<p>Impresa Società Crisi di Palazzolo Andrea, Visentini Gustavo</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La funzione di controllo nell'organizzazione della società per azioni, con particolare riguardo ai c.d. sistemi alternativi (di Mario Libertini)


SOMMARIO:

1. Il “controllo” come verifica di conformità a regole e la possibile evoluzione da funzione puramente censoria a funzione di “indirizzo e controllo” - 2. Le diverse funzioni dei controlli societari, stratificatesi col passare del tempo: contrasto verso gestioni infedeli; contrasto verso gestioni dissipatorie; contrasto verso gestioni inefficienti; contrasto verso gestioni illegali - 2.1. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni infedeli - 2.2. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni dissipatorie - 2.3. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni inefficienti - 2.4. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni illegali - 3. La moltiplicazione delle istanze di controllo nel diritto societario odierno: la dislocazione differenziata (organi, uffici, controlli esterni) delle diverse funzioni di controllo - 4. L’oggetto dei controlli societari (“atti”-“attività”) e i criteri di controllo (“legalità”-“me­rito”) - 5. Debolezza delle scelte di politica legislativa in materia di controlli nella riforma del 2003. Il problema del coordinamento fra le diverse istanze di controllo - 6. Tassatività dei modelli organizzativi di amministrazione e controllo previsti dalla legge - 7.  Critica all’impianto sistematico della riforma. La “pesantezza” del sistema c.d. tradizionale. Opportunità di razionalizzare la normativa mediante opzioni interpretative che attribuiscano ai sistemi c.d. alternativi la funzione di passaggio da una funzione di controllo puramente censoria ad una funzione di “indirizzo e controllo” - 8.  I principali problemi interpretativi riguardanti il sistema dualistico. Opportunità di una opzione interpretativa volta a rafforzare la funzione di indirizzo del consiglio di sorveglianza - 9.  I principali problemi interpretativi riguardanti il sistema monistico. Opportunità di una opzione interpretativa volta a pensare il sistema monistico come una variante volta a rafforzare le funzioni di indirizzo e controllo del plenum del consiglio di amministrazione in presenza di amministratori delegati - NOTE


1. Il “controllo” come verifica di conformità a regole e la possibile evoluzione da funzione puramente censoria a funzione di “indirizzo e controllo”

Vorrei muovere da alcune considerazioni generali sulla funzione di controllo nelle società di capitali. A tale scopo è opportuno premettere la definizione più generale di “controllo”, corrente nel linguaggio dei giuristi, come attività di verifica di conformità di attività altrui 1 a principi, regole o programmi 2. Questa nozione differisce profondamente, a prima vista, dall’altra, anch’essa ben nota nel diritto societario, che definisce il “controllo” come l’attitudine a determinare le scelte e ad orientare l’attività di un altro soggetto (artt. 2359, 2497-sexies, c.c.). Eppure, fra le due nozioni c’è una connessione, dal momento che il controllo, come attività di vigilanza e verifica, gradualmente può tradursi nell’individuazione/raccomandazione/indicazione di rimedi, atti a superare eventuali irregolarità accertate. Da qui la possibilità di evoluzione (che storicamente si è ampiamente verificata, come vedremo meglio infra) da un’attività di controllo “puro” (i.e. puramente censorio) ad un’attività di “indirizzo e controllo” (modello ben definito in teoria dell’organizzazione, e in particolare nel campo delle organizzazioni pubbliche). Questa connessione fra le due accezioni di “controllo”, che talora viene intuita anche sul piano giuridico 3, costituisce dato di comune accettazione nella letteratura economico-aziendale 4. Per meglio chiarire questo punto di partenza è opportuno analizzare il contenuto di quella “verifica di conformità”, che caratterizza il controllo societario, e che non ha certamente una funzione conoscitiva, bensì una funzione operativa, cioè quella di prevenire o correggere eventuali deviazioni dall’applicazione di certe regole (che si presumono virtuose). Se si muove da questa elementare idea, si comprende facilmente che la funzione dei controlli all’interno dell’organizzazione d’impresa si è evoluta nel tempo, definendosi con riferimento a finalità diverse, che però non sono contrastanti fra loro, ma piuttosto complementari, sicché si sono piuttosto stratificate con il passare del tempo; esse hanno, tuttavia, dato luogo alla previsione di strumenti normativi [continua ..]


2. Le diverse funzioni dei controlli societari, stratificatesi col passare del tempo: contrasto verso gestioni infedeli; contrasto verso gestioni dissipatorie; contrasto verso gestioni inefficienti; contrasto verso gestioni illegali

In prima approssimazione, ritengo di potere dare per scontata, come osservazione preliminare, che la disciplina di una funzione di controllo è essenziale per l’efficiente svolgimento di qualsiasi attività umana, e per l’attività d’impresa in particolare 5; e che non può essere coltivata l’illusione che l’efficienza e il buon funzionamento delle imprese possano essere garantite dall’efficienza e dal dinamismo dei mercati finanziari 6. Muovendo da questo assunto, ritengo possibile proporre una ricostruzione idealtipica delle diverse possibili funzioni dei controlli societari (prescindendo, per il momento, da una compiuta ricostruzione storica o giuridico-positiva). In questa prospettiva, mi sembra che possano distinguersi quattro profili 7.


2.1. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni infedeli

È la figura più elementare di controllo, tipicamente relazionale, modellata sullo schema logico-giuridico del mandato: al rapporto di base proprietario/mandatario, di tradizione romanistica, il diritto delle società di capitali, sin dal XIX secolo, aggiunge la figura di un revisore contabile di fiducia, nominato dai “proprietari del capitale”, avente la funzione di verificare l’esatto adempimento dei propri compiti da parte degli amministratori, concepiti a loro volta come mandatari/gestori; il revisore dovrà esaminare le scritture contabili, acquisire informazioni ed esercitare rimedi in caso di accertato inadempimento. Dal punto di vista organizzativo, questa elementare funzione di controllo non richiede strumenti complessi: basta l’incarico contrattuale fiduciario conferito dal o dai “proprietari del capitale” ad uno o più professionisti di fiducia.


2.2. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni dissipatorie

Questa seconda funzione del controllo è risultato di un’esigenza che nasce dalla sperimentata frequenza di comportamenti parassitari (oggi si dirà spesso di moral hazard), che gli stessi “proprietari” dell’impresa possono porre in essere a danno dell’impresa stessa, sotto la protezione dello schermo della personalità giuridica. Gli interessi tutelati, mediante la previsione di questa funzione del controllo, sono non più quelli dei proprietari/mandanti (le cui iniziative dissipatorie sono invece oggetto di prevenzione), bensì quelli dei creditori e dei soci di minoranza, nonché – almeno in certe linee di pensiero – quelli degli stakeholder. Lo strumento per realizzare questa funzione di controllo può essere ancora – in astratto – di tipo relazionale: per esempio i titolari degli interessi protetti potrebbero essere legittimati a designare un professionista fiduciario, incaricato di raccogliere informazioni e rendiconti e di esercitare le opportune reazioni in caso di accertamento di illeciti. Oppure si può affidare il controllo ad un ufficio amministrativo pubblico esterno (era questa la soluzione adottata dal primo codice di commercio italiano 1865, soluzione poi rimasta per le cooperative). Tuttavia, l’allargamento del numero delle società azionarie, l’ampliamento della funzione di controllo con riferimento ad imprese di grande dimensione, portarono in Italia – con il codice di commercio del 1882 – a consolidare una soluzione privatistica “interna” del controllo, però corretta dall’attribuzione ai controllori interni di una funzione di ordine pubblico. In questo modo si passava – sul piano legislativo – a risolvere il problema del controllo interno nella società anonima (di cui si confermava l’essenzialità) con una soluzione di tipo organizzativo e non più semplicemente relazionale. L’origine del collegio sindacale si colloca in questa prospettiva, anche se con l’ambiguità costituita dal fatto che la nomina dei sindaci era affidata all’assemblea, in cui i soci investitori di minoranza, che pur avrebbero dovuto trovare tutela mediante l’azione dei sindaci, non avevano voce in capitolo. Da qui l’ambiguità dell’istituto, che, dall’origine 8, si trascina fino ad oggi: i sindaci sono [continua ..]


2.3. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni inefficienti

Ci si rende facilmente conto che, con riguardo a strutture d’impresa di grande dimensione, il problema del controllo non può ridursi al contrasto verso le gestioni infedeli o dissipatorie (anche se questi problemi elementari non vengono mai meno). È un dato di esperienza, oltre che di scienza dell’organizzazione, che tutte le organizzazioni complesse hanno bisogno di una funzione interna che verifichi in modo permanente l’efficienza della gestione. In questa prospettiva, oggetto della “verifica di conformità” divengono i processi decisionali interni e la coerenza ed efficienza nell’esecuzione dei programmi aziendali. Gli interessi tutelati, in relazione a questa funzione del controllo, sono tutti gli interessi coinvolti nella gestione dell’impresa, con qualche condizionamento che può nascere dalla configurazione più o meno ampia dell’oggetto sociale. In ogni caso, l’esercizio di questa funzione di controllo non può più, certo, avvalersi di strumenti relazionali (secondo la falsariga dell’esame di un rendiconto da parte di un professionista di fiducia), ma può essere realizzata solo mediante strumenti di tipo organizzativo, che svolgano un’azione permanente di controllo. Questi strumenti possono essere collocati nel­l’organizzazione interna per uffici o anche nell’organizzazione a rilevanza esterna, o ancora in tutt’e due i livelli. Si deve anche precisare che questa funzione di controllo, finalizzata al raggiungimento del­l’equilibrio e dell’efficienza di organizzazioni complesse, può avvalersi di diversi strumenti giuridici, che possono essere così sommariamente tipizzati: (i) potere gerarchico; (ii) potere di vigilanza (variamente articolata: informativa, ispettiva, direttiva, regolamentare); (iii) funzione partecipativa, in funzione di cooperazione con l’organo di gestione e variamente articolata, nella divisione delle competenze interne. In ogni caso, si può ragionevolmente ritenere, in base all’esperienza, che un’organizzazione sia più efficiente se, al suo interno, ci sono individui e gruppi che traggono incentivi al loro operare proprio dall’efficiente svolgimento della funzione di controllo 12. Questi soggetti possono anche essere formalmente dipendenti salariati della società: se [continua ..]


2.4. Il controllo come strumento di contrasto verso gestioni illegali

Il “controllo di legalità” percorre trasversalmente tutte le figure precedentemente elencate. L’esercizio della funzione di controllo comporta inevitabilmente la possibilità di accertamento della violazione di regole (anche) legali e la relativa censura: ciò può tanto riguardare la violazione di obblighi privatistici (ivi compreso l’obbligo di diligenza professionale degli amministratori), quanto la violazione di norme societarie in senso stretto, quanto infine la violazione di norme amministrative o penali riguardanti l’attività d’impresa in quanto tale. Quest’ultimo profilo, tradizionalmente affidato all’esercizio dei compiti statali di polizia e di repressione degli illeciti (oltre che agli strumenti di private enforcement delle norme societarie), e solo incidentalmente all’attività degli organi di controllo interni, ha visto crescere la sua importanza negli ultimi decenni. Da un lato, è maturata l’idea che le attività di impresa in generale, e quelle che si svolgono in certi mercati in modo più accentuato, presentano – accanto ad una fondamentale funzione di sostegno dello sviluppo economico e del benessere collettivo – un elevato potenziale criminogeno, nonché un elevato potenziale di formazione di monopoli o di realizzazione di altri risultati antisociali. Affidare il contrasto verso questi rischi alle sole norme penali (o, sotto altro profilo, alle sole liti giudiziarie endosocietarie) è ben presto apparso soluzione insufficiente. Da qui non solo la moltiplicazione delle diverse autorità amministrative di vigilanza e di regolazione dei mercati (senza con ciò arrivare al ripristino dell’antica funzione di vigilanza amministrativa su tutte le società azionarie in quanto tali), ma anche l’idea di affidare la realizzazione di questa funzione anche a strumenti di controllo aziendale interno, volti a sostenere e garantire il mantenimento, all’interno dell’impresa, di quella che oggi viene spesso designata come “cultura della compliance”. Va da sé che questa esperienza ripercorre quella a suo tempo svoltasi, in Italia, con la creazione del collegio sindacale, e si può tradurre (come è accaduto con la riforma del diritto societario del 2003) anche in una tendenza al rafforzamento di questa tradizionale figura. [continua ..]


3. La moltiplicazione delle istanze di controllo nel diritto societario odierno: la dislocazione differenziata (organi, uffici, controlli esterni) delle diverse funzioni di controllo

Volendo riepilogare quanto esposto finora, con riguardo alla disciplina italiana dell’impresa costituita in forma di società per azioni, può rilevarsi che tutti i tipi di controllo sopra delineati possono dirsi oggi presenti, in modo più o meno incisivo a seconda dei vari tipi di impresa e dei vari tipi di attività svolta. In altri termini – come già si accennava prima – le esigenze di controllo più antiche non sono state cancellate da quelle più moderne, ma il sistema dei controlli ha piuttosto assunto una struttura stratificata. In particolare – come si è già ricordato – nell’esperienza italiana più antica (quella del primo codice di commercio postunitario) c’era solo un controllo relazionale affidato a revisori contabili nominati dagli azionisti ed un controllo istituzionale di legalità, affidato ad uffici pubblici ministeriali. La storia del diritto delle società azionarie ha poi portato a valorizzare sempre più i controlli interni, dotati o meno di rilevanza organizzativa: nell’esperienza italiana la previsione del collegio sindacale ha dato, almeno formalmente, una forte rilevanza organizzativa alla funzione di controllo, ma si è sempre caratterizzata – come già ricordato – per l’equivoco di affidare una funzione di controllo generale ad un organo nominato dalla maggioranza azionaria, e quindi costruito secondo moduli appropriati solo per il controllo contro le gestioni infedeli. L’esperienza più recente ha comunque portato alla moltiplicazione degli strumenti, interni ed esterni, di controllo. Se si guarda alla disciplina della s.p.a. posteriore alla riforma del 2003 e agli interventi contemporanei e successivi con leggi speciali, può dirsi che, nell’esercizio delle funzioni di controllo, affidate ad istanze interne ed esterne all’impresa, le interferenze sono inevitabili. In sintesi, può tracciarsi però una, almeno tendenziale, divisione di compiti: a) il controllo sui rischi di infedeltà e dissipazione è oggi affidato prevalentemente a revisori dei conti professionali; b) il controllo di gestione vero e proprio (cioè il controllo sull’efficienza produttiva) è prevalentemente affidato ad organi (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza o comitato di controllo) e ad uffici [continua ..]


4. L’oggetto dei controlli societari (“atti”-“attività”) e i criteri di controllo (“legalità”-“me­rito”)

Passando ora ad esaminare alcuni punti nodali del fenomeno del controllo in una prospettiva di stretto diritto positivo, vengono subito in evidenza alcuni dati fondamentali: l’oggetto del controllo (orientativamente: atti/attività) e i criteri di controllo (orientativamente: legalità/merito). Riguardo al primo profilo (cioè l’oggetto del controllo) può dirsi che, di fronte ai pericoli più antichi (infedeltà, dissipazione) il controllo sugli atti, tipicamente nella forma ex post della revisione dei conti, può essere uno strumento razionale ed efficiente. L’allargamento dell’oriz­zonte all’intera attività è comunque opportuno ed utile già in relazione a queste finalità più tradizionali del controllo. In ogni caso, la funzione del controllo contabile a fini di individuazione di eventuali responsabilità conserva una sua autonomia concettuale e normativa (e non è idealmente distante da quella del controllo contabile nel diritto pubblico). Di fronte ai pericoli di inefficienza e di illegalità, la funzione di controllo verte invece necessariamente, come si è più volte detto, sull’attività d’impresa nel suo insieme. Ciò ha portato diversi autori 13 a dire (e con questo passiamo al secondo punto sopra enunciato, cioè al problema dei criteri di controllo) che non sono appropriate, con riferimento al­l’attività d’impresa, le classificazioni dei controlli elaborate in sede amministrativa e costruite in funzione del controllo sugli atti. In particolare, non sarebbe appropriato contrapporre controllo di merito e controllo di legittimità 14. Credo che queste affermazioni siano solo in parte vere. Il controllo sull’attività non deve intendersi, limitativamente, come semplice controllo globale a consuntivo: esso è piuttosto un controllo articolato, che non esclude rilievi su singoli atti (atti puntuali – anche esecutivi – o programmatici e strategici), così come non esclude rilievi su prassi o situazioni di fatto, che possono risultare significative, per esempio, ai fini del controllo sull’adeguatezza organizzativa. Sul piano giuridico-positivo, ciò di cui occorre prendere coscienza è che controllo sugli atti e controllo [continua ..]


5. Debolezza delle scelte di politica legislativa in materia di controlli nella riforma del 2003. Il problema del coordinamento fra le diverse istanze di controllo

Sulla base delle accennate acquisizioni di esperienza (e di scienza dell’organizzazione) il legislatore del 2003 avrebbe potuto ripensare più a fondo il sistema dei controlli nella s.p.a. Ciò non è avvenuto, e un’attenuante può riconoscersi, a favore del legislatore italiano, nel fatto che, anche a livello comparatistico, non si riesce ad individuare un modello organizzativo dei controlli societari nettamente più efficace rispetto ad altri 16; ciò è stato posto in evidenza con la crisi finanziaria iniziata nel 2008 17. In ogni caso, lo scarso approfondimento dei profili di politica legislativa inerenti alla materia del controllo societario ha fatto emergere, a seguito della riforma, un insieme di norme piuttosto incoerente, almeno a prima lettura. Per questo si impone oggi agli interpreti il compito di tentare di razionalizzare il sistema. In questa direzione si deve muovere da un principio di “sostanziale equivalenza funzionale” 18 – in ordine all’efficacia dei controlli interni – fra i diversi sistemi di organizzazione previsti dalla riforma. Una volta riconosciuta l’importanza di tutte le funzioni dei controlli societari sopra elencate (§ 2), non sarebbe sistematicamente giustificata un’interpretazione delle norme sui controlli volta a distinguere sistemi con controlli più severi ed altri con controlli blandi: questa sarebbe una scelta di politica legislativa irrazionale, tale da incentivare comportamenti di moral hazard, spingendo la prassi societaria ad orientarsi verso un allentamento della funzione di controllo. L’interpretazione sistematica del complesso normativo deve invece orientarsi – anticipando qui quanto si cercherà di sviluppare nei §§ successivi – nel senso di ricostruire sempre una disciplina “forte” dei controlli interni (sia nel senso dei poteri riconosciuti, sia nel senso della responsabilità dei controllori), dando poi rilievo alla distinzione tra un modello in cui l’organo di controllo non è direttamente coinvolto nella gestione dell’impresa (modello c.d. tradizionale) ed altri due modelli in cui questo coinvolgimento è invece previsto, se pure con modalità diverse, mediante regole di compartecipazione alle scelte gestionali di ordine generale. Ma questa scelta organizzativa – come si è [continua ..]


6. Tassatività dei modelli organizzativi di amministrazione e controllo previsti dalla legge

È venuto ora il momento di esaminare direttamente la disciplina dei tre modelli di amministrazione e controllo nella s.p.a., previsti dalla riforma del 2003. A questo proposito una questione preliminare è se la disciplina riformata contenga un numero chiuso di soluzioni organizzative predeterminate ovvero un insieme di soluzioni “modulari”, che l’autonomia statutaria potrebbe variamente combinare fra loro e rimodulare, anche dando luogo a soluzioni originali. La seconda soluzione è stata da più parti sostenuta 27, ma non è – a mio avviso – convincente. Non solo il dato testuale degli artt. 2328 e 2380 suona chiaramente nel senso della necessità di scegliere l’adozione di uno dei tre sistemi organizzativi predisposti dal legislatore, senza possibilità di adottare statutariamente sistemi misti o atipici, ma, soprattutto, la soluzione della tassatività dei modelli legislativi di amministrazione e controllo della s.p.a. trova a suo sostegno precisi argomenti logico-sistematici. È infatti opportuno che – nel sistema del diritto dell’impresa – ci sia un tipo societario in cui l’organizzazione sia caratterizzata da un elevato grado di complessità ma anche da un elevato grado di certezza; un tipo ovviamente destinato ad essere scelto dalle imprese di dimensione medio-grande. Sono queste le caratteristiche differenziali, che appare ragionevole riconoscere alla disciplina del tipo legale della società per azioni: nell’interpretazione delle relative norme di legge deve ancor oggi dare ampio spazio ad esigenze di certezza istituzionale, funzionali alle prevedibilità dei processi decisionali interni, a tutela dei vari interessi (anche esterni alla società) coinvolti in tali processi decisionali 28. Da qui l’idea, prevalente fra gli interpreti e qui condivisa, dell’imperatività della norma dell’art. 2380, comma 3, con conseguente rigidità di competenze anche all’interno dei sistemi alternativi 29.


7.  Critica all’impianto sistematico della riforma. La “pesantezza” del sistema c.d. tradizionale. Opportunità di razionalizzare la normativa mediante opzioni interpretative che attribuiscano ai sistemi c.d. alternativi la funzione di passaggio da una funzione di controllo puramente censoria ad una funzione di “indirizzo e controllo”

Il legislatore italiano ha dunque offerto, alle imprese medio-grandi, la facoltà di scelta fra tre modelli organizzativi, ma ha anche indicato un modello-base, che è quello c.d. tradizionale, caratterizzato dalla presenza del collegio sindacale, organo di controllo indipendente con funzioni prettamente censorie. Com’è noto, il modello c.d. tradizionale è stato in realtà modificato in modo sostanziale con la riforma del 2003, dal momento che il collegio sindacale ha visto rafforzati i suoi poteri-doveri di controllo generale di legalità e di efficienza, mentre sono diventati eventuali i poteri-doveri di controllo contabile (per quanto, nella prassi, molte s.p.a. medio-piccole si avvalgano della facoltà di accorpamento delle competenze, prevista dall’art. 2409-bis, c.c.). Il che, in altre parole, significa che il collegio sindacale è stato sempre più caricato di funzioni di controllo nell’interesse generale, e non limitate alla prevenzione di comportamenti infedeli o dissipatori degli amministratori 30. Per di più i poteri del collegio sindacale sono stati aumentati (si pensi alla legittimazione ad impugnare le deliberazioni dell’organo amministrativo e ad esercitare l’azione di responsabilità ex art. 2393 c.c., nonché al potere di denunzia ex art. 2409 c.c.). Ciò, se si considera che i poteri del collegio sindacale sono sempre poteri funzionali, cioè poteri-doveri, implica un accrescimento di potenziale responsabilità per i membri del collegio sindacale stesso 31. La “pesantezza” del sistema italiano di controlli sulle s.p.a., nel sistema “tradizionale”, è poi accentuata dalla presenza, anche dopo la riforma del 2003, del controllo giudiziario in caso di gravi irregolarità, a cui difficilmente può negarsi la funzione di strumento di contrasto contro le gestioni illegali, a tutela di una gamma di interessi molto ampia 32. Come ho già notato in altra sede, la tradizionale presenza, nelle s.p.a. italiane, di collegi sindacali inclini a svolgere la loro funzione di controllo in modo blando, ha indotto a sottovalutare la sproporzione del modello c.d. tradizionale rispetto alle esigenze di controllo, proprie di società medio-piccole. Scusandomi per l’autocitazione, ripeterei che il modello-base, offerto dal legislatore alla [continua ..]


8.  I principali problemi interpretativi riguardanti il sistema dualistico. Opportunità di una opzione interpretativa volta a rafforzare la funzione di indirizzo del consiglio di sorveglianza

È giunto ora il momento di soffermarsi (ciò che potrà farsi solo con riferimento ad alcuni punti nodali della disciplina) sulle norme relative all’esercizio della funzione di controllo nei sistemi c.d. alternativi. Si comincerà, com’è d’uso, dal sistema dualistico. Una riflessione sulla disciplina dell’esercizio della funzione di controllo all’interno del sistema dualistico incontra, purtroppo, una difficoltà: com’è noto, le funzioni del modello dualistico, in quanto tale, non sono state ben messe a fuoco dal legislatore. Nella Relazione si legge che il consiglio di sorveglianza è un “organo professionale”, con compiti misti di gestione e controllo, a cui sono devolute funzioni tradizionalmente spettanti agli azionisti 41. L’affermazione era – al momento dell’entrata in vigore della riforma del 2003 – doppiamente inesatta: in primo luogo, perché non erano stabiliti requisiti professionali rigorosi per i componenti del c.d.s. (v. art. 2409-duodecies;fra l’altro, non sono neanche richiamati i requisiti professionali dell’art. 2397, comma 2); in secondo luogo, perché il c.d.s. poteva avere solo compiti di controllo (oltre alla competenza sull’approvazione di alcuni atti generali che, nel sistema tradizionale, sono di competenza dell’assemblea). Solo con il decreto correttivo del 2004, l’assetto normativo è stato cambiato: sono state estese le norme sui sindaci, anche con riguardo ai requisiti di professionalità (limitatamente alle società quotate) e si è stabilito che il c.d.s. può occuparsi della gestione strategica (tuttavia, solo se lo statuto si sia avvalso della facoltà di cui all’art. 2409-terdecies, comma 1, lett. f-bis). L’idea originaria del legislatore è stata dunque quella di predisporre un modello adatto alle grandi società, con capitale diffuso e senza un gruppo di maggioranza precostituito. Questa idea era però viziata in partenza, perché, proprio per le grandi società, finiva per offrire un modello in cui i controlli interni erano depotenziati (tant’è vero che, sul punto, si è dovuto correre ai ripari con il decreto correttivo del 2004, che ha modificato il testo degli artt. 147 ss. t.u.f., rafforzando i poteri di controllo del c.d.s.). La sola [continua ..]


9.  I principali problemi interpretativi riguardanti il sistema monistico. Opportunità di una opzione interpretativa volta a pensare il sistema monistico come una variante volta a rafforzare le funzioni di indirizzo e controllo del plenum del consiglio di amministrazione in presenza di amministratori delegati

Si deve ora passare all’esame della funzione di controllo nel sistema monistico. In proposito, la prima considerazione da fare è che il legislatore italiano ha scartato, per la s.p.a., la soluzione veramente “monistica” più semplice (organo amministrativo + organo di revisione contabile), variamente presente nella storia comparata della società anonima, ed ha introdotto, invece, un modello monistico che trae ispirazione (ma solo in parte) da soluzioni organizzative elaborate, in ambiente anglosassone, per le grandi imprese. L’idea di fondo è quella di un organo di amministrazione a struttura complessa, in cui gli amministratori non esecutivi sono chiamati ad esercitare una penetrante supervisione sul­l’attività dei loro colleghi esecutivi. Il modello ha, nella sua origine storica, una sua logica: (i) perché si fonda sul presupposto dell’esistenza di una solida realtà organizzativa (si pensi che, nella cultura americana, c’è una base socioculturale per cui tutte le realtà associative sono prese molto sul serio, per principio e per tradizione) e di un corrispondente “spirito di corpo”, tale da garantire che una parte degli amministratori eletti prenda sul serio la propria funzione di con­trollo/supervisione; (ii) sulla razionalità di un modello di segmentazione delle competenze amministrative fra un livello “alto” (strategie, piani, ecc.) ed un livello di gestione quotidiana. Una articolazione di compiti all’interno dello stesso organo amministrativo era già, peraltro, fenomeno ben noto e normale anche in Italia: ci si riferisce, ovviamente, ai consigli di amministrazioni con presenza di amministratori delegati. L’esperienza da cui muovere, nel disciplinare questo tipo di modello “monistico” di amministrazione e controllo, sarebbe dovuta essere quella dei poteri del consiglio in presenza di amministratori delegati. Il legislatore della riforma del 2003 non ha avuto però le idee chiare sul punto ed ha invece pensato al sistema monistico come se, anche questo, costituisse una variante della società con collegio sindacale. Ciò ha fatto sì che, nell’esperienza italiana, la novità di “questo” sistema monistico sia stata accolta, da molti commentatori, come una stravagante e contraddittoria figura, in cui i controllati sono chiamati a [continua ..]


NOTE