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1. Il diritto di informazione ex art. 2476, 2° comma, c.c. - 2. La legittimazione all’esercizio del diritto di informazione. - 3. Il diritto di informazione di chi partecipi all’amministrazione. - 4. Il diritto di consultazione. - 5. L’aspetto soggettivo: chi può dirsi “partecipe” della gestione?. - 6. I profili “oggettivi” del diritto di informazione. - 7. I limiti al diritto del socio. - 8. Le clausole statutarie derogatorie. - 9. Due corollari conclusivi. - NOTE
Queste note muovono dalla constatazione dell’accresciuta rilevanza – teorica ed applicativa – del diritto di informazione e di consultazione che oggi il nuovo art. 2476, 2° comma, c.c., attribuisce al socio di s.r.l. che non partecipi all’amministrazione. Come ampiamente è stato affermato in dottrina [1], con la riforma del diritto societario si è assistito infatti ad un considerevole allargamento della sfera dei controlli individuali, dal momento che: a) tali diritti sono stati attribuiti al socio indipendentemente dal fatto che all’interno della società vi sia o meno un organo istituzionalmente deputato a svolgere funzioni di controllo, e così prescindendo dalla presenza del collegio sindacale o del revisore contabile, ed indipendentemente dal fatto che la s.r.l. si ispiri al modello “società di persone” o invece a quello di s.p.a.[2]; b) è stato ampliato l’oggetto dell’ispezione (rectius: della consultazione), non più limitato ai soli «libri sociali», ma esteso ai «documenti relativi all’amministrazione»; c) i precedenti limiti concernenti la “revisione della gestione”, dapprima consentita solo a chi rappresentava almeno un terzo del capitale (art. 2489, 1° comma, c.c.), sono oggi di fatto superati dall’ampia formulazione dell’art. 2476, 2° comma, c.c., che assegna a ciascun socio, indipendentemente dall’entità della partecipazione, il diritto di “consultazione” della documentazione relativa all’amministrazione della società. Un simile ampliamento si giustificherebbe essenzialmente in ragione della diversa natura della s.r.l., centrata sulla figura del socio e sulla sua rilevanza individuale [3]; il socio, oggi individualmente legittimato ad esperire l’azione di responsabilità contro gli amministratori e a chiedere in via cautelare la loro revoca (art. 2476, 3° comma, c.c.), dovrebbe poter individualmente acquisire maggiori notizie ed informazioni, anche ai fini dell’esercizio di tale azione [4]. Ed è proprio in virtù di tale legame che – si rileva diffusamente – tale diritto spetta a prescindere dalla presenza o meno dell’organo istituzionalmente deputato al controllo: quel che rileva, oggi, è il partecipare o meno all’amministrazione; il controllo del [continua ..]
Per altro verso, la riforma sembra avere (apparentemente) circoscritto la legittimazione all’esercizio del diritto, come detto non più spettante a tutti i soci, bensì soltanto a coloro i quali «non partecipano all’amministrazione» [5]. L’affermazione del diritto di controllo in capo al socio non amministratore dovrebbe così tendere a riequilibrare una situazione di deficit informativo che egli subisce rispetto al socio-amministratore il quale, in virtù del ruolo rivestito, dovrebbe trovarsi in condizione di avere più facilmente accesso alle informazioni rilevanti. D’altronde, contro l’estensione esplicita del diritto anche ai soci “amministratori”, militava forse l’ulteriore considerazione della singolarità di un sistema nel quale un diritto di controllo funzionale all’esperimento dell’azione di responsabilità contro gli amministratori venisse attribuito anche a questi ultimi (ovviamente se al contempo soci). Questo almeno per coloro i quali intendono il diritto di informazione e consultazione come strettamente funzionale all’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità, oggi individualmente consentita dall’art. 2476, 3° comma, c.c. (e sul punto avrò occasione di tornare). Tale ordine di idee, che non desta particolari problemi nei casi in cui si sia in presenza di un amministratore unico o di uno o più soci esclusi del tutto dalla gestione, entra però in crisi in tutte le ipotesi “grigie” nelle quali l’amministrazione sia più articolata e preveda la pluripersonalità o comunque l’investitura o l’ingerenza di soci che formalmente non rivestono alcun ruolo di amministrazione. Ed entra ancora in crisi in tutte quelle ipotesi – e la pratica ne evidenzia quotidianamente – in cui un amministratore è comunque di fatto tenuto all’oscuro delle scelte gestionali, sovente assunte senza una preventiva consultazione. Volendo precisare quanto appena detto e muovendo dalla formula usata dal legislatore, nel presente lavoro si intende verificare se: a) il diritto di informazione e consultazione spetti effettivamente ai soli soci non amministratori o se invece possa essere riconosciuto – con eguale ampiezza – anche ai soci amministratori; b) la qualità di partecipante [continua ..]
Per quanto riguarda il primo interrogativo, la lettera della legge non sembrerebbe dare adito a dubbi: chi ha ricevuto un’investitura formale certamente partecipa all’amministrazione, indipendentemente dal fatto che i poteri singolarmente delegati siano o meno circoscritti ad una determinata area. Sembrerebbe, in altre parole, da escludersi la possibilità di estendere tale diritto a chi comunque sia stato nominato amministratore. L’avere utilizzato una formula tanto ampia quale è quella della «partecipazione in qualunque modo all’amministrazione», può peraltro condurre a risultati non sempre convincenti, soprattutto in considerazione dell’estrema elasticità che oggi caratterizza le forme di amministrazione che la società a responsabilità limitata può assumere e che spaziano da quelle tipicamente riservate alle società di persone a quelle invece previste per la società per azioni. Il problema si pone in tutti quei casi in cui vi sia una dissociazione fra ruolo di amministratore ed effettivo potere gestorio, come accade non di rado in molte ipotesi di amministrazione pluripersonale. a) Muovendo dalle ipotesi di amministrazione pluripersonale in senso stretto (come è noto oggi consentite anche alla s.r.l. in virtù dell’art. 2475, 2° comma, c.c.), il problema non sembra porsi nei casi in cui sia richiesto il consenso di tutti gli amministratori, dal momento che il potere informativo è da ritenersi assorbito dalla necessità che all’atto partecipino tutti gli amministratori. Così non è, invece, nei casi di amministrazione pluripersonale disgiuntiva [6]. In tali casi, la lettera della norma sembrerebbe escludere un diritto tanto ampio in capo a ciascun socio-amministratore, anche per quel che riguarda eventuali aree gestionali delle quali egli sia completamente all’oscuro (il che non è certo infrequente). Ciò dal momento che la norma fa riferimento alla «partecipazione all’amministrazione» tout court, senza porre distinzioni. In tali ipotesi, dunque, il diritto di informazione del socio-amministratore, per tutto quel che concerne l’area sottratta alle proprie competenze gestorie (nelle quali, come accennato, il potere informativo ex post non ha ragion d’essere, essendo assorbito dal dovere informativo ex [continua ..]
Analoghe conclusioni debbono essere tratte per quanto riguarda il diritto di consultazione. Vero è che alcune norme in tema di amministrazione sembrano escludere la configurabilità di un tale potere in capo a ciascun singolo amministratore. Il riferimento, ovviamente, è proprio all’amministratore privo di deleghe, al quale nessuna norma sembra attribuire un diritto autonomo di “consultazione” nei termini previsti dall’art. 2476, 2° comma, c.c. Anzi, come abbiamo accennato, in tema di s.p.a. l’art. 2381 c.c. si preoccupa proprio di individuare la sede consiliare come sede unica per l’acquisizione delle informazioni (e di tutte le informazioni idonee a consentire un consapevole adempimento dell’obbligo di «agire informato»). Mi pare tuttavia che tale diritto rappresenti l’altra faccia del diritto all’informazione almeno da due punti di vista, in quanto consente di non dipendere del tutto dall’arbitrio di chi domina le informazioni e di verificare la completezza e veridicità delle informazioni ottenute. Nelle ipotesi poi di amministrazione pluripersonale disgiuntiva, un simile diritto appare altresì strumentale ad un consapevole esercizio del diritto di veto riconosciuto in capo ad ogni amministratore. E se è vero che il diritto di veto ha per oggetto “naturale” ipotesi limitate e caratterizzate dalla presenza singoli atti rilevanti, è anche vero che non avrebbe senso alcuno prevedere tale diritto senza al contempo offrire diritti strumentali ad un suo consapevole esercizio. Altro problema è se tale diritto possa essere esercitato dal socio che svolga funzioni gestorie solo personalmente ovvero avvalendosi dell’opera di professionisti e consulenti. Qui il discorso sembra cambiare proprio perché la fonte del diritto di consultazione in capo ai soci amministratori deve rinvenirsi non nell’art. 2476 c.c. ma nel loro stesso ruolo. Ed è un ruolo che l’amministratore deve (o dovrebbe) essere in grado di svolgere personalmente, senza l’ausilio di professionisti o esperti. Al socio non è richiesta alcuna capacità o competenza, di qui la previsione di eventuali supporti professionali che colmino le sue lacune; all’amministratore si richiedono invece capacità e competenze che dovrebbero rendere superfluo l’intervento di professionisti [continua ..]
Passando ora al secondo interrogativo dal quale abbiamo preso le mosse, è da vedere se il diritto di informazione e consultazione spetti ai soli soci che formalmente non rivestono la qualifica di amministratore, o se invece esso debba essere riconosciuto anche a coloro che pure si trovano in una situazione particolare in presenza della quale si possa comunque configurare la ragionevole probabilità che, malgrado la carenza di una qualificazione formale, al socio sia comunque consentito un più agevole accesso alle informazioni, come ad esempio allorquando: i) sussista una clausola statutaria che riserva ai soci particolari diritti concernenti l’amministrazione della società, ai sensi dell’art. 2468, 3° comma, c.c.; ii) vi siano decisioni dei soci assunte ai sensi dell’art. 2479, 1° comma, c.c.; iii) il socio abbia comunque un legame con uno o più amministratori. Va da sé, inoltre, che per «socio che non partecipa all’amministrazione» deve intendersi qualunque socio che non prenda parte al procedimento preordinato all’adozione delle scelte gestionali, indipendentemente dal ruolo formalmente rivestito in società [20]. Quanto alla prima ipotesi problematica, mi pare condivisibile l’opinione di chi distingue a seconda dell’ampiezza della clausola statutaria: ove infatti i “diritti speciali” di cui il socio goda in virtù della clausola siano tali da renderlo sostanzialmente partecipe della gestione, – e dunque consapevole dello svolgimento degli affari sociali – l’applicazione dell’art. 2476, 2° comma, c.c. finirà con l’essere, prima ancora che preclusa, svuotata di contenuto. Al contrario, direi che deve invece essere riconosciuta appieno l’applicabilità dell’art. 2476, 2° comma, c.c. ai soci cui gli amministratori abbiano spontaneamente demandato talune decisioni. Non mi pare infatti ammissibile che l’amministratore possa finire, indirettamente, con il disporre e con l’impedire l’esercizio di un diritto altrui, che è funzionale proprio al controllo sul suo operato, semplicemente demandando talune decisioni. Senza contare che in tali casi il socio dovrebbe chiedere le informazioni necessarie per decidere o autorizzare l’operazione prima che questa sia compiuta e proprio al fine di adottare una decisione consapevole [continua ..]
Possiamo ora tornare sulla formula utilizzata dall’art. 2476, 2° comma, c.c. per verificare l’ampiezza delle prerogative del socio il quale, come detto, ha diritto (in assenza di clausole statutarie ad hoc): i) di ottenere notizie sullo svolgimento degli affari sociali; ii) di consultare i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. Sulla prima prerogativa, non c’è ragione di abbandonare l’orientamento formatosi nel vigore della precedente normativa: il socio che non partecipa all’amministrazione può chiedere informazioni agli amministratori sullo svolgimento degli affari sociali, in modo sostanzialmente informale, e dunque senza che vi sia necessità di una sede predeterminata (quale ad esempio una riunione assembleare) [28]. Ciò non toglie che anche le risposte degli amministratori potranno essere sostanzialmente informali e non trasfuse in documenti ufficiali. Certo, gli amministratori tenderanno a lasciare una qualche traccia documentale dell’attività svolta e del fatto di aver dato le richieste notizie [29]. Per altro verso, non si deve ritenere che tale norma possa autorizzare richieste che implichino particolari elaborazioni o attività consistenti in un vero e proprio facere da parte dell’organo amministrativo. Così, in via meramente esemplificativa, non possono ritenersi incluse nel diritto di aver notizie, richieste di elaborazioni documentali o contabili straordinarie, o redazione di situazioni economico-patrimoniali infrannuali non dovute per legge o per statuto. Analogamente, se il diritto del socio all’informazione è funzionale all’esercizio del diritto di controllo, esso dovrà intendersi soddisfatto ogni qual volta l’organo amministrativo provveda ad offrire quelle informazioni – anche se non caratterizzate da estrema analiticità – che possano consentire al socio di prendere coscienza dell’andamento della gestione e dell’andamento anche di singole operazioni, laddove però si tratti di operazioni suscettibili di influire in modo sensibile sui risultati dell’attività o sulla consistenza dei beni aziendali (operazioni straordinarie, cessioni immobiliari, finanziamenti bancari a medio termine e via discorrendo). Va da sé che le richieste potranno essere generiche ovvero caratterizzate da un maggiore grado di [continua ..]
Uno dei principali problemi fra quelli originati dal nuovo art. 2476, 2° comma, c.c. è ovviamente rappresentato dal bilanciamento degli interessi potenzialmente configgenti che entrano in gioco: quello della società alla riservatezza e quello del socio alla libera consultabilità dei documenti. Ciò in particolare per quanto concerne: i) in primo luogo, il problema della effettiva portata della formula utilizzata dal legislatore e, corrispondentemente, dei poteri e doveri dell’organo amministrativo dinanzi alle richieste del socio, e delle sue eventuali responsabilità; ii)in secondo luogo, il problema (ormai divenuto quasi un “classico”) della ammissibilità di clausole statutarie volte a limitare o disciplinare il diritto di consultazione. In ordine al primo aspetto, occorre verificare se la formula utilizzata dal legislatore voglia realmente far riferimento ad «ogni documento» di qualunque tipo e qualunque funzione esso abbia. Del resto proprio questa è la posizione che ha finora riscosso i maggiori consensi, volta appunto a ritenere che si tratti di un diritto pressoché illimitato [34]. I soli limiti al suo esercizio si rinverrebbero dunque nei consueti e generali principi: i) di buona fede nell’esecuzione dei contratti; ii) di divieto degli atti emulativi. Si tratta però di soluzione che mostra evidenti limiti applicativi in particolare per l’irreparabilità dei danni che la società rischia talora di subire e che rende del tutto illusoria la tutela affidata al solo risarcimento dei danni per comportamento lesivo del principio di buona fede o per comportamento puramente emulativo. Il problema si pone principalmente per le notizie ed i documenti che siano caratterizzati da riservatezza, pur nella consapevolezza che non esiste un “catalogo” di informazioni che a priori possono essere ritenute riservate. Peraltro, se il fine del diritto di (informazione e) consultazione è quello di consentire un controllo individuale al socio (che a sua volta potrà servire anche ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità), in ordine all’andamento degli affari sociali e della gestione della società, non credo che sia realmente necessario postulare la libera consultabilità di qualsiasi documento [35]. Più in generale, mi sembra che [continua ..]
Dopo aver visto il profilo legale, passiamo dunque a quello “statutario”. Qui la prassi, soprattutto all’indomani dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario, sembra testimoniare una qualche ritrosia (anche notarile) ad ammettere clausole limitative del diritto di informazione e consultazione, quanto meno laddove non sia in giuoco una mera “procedimentalizzazione” [48]. Ed in effetti, come già abbiamo accennato, in dottrina si è fin da subito avvertito il problema della legittimità di clausole statutarie che limitino il diritto del socio, ovvero ne regolamentino l’esercizio. Soprattutto i primi commentatori hanno per lo più manifestato ritrosia rispetto ad una limitazione statutaria di tale diritto, sostanzialmente finendo con il ritenere – in modo più o meno esplicito – la nullità di eventuali clausole statutarie derogatorie rispetto all’art. 2476, 2° comma, c.c.; tali clausole, pertanto, si avrebbero come non apposte, similmente a quel che prima della novella disponeva l’art. 2489, 2° comma, c.c. Tale ricostruzione non sembra però condivisibile. Ed invero, non si rinviene una norma che sanzioni di nullità eventuali patti in deroga all’art. 2476, 2° comma, c.c. e non si rinvengono indicazioni in ordine al presunto “trattamento minimo inderogabile” che questa norma disporrebbe [49]. E correttamente si è così ritenuto che i diritti in questione ben possono sopportare limitazioni statutarie o addirittura complete restrizioni, purché queste ultime vengano assunte all’unanimità [50]. In questo senso depone l’ampio riconoscimento del ruolo dell’autonomia statutaria che può spingersi fino a sopprimere del tutto il diritto del socio. Per parte mia, ritengo che lo statuto possa non solo disciplinare, ma anche “limitare” il diritto di controllo escludendo taluni documenti dal novero di quelli liberamente consultabili. Non mi sembra infatti che le opinioni contrarie siano fondate su argomentazioni irresistibili. In particolare non mi sembra da sopravvalutare l’affermazione secondo la quale il diritto di informazione sarebbe insuscettibile di limitazioni in quanto strumentale all’esercizio dell’azione di responsabilità “inderogabilmente attribuita a ciascun [continua ..]
Sulla scorta di quanto sopra, una ulteriore precisazione è da fare con riferimento a due corollari (che però all’atto pratico si rivelano tutt’altro che tali): a) il diritto di fare copia dei libri e dei documenti; b) il diritto di compiere accertamenti “ispettivi”. La risposta da dare ad entrambi i quesiti, a mio parere, è negativa: il socio ha diritto di consultazione, eventualmente di prendere appunti, ma non ha diritto – in difetto di apposita clausola statutaria – di richiedere e pretendere la fotocopia di un libro sociale o di un elenco clienti, o di altri documenti. E questo semplicemente perché un tale diritto non mi pare in alcun modo funzionale al suo controllo (che ben potrà esplicarsi anche senza trattenere fotocopie) [58]. Per contro, la possibilità di avere una fotocopia, in molti casi, può amplificare i possibili danni sopra tratteggiati. Anche in questo caso, comunque, gli amministratori potranno opporre il proprio rifiuto motivato, così come, in altri casi aventi ad oggetto documenti meno “scottanti” ovvero singole deliberazioni assembleari o consiliari, potranno tranquillamente decidere di consentire alla fotocopia. Soggiungo che da nessuna parte è previsto un simile diritto e che, anzi, l’art. 2490 c.c., nel testo anteriore alla riforma del 2003, prevedeva espressamente il diritto del socio di avere a proprie spese estratti del libro soci e del libro dei verbali dell’assemblea, a differenza di quanto dispone oggi l’art. 2476 c.c. [59]. Quanto al diritto di “ispezione”, come già ho rilevato in precedenza, mi pare che non possa esserci dubbio: il socio non vanta un simile diritto (che da alcuna parte è previsto) [60] e dunque l’organo amministrativo potrà opporre sempre un fondato rifiuto di accesso. Volendo dare una sintetica notazione finale, mi pare che la scelta di consentire a tutti i soci indiscriminatamente un diritto di informazione e di consultazione tanto ampio, senza prevedere soglie minime tali da far ritenere che la richiesta di informazioni (e soprattutto di consultazione) sia supportata da effettivo interesse [61] non è forse la migliore scelta possibile, così come la scelta (almeno apparente) di non distinguere a seconda che vi sia o meno un organo preposto al controllo, può forse apparire criticabile. [continua ..]