To promote a smooth and effective exercise of minority shareholders’rights attached to voting shares in publicly held companies, some regulators and law-makers have recently enacted provisions granting key rights only to minority shareholders who have been continuously holding a stake for a minimum holding period (“long-term shareholders”).
This article argues that making certain shareholder rights dependent on continuous ownership is a good way of developing corporate governance because it helps management to act in the long-term interest of the company. In other words, fostering long-term shareholders’activism may be a tool for strengthening the long-term best interest of the corporation because it allows directors to manage their enterprises in a manner that emphasises the long-term over the short-term.
This article also explores whether the new laws and regulations have an impact on the shareholders’equal treatment norm and briefly addresses certain practical issues that these new laws and regulations could raise.
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1. Impostazione del problema. - 2. Il potenziamento degli azionisti fedeli come stimolo allo sviluppo imprenditoriale di lungo periodo. - 3. Ricognizione di alcuni diritti particolari attribuiti agli azionisti fedeli negli Stati Uniti, in Francia e in Italia. - 4. Azionisti fedeli vs. azionisti speculatori: una dicotomia che incide sull’interesse della società? - 5. Effetti del potenziamento degli azionisti fedeli sulla corporate governance. - 6. Alcuni ulteriori ambiti in cui il potenziamento degli azionisti fedeli sarebbe opportuno. - 7. Diritti particolari degli azionisti fedeli e principio di parità di trattamento fra soci. - 8. Alcune problematiche applicative. - 9. Conclusioni. - NOTE
Le riflessioni svolte nel presente articolo muovono dall’osservazione di talune disposizioni normative che – negli Stati Uniti, in Francia e in Italia – incentivano il possesso azionario duraturo attribuendo agli azionisti fedeli 1 taluni diritti sociali poziori rispetto a quelli degli altri soci. Trattandosi di norme innovative ed estranee al principio capitalistico che governa le società anonime, è quantomai opportuno rinvenire una ratio comune che consenta di valutarne la compatibilità con il sistema che le ospita. Secondo la tesi che viene proposta nel prosieguo, tali norme sono volte a incentivare l’attivismo degli azionisti di lungo termine nella convinzione che questi abbiano intrinsecamente manifestato (in virtù del proprio possesso azionario prolungato) un maggiore interesse – rispetto agli altri soci – per una gestione dell’impresa che sia sana e prudente in un’ottica di lungo periodo. Poiché la crisi finanziaria recente ha messo in luce come un’eccessiva preoccupazione degli amministratori per l’andamento dei titoli nel breve periodo possa portarli a trascurare la crescita aziendale di lungo termine – e ciò nell’assunto che non sempre il valore di mercato del titolo riflette perfettamente le aspettative di crescita futura dell’impresa –, un potenziamento dei diritti dei soci fedeli (che li renda interlocutori privilegiati del management) potrebbe favorire l’adozione da parte degli amministratori di politiche gestionali maggiormente improntate alla crescita aziendale piuttosto che a logiche transeunti. Ma in che modo queste esigenze si conciliano con alcuni principi cardine del diritto societario? Sebbene rintracciare connotati tipologici universalmente applicabili alla moderna società anonima, e ai suoi equivalenti all’estero, non sia compito agevole, non v’è dubbio che tali modelli societari siano improntati ad un’ideologia fortemente plutocratica, in cui la diversa incidenza dei soci (all’interno della medesima categoria azionaria) dipende dal numero di azioni da ciascuno detenute. Ne consegue che, in tali tipi di società, qualsivoglia deviazione dalla regola di uguaglianza fra azioni della medesima categoria debba superare un rigido scrutinio di compatibilità con il principio di parità di trattamento fra azionisti 2. D’altra [continua ..]
Come anticipato nel paragrafo precedente, la ratio sottesa all’introduzione di una distinzione di natura qualitativa all’interno della compagine sociale è complessa, così come molteplici possono essere i suoi effetti sia in termini di corporate governance che di circolazione azionaria. Rinviando un’analisi più approfondita di queste tematiche ai paragrafi che seguono, può anticiparsi sin d’ora che un possesso continuativo e prolungato delle azioni da parte di un medesimo socio fedele «better demonstrates a shareholder’s long-term commitment and interest in the company» 10. A prescindere dal fatto che una distinzione fra azionisti dipendente dalla durata del rispettivo possesso azionario rappresenti una soluzione legislativa condivisibile o no, il presente contributo si sviluppa intorno a una tesi ben precisa: i diritti speciali che le norme di seguito illustrate attribuiscono ai soli azionisti fedeli, ove correttamente interpretati e utilizzati, possono contribuire a un significativo miglioramento della corporate governance delle società quotate. E ciò in quanto, rafforzando l’attivismo dei soci (per definizione) interessati alle prospettive di lungo termine, indirettamente si proteggono i processi decisionali degli amministratori dall’influenza inopportuna e potenzialmente dannosa degli azionisti speculatori che (per definizione) sono attenti esclusivamente alla crescita del valore del titolo nel breve periodo anche qualora questa avvenga a discapito dell’investimento della società in progetti a lunga scadenza. Notoriamente gli assetti di corporate governance del mondo occidentale convergono verso sistemi incentrati sulla supremazia degli interessi degli azionisti in nome dello shareholder value, pur non rinnegandosi anche agli altri stakeholders (creditori, consumatori, fornitori, dipendenti, ecc.) una protezione ad intensità minore 11. Da ciò deriva una gestione dell’impresa sociale essenzialmente volta alla massimizzazione della redditività della partecipazione azionaria, che riflettendo le prospettive future dell’impresa attualizzate richiede al management di perseguire una strategia di crescita solida e di medio-lungo periodo nell’interesse degli azionisti 12. Nonostante si concordi sulla necessità di tener conto, nella determinazione delle politiche gestionali, della prospettiva [continua ..]
L’analisi che segue si sviluppa intorno a talune normative, primarie e secondarie, che attribuiscono diritti speciali agli azionisti di lungo termine (generalmente nelle società ad azionariato diffuso) 17 negli Stati Uniti, in Italia e in Francia. Negli Stati Uniti due norme regolamentari emanate dalla Securities and Exchange Commission (“SEC”), segnatamente la Rule 14a-8 e la Rule 14a-11, attribuiscono diritti amministrativi speciali esclusivamente agli azionisti di lungo termine di società quotate. Questo fenomeno ha avuto origine con l’emanazione della Rule 14a-8 (c.d. “shareholder proposal rule”) 18 che consente ai (soli) soci fedeli di richiedere l’integrazione dell’ordine del giorno assembleare e la pubblicità delle proprie proposte insieme a quelle del consiglio di amministrazione. Tale previsione regolamentare distingue gli azionisti di lungo termine dagli altri soci in quanto attribuisce la facoltà descritta esclusivamente agli azionisti che abbiano detenuto consecutivamente azioni per un valore di mercato complessivo di $2,000, o rappresentanti l’1% del capitale votante, per almeno un anno dalla data di presentazione della proposta. La seconda previsione regolamentare che, sempre negli Stati Uniti, conferisce determinati diritti sociali solo agli azionisti di lungo termine è la Rule 14a-11, emanata dalla SEC il 16 settembre 2010 per facilitare la presentazione di candidati alla carica di amministratore da parte dei soci 19. A mente della Rule 14a-11, gli azionisti che intendano includere propri candidati alla carica di amministratore nella documentazione pre-assembleare diffusa dalla società (cc.dd. proxy materials) 20 devono aver detenuto non meno del 3% del capitale votante continuativamente per minimo tre anni dalla data di comunicazione della propria intenzione di avvalersi di tale facoltà. In sintesi, le normative regolamentari statunitensi attribuiscono esclusivamente agli azionisti di lungo periodo il diritto di integrare l’ordine del giorno assembleare con proprie proposte e/o di presentare candidature alla carica di amministratore includendole nella documentazione pre-assembleare predisposta e distribuita dalla società 21. In Europa, e in particolare in Italia 22 e in Francia 23, lo statuto sociale può attribuire un dividendo maggiorato agli azionisti di minoranza che abbiano [continua ..]
In un mercato finanziario efficiente, il prezzo di scambio dei titoli azionari incorpora le prospettive di crescita imprenditoriale della società nel lungo periodo, attualizzate e valutate da analisti e investitori sulla base delle informazioni a disposizione del pubblico 32. In queste circostanze, pertanto, l’interesse degli azionisti di breve periodo (cc.dd. “speculatori”) non confligge con quello dei soci fedeli 33. Diversamente, un conflitto del genere potrebbe sorgere ogni qual volta il prezzo di scambio delle azioni non dovesse riflettere accuratamente la stima dei benefici che operazioni aziendali a lungo termine potrebbero apportare alla società 34. Tale forma di “miopia” degli operatori del mercato è piuttosto ricorrente 35 e deriverebbe, secondo gli studi più accreditati 36, da problemi di asimmetria e incompletezza informativa 37 – soprattutto in relazione alle decisioni gestionali strategiche 38 – e dalle inefficienze che talvolta si riscontrano nella formazione dei prezzi di negoziazione sul mercato 39. Di conseguenza, sempre più diffusamente alcune categorie di investitori istituzionali privilegiano l’investimento in titoli azionari che garantiscano una buona performance nel breve periodo, disinteressandosi all’andamento del titolo nel lungo termine. Per attrarre l’investimento azionario degli investitori istituzionali, gli organi di amministrazione delle società quotate si sono eccessivamente concentrati su obiettivi di crescita nel breve periodo, sacrificando sovente l’adozione di politiche imprenditoriali funzionali allo sviluppo di lungo termine 40. Ciò è accaduto tipicamente nelle decisioni concernenti l’impiego dei mezzi patrimoniali della società 41. Mentre in determinate circostanze gli amministratori potrebbero essere interessati a finanziare con equity l’acquisizione di società bersaglio o di rami aziendali strategici per realizzare sinergie imprenditoriali di lungo periodo, di converso gli azionisti speculatori potrebbero preferire un’immediata distribuzione ai soci della medesima posta di patrimonio anche ove ciò dovesse comportare il sacrificio dei vantaggi strategici derivanti dal compimento dell’operazione societaria prospettata 42. Emblematico a tal riguardo è il caso Paramount v. [continua ..]
Appurato che una politica gestionale improntata esclusivamente al profitto immediato, piuttosto che alla crescita imprenditoriale, è in grado di pregiudicare lo sviluppo aziendale 61, diviene quantomai opportuno che gli azionisti agiscano avendo in mente l’impatto che le decisioni sociali possono produrre sul futuro della società 62. Tuttavia, la forza persuasiva di questo enunciato è significativamente stemperata dalla realtà delle cose. Non è un mistero che gli azionisti di società quotate detengano le partecipazioni sociali a scopo di investimento, e che pertanto siano interessati al proprio profitto personale più che all’andamento di lungo termine dell’impresa o alle ripercussioni delle decisioni sociali sugli altri stakeholders 63. Come si è visto, per effetto di quest’attitudine gli amministratori tendono a promuovere politiche imprenditoriali che garantiscano un ritorno nel breve periodo piuttosto che lo sviluppo sostenibile della società nel lungo termine 64. Per far fronte a questa problematica è divenuta impellente la ricerca di un meccanismo che difenda il management dalla pressione esterna esercitata dai soci speculatori, così da consentire ai consigli di amministrazione di perseguire liberamente le politiche di sviluppo più idonee per la società 65. Negli Stati Uniti un dibattito del genere ha tradizionalmente riguardato il grado di coinvolgimento dei soci nell’elezione degli amministratori e nelle delibere assembleari più rilevanti (cc.dd. “rules of the game”), quali ad esempio quelle di modifica dell’atto costitutivo o della legge statale regolatrice dell’ente 66. Per scongiurare il rischio che decisioni così importanti per la società potessero essere influenzate dall’interesse dei soci speculatori, Lucian Bebchuck ha proposto di condizionarne l’efficacia al voto favorevole di due assemblee annuali consecutive, in tal modo assicurandone l’approvazione da parte di una maggioranza stabile che non sia frutto di circostanze transitorie o casuali 67. Altri esponenti della letteratura societaria statunitense hanno suggerito di riservare l’esercizio di taluni diritti amministrativi ai soli azionisti disposti a congelare la propria partecipazione azionaria per un periodo di tempo successivo all’assemblea. In [continua ..]
Le osservazioni svolte nei precedenti paragrafi dimostrano come gli sporadici interventi normativi che negli Stati Uniti e in Europa hanno stimolato l’investimento di lungo periodo dei soci siano strumentali ad un miglioramento effettivo degli assetti di corporate governance. Ma il quadro normativo esistente già copre tutte le aree in cui una maggiore influenza degli azionisti di lungo periodo sarebbe auspicabile? A mio avviso un potenziamento della posizione dei soci fedeli potrebbe rivelarsi quantomai opportuno anche in ambiti ulteriori rispetto a quelli attualmente individuati dalle normative vigenti e riportate al paragrafo 3. In primo luogo, auspicherei un maggiore attivismo degli azionisti di lungo periodo nei processi decisionali riguardanti la determinazione delle politiche remunerative di amministratori e dirigenti apicali, anche in considerazione del fatto che le normative più moderne 77 correlano l’an e il quantum di tali compensi alla crescita effettiva dell’impresa nel lungo termine 78. Si potrebbe quindi pensare di attribuire ai soci fedeli particolari diritti amministrativi nella fase pre-assembleare, o nell’assemblea stessa, tutte le volte che le politiche remunerative siano soggette al voto assembleare. Ciò potrebbe avvenire attraverso norme (i) che agevolino l’esercizio dei diritti sociali loro spettanti, come ad esempio un abbassamento della percentuale azionaria necessaria per avvalersene, ovvero (ii) che consentano loro di esprimere pareri o raccomandazioni da pubblicarsi ad opera della società a beneficio dell’intera compagine sociale. Da un lato gli interventi normativi suggeriti non confliggerebbero col principio “un’azione-un voto” 79 né pregiudicherebbero i diritti dei restanti soci 80. Dall’altro, un maggiore coinvolgimento dei soci fedeli in questa materia stimolerebbe ancor di più la correlazione fra remunerazione degli executives e andamento di lungo periodo della società, a cui i soci fedeli sono per definizione interessati. D’altra parte è proprio la relazione biunivoca “compensi/crescita di impresa” che le legislazioni post crisi finanziaria stanno promuovendo con rigore 81. In secondo luogo, ritengo che i due regolamenti statunitensi descritti al paragrafo 3 82 costituiscano un modello normativo efficiente, che per alcuni aspetti – e con i dovuti [continua ..]
Sia negli Stati Uniti che in Europa, numerose decisioni giurisprudenziali e normative societarie hanno enunciano l’esistenza di un principio di parità di trattamento fra soci che si trovino in identiche condizioni 92 volto a proteggere le minoranze azionarie da possibili forme di abuso ai loro danni. La parità di trattamento fra soci di società anonime tende a prevenire ogni discriminazione che si basi su condizioni personali diverse dal numero di azioni detenute. Poiché, dunque, qualsivoglia distinzione fra azionisti che si trovino in identiche condizioni non potrà che fondarsi sul numero di azioni da ciascuno detenute 93, ogni altro criterio di diversa attribuzione dei diritti sociali all’interno della medesima categoria azionaria dovrà essere attentamente scrutinato per valutarne la compatibilità con il principio di parità di trattamento anzidetto. Terreno d’elezione in cui tale principio ha trovato applicazione sono le decisioni sociali concernenti la distribuzione dell’utile o di altre poste patrimoniali, le operazioni di acquisto di azioni proprie 94, le riduzioni del capitale sociale 95 e la deviazione dal principio “un’azione-un voto” 96. Focalizzandosi sulla distribuzione di risorse patrimoniali da parte della società, parte della letteratura ritiene che solo un criterio di assegnazione pro rata (in ragione del numero di azioni detenute) garantisca agli azionisti di minoranza un’equa distribuzione della ricchezza fra soci, incentivandone così l’investimento nell’impresa sociale 97. Altro filone della dottrina americana, invece, ha interpretato la parità di trattamento in maniera più flessibile, rilevando come (a) i doveri fiduciari degli amministratori impongono loro di adottare decisioni che garantiscano un trattamento equo fra soci, ma non per forza perfettamente identico, e (b) in certe circostanze una distribuzione diseguale è propedeutica ad una migliore realizzazione dell’interesse della società e quindi, a patto che nessun socio sia pregiudicato dall’operazione, auspicabile e preferita rispetto a una distribuizione pro rata 98. Con riguardo all’allocazione dei diritti di voto, è stata tradizionalmente supportata la regola “un’azione-un voto” in quanto idonea ad evitare [continua ..]
Una volta riconosciuta ai diritti particolari dei soci fedeli la capacità di stimolare una migliore corporate governance e la coerenza con il principio di parità di trattamento, è tempo di confrontarsi con talune questioni applicative che una loro introduzione potrebbe sollevare. In particolare, è opportuno indagare se tali diritti speciali (a) possano essere trasferiti insieme al pacchetto azionario sottostante, (b) debbano essere attribuiti anche all’azionista di controllo, e (c) costituiscano una misura difensiva in caso di offerta pubblica d’acquisto ostile. Iniziando dalla prima questione, non v’e’ dubbio che il periodo di detenzione azionaria che, una volta maturato, consente l’esercizio dei diritti speciali inizi a decorrere ab origine in capo all’acquirente ogni volta che una partecipazione venga trasferita. Eccezioni a tale regola potrebbero essere consigliate in casi specifici, come ad esempio nei trasferimenti intra-familiari o intra-gruppo 114, in cui si presume che sia il trasferente che il trasferitario condividano il medesimo interesse di lungo termine nella società. Poiché in tale ultimo scenario ciò che generalmente muta è la mera titolarità formale della partecipazione sociale e non l’interesse economico ad essa sottostante, in quelle circostanze (o in circostanze simili) sarebbe auspicabile che i diritti speciali circolino insieme alla partecipazione azionaria. La regola di tendenziale intrasmissibilità dei diritti speciali appena descritta non è tuttavia immune da possibili forme di elusione. Ciò potrebbe accadere nel caso in cui il trasferente della partecipazione con annessi i diritti speciali sia una società holding costituita al solo scopo di detenere, e gestire, un pacchetto azionario in una società quotata. In tale evenienza, un acquirente interessato alle azioni della società quotata potrebbe preferire l’acquisto dell’intero capitale della holding in luogo del pacchetto azionario da questa detenuto, così mantenendo inalterata la titolarità formale delle azioni quotate e quindi la legittimazione ad esercitare i diritti speciali (che rimarrebbero appunto in capo alla holding). Nelle società quotate, difatti, un controllo di coerenza fra la titolarità formale della partecipazione e l’interesse economico sostanziale ad essa [continua ..]
Il presente contributo si è sviluppato intorno a una tesi: potenziare il ruolo dei soci fedeli costituisce una misura atta a stimolare un miglior assetto di corporate governance poiché protegge dall’influenza dei soci speculatori le decisioni degli amministratori volte a massimizzare la crescita imprenditoriale di lungo periodo della società. Inoltre, l’attribuzione di diritti particolari esclusivamente a vantaggio degli azionisti di lungo periodo non implica di per sé una violazione del principio di parità di trattamento fra soci, a condizione che, nel concreto, sia strumentale alla realizzazione di un interesse della società e strettamente proporzionata a tale fine. In conclusione, un potenziamento dei diritti dei soci fedeli costituisce un dispositivo raccomandabile ogni qual volta l’organo gestionale della società necessiti di qualche forma di protezione dall’influenza dei soci speculatori e la normativa societaria applicabile ne consenta l’introduzione.