CASSAZIONE CIVILE, I Sezione, 22 aprile 2013, n. 9681 – Rordorf Presidente – Ceccherini Relatore – CORELI soc. coop. a r.l. c. Saracino
Società – Società cooperativa a mutualità esclusiva – Accertamento preventivo dello stato di insolvenza – Ammissibilità – Applicabilità della condizione ostativa alla dichiarazione di fallimento posta dall’art. 15, ultimo comma, legge fall. – Esclusione
(Art. 2545-terdecies c.c.; artt. 15 e 195 legge fall.)
La dichiarazione d’insolvenza della società cooperativa esclusivamente mutualistica, a norma dell’art. 195 legge fall., non è impedita dalla circostanza che l’ammontare dei debiti della società, scaduti e non pagati, sia complessivamente inferiore a € 30.000,00, non applicandosi in questo caso l’art. 15, ult. comma della medesima legge. (1)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 12 febbraio 2009 il Tribunale ritenne il CORELLI non soggetto al fallimento ma solo a liquidazione coatta amministrativa, e ne dichiarò lo stato d’insolvenza.
Resiste il Saracino con controricorso e ricorso incidentale con quattro motivi.
Il consorzio ricorrente ha depositato una memoria. Anche il ricorrente incidentale ha fatto pervenire una memoria.
Il ricorrente ha depositato anche un’istanza di rinvio della discussione, con documenti allegati, esponendo che il Ministero dello sviluppo economico avrebbe disposto la liquidazione coatta amministrativa dello stesso consorzio, e che di tale decreto egli avrebbe chiesto la revoca o la sospensione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Non risultano precedenti di questa corte sulla possibilità di dichiarare lo stato d’insolvenza di società o enti con esposizione debitoria inferiore al minimo indicato nell’ultimo comma dell’art. 15 legge fallimentare. Il motivo è in ogni caso infondato.
Sul piano della formulazione testuale delle norme, l’art. 15 della legge fallimentare, che nel suo ultimo comma esclude “la dichiarazione di fallimento” dell’impresa insolvente, se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti e dall’istruttoria prefallimentare sia complessivamente inferiore a € 30.000,00, non è richiamato dal-l’art. 194 della legge fallimentare, tra le norme applicabili alla liquidazione coatta amministrativa. La stessa disposizione non è neppure richiamata, specificamente, dall’art. 195 della stessa legge a proposito dell’accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza anteriore alla liquidazione medesima. Si tratta di una norma che introduce un’eccezione alla regola della fallibilità delle imprese, come tale insuscettibile di applicazioni analogiche ad ipotesi (dichiarazione d’insolvenza di impresa non fallibile) diverse da quella regolata (dichiarazione di fallimento dell’impresa insolvente).
Più in radice, è da considerare che la deroga stabilita dalla norma in esame, che non contraddice lo stato d’insolvenza dell’impresa e non lo esclude, risponde ad esigenze di economia processuale che rendono ingiustificati i tempi e i costi di una procedura fallimentare nel caso di esposizioni debitorie minori. Essa, insomma, per un verso risponde a esigenze che non possono essere automaticamente estese all’istituto della liquidazione coatta amministrativa, connotato da ragioni di pubblica utilità; e per l’altro incide sulla liquidazione concorsuale ma non sullo stato d’insolvenza, qual è definito nell’art. 5 cpv. legge fall., disposizione alla quale implicitamente rinvia l’art. 2545 terdecies c.c. in tema d’insolvenza delle cooperative. Non vi sono dunque i presupposti per utilizzare questa previsione nella discussione sulla possibilità di dichiarare lo stato d’insolvenza.
Sul piano astrattamente logico essa, semmai, potrebbe venire in considerazione a proposito della liquidazione coatta amministrativa disposta a norma della disposizione da ultimo citata (o dell’art. 12 del d.lgs. 2 agosto 2002, n. 220). Un’ipotesi del genere è contemplata in effetti nella normativa secondaria, laddove esclude la nomina del commissario liquidatore nelle procedure di scioglimento d’ufficio ex art. 2544 del codice civile delle società cooperative e dei loro consorzi, quando le attività da liquidare, purché di natura mobiliare, non abbiamo valore superiore a £. 2.500.000 (decreto del Ministero lavoro previdenza sociale 27 gennaio 1998: non rileva il fatto che, ai fini dell’economicità della procedura liquidatoria, qui si tenga conto del parametro dell’attivo, e nell’art. 15, ult. co. legge fall. del passivo). Ma proprio il caso citato, con il suo espresso riferimento all’art. 2544 (oggi 2545 septiesdecies) c.c., che regola lo scioglimento della cooperativa per atto dell’autorità in casi diversi da quello dell’insolvenza, dimostra come il tema dei modi della liquidazione sia da un lato logicamente posposto a quello dello scioglimento, e dall’altro del tutto indipendente da quello dell’accertamento dell’insolvenza. Le ipotesi, che si vogliano rinvenire nell’ordinamento, di esclusione della liquidazione coatta amministrativa della cooperativa esclusivamente mutualistica, anche in caso d’insolvenza, riguardano insomma le determinazioni dell’autorità amministrativa in ordine alla liquidazione, e non l’accertamento dello stato d’insolvenza.
5.2. In conclusione il motivo di ricorso deve essere respinto, in applicazione del principio per cui la dichiarazione d’insolvenza della società cooperativa esclusivamente mutualistica, a norma dell’art. 195 legge fall., non è impedita dalla circostanza che l’ammontare dei debiti della società, scaduti e non pagati, sia complessivamente inferiore a € 30.000,00, non applicandosi in questo caso l’art. 15, ult. co. della medesima legge.
6.1. In contrasto con l’accertamento del giudice di merito sul punto dell’esclusivo svolgimento di attività mutualistica da parte della società ricorrente, e in preterizione delle ragioni dell’accertamento medesimo (le quali fanno leva sulla necessità che l’attività commerciale non sia soltanto consentita dallo statuto, ma sia concretamente esercitata), l’odierno ricorrente omette la formulazione di un autonomo valido motivo di censura diretto a dimostrare la natura commerciale della cooperativa, che si limita ad affermare. Ciò comporta l’inammissibilità del motivo, nella parte in cui denuncia una violazione di norme in una fattispecie diversa da quella ricostruita dal giudice di merito.
La corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il giorno 15 marzo 2013.
Il cons. estensore Il Presidente
Aldo Ceccherini Renato Rordorf
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La sentenza in commento affronta un tema sin qui decisamente poco esplorato, sia in dottrina sia in giurisprudenza. In particolare, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità dell’accertamento preventivo – rispetto all’apertura della procedura concorsuale amministrativa – dello stato di insolvenza, ex art. 195 legge fall., di (un consorzio costituito in forma di) società cooperativa a responsabilità limitata, presentante un ammontare complessivo di debiti scaduti e non pagati inferiore a 30 mila euro, soglia rilevante, quest’ultima, ai fini dell’assoggettabilità a fallimento, ex art. 15, ult. comma, legge fall. La cooperativa, che svolgeva attività di costruzione di appartamenti e vendita degli stessi a favore (parrebbe) “esclusivo” dei soci, era stata dichiarata insolvente, su ricorso di uno dei creditori della medesima, dal tribunale di La Spezia. I giudici liguri si erano limitati ad accertare lo stato di insolvenza, senza procedere alla dichiarazione di fallimento della cooperativa, ritenendo la stessa a carattere “mutualistico puro”, per ciò stesso non “commerciale” e, dunque, argomentando a contrariodall’art. 2545-terdecies, 1° comma, c.c., assoggettabile esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa. Contro la sentenza di primo grado, la società debitrice aveva proposto appello – fondato sulla ritenuta natura commerciale dell’attività svolta dalla cooperativa e sull’ammontare, sotto-soglia, del passivo esigibile –, che era stato respinto dalla Corte territorialmente competente, sulla scorta dell’ulteriore considerazione che per aversi attività commerciale non è sufficiente che la stessa sia prevista come possibile nello statuto, essendo a tal fine necessario l’esercizio in punto di fatto di detta attività. Si è giunti, così, dinanzi al giudice di legittimità, adito dalla società debitrice con ricorso fondato su due motivi. Il primo, con il quale la società cooperativa denuncia la mancata applicazione, nella specie, dell’art. 15, ult. comma, legge fall., il cui operare nella procedura di liquidazione coatta amministrativa avrebbe impedito al giudice (non soltanto di dichiarare il fallimento, bensì anche) di pronunciarsi in ordine alla [continua ..]
Le disposizioni che entrano direttamente in giuoco nella vicenda affrontata dal giudice di legittimità sono essenzialmente tre: l’art. 15, ult. comma, legge fall., ai sensi del quale, «Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell’art. 1» [1]; l’art. 195, 1° comma, primo periodo, legge fall., in virtù del quale, «Se un’impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento si trova in stato di insolvenza, il tribunale del luogo dove l’impresa ha la sede principale, su richiesta di uno o più creditori, ovvero dell’autorità che ha la vigilanza sull’impresa o di questa stessa, dichiara tale stato con sentenza» [2]; e, infine, l’art. 2545-terdecies, 1° comma, c.c. per il quale, «In caso di insolvenza della società, l’autorità governativa alla quale spetta il controllo sulla società dispone la liquidazione coatta amministrativa. Le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche al fallimento» [3]. Una certa importanza avrebbero poi potuto rivestire – qualora fosse stata accolta la ricostruzione operata dalla ricorrente – gli artt. 2454-terdecies, 2° comma, c.c. e 196 legge fall. (e art. 2, 3° comma, legge fall.), che fissano la regola secondo la quale la dichiarazione di fallimento preclude l’apertura della l.c.a. e viceversa (c.d. regola della prevenzione) [4].
La Corte, come anticipato, respinge il primo motivo di ricorso, ossia quello fondato sulla mancata applicazione – in via estensiva o analogica – dell’art. 15, ult. comma, legge fall. alla procedura concorsuale amministrativa; e lo respinge sulla base di untripliceordine di considerazioni. a) In primo luogo, viene posto l’accento sul datoletterale, evidenziando, per un verso, che la norma testé richiamata si riferisce espressamente (non già alla dichiarazione dello stato di insolvenza, bensì) alladichiarazione di fallimento; per altro verso e soprattutto, che né l’art. 194, 2° comma – disposizione che, com’è noto, contiene il “nucleo essenziale” della disciplina della l.c.a. – né l’art. 195, relativo specificamente all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza, effettuano alcun richiamo, diretto o indiretto (attraverso, cioè, un rinvio all’art. 15), alla condizione ostativa rappresentata dal mancato superamento della soglia dei 30 mila euro. La soluzione pare senz’altro corretta. Da un punto di vista sistematico è indubbio che la l.c.a. goda di una disciplina definibile autonoma, rispetto a quella del fallimento: e non potrebbe essere diversamente, attesa, tra l’altro, la differente natura giuridica delle due procedure. L’autonomia di cui si è detto non viene scalfita dal fatto che per specifiche materie o istituti (e si pensi, a titolo di esempio, agli effetti della procedura nei confronti dei creditori o dei contratti in corso di esecuzione) sono dettate regole identiche; né che per il raggiungimento di tale risultato il legislatore abbia fatto ricorso alla tecnica del rinvio alle disposizioni sul fallimento. L’esistenza di un concorso in atto sul patrimonio del debitore giustifica, infatti, la presenza nell’ordinamento di regole e di principi comuni a tutte le procedure concorsuali; regole e principi che nel loro complesso compongono quello che può definirsi il “diritto oggettivamente concorsuale”, la cui applicazione, cioè, prescinde dalla dimensione o dalle qualità soggettive del debitore comune [5]. b) In secondo luogo, la Corte fonda la sua decisione sullaratiodell’art. 15, ult. comma, la cui applicazione mal si attaglierebbe ad una procedura, quale la liquidazione coatta, destinata a soddisfare – [continua ..]