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1. Contratto di società e recesso: un equilibrio difficile. - 2. Modifica del contratto sociale e recesso del socio. - 3. Mutamenti dell’oggetto sociale e recesso del socio. - NOTE
Il recesso dai negozi associativi con comunione di scopo 1, pur non incontrando limiti nell’art. 1373, scongiurati dalla durata del vincolo negoziale 2, si distingue dal recesso dai contratti di scambio in ragione della molteplicità d’interessi coinvolti e delle conseguenze che ne derivano per l’organizzazione comune che, specie se non persegua finalità di natura ideale 3, potrebbe essere compromessa dal venir meno della partecipazione dell’associato. A cagione di ciò il recesso da tali negozi è spesso tributario di un’apposita regolazione la cui complessità, crescendo di pari passo con quella delle strutture cui è destinata ad applicarsi, finisce per rendere problematici gli stessi rapporti correnti con l’autonomia privata. I dubbi che ne derivano prescindono dalle finalità perseguite dal negozio associativo, tanto che, ad esempio, è discussa la possibilità di convenire un recesso ad nutum dalle associazioni costituite a tempo determinato 4, ma si fanno di certo ancor più stringenti in relazione ai contratti associativi finalizzati all’esercizio di un’attività imprenditoriale 5, dove le ragioni dell’impresa, la cui sopravvivenza dipende dal permanere dell’organizzazione comune così costituita, potrebbero essere messe a repentaglio dall’abbandono dell’iniziativa da parte di uno o più dei suoi partecipanti 6. La sintesi di siffatti interessi, già difficile in relazione ai negozi attinenti a singole fasi dell’attività di imprese pur sempre distinte, quali il contratto di consorzio o il recente contratto di rete 7, diviene ancor più complessa in relazione al contratto di società, dove, com’è universalmente noto 8, non è certo semplice trovare un efficiente punto di equilibrio tra le tendenze centrifughe di chi vorrebbe poterne recedere quanto più possibile liberamente e le opposte tendenze centripete di chi, ad iniziare dalla stessa società, vorrebbe quanto più possibile evitarlo. Il nostro diritto societario si occupa ampiamente del tema, destinatario di una disciplina che, quasi del tutto autonoma da quella comune 9, accorda all’autonomia privata degli spazi che variano con il procedere dei tipi societari: ampi nelle società di persone ed ancora [continua ..]
I principi plutocratici governanti le società di capitali fanno sì che, a differenza di quel che accade nelle società di persone, dove ogni modificazione del contratto sociale presuppone di norma, così come nella generalità dei contratti, il consenso di tutte le parti, nella s.p.a. e nella s.r.l. i soci detentori della maggioranza del capitale possano imporre a quelli di minoranza ogni propria decisione, finanche quelle riguardanti la modificazione dell’atto costitutivo. Tale regola, per quanto temperata dalla necessità di far precedere la decisione da un formale confronto dialettico, finisce per riconoscere al socio di maggioranza un così incisivo “potere di modifica del contratto” 14 che questo, per non far venire meno ogni interesse all’investimento da parte dei sottoscrittori di modeste frazioni del capitale sociale, deve trovare bilanciamento nell’attribuzione in loro favore di un contrapposto “potere di recesso” 15. Posto che l’individuazione di un efficiente punto di equilibrio tra gli anzidetti poteri è tanto complessa da non potere essere affidata all’autonomia privata, verosimilmente già dapprincipio alterabile dalle diverse forze espresse in sede di trattativa, è ricorrente l’idea che la legge debba farsi carico di tale compito assicurando ai soci di minoranza uno standard minimo di tutela non suscettibile di negoziazione; tutti gli ordinamenti di diritto societario convergono da tempo in questa direzione, consentendo il recesso del socio solo in presenza di quelle modificazioni del contratto sociale che potrebbero più fortemente incidere sull’assetto d’interessi e sulle finalità dell’investimento da questi apprezzati all’atto dell’assunzione della partecipazione. Dal punto di vista strutturale le modificazioni del contratto sociale capaci di assumere tale rilievo possono essere raggruppate in tre categorie omogenee. La prima comprende i cambiamenti suscettibili di determinare la variazione del contesto normativo di riferimento: si pensi, ad esempio, alle profonde conseguenze derivanti dal mutamento del tipo sociale o dal trasferimento della sede sociale all’estero 16. La seconda concerne i cambiamenti che dal punto di vista più strettamente contrattuale potrebbero maggiormente incidere sui rapporti tra i soci: si pensi, sempre a [continua ..]
Stante il tema proposto, è bene iniziare col ricordare che, proprio perché si tratta di clausole generali, sarebbe evidentemente inutile provare a stabilire a priori ed una volta per tutte quando un’attività d’impresa possa rispettivamente dirsi “significativamente” o “sostanzialmente” cambiata e quando siffatti cambiamenti siano tali da comportare l’esercizio di un’attività tanto diversa dalla precedente da alterare “sensibilmente” anche le condizioni economiche e patrimoniali delle società eterodirette. Al contrario, può essere proficuo indagare brevemente se alle diverse scelte lessicali con cui il legislatore ha inteso esprimere le sue opzioni corrispondano poi, dal punto di vista applicativo, delle concrete differenze. A tale proposito è bene rammentare che ciascuno dei tre avverbi appena ricordati ha molteplici significati, non sempre coincidenti. Il primo, “significativamente”, esprime la misura della variazione e cioè, dato un determinato oggetto sociale, che determinato deve per appunto essere per volontà di legge, quale sia l’ampiezza della modificazione in esso intervenuta. Per quanto l’avverbio evochi, nel linguaggio corrente, una valutazione connotata da una certa soggettività – sarebbe infatti facile aggiungere che ciò che ha significato per qualcuno potrebbe non averlo per qualcun altro – va escluso che tale apprezzamento possa variare da socio a socio, come se un cambiamento dell’oggetto sociale significativo per uno possa non esserlo per altri: in linea di principio, fatta al più eccezione per il solo caso in cui vi fossero soci possessori di azioni correlate più significativamente interessati dalla modificazione, si tratta di una valutazione da condursi tenendo esclusivamente conto delle caratteristiche della diversa attività economica prevista attraverso la modifica e del corrispondente gradiente di rischio. Semmai, sarebbe da chiedersi cosa accada nel caso in cui una consecuzione di modeste modifiche, ciascuna tale da non legittimare un recesso, porti nel complesso ad una modifica significativa (si pensi ad una modifica complessiva che attraverso più modifiche successive espandesse l’originaria area dell’attività sociale, riguardante la produzione di stoviglie, aggiungendo ad essa delle altre attività [continua ..]