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1. Una logica comune. - 2. Separazione contabile e separazione patrimoniale. - 2.1. Le azioni correlate: separazione meramente contabile. - 2.2. I patrimoni destinati ad uno specifico affare: separazione patrimoniale e contabile. - 3. Una diversa natura giuridica. - 3.1. L’inciso dell’art. 2447-bis c.c. - 3.2. Strumenti finanziari di partecipazione all’affare come species del genus degli strumenti finanziari partecipativi. - 4. Diritti patrimoniali e diritti amministrativi tra autonomia statutaria e norme imperative. - 4.1. Diritti patrimoniali. - 4.2. Diritti amministrativi e tutela degli interessi di categoria. - 5. Conflitto di interessi. - 5.1. Conflitto di interessi in caso di emissione di azioni correlate. - 5.2. Conflitto di interessi in caso di emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare. -
Tra le nuove categorie tipizzate di azioni e strumenti finanziari introdotte dalla riforma del diritto societario del 2003 [1], due in particolare presentano rilevanti affinità e si prestano perciò ad un confronto: le azioni correlate (art. 2350, 2° e 3° comma, c.c.) e gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare di un patrimonio destinato (art. 2447-ter, 1° comma, lett. e), c.c.). Le prime sono azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore. I secondi sono strumenti finanziari di partecipazione all’affare di un patrimonio destinato (artt. 2447-bis ss. c.c.), che attribuiscono diritti patrimoniali collegati all’andamento economico dell’affare [2]. Come noto, obiettivo prioritario della riforma del diritto societario del 2003 era di «favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali» (così la legge delega) [3]. Con la riforma tale obiettivo è stato perseguito, tra l’altro, mediante l’introduzione di un insieme di regole tese ad “ampliare gli strumenti disponibili alle società per attingere a fonti finanziamento” dando “ampio spazio alla creatività degli operatori nell’elaborazione di forme adeguate alla situazione di mercato” [4]. Per quanto riguarda, in particolare, la disciplina della s.p.a.: a) è stata ampliata la facoltà di emettere categorie di azioni fornite di diritti diversi da quelli conferiti dalle azioni ordinarie (art. 2348 c.c.); b) è stata introdotta la possibilità di emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali ed amministrativi a seguito dell’apporto, anche di opera o servizi, da parte dei soci o di terzi (art. 2346, 6° comma, c.c.). È stata così attuata la disposizione della legge delega secondo cui la riforma avrebbe dovuto «prevedere, al fine di agevolare il ricorso al mercato dei capitali […], la possibilità, i limiti e le condizioni di emissione di strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi» (art. 4, 6° comma, lett. c), legge n. 366/2001). Si è voluta, perciò, superare la tradizionale [continua ..]
La natura di “finanziamento finalizzato” che accomuna le due ipotesi in commento impone la tenuta di una contabilità separata con riferimento (a) ad un determinato settore di attività, in presenza di azioni correlate [13], ovvero (b) allo specifico affare del patrimonio destinato (artt. 2447-sexies e 2447-septies c.c.) [14]. Tuttavia, mentre l’emissione di azioni correlate dà luogo ad una separazione soltanto dal punto di vista contabile, l’emissione di strumenti finanziari di partecipazione è legata ad un’operazione di separazione del patrimonio societario.
Nell’introdurre la disciplina delle azioni correlate, il legislatore della riforma si è ispirato al modello statunitense delle tracking stocks [15]. Le tracking stocks [16] sono nate e si sono diffuse negli anni Novanta [17] tra le società quotate negli Stati Uniti, che le hanno utilizzate per sfruttare al meglio le prospettive di crescita dei settori cosiddetti tecnologici, in quel periodo in rapidissima espansione (prodotti hi-tech, e-commerce, internet, ecc.). L’obiettivo era quello di rendere le nuove attività più visibili ed appetibili sul mercato attraverso l’emissione di titoli “tecnologici”, che potessero essere valutati e scambiati in base alla performance degli specifici settori in espansione anziché del complesso delle attività sociali. A tal fine, in alternativa alla più costosa operazione di costituzione ad hoc di una società figlia per l’esercizio dell’attività in espansione [18], alcune società hanno preferito procedere ad una riorganizzazione meramente interna, con creazione di una struttura multidivisionale. Sono state così emesse azioni correlate ai risultati dell’attività esercitata da singole divisioni (business groups o strategic business units) [19] separate dal resto della società sotto il profilo organizzativo, finanziario e contabile, ma non anche dal punto di vista soggettivo e patrimoniale [20]. Spesso hanno fatto ricorso all’emissione di tracking stocks società caratterizzate dalla coesistenza di settori in notevole crescita e settori in netto calo o comunque senza concrete prospettive di sviluppo [21]. Soprattutto in questi casi, infatti, sono apprezzabili gli effetti positivi della diversificazione dell’offerta dei titoli. Le tracking stocks valorizzano i settori in espansione, evitando che il mercato finanziario tenda a sottovalutarne le potenzialità e attribuisca eccessivo rilievo ai settori in calo, con conseguente sottovalutazione delle azioni che si riferiscono al complesso delle attività della società [22]. In altri termini, la valutazione della società come sommatoria del valore dei diversi settori di attività rappresentati da diverse classi di azioni risulta maggiore [continua ..]
La disciplina degli strumenti finanziari di partecipazione all’affare (ex art. 2447-ter, 1° comma, lett. e) c.c.) trova collocazione nell’ambito delle regole dedicate ai patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447-bis e ss. c.c.). Tali regole sono state introdotte con la riforma del 2003 [30] in attuazione di una specifica disposizione della legge delega secondo cui si sarebbe dovuto consentire alle società di costituire «patrimoni dedicati ad uno specifico affare, determinandone condizioni, limiti e modalità di rendicontazione, con la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione ad esso» (art. 4, 4° comma, lett. b), legge n. 366/2001) [31]. Diversamente dalle azioni correlate, le quali richiedono semplicemente la tenuta di una contabilità separata, gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare sono associati ad un’operazione di separazione patrimoniale e cioè alla costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare. La costituzione di un patrimonio destinato rappresenta una delle ipotesi di separazione patrimoniale espressamente ammesse dalla legge, ai sensi del secondo comma dell’art. 2740 c.c., in deroga al generale principio della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740, 1° comma, c.c.) [32]. Nel descrivere il fenomeno dei patrimoni destinati, in dottrina si è parlato anche di “segregazione nella segregazione”, con riferimento alla circostanza che esiste già un primo livello di separazione fra il patrimonio delle società di capitali e quello dei soci [33]. La società risponde delle obbligazioni sorte in relazione allo specifico affare soltanto con i beni compresi in tale patrimonio, anziché con l’intero patrimonio societario (art. 2447-quinquies, 3° comma, c.c.). I creditori sociali non possono far valere alcun diritto sul patrimonio separato, né sui frutti o proventi derivanti dal relativo affare, se non per la parte spettante alla società (art. 2447-quinquies, 1° comma, c.c.), poiché sul patrimonio destinato possono trovare soddisfazione soltanto i creditori per le obbligazioni sorte nello svolgimento dello specifico affare [34]. In sostanza, il legislatore ha inteso attribuire alle società la facoltà di operare al loro interno una segregazione che [continua ..]
Azioni correlate e strumenti finanziari di partecipazione all’affare presentano importanti differenze anche sotto il profilo della natura giuridica. Le azioni correlate sono emesse a fronte di un conferimento al capitale sociale ed i loro possessori sono soci a tutti gli effetti. Gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare, invece, sono emessi a fronte di un “apporto” (e non già di un conferimento) [42] al patrimonio (destinato) della società e sono dunque rappresentativi di capitale di debito. Pertanto, i possessori di tali strumenti finanziari non partecipano al capitale sociale e non assumono la qualità di soci, a meno che non lo siano già in quanto titolari di azioni della stessa società, o non lo diventino in un secondo momento. Ci si potrebbe chiedere se l’apporto al patrimonio destinato debba provenire necessariamente da terzi oppure possa essere effettuato anche da soci. Una lettura isolata dell’art. 2447-ter, 1° comma, lett. d), c.c. sembrerebbe suggerire la prima soluzione («gli eventuali apporti di terzi»), ma un esame congiunto della norma con il più generale art. 2346, ult. comma, c.c. («a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi») avvalora la seconda ipotesi. Del resto, non si ravvisano particolari ragioni per cui al socio debba essere preclusa la possibilità di finanziare l’affare di un patrimonio destinato. Ciò premesso si deve segnalare che, mentre inequivoca è la natura delle azioni correlate, al contrario la disciplina degli strumenti finanziari di partecipazione all’affare ha sollevato non pochi dubbi sulla natura, classificazione e collocazione sistematica di questi ultimi. Da una parte si è ipotizzato che gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare possano avere anche natura azionaria [43]; da un’altra parte ci si è chiesti se, ferma la loro natura non azionaria, essi si pongano in un rapporto di specie a genere rispetto agli strumenti finanziari partecipativi disciplinati dall’art. 2346 c.c., ovvero se costituiscano una categoria autonoma di titoli. Il proliferare di simili questioni interpretative è forse dovuto a una certa approssimazione e genericità nella formulazione delle norme e ad una scarsa attenzione al coordinamento delle disposizioni da parte del legislatore.
Una prima fonte di incertezze ed equivoci è rappresentata dall’inciso «fuori dai casi di cui all’articolo 2447-bis», con cui esordisce il secondo comma dell’art. 2350 c.c. dedicato alle azioni correlate [44]. Vi è chi ritiene che l’inciso rappresenti più che altro una excusatio non petita da parte del legislatore, che avrebbe voluto semplicemente dare maggior risalto alla distinzione, dai contorni altrimenti sfumati, fra azioni correlate e patrimoni destinati [45]. In alternativa, si è suggerito che il legislatore avrebbe voluto precisare che nella nozione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare non possono essere comprese le azioni correlate [46], ma non manca chi, al contrario, sostiene che l’inciso consentirebbe proprio di riconoscere agli strumenti finanziari di partecipazione all’affare anche natura azionaria [47]. In effetti, la genericità dell’espressione e l’assenza di una qualsiasi indicazione nei lavori preparatori rendono piuttosto oscuri i motivi che hanno spinto il legislatore ad inserire una simile puntualizzazione. Ad ogni modo, pare si possano ragionevolmente formulare soltanto le seguenti ipotesi interpretative: a) l’inciso esclude che possano essere emesse azioni (atipiche) fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dello specifico affare di un patrimonio destinato (a fronte di un conferimento a capitale sociale e non di un apporto al patrimonio destinato); b) l’inciso esclude che tra gli strumenti di partecipazione all’affare, emessi a fronte di un apporto al patrimonio destinato, possano rientrare anche le azioni correlate (e, più in generale, qualsiasi altro titolo di natura azionaria, che presuppone un conferimento al capitale sociale). La seconda soluzione sembra essere preferibile. Più in dettaglio, con riferimento all’interpretazione sub a), si osserva che l’inciso potrebbe essere diretto ad escludere la possibilità di emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati alle performance dello specifico affare del patrimonio destinato. Per quanto possibile, questa soluzione interpretativa presenta delle debolezze. Premesso che non si tratterebbe di azioni correlate ai risultati di un determinato settore, ma di uno specifico affare di un patrimonio [continua ..]
Una seconda questione riguarda l’inquadramento degli strumenti finanziari di partecipazione all’affare ex art. 2447-ter c.c. Rientrano essi nel genus degli strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346, 6° comma, c.c., oppure costituiscono una categoria sui generis? Il dubbio sorge, innanzitutto, se si considera che (i) diversi sono gli organi competenti all’emanazione degli uni e degli altri e (ii) diverse sono le forme di tutela previste per i rispettivi possessori [55]. Sotto il primo profilo, mentre gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare sono emessi – salvo diversa disposizione dello statuto – mediante apposita deliberazione dell’organo amministrativo (art. 2447-ter, ult. comma, c.c.), l’emissione di nuovi strumenti finanziari ex art. 2346 c.c., comportando una modificazione dello statuto, è di competenza dell’assemblea straordinaria [56]. Sotto il secondo profilo, mentre per i possessori degli strumenti di partecipazione all’affare è prevista un’organizzazione di gruppo (art. 2447-octies c.c.), i possessori degli strumenti finanziari partecipativi ex art. 2346 c.c. sono tutelati dalle diverse previsioni dell’art. 2351, ult. comma, c.c. e dell’art. 2376 c.c. Sulla base di questi elementi vi è in dottrina chi sostiene che tra le due figure sussista “una cesura tale da precluderne la riduzione ad unità”, sottolineando come gli strumenti di partecipazione all’affare non attribuiscano gli stessi diritti di partecipazione attiva alla vita sociale riconosciuti agli strumenti finanziari ex art. 2346 c.c. e pertanto costituiscano una categoria autonoma e non una sottocategoria [57]. Questa impostazione non sembra poter essere condivisa. Quella degli strumenti finanziari partecipativi sembra configurarsi come una categoria generale, considerato il livello di astrazione della formulazione dell’art. 2346, 6° comma, c.c. e considerata la sua collocazione sistematica, all’inizio della sezione dedicata alle azioni e agli altri strumenti finanziari partecipativi ed all’interno di una norma che detta principi generali in materia di “emissione delle azioni”. Gli strumenti di partecipazione all’affare sembrano inserirsi all’interno di questa categoria generale in un rapporto di [continua ..]
Chiarito che gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare si distinguono dalle azioni correlate in quanto aventi natura non azionaria, ma “ibrida” (come ogni strumento finanziario partecipativo ex art. 2346, 6° comma, c.c.), conviene a questo punto concentrare l’indagine sul contenuto dei diritti patrimoniali ed amministrativi attribuibili agli azionisti correlati e ai possessori di strumenti finanziari di partecipazione all’affare. In entrambi i casi la legge lascia ampia libertà all’autonomia privata, ma al contempo pone alcuni limiti inderogabili che trovano ragion d’essere nella diversa natura dei titoli in commento e nella circostanza che in un caso si realizza una separazione solamente contabile e nell’altro caso una separazione anche patrimoniale. È ovviamente possibile che una medesima società emetta più categorie di azioni correlate (ciascuna delle quali legata all’andamento economico di un diverso settore di attività) e/o più categorie di strumenti finanziari di partecipazione all’affare (in caso di costituzione di più patrimoni destinati). In tal caso, le azioni e gli strumenti finanziari di ciascuna categoria potranno essere anche dotati di diritti diversi. Dal tenore dell’art. 2447-ter, 1° comma, lett. e), c.c. («con la specifica indicazione dei diritti che attribuiscono») sembrerebbe prima facie che la determinazione dei diritti incorporati negli strumenti finanziari di partecipazione all’affare sia totalmente affidata all’autonomia privata. In realtà, una serie di diritti è già inderogabilmente attribuita ex lege dall’art. 2447-octies c.c., con finalità di protezione degli interessi di categoria (disposizioni su assemblee speciali e rappresentante comune) [60]. Ecco allora che lo spazio lasciato all’autonomia privata risulta essere più limitato di quanto una lettura isolata dell’art. 2447-ter, 1° comma, lett. e), lasci supporre. Inoltre, se è vero che – come è lecito ritenere – gli strumenti di partecipazione all’affare rappresentano una categoria speciale di strumenti finanziari partecipativi [61], allora è altrettanto vero che la relativa disciplina speciale deve essere coordinata con quella generale dell’art. 2346, 6° [continua ..]
Sia le azioni correlate che gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare sono concepiti per soddisfare l’interesse all’investimento in uno specifico settore o affare d’impresa. Malgrado tale affinità, il contenuto dei diritti patrimoniali attribuiti ai possessori delle une e degli altri può divergere in maniera rilevante. 4.1.1. Le diverse nozioni di “affare” e “settore”. – In primo luogo, diverso sembra essere l’oggetto dell’investimento. Mentre per le azioni correlate l’interesse economico ricade sui risultati della «attività sociale in un determinato settore», nell’ambito della disciplina dei patrimoni destinati il riferimento è ad uno «specifico affare». Si pone, dunque, la questione di come debbano essere interpretate le nozioni di “affare” e “settore”. L’atecnicismo dei termini scelti dal legislatore [62] rischia di porre seri problemi ermeneutici [63]. Per quanto riguarda la nozione di “affare”, l’interpretazione restrittiva sembra essere quella più conforme alla ratio dell’istituto, introdotto anche per porre un freno alla prassi dello smembramento delle società con costituzione ad hoc di società controllate per la realizzazione di specifiche operazioni [64]. L’interpretazione restrittiva appare pure la più coerente con l’utilizzo dell’aggettivo “specifico”, riferito all’affare, e con la previsione di un limite quantitativo (valore del patrimonio separato non superiore al 10% del patrimonio netto della società) per la costituzione del patrimonio destinato (art. 2447-bis, 2° comma, c.c.) [65]. In questo modo non si vuole certo ridurre la nozione di affare sino a farla coincidere con quella di singolo negozio: uno specifico affare può comprendere anche più negozi, purché questi siano accomunati da un medesimo scopo economico. In altre parole, per individuare quali negozi possano rientrare nello “specifico affare” potrebbe essere applicato un criterio teolologico-funzionale. Il singolo affare andrebbe così a comprendere quell’insieme di negozi – anche differenti fra loro tipologicamente – strumentali alla realizzazione di un obbiettivo [continua ..]
I titoli in esame presentano significative differenze anche sotto il profilo dei possibili diritti amministrativi. 4.2.1. Diritti amministrativi delle azioni correlate. – La determinazione del contenuto dei diritti amministrativi spettanti agli azionisti correlati è affidata completamente all’autonomia privata dall’art. 2350, 2° comma, che dispone: «lo statuto stabilisce […] i diritti attribuiti a tali azioni». Peraltro, ci si deve attendere che, nel determinare il contenuto di tali diritti, la società tenga presente che, malgrado gli azionisti correlati siano portatori di un interesse diretto verso il rendimento di un determinato settore d’impresa, essi nutrono anche un interesse indiretto verso le vicende che interessano l’intera società. Tale interesse indiretto deriva da un duplice ordine di motivi. In primo luogo, il pagamento dei dividendi in loro favore è subordinato all’esistenza di un utile risultante dal bilancio dell’intera società e non solo dai conti del singolo settore (art. 2350, 3° comma, c.c.); è allora naturale che gli azionisti correlati siano indirettamente interessati anche al rendimento della società considerata nel suo complesso. In secondo luogo, i risultati economici della singola divisione d’impresa sono inevitabilmente influenzati dal modo in cui l’intera società viene gestita. Sebbene la società sia divisa in più settori, essa rimane pur sempre un unico soggetto giuridico, diretto da un unico organo di amministrazione che si occupa di tutti gli affari e che gestisce risorse comuni. Le scelte operate dagli amministratori nella gestione dell’intera società possono quindi avere ripercussioni sui risultati economici delle singole divisioni [92]. Si pensi, ad esempio, al compimento di un’operazione che genera una grave perdita o una grave responsabilità della società verso terzi o alla scelta dei criteri di distribuzione delle risorse fra i vari settori d’impresa e così via. È allora auspicabile che le azioni correlate, al pari di quelle ordinarie, attribuiscano un diritto di voto nell’assemblea generale sulle questioni di maggiore rilevanza o, quantomeno, sulla nomina e revoca dei membri degli organi di amministrazione e controllo, nonché sull’approvazione del bilancio (che rimane [continua ..]
La scelta di una struttura finanziaria complessa, caratterizzata dalla compresenza di diverse categorie di azioni e strumenti finanziari, determina inevitabilmente il rischio che possano insorgere situazioni di attrito tra diverse categorie di azionisti ed altri investitori portatori di interessi tra loro divergenti [104]. Si tratta di situazioni che la dottrina d’oltreoceano indica con l’espressione “horizontal conflicts of interest” (conflitti di interesse orizzontali) [105], per distinguerle dai c.d. conflitti di interesse verticali che riguardano l’ipotesi di contrasto tra l’interesse sociale e l’interesse personale dell’amministratore e che nel nostro ordinamento trovano disciplina nell’art. 2391 c.c. [106]. In questo quadro generale si inseriscono le questioni conseguenti all’emissione, in particolare, di azioni correlate e di strumenti finanziari di partecipazione all’affare. Senza alcuna pretesa di trattare diffusamente il tema – senz’altro degno di separato approfondimento – se ne segnalano qui di seguito le principali criticità.
L’emissione di azioni correlate dà luogo alla compresenza di almeno due diverse categorie di azionisti: azionisti ordinari ed azionisti correlati [107]. Non vi è coincidenza tra gli interessi degli uni e degli altri. I primi sono interessati ai risultati economici della società nel suo complesso. I secondi sono anzitutto interessati ai risultati dello specifico settore di investimento, mentre hanno un interesse all’andamento economico dell’intera società solo nella misura in cui un eventuale risultato negativo dei settori non correlati dovesse impedire loro di ottenere la distribuzione degli utili prodotti dal settore correlato. Come già evidenziato [108], infatti, l’art. 2350 c.c. vieta il pagamento di dividendi agli azionisti correlati se non nei limiti degli utili risultati dal bilancio della società. Ne deriva che qualsiasi scelta gestoria che dovesse rivelarsi favorevole all’intera società, ma dovesse al contempo comportare un sacrificio per lo specifico settore correlato, sarebbe suscettibile di pregiudicare gli interessi dei soli azionisti correlati. Di qui l’insorgere di conflitti di interesse tra azionisti ordinari ed azionisti correlati (oltre che tra diverse categorie di azionisti correlati in caso di emissione di più classi di azioni correlate a settori diversi). Sarebbe perciò opportuno che l’emissione di azioni correlate fosse sempre accompagnata da un’adeguata informativa volta a rappresentare ai potenziali investitori tutti i rischi connessi all’esistenza di una struttura finanziaria complessa. Il problema del conflitto di interessi orizzontale pare poter essere, almeno in parte, arginato dall’applicazione di appropriate regole di governance. Il proliferare di simili contrasti, infatti, è strettamente legato alla circostanza che l’organo di amministrazione, nell’effettuare determinate scelte operative, si trova spesso di fronte al delicato compito di dover bilanciare opposti interessi di categoria [109]. Si pensi, ad esempio, alle decisioni relative all’allocazione di costi e di risorse produttive e finanziarie tra i vari settori della società (correlati e non), o alla distribuzione di opportunità di affari e di investimento. Non è raro, insomma, che le decisioni degli amministratori abbiano un impatto non omogeneo sugli interessi dei vari gruppi e si [continua ..]
Analoghi problemi di conflittualità si pongono in caso di emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare di un patrimonio destinato [117]. Questa ipotesi, rispetto a quella della società multidivisionale con azioni correlate, si avvicina ancora di più al fenomeno del gruppo. Infatti, ferma l’unicità soggettiva e dell’organo amministrativo, vi è una separazione patrimoniale (seppure imperfetta e dunque non del tutto assimilabile a quella tra due società del medesimo gruppo) [118]. Non a caso, anche rispetto alla costituzione dei patrimoni destinati la dottrina ha proposto un’applicazione estensiva dei principi dell’art. 2497 c.c. [119]. Tra l’altro, applicando mutatis mutandis il 1° comma dell’art. 2497 c.c., i possessori degli strumenti finanziari, in quanto creditori della società, potrebbero invocare, oltre al pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore dei loro titoli, anche la lesione cagionata all’integrità del patrimonio destinato. Come gli azionisti correlati, anche i possessori di strumenti finanziari ex art. 2447-ter che attribuiscano diritti patrimoniali sui proventi dello specifico affare potrebbero entrare in conflitto con gli azionisti ordinari. I primi sono interessati al massimo rendimento dello specifico affare e non hanno un generale interesse ai risultati economici delle altre attività sociali; gli azionisti sono invece interessati all’andamento dell’intera società e potrebbero avere un interesse molto relativo nello specifico affare (molto dipende, in concreto, dalle dimensioni dell’affare e dal potenziale dello stesso). Questa non coincidenza di interessi potrebbe dar luogo a contrasti qualora gli amministratori compiano scelte che “penalizzi[no] una massa patrimoniale a discapito dell’altra” [120] o comunque sacrifichino in qualche modo la realizzazione dello specifico affare privilegiando il compimento di operazioni diverse. Come per le azioni correlate, anche in questa ipotesi, malgrado la separazione patrimoniale, c’è un’unica società con un unico organo amministrativo chiamato a rappresentare interessi di diverse categorie. Peraltro, in caso di emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare, la possibilità che insorgano [continua ..]