<p>Impresa Società Crisi di Palazzolo Andrea, Visentini Gustavo</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sulla cd. sanatoria delle delibere assembleari di s.p.a. ex art. 2379-bis c.c. (e cenni sull´inopponibilità ai terzi in buona fede dei limiti legali ai poteri di rappresentanza degli amministratori) (di Michele Centonze)


SOMMARIO:

1. Premessa. - 2. L’assenso allo svolgimento dell’assemblea. - 3. (Segue) L’assenso prestato da tutti i soggetti non convocati. - 4. La verbalizzazione tardiva. Inopponibilità ai terzi in buona fede dei limiti legali ai poteri di rappresentanza degli amministratori? - NOTE


1. Premessa.

In materia di invalidità delle delibere assembleari, una delle novità più appariscenti introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003 è costituita dalla previsione, contenuta nell’art. 2379-bis c.c., di una meccanismo di «sanatoria» (per usare l’espressione che compare nella rubrica della norma) della delibera nulla. Ai sensi della menzionata disposizione, «l’impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea. L’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva. La deliberazione ha effetto dalla data in cui è stata presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione». La funzione di politica legislativa assolta da questa previsione normativa è evidente e risponde al duplice obiettivo di assicurare stabilità alle deliberazioni societarie e, correlativamente, di prevenire il rischio di impugnative pretestuose 1. Ben più difficili da chiarire risultano, invece, i delicati problemi interpretativi sollevati dal testo dell’art. 2379-bis c.c., che verranno appresso affrontati partendo dalla disposizione contenuta nel primo comma. Prima, però, è opportuno avvertire subito, con riferimento a entrambi i commi, che la rubrica della norma, che si esprime in termini di «sanatoria della nullità», è in buona misura imprecisa, perché non riflette appieno né gli strumenti tecnici individuati dal legislatore per raggiungere i menzionati obiettivi di politica legislativa, né l’effettivo campo di operatività del rimedio. E invero, come si vedrà più analiticamente in seguito, per un verso, di «sanatoria» si può parlare propriamente solo con riferimento alla fattispecie regolata nel 2° comma, mentre il 1° comma individua un caso di carenza di legittimazione ad impugnare per chi si trovi nella condizione descritta 2; per altro verso, si deve riconoscere che la cd. «sanatoria» opera non soltanto nell’ipotesi di nullità della delibera, ma anche in quella di semplice annullabilità dovuta a vizi della [continua ..]


2. L’assenso allo svolgimento dell’assemblea.

In relazione alla cd. «sanatoria» prodotta dall’assenso allo svolgimento dell’assemblea non convocata, vanno in primo luogo esaminati i requisiti di forma e di sostanza che devono sussistere affinché possa ritenersi integrata la fattispecie preclusiva (della legittimazione ad impugnare la delibera nulla). In particolare, si discute: a) se l’assenso debba essere dichiarato nella consapevolezza dell’esistenza del vizio; b) se debba essere espresso (e se sussistano vincoli di forma) o sia sufficiente un comportamento concludente e in che cosa questo possa consistere; c) entro quale termine deve intervenire la dichiarazione di assenso per produrre l’effetto previsto dalla norma. a)Quanto al primo dei problemi segnalati, pur nel silenzio del dettato normativo e, quindi, con tutte le incertezze che ne derivano, sembra preferibile una risposta positiva, dovendosi ritenere che l’effetto preclusivo dell’impugnazione si produca soltanto se l’assenso provenga da chi sia consapevole dell’esistenza del vizio, e ciò per analogia con quanto esplicitamente disposto dagli artt. 590, 799 e 1444 c.c.4. Al riguardo va puntualizzato che i noti contrasti dottrinali e giurisprudenziali in ordine al corretto inquadramento giuridico delle tre fattispecie appena menzionate e dei rapporti tra loro 5 appaiono irrilevanti ai fini della soluzione della questione in esame, e ciò dal momento che, a prescindere da come si ricostruisca la relativa natura giuridica (rinunzia all’azione, sanatoria, convalida, recupero del contratto, ecc. …), resta in ogni caso fermo, per un verso, che il risultato minimo che tutte le accomuna è costituito dalla preclusione all’impugnazione dell’atto invalido e, per altro verso, che tale risultato in tanto si produce in quanto il soggetto legittimato abbia tenuto un certo comportamento nella consapevolezza dell’esistenza del vizio. Se, poi, detto effetto esaurisca la portata delle menzionate norme, ovvero esso sia il corollario di una diversa condizione del contratto invalido, è questione, come detto, irrilevante ai nostri fini, poiché ciò che conta è che l’effetto minimo comune a tutte (preclusione all’impu­gnazione) caratterizza altresì la fattispecie regolata dalla disposizione in esame. Il confronto con il sistema di [continua ..]


3. (Segue) L’assenso prestato da tutti i soggetti non convocati.

Si è sottolineato in apertura che la norma in esame non individua, propriamente, un’ipotesi di «sanatoria» della delibera, come si esprime la rubrica, ma di difetto di legittimazione a impugnare. Questa affermazione, sostanzialmente pacifica, non deve, però, sviare nella soluzione di un altro, delicato, problema sollevato dalla disposizione in commento. Ci si riferisce, in particolare, all’esame delle conseguenze provocate dall’assenso all’assem­blea nell’ipotesi in cui esso provenga da tutti i soggetti che abbiano visto frustrato il proprio diritto di intervento a causa della mancanza (o del vizio) della convocazione 15. Una parte della dottrina, muovendo appunto dalla premessa che la norma in esame contempla una mera preclusione di carattere soggettivo all’impugnazione ritiene che la delibera nulla sia impugnabile anche nell’ipotesi ora allo studio 16. Sennonché, non sembra che l’argomento addotto, pur in sé corretto, sia decisivo. Occorre, infatti, considerare che l’assenso allo svolgimento dell’assemblea ha un valore sostanziale consistente non solo nell’esprimere, su un piano soggettivo, la rinuncia del titolare del diritto a essere convocato 17, ma anche – e questo aspetto non viene valutato dall’indirizzo opposto – nell’attestare, su un piano oggettivo, che il vizio procedimentale in questione non ha provocato alcuna conseguenza concreta sull’esito della riunione, essendo tale esito accettato o condiviso (in via preventiva o successiva) dal socio non intervenuto, nel momento in cui egli dà l’assenso (preventivo o successivo) allo svolgimento dell’assemblea non convocata. L’as­senso di tutti soci pretermessi allo svolgimento dell’assemblea implica accettazione dell’esito della riunione e quindi dimostra che il contenuto della decisione presa non sarebbe stato diverso se essi avessero effettivamente partecipato alla riunione assembleare 18. Sotto questo profilo, si può ben affermare che, sussistendo l’assenso di tutti i legittimati a intervenire, il procedimento assembleare, pur se viziato nella fase di convocazione, risulta comunque aver raggiunto il proprio scopo, che è quello di assicurare che la delibera sia presa con il coinvolgimento di tutti i soggetti legittimati a partecipare ai lavori assembleari: [continua ..]


4. La verbalizzazione tardiva. Inopponibilità ai terzi in buona fede dei limiti legali ai poteri di rappresentanza degli amministratori?

Vera e propria ipotesi di sanatoria della delibera invalida è quella regolata dal 2° comma dell’art. 2379-bis c.c., che consente di rimediare alla mancanza del verbale attraverso una verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva 27. Con specifico riguardo ai vizi attinenti la documentazione della decisione, la legge, con la previsione in questione, mette a disposizione della società uno strumento di stabilizzazione della delibera alternativo a quello, per dir così generale, costituito dalla sostituzione della delibera invalida ai sensi dell’art. 2377, 8° comma, c.c. (richiamato dall’art. 2379, 4° comma, c.c.). Un’alternativa senz’altro più snella (considerato che l’effetto salvifico è prodotto dalla mera redazione, sia pure tardiva, del verbale e non già, come è previsto nell’altra ipotesi, dalla rinnovazione dell’intero procedimento assembleare) e meno rischiosa, posto che nulla assicura ex ante la formazione della maggioranza necessaria alla adozione della delibera sostitutiva di quella precedente invalida. Ponendosi come alternativa alla facoltà di sostituzione della delibera invalida – alternativa, si ripete, fruibile solo fino all’assemblea successiva 28 –, pare utile verificare quali differenze di disciplina intercorrano tra le due menzionate ipotesi. a)In questa prospettiva, occorre in primo luogo domandarsi se la sanatoria prevista dalla disposizione in esame operi solo a seguito di una verbalizzazione conforme a legge o statuto (come è richiesto dall’art. 2377, 7° comma, c.c., per la delibera sostitutiva) o anche quando il verbale tardivo sia viziato. A tale proposito, in dottrina si è sostenuto che la delibera, nulla per mancanza del verbale, tale resta se il verbale tardivo non presenta i requisiti necessari per la sua esistenza, ai sensi dell’art. 2379, 3° comma, c.c., mentre diventa annullabile se il verbale tardivo esiste, ma è inesatto o incompleto (art. 2377, 5° comma, n. 3, c.c.); e, sulla scorta di questa conclusione, si è ritenuto che «l’impugnante, per essere certo di non vedere paralizzata l’azione di nullità con una verbalizzazione tardiva incompleta e irregolare, ma conforme al disposto dell’art. 2379, 3° comma, c.c., eseguita decorsi novanta giorni dalla data [continua ..]


NOTE