TRIBUNALE DI MILANO, 1 ottobre 2009 – Perozziello Presidente e Relatore – Valerio Raffaele (avv. La Rocca) e Correnti 2000 srl (avv. Ventura) c. Sette Correnti scarl (avv. Giorgio Muzio)
Società – Società cooperativa – Scopo mutualistico – Parità di trattamento – Violazione – Deliberazione assembleare – Annullabilità – Disciplina applicabile
(Artt. 2377, 2479 ter, 2511, 2516, 2519, 2522 c.c.).
È annullabile la delibera assembleare di una società cooperativa a responsabilità limitata che, approvando un regolamento volto a disciplinare l’assegnazione ai soci di unità immobiliari presenti nel patrimonio della società, (i) subordina la prestazione mutualistica nei confronti del socio alla preventiva rinuncia di questi al diritto di impugnare la delibera stessa e (ii) pregiudica il diritto del socio alla parità di trattamento nel rapporto mutualistico. (1)
La controversia in esame attiene alle distinte impugnazioni proposte dai soci Valerio e Correnti 2000, con motivazioni sostanzialmente sovrapponibili, avverso la delibera assunta a maggioranza dall’assemblea della società convenuta (con voto contrario degli odierni impugnanti) in ordine alla approvazione in data 31.3.09 del regolamento destinato a disciplinare l’assegnazione delle unità immobiliari già rientranti nel patrimonio proprio della cooperativa e non condotte in locazione dai soci (c.d. “regolamento esuberi”).
A fronte di una richiesta cautelare di sospensione della menzionata delibera assembleare, il giudice assegnatario dei relativi distinti procedimenti, sentite le parti, ha disposto procedersi senz’altro al giudizio di merito dinanzi al Collegio ex art. 24 comma 6° d.lgs. 5/03, davanti al quale sono stati formalmente riuniti i distinti ricorsi proposti dai soci.
Al riguardo è subito a dire che appaiono del tutto infondate le eccezioni di carattere preliminare proposte da parte convenuta in ordine ad una asserita decadenza degli attori dalla facoltà di impugnazione: invero la pronuncia di improcedibilità per cessazione della materia del contendere relativa alla precedente delibera assunta dall’assemblea nella medesima materia, già contestata per motivi in parte coincidenti con quelli qui in esame e poi revocata e sostituita con quella oggetto della presente impugnazione, da un lato non è idonea a formare giudicato, dall’altro attiene alla responsabilità esclusiva del giudice, per cui è certamente da escludere che da essa (corretta o meno ai sensi del disposto di cui all’art. 2377 comma 8° c.c.) possa comunque discendere una qualunque limitazione al potere di impugnativa della nuova delibera da parte dei soci dissenzienti; pure da escludere d’altro canto, questa volta in fatto, la possibilità di ravvisare nelle condotte segnalate dalla cooperativa convenuta gli estremi di un comportamento concludente degli odierni attori di piena accettazione della delibera impugnata (come rivendicato dalla parte in maniera sostanzialmente apodittica).
Nel merito l’impugnazione in parola è da reputarsi (solo) parzialmente fondata.
In particolare, esaminati i diversi temi in contestazione, il Collegio ritiene di dover preliminarmente osservare, in via generale e di principio, che il sindacato giurisdizionale su delibere assembleari non può che essere limitato a profili di espressa violazione di specifiche disposizioni normative, abuso di maggioranza, indebita compressione di diritti individuali dei soci, con esclusione invece di qualunque questione che attenga piuttosto ad ambiti di ampia discrezionalità nella scelta dei mezzi più idonei al raggiungimento delle finalità sociali – esclusione che è inevitabilmente conseguente alla scelta manifestata da ciascun soggetto (all’atto di assumere la qualità di socio) di perseguire l’interesse proprio all’assegnazione di unità immobiliari non individualmente ma attraverso lo strumento cooperativo, dunque accettando di condividere con altri valutazioni ed iniziative funzionali al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, secondo i principi e le modalità previsti da uno statuto sociale previamente condiviso.
In tal senso si ritiene qui in particolare di dover senz’altro escludere la possibilità di sindacare sotto un profilo di legittimità (e dunque semplicemente a prescindere da qualunque valutazione di opportunità e/o convenienza da parte del Collegio) tutte quelle disposizioni regolamentari, pure espressamente oggetto di impugnazione, che attengono alle previsioni in tema di: possibilità per ciascun socio di indicare in prima istanza il proprio interesse all’assegnazione di una sola unità “in esubero” (atteso che nella specie risulta comunque garantito il diritto di tutti i soci di partecipare successivamente, in condizioni di parità, ad una seconda tornata di consultazione per gli ulteriori residui); pretesa di un versamento iniziale a titolo di cauzione a corredo delle richieste di assegnazione; previsione di un utilizzo obbligatorio a tal fine dello strumento dell’assegno circolare; carenti precisazioni in tema di modalità di restituzione delle somme; precisione infine della iniziale stesura di un contratto di locazione che preceda l’atto formale di definitiva assegnazione (su quest’ultimo punto si ritiene in particolare di poter fare senz’altro riferimento anche alle ampie convincenti spiegazioni offerte dalla cooperativa sui motivi di una simile scelta, connessi ad una delicata trattativa condotta con il Comune di Milano, originario proprietario).
Invero, in relazione a tutti quanti i profili menzionati, neppure gli attori si sono mostrati in grado di individuare specifici profili di illegittimità o abuso di maggioranza in danno di singoli soci. Le contestazioni proposte riguardano piuttosto una asserita compressione dei diritti individuali di ciascun socio in conseguenza delle adozione di procedure in tesi inutilmente macchinose e/o dispendiose, ma pare agevole osservare come una simile qualificazione manifestamente si risolva in un mero artificio retorico che, negando di fatto ogni effettiva distinzione tra profili di legittimità e di merito, finisce inevitabilmente per comprimere essa sì ingiustificatamente ogni spazio di autonomia privata (e dunque principi costitutivi di organizzazione societaria) in nome di una concezione invasiva ed ipertrofica del controllo giurisdizionale, che non pare trovare fondamento alcuno nell’ordinamento.
È fuori dubbio in realtà che in senso lato qualunque disciplina convenzionale delle modalità di esercizio di un diritto comporti una limitazione della sfera di autonomia personale dei singoli, ma occorre convenire che la scelta dello strumento societario implica appunto l’accettazione preventiva di limitazioni di tal fatta. In tal senso per la parte qui in esame va necessariamente giudicata assolutamente inadeguata (astrattamente inidonea a fondare le pretese avanzate) la prospettazione dei ricorrenti laddove questi si limitano genericamente a contestare l’incidenza sui propri diritti di scelte organizzative reputate poco opportune: a parere del Collegio il punto critico che si ritiene astrattamente suscettibile di controllo giurisdizionale sotto i profili in esame (di carattere propriamente procedurale) può essere al contrario rappresentato solo dalla previsione di modalità (ingiustificate) così incisive da arrivare ad impedire o quanto meno a pregiudicare grandemente la stessa “possibilità” di esercizio del diritto – fattispecie che nel caso in esame, almeno per questa parte, non pare assolutamente di poter ravvisare e che in realtà non è stata neppure compiutamente dedotta dagli attori.
A conclusioni diverse, sulla base dei medesimi principi, si deve invece arrivare in relazione alle due principali contestazioni ulteriori proposte dagli attori.
In particolare occorre qui necessariamente sottolineare la manifesta ambiguità della formulazione letterale con cui il modulo di richiesta di assegnazione di unità immobiliari (specificamente richiamato all’art. 2 punto 1 del regolamento approvato e come tale da reputarsi parte integrante dello stesso) subordina l’ammissibilità della richiesta ad una espressa dichiarazione di accettazione dell’intero regolamento: nella specie si tratta di formulazione di per sé certamente superflua ai fini del concreto svolgimento della procedura di assegnazione, stante la portata automaticamente vincolante del regolamento fino ad una sua eventuale modifica o revoca (e fin qui si tratta di rilievo pienamente condiviso da entrambe le parti); per contro sarebbe sicuramente da escludere la legittimità di una eventuale pretesa della cooperativa (rectius: della maggioranza assembleare, nel caso di specie) di garantire l’intangibilità delle proprie determinazioni vincolando, attraverso la menzionata dichiarazione di “accettazione”, la partecipazione dei soci (dissenzienti) alla procedura di assegnazione ad una preventiva rinuncia implicita degli stessi alla impugnazione della delibera de quo (ed anche su questo punto, almeno in linea di principio, le parti hanno mostrato di concordare); in tal senso la controversia attiene per questa parte solo alla effettiva portata da attribuirsi alla manifestazione di volontà prevista dal modulo contestato, con una divergenza di interpretazioni che è risultata non superabile attraverso nuove formulazioni chiarificatrici (come il Collegio ha dovuto constatare in sede di udienza, a fronte delle valutazioni di parte convenuta in ordine alla ritenuta impraticabilità in concreto di proposte di modifica mirate al superamento di ogni possibilità di equivoco in materia).
In simili termini, dato atto della effettiva ambiguità del testo (e della sua manifesta illegittimità ove inteso nell’unico possibile senso di concreta incidenza pratica) pare qui di dover necessariamente riconoscere come la sola incertezza così posta a carico dei soci di minoranza sulla compatibilità tra esercizio del diritto di impugnazione e concreta partecipazione alla assegnazione delle unità immobiliari implichi un grave condizionamento nella facoltà di autodeterminazione dei soci e dunque nella piena esplicazione dei diritti loro statutariamente garantiti per quanto attiene ai concorrenti diritti di partecipare compiutamente alla formazione della volontà dell’ente, anche attraverso lo strumento delle impugnazioni, e di ottenere nel contempo la concreta assegnazione quale conseguimento dello scopo tipico dell’adesione alla cooperativa (nella specie gli odierni attori, al fine di garantire il proprio diritto di impugnazione, hanno entrambi sottoscritto il modulo di richiesta cancellando la formula di “accettazione del regolamento”, ma proprio per tale motivo sono stati immediatamente esclusi dalle assegnazioni, con una determinazione che in realtà appare in palese contrasto con le rassicurazioni proposte da parte convenuta nel presente giudizio circa la portata da attribuire alla manifestazione di volontà prevista dal modulo): naturalmente non compete affatto al Collegio di giudicare della legittimità o meno dell’atto di esclusione dei soci ad opera del CdA, ma il riferimento a tale vicenda pare ben sufficiente ad illustrare la delicatezza della situazione in cui ingiustificatamente si sono venuti a trovare i soci dissenzienti rispetto alla approvazione della delibera, tale da comportare una lesione profonda e del tutto immotivata al loro diritto di concorrere alla assegnazione e dunque proprio a quell’aspetto della vita sociale che evidentemente corrisponde alla finalità propria dell’adesione all’ente.
Per tale motivo si ritiene qui che l’impugnata delibera assembleare vada senz’altro annullata nella parte in esame (laddove quindi approva la disposizione regolamentare che fa espresso rinvio alla sottoscrizione del modulo di richiesta di assegnazione recante espressa dichiarazione di accettazione), in quanto di fatto contrastante con le disposizioni statutarie che garantiscono il fondamentale diritto dei soci a concorrere, sulla base di un regolare e completo processo decisionale, nella assegnazione di unità immobiliari quale conseguimento dello scopo tipico della cooperativa.
Parimenti illegittimo, e come tale da annullare, si ritiene l’art. 3 punto 4 del regolamento laddove si prevede che, in caso di pluralità di richieste per una medesima unità immobiliare, la scelta tra i soci richiedenti sia effettuata a maggioranza dall’assemblea.
In corso di giudizio parte convenuta ha preteso di giustificare tale determinazione in nome della autonomia negoziale della società nelle trattative con terzi contraenti, quale naturalmente comprensiva anche della scelta dei soggetti con cui trattare; una facoltà di scelta in tesi strettamente connaturata agli ordinari poteri di amministrazione attiva del CdA, di amplissima discrezionalità, e nella specie solo demandata all’assemblea in ragione della particolare delicatezza delle determinazioni da assumere.
Per questa parte il vizio individuato dal Collegio attiene proprio ad una simile impostazione dei termini del problema. Invero nelle ordinarie relazioni negoziali i terzi non sono portatori di alcun diritto tutelato a contrarre con la cooperativa (salvo naturalmente il limite generale di buona fede precontrattuale) e proprio di qui discende l’ordinaria ed amplissima discrezionalità degli amministratori sopra evocata, essenzialmente vincolata solo alla miglior cura dell’interesse della società – per contro ciascun socio trae direttamente dallo Statuto sociale un vero e proprio diritto a concorrere alla assegnazione degli esuberi in condizioni di parità con tutti gli altri soci (v. anche art. 9 comma 1 dello Statuto) ed un tale diritto non potrebbe evidentemente essere compresso da manifestazioni di volontà largamente discrezionali, siano esse assunte dal CdA ovvero dall’assemblea a maggioranza, a meno naturalmente di una preventiva accettazione di meccanismi di tal fatta da parte di ciascun socio, secondo voto necessariamente unanime (naturalmente non compete invece al Collegio suggerire modalità alternative e più corrette di decisione, che peraltro in via meramente esemplificativa potrebbero evidentemente andare dall’ipotesi di sorteggi caldeggiata dagli odierni attori a quella di condivisa predeterminazione dei criteri di scelta del contraente – fermo restando che l’eventuale contrasto insuperabile tra i soci trova nell’ordinamento una precisa soluzione dello scioglimento dell’ente societario).
A fronte del parziale accoglimento delle domande degli attori si impone infine l’esame della domanda riconvenzionale proposta da parte convenuta per l’ipotesi di propria soccombenza e volta ad ottenere una pronuncia di condanna degli odierni attori alla restituzione delle somme dagli stessi incassate a seguito della assegnazione a terzi, dietro corrispettivo, di unità immobiliari non assegnate ai soci alla stregua del regolamento approvato.
La domanda appare manifestamente infondata.
Al riguardo, in via di mero fatto, pare innanzitutto il caso di rilevare come, pur a seguito della presente decisione di parziale annullamento e pur a voler seguire l’iter logico proposto dalla parte, corrisponde allo stato ad una mera eventualità il concreto verificarsi della situazione proposta dalla convenuta a fondamento della propria domanda (e cioè l’esigenza di una diversa assegnazione di unità immobiliari), eventualità condizionata tra l’altro ad un nuovo e diverso iter procedimentale necessariamente da riformulare e sul cui esito non pare evidentemente possibile formulare oggi alcuna ragionevole precisione. Più in generale tuttavia pare il caso di sottolineare ancora una volta come la presente decisione riguardi solo la formale approvazione del c.d. “regolamento esuberi” e in nessun modo invece le concrete determinazioni e scelte negoziali conseguenti a tale approvazione, che di per sé non possono affatto venire automaticamente travolte dalla presente decisione: in particolare è senz’altro da escludere in diritto che l’annullamento di una delibera assembleare sulla cui base siano stati definiti rapporti negoziali con terzi in buona fede possa consentire una almeno automatica risoluzione dei contratti in parola (anche sulla base dell’espresso disposto di cui all’art. 2377 ult. comma c.c.), laddove la tutela dei soci in ipotesi indebitamente danneggiati ben potrebbe configurarsi piuttosto in termini risarcitori, dunque con esclusione in radice di ogni esigenza di “restituzioni” quali invocate in riconvenzionale. Sotto tutti quanti i menzionati profili va dunque senz’altro rigettata la domanda in esame.
Sulla scorta delle medesime valutazioni, tenuto conto della soccombenza parziale della cooperativa, si ritiene infine di dover condannare detta parte alla rifusione del 50% delle spese di lite sostenute dagli attori, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale di Milano sez. VIII civile,
respinta ogni diversa domanda ed eccezione,
annulla la delibera assunta dalla assemblea dei soci della “cooperativa sette correnti a r.l.” in data 31.3.09 relativa alla approvazione del “regolamento esuberi” limitatamente agli artt. 2 punti 1, laddove rinvia al necessario utilizzo del modulo di richiesta di assegnazione denominato “Allegato B”, e 3 punto 4;
condanna parte convenuta alla rifusione delle spese di lite sostenute dagli attori, che si liquidano in favore di CORRENTI 2000 srl: in euro 677,89 per spese, euro 1.528,00 per diritti ed euro 5.000,00 per onorari; in favore di Raffaele Valerio in euro 346,70 per spese, 1.052,00 per diritti, euro 5.000,00 per onorari; per entrambi importi maggiorati come per legge per spese generali, iva e cpa.
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1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Le opinioni di dottrina e giurisprudenza - 4. Nota di commento - NOTE
La sentenza in commento riguarda l’impugnazione di una delibera assembleare di una società cooperativa a responsabilità limitata da parte di due soci dissenzienti. La deliberazione, adottata a maggioranza, approvava un regolamento volto a disciplinare l’assegnazione di unità immobiliari presenti nel patrimonio della società. Il Tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi sulla controversia, osserva, in via preliminare, che il sindacato giurisdizionale sulle delibere assembleari deve essere limitato ai casi di espressa violazione di disposizioni di legge, di abuso della maggioranza e di «indebita compressione» dei diritti individuali dei soci. Alla luce di tale principio, giudica, quindi, l’impugnazione fondata solo parzialmente. Da un lato, i giudici respingono la contestazione dei soci su una serie di disposizioni regolamentari di carattere organizzativo riguardanti, ad esempio, la possibilità per ciascun socio di manifestare inizialmente il proprio interesse all’assegnazione di una sola unità immobiliare o la richiesta di un versamento a titolo di cauzione tramite assegno circolare. A questo proposito il Tribunale nota come gli attori non abbiano evidenziato specifici profili di illegittimità o di abuso della maggioranza a danno di singoli soci, essendosi semplicemente limitati a contestare in modo generico scelte organizzative di natura discrezionale che ritenevano poco opportune. Secondo i giudici, poi, le scelte organizzative fatte dalla cooperativa non sono tali da impedire o pregiudicare fortemente la possibilità dei soci di esercitare i propri diritti. Dall’altro, l’impugnazione è accolta, invece, rispetto a due contestazioni ulteriori promosse dagli attori. La prima relativa a una disposizione del modulo di assegnazione di unità immobiliari – parte integrante del regolamento – con cui si subordinava l’ammissibilità della richiesta dell’alloggio ad una espressa dichiarazione di accettazione dell’intero regolamento. I soci impugnanti sono stati esclusi dalle assegnazioni, poiché avevano sottoscritto il suddetto modulo cancellando la formula relativa all’accettazione del regolamento. I giudici rilevano l’ambiguità del testo e la sua manifesta illegittimità se inteso nel senso [continua ..]
Secondo l’art. 2519 c.c., alla società cooperativa si applicano, in via suppletiva, le disposizioni sulla s.p.a., se compatibili. Nel caso di cooperative con meno di venti soci o con un attivo patrimoniale non superiore a un milione di euro, l’atto costitutivo può prevedere l’applicazione delle disposizioni sulla s.r.l., sempre purché compatibili [1]. In base all’art. 2522, 2° comma, c.c., l’adozione delle disposizioni sulla s.r.l. è obbligatoria, invece, nel caso di cooperativa costituita da tre a otto soci (persone fisiche) [2]. Poiché la sentenza in commento riguarda l’impugnazione di una deliberazione assembleare di una società cooperativa a responsabilità limitata [3], in assenza di una disciplina specifica sul punto per le società cooperative che adottano le disposizioni della s.r.l. [4], la normativa di riferimento deve rinvenirsi nell’art. 2479 ter c.c., in virtù del rinvio alla disciplina sulla s.r.l. ex artt. 2519, 2° comma e 2522, 2° comma, c.c. [5]. L’art. 2479 ter c.c. prevede che le decisioni dei soci non conformi alla legge o all’atto costitutivo possono essere impugnate anche individualmente dai soci che non vi hanno consentito, da ogni amministratore e dal collegio sindacale entro 90 giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci [6]. Nel corso del giudizio di impugnazione il tribunale, qualora lo ritenga opportuno e ne sia fatta richiesta dalla società o da chi ha proposto l’impugnativa, può assegnare un termine fino a centottanta giorni per l’adozione di una nuova decisione idonea ad eliminare la causa di invalidità [7]. Delineato il quadro normativo per quanto riguarda l’invalidità delle deliberazioni assembleari della società cooperativa a responsabilità limitata, si deve rilevare come ai fini del commento della sentenza assumano rilievo primario anche l’art. 2511 c.c. che individua il profilo funzionale e strutturale delle cooperative definendole società a capitale variabile con scopo mutualistico [8] e l’art. 2516 c.c. che impone il rispetto del principio della parità di trattamento tra i soci nella costituzione e nell’esecuzione dei rapporti mutualistici.
L’attuale art. 2511 c.c., allo stesso modo di quello previgente, non fornisce una definizione di scopo mutualistico, stabilendo semplicemente che «[l]e cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico». A questo proposito in dottrina si è affermato che la mancanza di una definizione legislativa non dipende dal caso né da una trascuratezza del legislatore, ma deve ricollegarsi alla volontà di non vincolare lo scopo mutualistico ad una definizione precostituita [9]. Il dibattito dottrinale sul tema è ampio [10]. Condivisibile è la tesi che individua lo scopo mutualistico nella c.d. «gestione di servizio», la quale consiste nel «fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri della organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato» [11]. La gestione di servizio si realizza attraverso la conclusione di contratti tra la società cooperativa e i soci, aventi ad oggetto lo scambio mutualistico, contratti che sono distinti seppur collegati al contratto di società [12]. Al riguardo si è sottolineato come sia «l’essenziale momento di scambio che colora la causa cooperativistica» [13], mentre il rapporto sociale avrebbe la funzione di rendere possibile tale relazione di scambio, peculiare della società cooperativa [14]. La distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e a mutualità non prevalente si individuerebbe, quindi, nella prevalenza del rapporto di scambio tra la società e i soci, fatta salva la necessaria esistenza di tale scambio affinché si possa avere il perseguimento di uno scopo mutualistico [15]. Riferimenti normativi a sostegno della tesi che identifica lo scopo mutualistico nella gestione di servizio verso i soci sono stati rinvenuti negli artt. 2516, 2521, 5° comma, 2532, 3° comma, 2533, 4° comma e 2545 sexies, 1° comma, c.c., che individuano tutti la mutualità nei rapporti di scambio tra la società e i soci [16]. Ulteriori argomentazioni a questo riguardo sono state tratte dagli artt. 2520, 2° comma e 2521, 2° comma, c.c. che confermerebbero come tipicamente la relazione mutualistica trovi attuazione nel rapporto di scambio tra società e soci, prevedendo rispettivamente la possibilità di costituire [continua ..]
La decisione dei giudici milanesi nella sentenza in commento appare corretta. Il Tribunale precisa preliminarmente che il sindacato giurisdizionale sulle deliberazioni assembleari può riguardare soltanto casi di violazione di specifiche disposizioni normative, di abuso della maggioranza e di «indebita compressione» dei diritti individuali dei soci, con esclusione, invece, di questioni di natura discrezionale, relative alla scelta dei mezzi giudicati più idonei per il conseguimento delle finalità sociali. In conformità a tale principio l’impugnazione dei soci viene accolta solo parzialmente. Tra le contestazioni mosse dagli attori, la prima concerne alcune disposizioni del regolamento disciplinante l’assegnazione degli immobili della cooperativa relative, ad esempio, alla possibilità per ciascun socio di indicare inizialmente il proprio interesse all’assegnazione di una sola unità immobiliare o alla richiesta di un versamento a titolo di cauzione tramite assegno circolare. I giudici milanesi, osservando come gli attori non abbiano individuato alcun profilo di illegittimità o di abuso della maggioranza, hanno escluso la possibilità di sindacare le disposizioni regolamentari suddette sotto un profilo di legittimità, a prescindere, quindi, da valutazioni di opportunità o di convenienza [43]. A questo proposito in dottrina è stata evidenziata la necessità di rafforzare la tutela della minoranza anche tramite un «sindacato giudiziario esteso e penetrante» sulla legittimità sostanziale degli atti societari [44]. Si è sottolineata così, anche in giurisprudenza, la rilevanza del «controllo giudiziario di correttezza» sul contenuto della delibera, volto a sanzionare pregiudizi alla società e ai soci [45]. L’applicazione del principio di correttezza nei rapporti endosocietari determinerebbe il «tramonto del dogma dell’insindacabilità del voto assembleare», comportando un sindacato di una certa ampiezza sul «merito» della decisione [46]. La decisione assembleare dovrà, così, essere valutata in base al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, attraverso un controllo «“a maglie larghe”» sull’esercizio del potere della maggioranza [47]. Si è tuttavia [continua ..]