei confronti dei possessori di opzioni già esercitabili [182], i quali in questo modo sarebbero in grado di scegliere con piena consapevolezza fra l’esercizio del diritto di sottoscrizione e la sua conservazione, con contenuto sostanziale parzialmente mutato. Tale forma di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2011