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1. Introduzione - 2. I casi e le sentenze in commento - 3. La normativa di riferimento e gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza - 3.1. I diritti costituzionalmente garantiti agli azionisti e ai creditori - 3.2. La disciplina europea in materia di operazioni sul capitale sociale nelle società per azioni - 4. Il commento - 4.1. La tutela dei diritti dei soci e dei creditori: abbandono di una distinzione qualitativa delle rispettive posizioni - 4.2. Le implicazioni dell’acquisita centralità del principio dell’assenza di pregiudizio - 4.3. L’assedio al monopolio dei soci sulle operazioni sul capitale di una società per azioni in crisi - 4.4. Due problemi di diritto transitorio: la tutela del legittimo affidamento e la libertà di iniziativa economica - NOTE
La crisi finanziaria che ha colpito molte banche nel corso degli ultimi anni ha avuto profonde ricadute non solo sull’ordinamento bancario, ma anche sul diritto societario. L’esperienza maturata nella gestione delle crisi bancarie e i rimedi normativi predisposti per farvi fronte sembrano, infatti, aver dato ulteriore abbrivio al processo – già da tempo in atto – di creazione di un diritto della crisi delle società di capitali “comuni”. Tale contributo pare essersi concretizzato, principalmente, tramite un’azione su due fronti distinti, fra loro convergenti. Da un lato, l’introduzione per le banche di nuovi strumenti concorsuali – sospinta dall’esigenza di offrire, per queste particolari società, un’alternativa al tradizionale meccanismo concorsuale dello spossessamento/ liquidazione del patrimonio del debitore [1] – ha messo in luce un modello concorsuale alternativo alla liquidazione, ideato specificamente con riferimento a debitori aventi natura societaria [2]. Dall’altro lato, l’esigenza di rompere la spirale negativa tra debolezza del settore bancario e crisi dell’economia reale – causata dalla stretta interconnessione tra questi ambiti – ha reso impellente l’avvìo di profonde riforme in materia di crisi d’impresa che, rendendo più efficienti le comuni procedure concorsuali, potessero rafforzare il sistema bancario [3]. In definitiva, le forze messe in moto dalla crisi finanziaria sembrano aver concorso a creare sia un primo esempio di sistema organico di diritto della crisi delle società di capitali (benché avente vocazione speciale, stante la natura bancaria delle società cui si applica), sia l’interesse politico necessario per dare ulteriore impulso allo sviluppo del diritto concorsuale. Questo particolare contesto ha avuto sinora modo di tradursi – per quanto concerne l’ordinamento italiano – nell’introduzione di alcune previsioni normative che, in presenza di una crisi societaria, permettono di superare il tradizionale baluardo dell’indisponibilità della struttura societaria per i creditori. Le modifiche apportate in Italia nel 2015 alla disciplina del concordato preventivo hanno consentito ai creditori di una s.p.a. o di una s.r.l. di presentare, a [continua ..]
Le sentenze in commento sono state originate da operazioni di ricapitalizzazione forzosa di banche in crisi poste in essere da alcuni Stati membri, in applicazione di normative nazionali introdotte prima del recepimento della BRRD. Tali interventi, operando mediante la cancellazione e conversione delle pretese degli azionisti e dei creditori (secondo uno schema simile a quello del bail-in), hanno determinato, in via coattiva, una variazione quantitativa e qualitativa dei diritti di tali soggetti. La CGUE è stata, quindi, chiamata a valutare la compatibilità delle normative nazionali poste alla base di tali interventi con i principi e i diritti previsti dall’ordinamento europeo, cui tali normative ovviamente non avrebbero potuto derogare. Più precisamente, la vicenda decisa con la sentenza del 19 luglio 2016 nella causa Kotnik e altri (C-526/14) trae origine dalla situazione di carenza di capitale regolamentare accertata nel 2013 dall’autorità di vigilanza slovena con riferimento a cinque banche nazionali, tra cui anche le tre maggiori banche del paese. In considerazione dell’incapacità di queste banche di colmare la carenza di capitale con risorse reperite sul mercato (ad esempio, tramite aumenti di capitale, vendite di attivi o cartolarizzazioni) e alla luce dell’orientamento all’epoca appena espresso dalla Commissione europea in tema di legittimità degli aiuti di Stato [4], il legislatore sloveno attribuì alla Banca centrale di Slovenia il potere di cancellare e convertire le azioni e i crediti subordinati verso una banca in crisi con modalità simili a un bail-in [5]. La Banca centrale di Slovenia esercitò poco dopo tale prerogativa disponendo, nello specifico, l’annullamento integrale delle azioni e dei debiti subordinati delle cinque banche in crisi e la concessione di aiuti di stato destinati, nel caso delle tre banche più rilevanti, a dotarle di un patrimonio adeguato a proseguire la loro attività sotto il controllo pubblico e, nel caso delle altre due banche, a sostenerne la liquidazione [6]. L’intervento ha dato luogo, come prevedibile, a un ampio contenzioso che, giunto di fronte alla CGUE, ha riguardato anche i temi della compatibilità della cancellazione forzosa con i diritti di proprietà degli azionisti e dei creditori e della legittimità [continua ..]
Le pretese vantate dagli azionisti e dai creditori di una società beneficiano di una tutela di rango costituzionale garantita dai trattati internazionali, dal diritto europeo e, in alcuni casi, anche dalle carte costituzionali nazionali. È dunque necessario confrontarsi con tali garanzie costituzionali laddove – come nel caso dei meccanismi di ricapitalizzazione forzosa o eterodiretta – si imponga una variazione quantitativa e/o qualitativa delle pretese degli azionisti e dei creditori senza che gli stessi abbiano a ciò acconsentito individualmente o, quantomeno, a maggioranza. È chiaro, infatti, che la sottrazione coattiva di una partecipazione sociale o di un diritto di credito – anche qualora attuata nel rispetto del principio dell’assenza di pregiudizio – non può assimilarsi sic et simpliciter al “tramonto” dei medesimi diritti conseguente all’incapienza del ricavato della liquidazione del patrimonio della società debitrice; né pertanto può essere ritenuta, in virtù di tale associazione, costituzionalmente compatibile senza un ulteriore approfondimento. Al riguardo, il principale fondamento della tutela costituzionale degli azionisti e dei creditori è rappresentato dal diritto di proprietà. Tale diritto – visto nella prospettiva dell’ordinamento italiano – trova riconoscimento nell’art. 42 della Costituzione, nell’art. 1 del Primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (direttamente applicabile per il tramite dell’art. 117 Cost.) e nell’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza) [9]. La tutela del diritto di proprietà prevista da tali fonti normative si connota, per opinione condivisa [10], per un comune nucleo essenziale: (i) il dovere di astenersi dal porre in essere interferenze nel rapporto tra il titolare del diritto di proprietà e i beni oggetto della stessa, (ii) la possibilità di prevedere restrizioni del diritto di proprietà, finanche la sua privazione (c.d. esproprio), soltanto per mezzo di una previsione di legge e quando ciò sia giustificato dalla necessità di perseguire, nel rispetto del principio di proporzionalità, interessi di carattere generale [11], [continua ..]
L’ordinamento europeo prevede una serie di diritti in favore degli azionisti di una società per azioni (o, per gli altri Stati membri, dei soci di una società di tipo equivalente), con l’obiettivo espresso di definire una comune soglia minima di tutela per gli investitori all’interno del mercato unico europeo. Tali disposizioni, in passato contenute in numerosi testi normativi, sono state recentemente codificate, senza sostanziali modifiche, all’interno della direttiva (UE) 2017/1132 del 14 giugno 2017 (che ha riprodotto anche il contenuto della direttiva 2012/30/UE, in cui era stata in precedenza rifusa la direttiva 77/91/CEE, c.d. Seconda direttiva). Tra questi diritti – nella prospettiva dell’ammissibilità dei meccanismi concorsuali operanti tramite la ricapitalizzazione forzosa o eterodiretta – rilevano: (i) il diritto esclusivo degli azionisti di decidere, in sede assembleare, eventuali operazioni di aumento o riduzione del capitale sociale [17]; (ii) il diritto di opzione dei soci sulle azioni di nuova emissione liberate mediante conferimenti in denaro, la cui limitazione o esclusione può essere disposta, in base al diritto societario europeo, solo con deliberazione dell’assemblea straordinaria. Il riconoscimento di tali diritti in favore dei soci – ove esteso anche all’ipotesi di crisi di una società per azioni – risulterebbe incompatibile con il funzionamento di un meccanismo concorsuale che, operando sul capitale sociale senza il consenso dell’assemblea dei soci, ponesse in essere una ricapitalizzazione forzosa o eterodiretta della società in crisi. La sottrazione ai soci di tali diritti appare, infatti, evidente nel caso dei meccanismi previsti per la gestione delle crisi bancarie, dove l’aumento del capitale sociale necessario a ripatrimonializzare la banca in crisi è disposto dall’autorità amministrativa (come nel bail-in e come accaduto nel caso Kotnik) o da quella giudiziaria (come nel caso Dowling), e l’aumento di capitale è destinato ai creditori senza una deliberazione dell’assemblea straordinaria e con esclusione del diritto di opzione dei soci. Tuttavia, la sottrazione agli azionisti degli stessi diritti può avvenire, a ben vedere, anche nell’ambito della procedura di concordato preventivo, quando la proposta preveda un [continua ..]
L’orientamento sviluppato dalla CGUE nelle sentenze in commento può essere riassunto nell’affermazione secondo cui il rispetto del principio dell’assenza di pregiudizio (c.d. no creditor worse off) è di per sé sufficiente ad assicurare, in tutti i casi, la tutela dei diritti di proprietà degli azionisti e dei creditori. In altri termini, la CGUE traccia una sostanziale equivalenza tra la tutela del diritto costituzionale di proprietà e la tutela del suo controvalore economico: secondo la Corte, infatti, la coattiva cancellazione o conversione dei diritti degli azionisti e dei creditori è legittima, purché il trattamento economico loro riconosciuto sia almeno pari a quello che avrebbero prevedibilmente ottenuto se la società fosse stata sottoposta a una liquidazione concorsuale. Tuttavia, nonostante la sua unitaria formulazione, l’equivalenza sancita dalla CGUE tra tutela proprietaria e rispetto del principio dell’assenza di pregiudizio risulta, all’apparenza, riferita a due operazioni diverse. Non sembrerebbe, infatti, possibile assimilare la cancellazione di una pretesa alla sostituzione, sempre in via coattiva, dell’originale oggetto del diritto con un bene giuridico diverso (le partecipazioni sociali assegnate ai creditori in soddisfazione). Eppure può sin da subito anticiparsi che, come si vedrà tra poco, l’analisi della motivazione sottostante all’orientamento espresso dai giudici europei conduce a ritenere che la CGUE abbia valutato la cancellazione e la conversione in azioni delle pretese verso una società in crisi come operazioni tra loro omogenee. Con riferimento alla prima operazione, l’orientamento espresso dalla CGUE nelle sentenze in commento (e, in particolare, nel caso Kotnik) si pone in modo chiaro come conferma e sviluppo in chiave estensiva della posizione in precedenza assunta dalla CEDU [25]. Quest’ultima, infatti, aveva già implicitamente riconosciuto che gli azionisti e i creditori, se titolari di una pretesa verso la società priva di valore economico, non potessero beneficiare della tutela proprietaria, basando su tale assunto la sua decisione adottata nel caso del fallimento della banca Northern Rock (v. supra, § 3.1). A ciò, la CGUE ha adesso aggiunto che, quando le pretese degli azionisti e dei creditori sono dotate di un [continua ..]
L’equivalenza tra rispetto del diritto di proprietà e tutela del controvalore economico delle pretese degli azionisti e dei creditori conferisce centralità assoluta al principio dell’assenza di pregiudizio. L’accertamento del rispetto di tale principio, infatti, risulta in tal modo elevato a parametro unico per la verifica della compatibilità dei meccanismi concorsuali basati sulla ricapitalizzazione forzosa o eterodiretta con il diritto costituzionale di proprietà. Al riguardo, deve subito segnalarsi che l’espressa previsione normativa del principio dell’assenza di pregiudizio non costituisce prerogativa esclusiva della disciplina delle crisi bancarie. Sebbene espresso in termini diversi, tale principio appare comune a tutti i meccanismi concorsuali che – senza passare da una liquidazione del patrimonio – permettono di imporre ai creditori, in assenza di un loro individuale consenso, un trattamento diverso da quello spettante in base al titolo originario (concordato fallimentare, concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti “con intermediari finanziari”). In tutti questi casi, infatti, si rende possibile per i creditori dissenzienti, a determinate condizioni, impedire il prodursi degli effetti previsti dallo strumento se il trattamento economico loro assegnato risulta inferiore a quanto avrebbero ottenuto in un’esecuzione collettiva in sede di liquidazione concorsuale (ossia nelle «alternative concretamente praticabili» [32], cfr. artt. 129, 5° comma; 180, 4° comma e 182-septies, 4° comma, lett. c), legge fall.) [33]. Solo un breve cenno può essere fatto, in questa sede, alle conseguenze derivanti dall’attribuzione del ruolo di baluardo del diritto di proprietà al principio dell’assenza di pregiudizio (intendendo, con tale espressione, anche l’omologo criterio previsto dai meccanismi concorsuali di diritto comune). In primo luogo, occorre segnalare che, in virtù delle modalità con cui opera tale principio, il rispetto del diritto di proprietà degli azionisti e dei creditori viene, di fatto, a dipendere dalla correttezza del processo di stima del valore del patrimonio del debitore nello scenario ipotetico di una sua liquidazione concorsuale e dalla possibilità, per gli azionisti e per i creditori, di sottoporre tale stima a una seconda [continua ..]
Le sentenze in commento, rispetto al secondo ordine di limiti con cui devono confrontarsi i meccanismi concorsuali di ricapitalizzazione forzosa o eterodiretta (v. supra, § 1), hanno ritenuto compatibili con il diritto societario europeo le previsioni normative nazionali che – in caso di crisi di una banca costituita in forma di società per azioni – sottraggano agli azionisti il potere esclusivo di deliberare operazioni sul capitale sociale e consentano limitazioni (finanche l’esclusione) del diritto di opzione dei soci [36]. Tale orientamento marca, nella sostanza, il superamento del precedente orientamento espresso sul tema dalla stessa CGUE nella serie di pronunce adottate nel corso degli anni novanta (v. supra, § 3.2) [37]. Gli argomenti utilizzati al fine di giungere a tale approdo risultano, tuttavia, connessi agli interessi pubblici messi a rischio dalle crisi bancarie, non apparendo così suscettibili di immediata estensione alla crisi delle società per azioni “comuni”. Cionondimeno, le sentenze Kotnik e Dowling (insieme alle relative conclusioni dell’avvocato generale della CGUE) offrono alcuni elementi utili a suggerire che – anche in una prospettiva generale riferita alla crisi delle società per azioni “comuni” – le norme europee che attribuiscono inderogabilmente agli azionisti il potere di incidere sul capitale sociale non possano frapporsi all’utilizzo di meccanismi di ricapitalizzazione forzosa o eterodiretta. In questo senso, rileva in primo luogo la scelta dei giudici europei di affrontare in maniera “chirurgica” solo lo specifico quesito sollevato dalle vicende decise. Quando la CGUE si è espressa in passato sullo stesso tema, infatti, l’atteggiamento è stato quello opposto di fornire numerose indicazioni di carattere generale, che hanno supportato la tesi secondo cui la disciplina della Seconda direttiva dovesse applicarsi anche nel contesto della crisi di una società per azioni (v. supra, § 3.2). In quest’ottica, il “silenzio” delle recenti pronunce, unito a un (pur timido) “sforzo di distinzione” rispetto al contesto in cui erano maturate le precedenti decisioni della CGUE [38], sembrano potersi leggere come il primo passo di una manovra di avvicinamento progressivo a un futuro ripensamento generale del [continua ..]
L’introduzione di meccanismi di ricapitalizzazione forzosa o eterodiretta pone, in astratto, ulteriori profili di possibile lesione dei diritti degli azionisti e dei creditori con riferimento alla tutela del legittimo affidamento e alla protezione della libertà di iniziativa economica privata. Entrambi questi profili, anche laddove si ritenesse effettivamente sussistere un pregiudizio, integrerebbero problemi di diritto transitorio, come tali destinati ad affievolirsi progressivamente, sino a svanire, nel corso degli anni. In relazione al primo di questi due profili, ci si riferisce, più precisamente, alla possibilità di configurare un diritto degli azionisti e dei creditori a vedere tutelato l’affidamento da loro riposto nella prospettiva di essere tenuti indenni da perdite in caso di dissesto [43]. Tale affidamento può in ipotesi ravvisarsi, evidentemente, solo rispetto agli azionisti e creditori di banche, i quali – prima dell’introduzione della disciplina della risoluzione bancaria – potevano confidare su un contesto normativo che non permetteva di imporre le perdite a carico degli investitori con modalità compatibili con la salvaguardia della stabilità del sistema finanziario, rendendo così pressoché certo un intervento pubblico di salvataggio della banca [44]. Per tale motivo, gli azionisti e i creditori delle banche la cui pretesa è sorta prima dell’avvento degli strumenti di risoluzione hanno fondato le loro scelte di investimento sulla ragionevole prospettiva dell’“infallibilità” della banca, accettando condizioni che – alla luce dell’attuale contesto normativo – risultano inadeguate a remunerare il rischio [45]. Tale conseguenza avrebbe potuto essere evitata prevedendo modalità graduali di entrata a regime dei nuovi strumenti di risoluzione, tra cui anche la ricapitalizzazione forzosa attuata con il bail-in. Tuttavia, il legislatore europeo – spinto dall’urgenza di provvedere di fronte al perdurare della crisi finanziaria e dalla difficoltà di immaginare soluzioni idonee ad assicurare il coordinamento tra il precedente e il nuovo assetto – non ha previsto alcuna fase transitoria, consentendo che la nuova disciplina si applicasse immediatamente, nella sua interezza, anche ai diritti degli azionisti e dei creditori sorti precedentemente alla sua [continua ..]