<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Questioni nuove e vecchi equivoci in tema di società cooperative insolventi (nota a Cass., 22 aprile 2013, n. 9681) (di Daniele Vattermoli)


CASSAZIONE CIVILE, I Sezione, 22 aprile 2013, n. 9681 – Rordorf Presidente – Ceccherini Relatore – CORELI soc. coop. a r.l. c. Saracino

Società – Società cooperativa a mutualità esclusiva – Accertamento preventivo dello stato di insolvenza – Ammissibilità – Applicabilità della condizione ostativa alla dichiarazione di fallimento posta dall’art. 15, ultimo comma, legge fall. – Esclusione

 (Art. 2545-terdecies c.c.; artt. 15 e 195 legge fall.)

La dichiarazione d’insolvenza della società cooperativa esclusivamente mutualistica, a norma dell’art. 195 legge fall., non è impedita dalla circostanza che l’ammontare dei debiti della società, scaduti e non pagati, sia complessivamente inferiore a € 30.000,00, non applicandosi in questo caso l’art. 15, ult. comma della medesima legge(1)

  

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. In data 14 maggio 2008 il signor Salvatore Saracino, dichiarandosi creditore del Consorzio Regionale Ligure, costituito in forma di società cooperativa a responsabilitàlimitata (nel seguito: CORELLI), per l’importo di€ 25.247,22, oltre agli accessori, e non essendo riuscito a notificare il precetto di pagamento per inesistenza della sede all’in­dirizzo indicato, chiese al Tribunale di La Spezia di dichiararne lo stato d’insolvenza e inoltre, se fosse stato accertato il carattere commerciale dell’attività esercitata, il fallimento.

Con sentenza in data 12 febbraio 2009 il Tribunale ritenne il CORELLI non soggetto al fallimento ma solo a liquidazione coatta amministrativa, e ne dichiarò lo stato d’insolvenza.

  1. La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Genova con sentenza 12 novembre 2009. La corte ha preliminarmente dichiarato improcedibile il reclamo proposto dal Saracino, per non aver notificato l’impugnazione nel termine. Respingendo le difese del consorzio reclamante, che censurava l’affermazione del suo carattere mutualistico e sosteneva la sua astratta fallibilità, la corte territoriale ha poi osservato che l’art. 2545-terdeciesc.c., che ammette il fallimento delle cooperative che svolgono attività commerciale, suppone lo svolgimento effettivo di tale attività, non essendo sufficiente la previsione statutaria. In fatto, il CORELLI costruiva case da assegnare ai soci, attività qualificabile come mutualistica e non commerciale. Non aveva comunque fondamento la tesi che anche per la dichiarazione dello stato d’insolvenza si dovessero osservare i limiti di fattibilità stabiliti dalla legge fallimentare.
  2. Per la cassazione della sentenza, notificata il 25 novembre 2009, ricorre il CORELLI con atto notificato il 28 dicembre 2009, per due motivi.

Resiste il Saracino con controricorso e ricorso incidentale con quattro motivi.

Il consorzio ricorrente ha depositato una memoria. Anche il ricorrente incidentale ha fatto pervenire una memoria.

Il ricorrente ha depositato anche un’istanza di rinvio della discussione, con documenti allegati, esponendo che il Ministero dello sviluppo economico avrebbe disposto la liquidazione coatta amministrativa dello stesso consorzio, e che di tale decreto egli avrebbe chiesto la revoca o la sospensione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il deposito da parte del consorzio ricorrente dei documenti allegati all’istanza di rinvio, ma non notificati alla parte resistente a norma dell’art. 372 cpv. c.p.c., è inammissibile. Non ricorrono poi i presupposti per il rinvio della discussione della causa, come richiesto dallo stesso ricorrente principale in forza di circostanze, peraltro non ritualmente documentate, inidonee comunque a far ravvisare una pregiudizialità logico-giuridica rispetto alla presente decisione.
  2. Con il primo motivo del ricorso il CORELLI denuncia la mancata applicazione dell’art. 15 r.d. 16 marzo 1942 n. 267. La norma richiamata, laddove dispone che non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoriaprefallimentare è complessivamente inferiore a € 30.000,00, sarebbe applicabile anche in materia di liquidazione coatta amministrativa, e, laddove ne sussistano in presupposti di fatto – come nella fattispecie, in cui il Saracino fa valere un credito di € 25.247,22 – precluderebbe la dichiarazione dello stato d’insolvenza.

5.1. Non risultano precedenti di questa corte sulla possibilità di dichiarare lo stato d’insolvenza di società o enti con esposizione debitoria inferiore al minimo indicato nell’ultimo comma dell’art. 15 legge fallimentare. Il motivo è in ogni caso infondato.

Sul piano della formulazione testuale delle norme, l’art. 15 della legge fallimentare, che nel suo ultimo comma esclude “la dichiarazione di fallimento” dell’impresa insolvente, se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti e dall’istruttoria prefallimentare sia complessivamente inferiore a € 30.000,00, non è richiamato dal-l’art. 194 della legge fallimentare, tra le norme applicabili alla liquidazione coatta amministrativa. La stessa disposizione non è neppure richiamata, specificamente, dall’art. 195 della stessa legge a proposito dell’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza anteriore alla liquidazione medesima. Si tratta di una norma che introduce un’ecce­zione alla regola della fallibilità delle imprese, come tale insuscettibile di applicazioni analogiche ad ipotesi (dichiarazione d’insolvenza di impresa non fallibile) diverse da quella regolata (dichiarazione di fallimento dell’impresa insolvente).

Più in radice, è da considerare che la deroga stabilita dalla norma in esame, che non contraddice lo stato d’in­sol­venza dell’impresa e non lo esclude, risponde ad esigenze di economia processuale che rendono ingiustificati i tempi e i costi di una procedura fallimentare nel caso di esposizioni debitorie minori. Essa, insomma, per un verso risponde a esigenze che non possono essere automaticamente estese all’istituto della liquidazione coatta amministrativa, connotato da ragioni di pubblica utilità; e per l’altro incide sulla liquidazione concorsuale ma non sullo stato d’insolvenza, qual è definito nell’art. 5 cpv. legge fall., disposizione alla quale implicitamente rinvia l’art. 2545 terdecies c.c. in tema d’insolvenza delle cooperative. Non vi sono dunque i presupposti per utilizzare questa previsione nella discussione sulla possibilità di dichiarare lo stato d’insolvenza.

Sul piano astrattamente logico essa, semmai, potrebbe venire in considerazione a proposito della liquidazione coatta amministrativa disposta a norma della disposizione da ultimo citata (o dell’art. 12 del d.lgs. 2 agosto 2002, n. 220). Un’ipotesi del genere è contemplata in effetti nella normativa secondaria, laddove esclude la nomina del commissario liquidatore nelle procedure di scioglimento d’ufficio ex art. 2544 del codice civile delle società cooperative e dei loro consorzi, quando le attività da liquidare, purché di natura mobiliare, non abbiamo valore superiore a £. 2.500.000 (decreto del Ministero  lavoro previdenza sociale 27 gennaio 1998: non rileva il fatto che, ai fini dell’economicità della procedura liquidatoria, qui si tenga conto del parametro dell’attivo, e nell’art. 15, ult. co. legge fall. del passivo). Ma proprio il caso citato, con il suo espresso riferimento all’art. 2544 (oggi 2545 septiesdecies) c.c., che regola lo scioglimento della cooperativa per atto dell’autorità in casi diversi da quello dell’insolvenza, dimostra come il tema dei modi della liquidazione sia da un lato logicamente posposto a quello dello scioglimento, e dal­l’altro del tutto indipendente da quello dell’accerta­mento del­l’insolvenza. Le ipotesi, che si vogliano rinvenire nell’or­dinamento, di esclusione della liquidazione coatta amministrativa della cooperativa esclusivamente mutualistica, anche in caso d’insolvenza, riguardano insomma le determinazioni dell’autorità amministrativa in ordine alla liquidazione, e non l’accertamento dello stato d’insolvenza.

5.2. In conclusione il motivo di ricorso deve essere respinto, in applicazione del principio per cui la dichiarazione d’insolvenza della società cooperativa esclusivamente mutualistica, a norma dell’art. 195 legge fall., non è impedita dalla circostanza che l’ammontare dei debiti della società, scaduti e non pagati, sia complessivamente inferiore a € 30.000,00, non applicandosi in questo caso l’art. 15, ult. co. della medesima legge.

  1. Con il secondo motivo, che cumula censure di vizi di motivazione e di violazione degli artt. 2, 195 e 196 legge fall., si muove dall’assunto che la ricorrente è soggetta sia alla liquidazione coatta amministrativa e sia al fallimento, perché svolge anche un’attività di natura commerciale in base all’art. 4 dello Statuto, e si sostiene che la corte territoriale avrebbe falsamente applicato l’art. 195 della legge fallimentare, laddove avrebbe dovuto applicare l’art. 196 della stessa legge, e limitarsi a rigettare il ricorso per la dichiarazione di fallimento, senza potersi pronunciare sullo stato d’insolvenza prima della messa in liquidazione, ciò che è possibile solo su ricorso del commissario liquidatore o su istanza del pubblico ministero.

6.1. In contrasto con l’accertamento del giudice di merito sul punto dell’esclusivo svolgimento di attività mutualistica da parte della società ricorrente, e in preterizione delle ragioni dell’accertamento medesimo (le quali fanno leva sulla necessità che l’attività commerciale non sia soltanto consentita dallo statuto, ma sia concretamente esercitata), l’odierno ricorrente omette la formulazione di un autonomo valido motivo di censura diretto a dimostrare la natura commerciale della cooperativa, che si limita ad affermare. Ciò comporta l’inammissibilità del motivo, nella parte in cui denuncia una violazione di norme in una fattispecie diversa da quella ricostruita dal giudice di merito.

  1. Il ricorso del Saracino, il cui reclamo è stato dichiarato improcedibile dalla corte d’appello, è inammissibile, non contenendo alcuna censura alla pronuncia impugnata nella parte concernente la sua posizione processuale.
  2. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti.

La corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti.

Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il giorno 15 marzo 2013.

 

Il cons. estensore                                            Il Presidente

Aldo Ceccherini                                         Renato Rordorf

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Il commento. L’iter logico-giuridico seguito dalla Corte - NOTE


1. Il caso

La sentenza in commento affronta un tema sin qui decisamente poco esplorato, sia in dottrina sia in giurisprudenza. In particolare, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità dell’accertamento preventivo – rispetto all’apertura della procedura concorsuale amministrativa – dello stato di insolvenza, ex art. 195 legge fall., di (un consorzio costituito in forma di) società cooperativa a responsabilità limitata, presentante un ammontare complessivo di debiti scaduti e non pagati inferiore a 30 mila euro, soglia rilevante, quest’ultima, ai fini dell’assoggettabilità a fallimento, ex art. 15, ult. comma, legge fall. La cooperativa, che svolgeva attività di costruzione di appartamenti e vendita degli stessi a favore (parrebbe) “esclusivo” dei soci, era stata dichiarata insolvente, su ricorso di uno dei creditori della medesima, dal tribunale di La Spezia. I giudici liguri si erano limitati ad accertare lo stato di insolvenza, senza procedere alla dichiarazione di fallimento della cooperativa, ritenendo la stessa a carattere “mutualistico puro”, per ciò stesso non “commerciale” e, dunque, argomentando a contrariodall’art. 2545-terdecies, 1° comma, c.c., assoggettabile esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa. Contro la sentenza di primo grado, la società debitrice aveva proposto appello – fondato sulla ritenuta natura commerciale dell’attività svolta dalla cooperativa e sull’ammontare, sotto-soglia, del passivo esigibile –, che era stato respinto dalla Corte territorialmente competente, sulla scorta dell’ulteriore considerazione che per aversi attività commerciale non è sufficiente che la stessa sia prevista come possibile nello statuto, essendo a tal fine necessario l’esercizio in punto di fatto di detta attività. Si è giunti, così, dinanzi al giudice di legittimità, adito dalla società debitrice con ricorso fondato su due motivi. Il primo, con il quale la società cooperativa denuncia la mancata applicazione, nella specie, del­l’art. 15, ult. comma, legge fall., il cui operare nella procedura di liquidazione coatta amministrativa avrebbe impedito al giudice (non soltanto di dichiarare il fallimento, bensì anche) di pronunciarsi in ordine alla [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Le disposizioni che entrano direttamente in giuoco nella vicenda affrontata dal giudice di legittimità sono essenzialmente tre: l’art. 15, ult. comma, legge fall., ai sensi del quale, «Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell’art. 1» [1]; l’art. 195, 1° comma, primo periodo, legge fall., in virtù del quale, «Se un’impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento si trova in stato di insolvenza, il tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede principale, su richiesta di uno o più creditori, ovvero dell’autorità che ha la vigilanza sull’impresa o di questa stessa, dichiara tale stato con sentenza» [2]; e, infine, l’art. 2545-terdecies, 1° comma, c.c. per il quale, «In caso di insolvenza della società, l’autorità governativa alla quale spetta il controllo sulla società dispone la liquidazione coatta amministrativa. Le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche al fallimento» [3]. Una certa importanza avrebbero poi potuto rivestire – qualora fosse stata accolta la ricostruzione operata dalla ricorrente – gli artt. 2454-terdecies, 2° comma, c.c. e 196 legge fall. (e art. 2, 3° comma, legge fall.), che fissano la regola secondo la quale la dichiarazione di fallimento preclude l’apertura della l.c.a. e viceversa (c.d. regola della prevenzione) [4].


3. Il commento. L’iter logico-giuridico seguito dalla Corte

La Corte, come anticipato, respinge il primo motivo di ricorso, ossia quello fondato sulla mancata applicazione – in via estensiva o analogica – dell’art. 15, ult. comma, legge fall. alla procedura concorsuale amministrativa; e lo respinge sulla base di untripliceordine di considerazioni. a) In primo luogo, viene posto l’accento sul datoletterale, evidenziando, per un verso, che la norma testé richiamata si riferisce espressamente (non già alla dichiarazione dello stato di insolvenza, bensì) alladichiarazione di fallimento; per altro verso e soprattutto, che né l’art. 194, 2° comma – disposizione che, com’è noto, contiene il “nucleo essenziale” della disciplina della l.c.a. – né l’art. 195, relativo specificamente all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza, effettuano alcun richiamo, diretto o indiretto (attraverso, cioè, un rinvio all’art. 15), alla condizione ostativa rappresentata dal mancato superamento della soglia dei 30 mila euro. La soluzione pare senz’altro corretta. Da un punto di vista sistematico è indubbio che la l.c.a. goda di una disciplina definibile autonoma, rispetto a quella del fallimento: e non potrebbe essere diversamente, attesa, tra l’altro, la differente natura giuridica delle due procedure. L’autonomia di cui si è detto non viene scalfita dal fatto che per specifiche materie o istituti (e si pensi, a titolo di esempio, agli effetti della procedura nei confronti dei creditori o dei contratti in corso di esecuzione) sono dettate regole identiche; né che per il raggiungimento di tale risultato il legislatore abbia fatto ricorso alla tecnica del rinvio alle disposizioni sul fallimento. L’esistenza di un concorso in atto sul patrimonio del debitore giustifica, infatti, la presenza nell’ordinamento di regole e di principi comuni a tutte le procedure concorsuali; regole e principi che nel loro complesso compongono quello che può definirsi il “diritto oggettivamente concorsuale”, la cui applicazione, cioè, prescinde dalla dimensione o dalle qualità soggettive del debitore comune [5]. b) In secondo luogo, la Corte fonda la sua decisione sullaratiodell’art. 15, ult. comma, la cui applicazione mal si attaglierebbe ad una procedura, quale la liquidazione coatta, destinata a soddisfare – [continua ..]


NOTE