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1. Introduzione: le ragioni della revisione del Codice. - 2. Il ruolo e composizione del Consiglio di amministrazione. - 3. I comitati endoconsiliari. - 4. Il nuovo sistema dei controlli. - 5. Conclusioni. - NOTE
In risposta a quanti da tempo affermano l’ineluttabile tramonto dell’autodisciplina in ragione dei sempre maggiori spazi rivendicati dal legislatore, che pure aveva fatto dell’autonomia statutaria il vessillo della riforma societaria [1], e del continuo intervenire della Consob, propensa, in ogni occasione, a regolamentare in termini sempre più incisivi i profili operativi dell’agire d’impresa, è stata presentata una nuova edizione del Codice di autodisciplina delle società quotate. La revisione del Codice attua l’ultimo di una serie di interventi che si sono susseguiti dopo la sua introduzione nel 1999 da parte del comitato promotore, a quei tempi istituito presso Borsa Italiana [2], al fine di aggiornarne i principi e le raccomandazioni volti a favorire il corretto governo dell’impresa [3]. Un tentativo di procedere a un aggiornamento si era già avuto nel corso del 2010; il comitato promotore aveva infatti ripreso i lavori, risolti tuttavia nell’unica modifica irrinunciabile: la revisione dell’articolo dedicato alle remunerazioni degli amministratori e dirigenti con responsabilità strategiche al fine di trasporre nel nostro ordinamento parte dei contenuti di una Raccomandazione comunitaria [4]. La revisione complessiva si è avuta a distanza di più di un anno e ha richiesto l’istituzione di un nuovo comitato [5] oltreché la definizione di rigorose regole di funzionamento che hanno contribuito a garantire il perseguimento dell’obiettivo di procedere a una significativa revisione dell’articolato. Nella gestione dei lavori, il comitato ha lasciato volutamente inalterata la struttura del Codice: una scelta che spiega perché il lavoro si sia concluso con una sua revisione e non con la pubblicazione di una nuova versione [6]. Il Codice continua quindi a prevedere, per ciascun articolo, i principi (che fissano le regole di governance cui ispirarsi), i criteri applicativi (che indicano i comportamenti necessari per realizzare gli obiettivi indicati nei principi), e il commento (che in alcuni casi chiarisce, anche attraverso esempi, la portata dei principi e dei criteri applicativi, in altri, auspica condotte virtuose più stringenti di quelle riportate negli stessi principi e criteri applicativi). Il nuovo Codice incide in maniera significativa sui contenuti del precedente. La logica [continua ..]
Un primo significativo insieme di modifiche riguarda la disciplina dedicata al Consiglio di amministrazione: organo al quale il Codice – anche in ragione della matrice anglosassone – dedica un numero significativo di articoli. Al Consiglio è affidata la gestione della società con l’obiettivo di perseguire la creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte temporale, che il Codice ora qualifica di “medio-lungo” periodo, in linea con l’impostazione adottata nel 2010 in occasione della revisione della disciplina in materia di remunerazioni [11] in modo da evidenziare che lo short termism in qualche modo è estraneo anche allo shareholder value. Quanto alle regole di funzionamento, l’edizione revisionata del Codice pone una particolare attenzione a che sia garantito un migliore coinvolgimento di tutti gli amministratori, tradizionalmente distinti in “esecutivi”, “non esecutivi” e “(non esecutivi) indipendenti”. La centralità di tale principio emerge sotto più profili. In primo luogo, si enfatizza una più variegata composizione del Consiglio di amministrazione sotto il profilo della qualificazione dei propri componenti. La raccomandazione si rinviene, indirettamente, dal principio – significativamente riformulato – dedicato alla board evaluation. Nel raccomandare al Consiglio di amministrazione di effettuare, almeno una volta all’anno, una valutazione sul proprio funzionamento e su quello dei suoi comitati, il Codice raccomanda di valutare dimensione e composizione tenendo conto di elementi che riguardano i profili “soggettivi” dei singoli amministratori. Prendendo a modello l’impostazione adottata dal Green Paper [12], il Codice richiama quali elementi idonei a definire i profili del singolo amministratore e, quindi, a migliorare i margini di funzionamento dell’intero consiglio: la professionalità, l’esperienza, il genere e l’anzianità della carica. Si tratta di requisiti la cui ricorrenza può oggettivamente innalzare il livello di competenza dell’organo gestorio. L’esperienza, in particolare, è intesa come attività maturata anche in termini manageriali o attraverso esperienze nei boards di emittenti stranieri. Il Codice annovera, tra le caratteristiche idonee a migliorare la composizione – e quindi il funzionamento [continua ..]
Il comitato ha posto, in sede di revisione del Codice, un’attenzione specifica ai comitati endoconsiliari. I comitati rappresentano strutture del Consiglio di amministrazione, con compiti istruttori e consultivi in relazione a materie rispetto alle quali è particolarmente avvertita l’esigenza di approfondimento, specializzazione e terzietà nel giudizio da parte dello stesso consiglio [14]. Il ricorso a comitati può essere particolarmente utile per pervenire a decisioni trasparenti e corrette, soprattutto con riguardo a materie nelle quali più alto è il rischio (anche solo potenziale) di conflitti di interessi. L’articolazione del Consiglio è stata accolta anche in sede europea: attraverso la pubblicazione della Raccomandazione n. 2005/162/CE [15], specificamente dedicata agli amministratori non esecutivi, è stato infatti affidato ai comitati il ruolo di prevenire potenziali conflitti di interesse nelle aree in cui più elevato il rischio di una loro realizzazione. Il Codice raccomanda, sin dalla prima edizione, la costituzione del comitato per la remunerazione e il comitato controllo interno. Fino alla precedente edizione, inoltre, il Codice si limitava a raccomandare al Consiglio di amministrazione di valutare se costituire al proprio interno un comitato per le nomine. Inoltre, dall’edizione del 2006, il Codice accorda agli emittenti, da un lato, la possibilità di istituire comitati ulteriori, diversi, quanto a competenze e funzioni, da quelli esplicitamente suggeriti, dall’altro di raggruppare o distribuire le funzioni assegnate ai singoli comitati; in tal caso, è però necessario rispettare le regole di composizione più stringenti richieste per ciascun singolo comitato. Le novità del Codice in materia di comitati sono articolate e riflettono la volontà di prevedere una serie di opzioni, diversamente modulabili, a seconda delle esigenze del singolo emittente. L’articolazione delle diverse soluzioni si muove, però, all’interno della cornice generale della semplificazione che, come si è visto, rappresenta una delle linee direttici che ha guidato i lavori del comitato. Si è così prevista la possibilità di costituire comitati di due soli membri anche all’interno di consigli dalle dimensioni medio-grandi (composti da non più di otto membri e non da [continua ..]
L’area del sistema dei controlli ha rappresentato uno dei profili oggetto di particolare attenzione nel processo di revisione del Codice. Nel corso degli ultimi anni, si è assistito a una continua stratificazione di interventi legislativi tesi a migliorare l’operatività dei controlli societari, nel chiaro intento di rafforzare i presidi di garanzia a tutela degli investitori. Il perseguimento di tale obiettivo si è risolto nell’introduzione di una serie di figure deputate all’attività di controllo, senza un’opportuna ripartizione delle aree di competenza e delle relative responsabilità. Il sistema dei controlli è divenuto uno degli aspetti più critici del diritto societario e da più voci è stata manifestata un’esigenza di semplificazione [18]. La revisione del Codice ha rappresentato un’occasione da non perdere per introdurre, in un’ottica di razionalizzazione, una serie di raccomandazioni volte a realizzare una migliore precisazione di ruoli e responsabilità dei soggetti deputati all’attività di controllo. Come chiarito nel Commento al nuovo articolo dedicato al sistema dei controlli interni (art. 7, ora rubricato “Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi”), il Codice raccomanda a ogni emittente di dotarsi di un efficace sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, costituito dall’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire l’identificazione, la misurazione e la gestione dei principali rischi. Il Codice si limita a enunciare una serie di raccomandazioni, lasciando le scelte applicative al singolo emittente in relazione a una serie di variabili, quali: (i) il tipo di attività svolta; (ii) la dimensione; (iii) la struttura del gruppo; (iv) il contesto regolamentare. Il riformulato art. 7 elenca i principali attori cui compete il governo del sistema dei controlli, preoccupandosi di definirne la sia pur sintetica descrizione del ruolo. La complessità del sistema è tale che il coinvolgimento dei singoli soggetti avviene a più livelli e assume una diversa rilevanza in ragione del momento in cui tale coinvolgimento è richiesto (cfr. fig. 1). La figura apicale del sistema del controllo interno e di gestione del rischio è il Consiglio di amministrazione. L’attribuzione di questo ruolo [continua ..]
Attraverso la nuova edizione del Codice, il comitato per la corporate governance ha realizzato un’importante revisione da tempo non più procrastinabile. Il presente contributo si è limitato a rappresentare solo alcune delle principali modifiche, senza pretesa di completezza. Ciò che appare evidente, è che le innovazioni non sono riconducibili nell’alveo del solo aggiornamento, ma vanno ben oltre, proponendo principi innovativi la cui eventuale adesione è destinata a consentire una reale distinzione in termini di buona governance tra le società. Per la prima volta dalla introduzione del Codice, inoltre, il comitato propone una diversificazione delle raccomandazione anche in relazione alla diversificata platea di società che aderiscono al Codice. Il fil rouge che collega l’insieme delle modifiche sottende l’idea che, anche nell’ambito dell’autoregolamentazione, non sono immaginabili soluzioni applicabili indiscriminatamente da parte di tutti gli emittenti. È questa infatti la logica che ha spinto a prevedere raccomandazioni più stingenti per i soli emittenti appartenenti al FTSE-Mib (incremento degli indipendenti e nuove condizioni per la nomina del Lead Independent Director) e, contestualmente, a riconoscere soluzioni di estrema flessibilità, come quella di non istituire comitati ove gli assetti organizzativi interni dell’emittente lo rendano più conveniente. L’impostazione adottata dal comitato sembra destinata a innovare la portata e le prospettive applicative del Codice, confermando dunque l’idea – già evidenziata nelle premesse – di una sua ancora attuale utilità. Le regole di funzionamento del comitato, fissando una ciclicità annuale dei propri incontri, confermano l’opportunità di un aggiornamento nel continuo dei contenuti del Codice. Maggiori sforzi si attendono, piuttosto, dagli emittenti e dalla loro capacità di dotarsi di una governance efficace e di dare una reale trasparenza alle relative scelte che si è deciso di adottare (o di non adottare). L’ultima analisi sulla corporate governance in Italia condotta da Assonime-Emittenti Titoli [24] dimostra che il 90% degli emittenti dichiara l’adesione al Codice: un dato molto alto se comparato con quello UK, nel quale risulta una percentuale di adesione a tutte le raccomandazione del [continua ..]