Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il diritto societario di Singapore tra circolazione dei modelli e crescenti originalità (di Pierluigi Matera, Ferruccio Maria Sbarbaro)


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SOMMARIO:

1. Profili introduttivi. - 2. L’evoluzione dell’ordinamento societario di Singapore tra resistenze del retaggio coloniale e ricerca di una consapevole originalità. - 3. Segue: le riforme del Companies Act. - 4. Segue: cenni alle più recenti scelte in tema di doveri e responsabilità dei directors. - 5. L’esempio della società unipersonale. - 6. Il dibattito sul piercing the veil dopo il caso Prest. - 7. Ulteriori conferme: la disciplina dell’OPA nel Singapore Code on Takeovers and Mergers. - 8. Conclusioni (minime). - NOTE


1. Profili introduttivi.

Nel Sud-est asiatico tradizione e progresso si intrecciano indissolubilmente in un divenire che appare in parte sottrarsi alle categorie anche giuridiche dell’Occidente, persino in quegli ambiti ove, in ragione dell’eredità coloniale, il riferimento ai nostri sistemi potrebbe ragionevolmente appalesarsi in tutta la propria forza. E così, mentre mito e innovazione tecnologica s’incontrano per restituire immagini sorprendenti di un futuro non lontano, anche taluni settori del diritto registrano tendenze ed evoluzioni meritevoli di precipua attenzione. Tanto è particolarmente vero per il diritto societario di Singapore, Città-Stato che è divenuta, sulla scorta – si direbbe – di un’origine e di un nome che ne hanno segnato ancestralmente il destino, una delle più importanti e moderne realtà finanziarie dell’odierno mercato globale.   La “Città del leone” 1, che costituisce una delle economie con il PIL pro capite più alto al mondo – finanche superiore a quello della sua ex potenza coloniale 2 –, fu dopo alterne vicende (ri)fondata come vero e proprio insediamento dalla British East India Company 3; e quale prodotto del principale veicolo del capitalismo, la company  appunto4, Singapore non poteva che mantenere e sviluppare nel tempo, oltre ogni rapporto di proporzionalità rispetto a territorio e manodopera, la propria natura fondante, la quale, più che una vocazione, rappresenta la ragion d’essere di un intero Stato fatto mercato 5. Orbene, dimensioni economico-finanziarie e modernità di siffatto mercato risultano circostanze non secondarie nell’indagine comparatistica sul suo diritto delle società, perché non ne escludono a priori l’idoneità in termini di raffronto con gli ordinamenti societari occidentali. Laddove si aggiunga che con riguardo al proprio diritto delle società e dei mercati finanziari, Singapore è andata sempre più affermandosi come sistema non privo di originalità – al contempo in grado di produrre soluzioni o mutuarle attraverso l’apertura a contaminazioni e a circolazioni di strumenti giuridici più in generale –, si apprezzerà allora ancor più il per certo non semplice percorso di affrancamento dal common law inglese, un tempo monolitico riferimento non [continua ..]


2. L’evoluzione dell’ordinamento societario di Singapore tra resistenze del retaggio coloniale e ricerca di una consapevole originalità.

Come noto, Singapore è da considerarsi una jurisdiction relativamente giovane quanto ad autonomia e indipendenza, nel senso pieno del termine: è stata colonia britannica fino al 1963, di poi e per un brevissimo periodo parte della federazione malese, fino alla completa indipendenza politica acquisita nel 1965. Parimenti noto è che, in conseguenza di tanto, il sistema giuridico di questa Città-Stato può essere ricompreso – nei limiti in cui tale operazione di sussunzione mantiene il proprio significato ed è in prima approssimazione possibile – nel gruppo di quelli di common law 8. Epperò, Singapore, Hong Kong e Malesia, hanno sviluppato il proprio common law in un contesto storico e sociale profondamente diverso dai “core common law systems” cui si è soliti far riferimento. Queste tre esperienze, infatti, sebbene abbiano conosciuto la colonizzazione inglese, non appartengono in senso stretto all’Anglosfera – con essa intendendosi, tra le “English-speaking societies and post-British colonies”, quell’insieme di Paesi “in which there was a sizeable British settlement resulting in ongoing cultural, political, and demographic trends” 9. L’osservazione non è di poco conto e, unitamente alle modalità di affermazione della propria indipendenza rispetto al dominio coloniale, costituisce un elemento fondamentale per comprendere gli sviluppi del modello originario. Vero è pure che Singapore, quale risultato di una precipua scelta politica, si è trasformata in una società principalmente di lingua inglese nel giro di due generazioni 10, caratterizzata da una continua tensione verso l’efficienza e la competitività della propria economia industriale e finanziaria; circostanza la quale, più che determinare da sola la differenziazione rispetto ai limitrofi ordinamenti malese e di Hong Kong, segnala almeno le condizioni peculiari nell’ambito delle quali questo sistema è andato e va tutt’oggi maturando 11. Certo, è finanche banale rimarcare come costituisca un’operazione assai complessa individuare e attribuire uno specifico peso all’ampio novero di elementi che hanno guidato e sostengono l’evoluzione di un ordinamento. In più, come è ovvio, deve considerarsi che non necessariamente ogni settore del diritto [continua ..]


3. Segue: le riforme del Companies Act.

L’evoluzione compiuta dal principale testo normativo di Singapore in materia di società, il Companies Act, dà conto di questo fenomeno. La prima legislazione in argomento è del 1889, la Companies Ordinance, la quale diveniva poi il fondamento di quel Companies Act malese del 1965 letteralmente ripreso da Singapore, alla propria indipendenza, con il Companies Act del 1967. Da allora, come detto, il legislatore della Città del leone ha intrapreso una continua e instancabile opera di aggiornamento, di autonomizzazione e di customizzazione, si direbbe, rispetto alla fortissima matrice britannica, che, trascorrendo dal completamento della legislazione (fino al 1984) alla reazione alla crisi economica e al consolidamento del quadro normativo, ha prima portato al Companies Act del 1994 20; e quindi a una serie di Companies (Amendment) Act: nel 2001 – variando la stessa filosofia della regolazione del mercato finanziario e spostandone l’asse verso un “disclosure-based regulatory regime” 21 –, nel 2002 – introducendo l’ob­bligo di compliance generale agli accounting standards –, nel 2003 – riducendo costi e adempimenti per le piccole società –, nel 2004 – apportando un rilevante nu­mero di modifiche che vanno dalla raccolta di capitale per le small companies, ai company registration numbers, o alle one director/shareholder companies – e ancora nel 2005 – con l’abrogazione del concetto di “par value” e “authorized capital”, la modifica delle regole sul capital maintenance e sull’amalgamation process nonché con l’introduzione delle “treasury shares”. Di guisa che, al termine di siffatto processo, il diritto delle società di Singapore risultava già sufficientemente moderno e sufficientemente distinto da quello malese e, in ultima istanza, da quello inglese 22. Eppure, su impulso del Ministry of Finance, la piccola Città-Stato ha intrapreso nel 2007 un’ulteriore opera di riforma, nominando uno Steering Committee 23 e accogliendo al termine delle consultazioni ben 209 24 delle 217 recommendations di intervento contenute nel report consegnato dalla commissione nell’aprile 2011 – documento, si badi bene, che si basa dichiaratamente su di una ricerca comparatistica in ordine alla “existing legislation in leading [continua ..]


4. Segue: cenni alle più recenti scelte in tema di doveri e responsabilità dei directors.

Tra i numerosi cambiamenti apportati con il più recente intervento, si considerino a titolo esemplificativo quelli relativi ai diritti e alle responsabilità dei directors; modifiche in grado, unitamente a quelle pure introdotte in ordine a taluni diritti degli shareholders, di incidere sui più delicati equilibri della corporate governance – e dunque sull’ef­ficienza della gestione stessa come anche sulle funzioni di deterrenza dei meccanismi di responsabilità. Orbene, in quest’ambito, oltre a facilitarsi la possibilità di inferire la qualità di shadow director 28, si è abolita la discussa decadenza per limiti di età per gli amministratori di una public company e di ogni controllata 29; si è stemperato il divieto per tutti quegli indennizzi in favore degli amministratori in caso di loss of office che non fossero stati espressamente approvati da parte degli azionisti 30 o circoscritti taluni limiti alla concessione di loan, guarantee e security in favore di persone collegate ai directors; come pure si è aperto alla copertura a carico della società di talune responsabilità in cui possano incorrere gli amministratori verso terzi, salvo il divieto di indennizzo per le condanne al pagamento di somme in procedimenti penali o amministrativi o per le spese di ogni criminal or civil litigation proceeding 31. Il maggior favore per gli amministratori che ne è derivato risulta probabilmente controbilanciato da altre innovazioni: si pensi – solo per citarne alcune – all’intro­duzione della sostanziale inopponibilità ai terzi di buona fede delle limitazioni al potere di rappresentanza dei directors, anche se contenute nei company’s articles; o all’emersione del supervisory role dei directors e per converso del ruolo gestorio diretto degli officers, con un’estensione in capo agli stessi delle medesime responsabilità. Spicca poi la scelta, rispetto a quanto avvenuto nella riforma inglese del Companies Act del 2006, di non procedere alla codificazione dei principi in tema di “directors’duties”. Nella redazione del proposta di legge, infatti, il Ministero ha accolto – anche in virtù delle linee guida per i directors pubblicati dalla propria Accounting and Corporate Regulatory Authority (ACRA) – la recommendation 1.22 del consultation paper la quale, [continua ..]


5. L’esempio della società unipersonale.

Le regole sulla costituzione delle società di capitali e sulla correlata limitazione della responsabilità patrimoniale si radicano nei principi fondamentali del diritto delle società di ogni ordinamento. In tal senso, un’indagine su siffatti profili non può che restituire conclusioni affatto secondarie sul prescelto contemperamento tra gli interessi. È, pertanto, da quest’argomento che conviene prendere le mosse in una rassegna per paradigmi che intenda verificare la fondatezza delle intuizione accennate. In quest’ambito, poi, la choice of form, in particolare, rappresenta un primario punto d’incontro tra esigenze imprenditoriali e necessità di inquadramento giuridico della modalità di esercizio dell’attività di impresa in un veicolo che contemperi i benefici della forma con le tutele dei terzi e del mercato tutto; con effetti, peraltro, che si propagano anche all’esterno del perimetro del diritto societario, invadendo certamente l’ambito giuslavoristico come quello tributario, ma non solo. Se si tiene fermo lo schema che in maniera sostanzialmente uniforme si afferma in tutte le jurisdiction, non può negarsi come, laddove si manipoli il modello nella direzione di aumentarne o ridurne il livello di complessità o i costi connessi – anche in termini di tutele, per l’appunto –, sia lo stesso grado di attrattività per gli investitori, in questo caso in special modo stranieri, a venire in giuoco; sì che l’e­qui­librio cristallizzato nella legislazione sul tema ovviamente non è momento di poco conto e non può essere alieno a logiche pure politiche. La premessa è comunque doverosa e va, per il settore in esame, di là da ogni facile parallelismo, come pure di là dalla riconducibilità alle suggestioni di common o di civil law delle realtà del Sud-est asiatico piuttosto che della Cina. Vero è anche che non può negarsi alla Cina stessa il riconoscimento di un ruolo decisivo nell’ambito delle dinamiche del mercato globale tutto e a fortiori per la regione; e quindi, per quanto qui in interesse, una non trascurabile influenza che si traduce, se non sul piano della circolazione degli strumenti, quantomeno in termini di riferimento nel dibattito in materia. Proprio sul tema in esame, e in particolare su quello assai delicato della [continua ..]


6. Il dibattito sul piercing the veil dopo il caso Prest.

Altro istituto che pure può rappresentare un’efficace cartina al tornasole nell’indagine qui in declinazione è giustappunto il superamento del beneficio della responsabilità limitata nelle ipotesi di abuso dello strumento. Per questo profilo, che appare non poco variabile e in grado di restituire le differenti sensibilità, il contributo dei formanti dottrinale e giurisprudenziale è con tutta evidenza particolarmente rilevante. E infatti un particolare apporto all’analisi in argomento deriva da un peculiare orientamento emerso di recente e dal correlato dibattito. Si proceda per gradi. Anche nel sistema giuridico di Singapore, si è da sempre riscontrata la già citata e tipica tendenza degli ordinamenti di common law a considerare la persona giuridica in una prospettiva soprattutto dinamica e funzionale; e tanto con il correlato potere delle Corti di superare lo schermo societario e la derivante limitazione di responsabilità (il c.d. piercing o lifting the corporate veil) 45 in un più o meno ampio novero di casi, ogni qual volta si configuri un abuso dello strumento, id est della stessa personalità giuridica. La circostanza non costituisce certo motivo di sorpresa per le ragioni menzionate; ed è parimenti intuibile quanto il dibattito collegato e l’evoluzione dello strumento operata dalle più importanti corti di common law fungano da occasione di confronto quando non di vero e proprio riferimento anche per questo sistema. Quel che invece può rappresentare oggetto di particolare interesse in que­st’ambito è il radicamento del principio, rectius l’attaccamento dimostrato dai giudici della Città del leone alle più tradizionali modalità di applicazione del piercing the veil doctrine 46, a dispetto dei nuovi orientamenti registratisi in altri sistemi di common law a seguito della ormai celebre decisione della UK Supreme Court in Prest v. Petrodel Resources Ltd 47. In Prest – come noto – i giudici inglesi hanno rimarcato la natura meramente residuale – si discorre espressamente di “last resort” – del piercing the veil rispetto agli altri rimedi di equity e a quelli azionabili sulla scorta delle regole del tort. Abbandonando espressioni più o meno vaghe, quali “justice of the case”, e metafore più o meno evocative, quali [continua ..]


7. Ulteriori conferme: la disciplina dell’OPA nel Singapore Code on Takeovers and Mergers.

Accanto all’analisi della disciplina della società nei propri connotati strutturali e statici, per così dire, un ultimo approfondimento può riservarsi alla regolamentazione dei profili dinamici; e, in quest’ambito, degli aspetti che tradizionalmente più mettono alla prova, per intensità della contrapposizione tra interessi, le regole del gioco: il market for corporate control. Si intende che, in quanto materia assai delicata come pure centrale nell’assetto degli equilibri della corporate governance di ogni sistema, essa si presenta ancora una volta capace di fungere da indicatore del grado di adesione dell’ordinamento asiatico a un modello; nonché, in particolare, di misurare il peso, per così dire, delle control transactions quali strumenti di governance 58. Ancor più, le regole sul tema assumo specifica importanza nella realtà di questa Città-Stato, per tutte le ragioni già illustrate nonché in specie per l’importanza degli investimenti stranieri per il proprio mercato finanziario e la dipendenza dalle esportazioni (per lo più di prodotti elettronici, tecnologici, ottici e medicali destinati ai mercati retail) 59. Non è un caso che ivi si rinvenga una rigida e capillare regolamentazione delle attività economicamente rilevanti, finalizzata altresì a sostenere la fiducia degli investitori, locali e stranieri appunto. In questo ambito, uno degli interventi più significativi degli ultimi anni ha avuto ad oggetto la rivisitazione del Code on Takeovers and Mergers (Code) operata dalla Monetary Authority of Singapore (MAS) – su proposta del Securities Industry Council (SIC) 60 – secondo la sec. 139 (6) del Securities and Futures Act – ed entrata in vigore dal 25 marzo 2016. La riforma, oltre a testimoniare ancora una volta la menzionata vitalità del legislatore, appare d’interesse anche per il suo contenuto. Le modifiche al testo previgente del Code investono, infatti, un ampio novero di disposizioni, dalla disciplina della procedura di OPA, con particolare riferimento alle tempistiche e alle regole da attivarsi in caso di offerte concorrenti 61; al ruolo del target’s board, nell’ottica della protezione dell’interesse dei soci a non vedere frustrata l’aspettativa di una exit remunerata 62; dagli obblighi informativi, con la [continua ..]


8. Conclusioni (minime).

L’indagine così condotta, attraverso l’analisi del­l’evoluzione e la verifica in ordine a talune variazioni sul tema di fondo, pur nella propria parzialità, da un lato offre uno spaccato che non solo supporta l’intuizione iniziale ma che registra anche – al pari peraltro di quanto la comparazione dimostra di sovente – come talune differenze si annidino laddove prima facie le suggestioni della circolazione di uno strumento lascerebbero presupporre una più stringente somiglianza. Dall’altro, apre a interrogativi su quale valore e quali prospettive possa rivelare il percorso verso una propria originalità di questo ordinamento, quantomeno nell’ambito del diritto delle società e dei mercati finanziari. La risposta è tutt’altro che agevole – ovviamente. Di certo, il sistema appare vivace e a tratti inquieto, si è detto. Oscilla tra conferma della tradizione, selezione di soluzioni anche distanti da quelle del common law inglese e finanche adozione di meccanismi più innovativi, in un susseguirsi di riforme che quasi sembra reclamare il riconoscimento di una maturità e di un ruolo in questo quadrante del globo; ma che soprattutto risulta in una “relationship of reciprocal influence” con la propria economia particolarmente forte. Le ragioni – ça va sans dire – sono complesse e variegate; e non si arrestano unidirezionalmente alla volontà politica o al particolare carattere delle sue corti, ma involgono quelle forze, talvolta anche contraddittorie, che animano la mano del legislatore e della dottrina, in un olisma di istintivo desiderio di affrancamento e di ragionata consapevolezza, di spinte interessate del mercato e di necessità di comprovare autonomia e stabilità del proprio sistema, fino a un pizzico di sciovinismo o, si direbbe, di legal nationalism. Più difficile è, invece, pronosticare il futuro della segnalata evoluzione. È ben probabile come, nel breve periodo, il fenomeno della crescente originalità sia destinato a rafforzarsi, anche in virtù degli illustrati fermenti e dei continui interventi normativi. Ma come ben noto, ogni mutamento conosce fasi di accelerazione e rallentamento, nonché persino di ripensamento. Con riferimento ad un futuro più lontano, se è vero che l’economia di Singapore sarà per lo [continua ..]


NOTE