CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni Unite Civili
ordinanza, 8 febbraio 2006, n. 2637
Carbone, Presidente – Proto, Relatore – Ciccolo, P.M. (conf.)
– Omissis – 1. – Con ricorso notificato in data 8 giugno 2004 la società Amit s.r.l. convenne in giudizio davanti al Tar Lazio la società Lottomatica s.p.a. Premesso di essere titolare di un contratto di appalto di servizi di biglietteria e di distribuzione pubblicitaria con scadenza 30 giugno 2004, relativo alle manifestazioni promosse dalla fondazione Accademia di Santa Cecilia, chiese l’annullamento del provvedimento col quale la fondazione aveva affidato direttamente alla Lottomatica l’appalto di quei servizi, senza esperire, malgrado la sua qualità di organismo di diritto pubblico, la procedura di evidenza pubblica di cui al d.leg. n. 157 del 1995. La fondazione e la Lottomatica si costituirono, resistendo alla domanda.
Considerato in diritto. – 1. – I due ricorsi devono essere riuniti in quanto tendono entrambi alla risoluzione della stessa questione di giurisdizione, in relazione alla domanda proposta dalla Amit nei confronti delle attuali ricorrenti davanti al giudice amministrativo (cfr. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11436, Rep. Foro it., 1992, voce Giurisdizione civile, n. 202; 22 dicembre 2003, n. 19667, id., 2005, I, 2676).
L’istanza non può essere accolta.
Occorre, anzitutto, ribadire – in conformità all’orientamento risalente di questa corte — che l’estinzione del soggetto ricorrente, dichiarata in sede di legittimità dal suo difensore in udienza, non incide sullo svolgimento del giudizio di cassazione, perché questo è dominato dall’impulso di ufficio (Cass. 14 dicembre 2004, n. 23294, Rep. Foro it., 2004, voce Cassazione civile, n. 348; 18 agosto 2004, n. 16138, ibid., n. 349; 27 giugno 2000, n. 8708, id., 2000, voce cit., n. 278, ex plurimis); principio da ritenersi operante anche nel regolamento di giurisdizione, che, una volta instaurato, si attua secondo le regole previste per il ricorso ordinario e, come questo, resta dominato dall’impulso di ufficio.
La questione, tuttavia, nella fattispecie, in effetti, neanche si pone, perché erroneamente l’istanza postula la perdita della capacità processuale della Lottomatica in conseguenza dell’avvenuta fusione per incorporazione della società stessa.
L’art. 2505-bis [n.d.r.: 2504-bis] c.c., nel testo vigente, stabilisce, infatti, al 1° comma, che la società risultante dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. Il legislatore ha così (definitivamente) chiarito che la fusione tra società, prevista dagli artt. 2501 ss. c.c. non determina, nell’ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria; ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione. Il fenomeno non comporta, dunque, l’estinzione di un soggetto e (correlativamente) la creazione di un diverso soggetto; risolvendosi (come è già stato rilevato in dottrina) in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.
– Omissis –
Cass. [ord.], Sez. Un., 8 febbraio 2006, n. 2637. Soc. Lottomatica c. Soc. Amit
Società – Fusione – Effetti – Processi civili pendenti – Interruzione – Esclusione
La fusione per incorporazione di una società in un’altra non è causa d’interruzione del processo del quale detta società sia parte, trattandosi, ai sensi di quanto dispone il novellato art. 2504 bis, 1º comma, c.c., di un evento da cui consegue non già l’estinzione della società incorporata, bensì l’integrazione reciproca delle società partecipanti all’operazione, ossia di una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo.
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1. Il caso - 2. Normativa di riferimento - 3. Precedenti giurisprudenziali - 4. Dottrina - 5. Commento - NOTE
Il ricorrente propone regolamento ex art. 41 c.p.c., al fine di contestare la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo per decidere una controversia nella quale era stato convenuto dinnanzi al TAR Lazio. L’attore, nel corso dell’audizione in camera di consiglio davanti alla Suprema Corte, chiede che sia dichiarata l’interruzione del processo, in conseguenza della sua fusione per incorporazione in un’altra società, perfezionata dopo la notifica del ricorso per regolamento di giurisdizione. La Corte di Cassazione respinge con ordinanza la richiesta, non solo evidenziando come, essendo il giudizio di legittimità dominato dall’impulso di ufficio, siano irrilevanti eventi interruttivi del processo, ma anche – ed in questo passaggio risiede l’interesse della pronuncia in commento – che la fusione, ai sensi del nuovo art. 2504-bis, 1° comma, c.c., non comporta l’estinzione della società incorporata, bensì attua una vicenda meramente evolutiva/modificativa di tale ente, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo; di conseguenza, la fusione non è causa di interruzione del processo, del quale la società incorporata sia parte.
L’art. 2504-bis, 1° comma, c.c., come modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, dispone che la società risultante dalla fusione (nel caso di fusione paritaria) ovvero l’incorporante (allorquando abbia luogo una fusione per incorporazione) assume tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione e prosegue in tutti i loro rapporti, sostanziali e processuali, anteriori alla fusione. Il previgente testo dell’art. 2504-bis, 1° comma, c.c., invece, prevedeva che la società risultante dalla fusione e quella incorporante assumessero i diritti e gli obblighi delle società «estinte»; gli effetti della fusione su rapporti pendenti erano perciò configurati non in termini di continuità, ma di cesura, giacché si parlava espressamente di estinzione della società fusa. Del resto, l’art. 19 della Terza Direttiva del Consiglio CEE del 9 ottobre 1978 (78/855/CEE) – in attuazione del quale era stato introdotto l’abrogato art. 2504-bis, 1° comma, c.c. – era ancora più chiaro sul punto, impostando il discorso non solo in termini di estinzione della società incorporata, ma affermando anche che la fusione produce ipso iure il trasferimento universale dell’intero patrimonio, attivo e passivo, dell’incorporata all’incorporante. Sempre a livello comunitario, il medesimo concetto di estinzione della società incorporata e di trasferimento universale dei rapporti si rinviene, più di recente, tanto nell’art. 14 della Direttiva del Consiglio UE 2005/56/CE in tema di fusioni transfrontaliere, quanto nel combinato disposto degli artt. 17 e 29 Regolamento (CE) n. 2157/ 2000, relativi alla costituzione, mediante fusione, di una Società europea. Le più recenti leggi speciali hanno sempre presupposto, in maniera più o meno esplicita, la non estinzione delle società partecipanti alla fusione paritaria o della società incorporata. Ad esempio, l’art. 57, 4° comma, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 – in una chiara ottica di continuazione e non di estinzione – prevede che i privilegi e le garanzie rese a favore di banche incorporate in altre banche o partecipanti a fusioni paritarie conservino la loro validità ed il loro grado, senza bisogno di formalità od annotazioni, a favore, [continua ..]
La giurisprudenza è sempre stata pacifica nel considerare il giudizio di cassazione caratterizzato dall’impulso d’ufficio; pertanto, una volta instauratosi il procedimento con la notifica del ricorso, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo, sebbene si verifichi uno degli eventi previsti dagli artt. 299 ss. c.p.c. [1]. Sotto il vigore del precedente art. 2504 bis, 1° comma, c.p.c., era altrettanto pacifico che la fusione tra società realizzasse una successione universale, corrispondente a quella mortis causa tra persone fisiche, determinando automaticamente l’estinzione di entrambe e la confluenza in un nuovo ente (fusione in senso proprio) ovvero il venir meno di una di esse (fusione per incorporazione), con contestuale sostituzione della nuova società (o dell’incorporante) nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alle società estinte (od all’incorporata) [2]. Da questa premessa, si deduceva l’applicabilità – ovviamente nel corso dei soli gradi di merito – degli artt. 299 ss. c.p.c., se una delle parti fosse una società oggetto di una fusione in senso stretto, ovvero una società incorporata in un’altra; conseguentemente, si riteneva che, qualora la fusione si perfezionasse prima della costituzione in giudizio, ovvero successivamente ed il difensore dichiarasse l’evento in udienza o ne desse notizia alle parti, il processo dovesse essere interrotto [3]. A quanto consta, anteriormente alla decisione in epigrafe, vi sono stati unicamente due precedenti giurisprudenziali (entrambi di merito) editi sotto il vigore del nuovo art. 2504-bis, 1° comma, c.c., i quali sono giunti a conclusioni diametralmente opposte. Il primo, contrariamente a quanto deciso nel provvedimento in commento, ha continuato a seguire il tradizionale principio per cui la fusione per incorporazione di una società in un’altra ha come effetto l’estinzione dell’incorporata e la successione a titolo universale dell’incorporante, affermando perciò che il processo vada interrotto [4]. Il secondo, invece, in linea con quanto ritenuto dalla decisione in commento, ha stabilito che, alla luce del nuovo disposto dell’art. 2504-bis c.c., la fusione per incorporazione di una società già costituita in giudizio non [continua ..]
La dottrina più classica reputa che la fusione per incorporazione e quella paritaria comportino, rispettivamente, l’estinzione della società incorporata o delle società fuse e che quindi si verifichi una successione universale in favore dell’incorporante o della società risultante dalla fusione [6]. Non manca poi chi colloca sì la fusione nell’ambito dei fenomeni estintivi degli enti, ma con effetti successori a titolo particolare [7]. Secondo altri, invece, la fusione non provoca l’estinzione della società incorporata o di quelle partecipanti alla fusione paritaria, ma rappresenta solo una vicenda modificativa dell’atto costitutivo, giacché la fusione non è inclusa tra le cause di scioglimento della società, a differenza di quanto stabilito dall’abrogato codice di commercio. Tutte le società partecipanti alla fusione pertanto sopravvivono, sia pure con un nuovo assetto organizzativo reciprocamente emendato [8]. In quest’ottica, si è posta particolare enfasi sul profilo dinamico-funzionale del fenomeno, rilevando come la fusione non rappresenti uno strumento per estinguere una società, bensì serva per concentrare ed accrescere le potenzialità operative delle imprese coinvolte [9]. A seguito dell’entrata in vigore del nuovo art. 2504-bis, c.c., la dottrina, in modo sostanzialmente pacifico, ritiene che la fusione per incorporazione non determini l’estinzione della società incorporata, così come la fusione paritaria non provochi il venir meno delle due società fuse. Si attua cioè sempre, in una dimensione modificativa e non estintiva, l’unificazione, per integrazione reciproca, delle società partecipanti alla fusione, senza che si abbia successione in senso stretto nei rapporti giuridici sostanziali e processuali, ma semplice continuità [10]. Una parte minoritaria della dottrina reputa che il nuovo dettato dell’art. 2504-bis c.c. non vada sopravvalutato «al punto da vedervi una sorta di presa di posizione legislativa in merito alla natura stessa della fusione, la quale ne attesti l’appartenenza al novero delle vicende societarie modificative e non estintive» [11]. Altri, malgrado le innovazioni apportate dalla riforma, continuano a riferirsi all’estinzione della società incorporata [continua ..]
La sentenza in epigrafe costituisce la prima pronuncia di legittimità resa sul tema degli effetti della fusione sui processi pendenti, sotto il vigore del nuovo art. 2504-bis, 1° comma, c.c. Con una svolta a centottanta gradi rispetto al suo precedente orientamento [15], la Suprema Corte stabilisce che, qualora una società venga fusa in un’altra, il processo di cui è parte la prima non si interrompe, bensì prosegue nei confronti della seconda. Sebbene la fattispecie decisa riguardasse una fusione per incorporazione, le affermazioni compiute in motivazione hanno una portata così ampia e generale, da valere anche per il caso di fusione paritaria, in relazione alla quale la Cassazione coglie comunque l’occasione per parlare di «integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione». Con estrema chiarezza, viene infatti posto l’accento sul fatto che la fusione – di qualsiasi tipo essa sia – non comporta l’estinzione di un soggetto e la creazione di uno nuovo, ma si risolve in una vicenda meramente evolutiva-modificativa degli enti coinvolti. L’approccio seguito dalla Suprema Corte suggerisce due diverse considerazioni critiche, una di metodo ed un’altra di merito. In primo luogo, la Cassazione avrebbe potuto decidere la questione sottopostale in modo più sintetico e tranchant, richiamando semplicemente, come pure ha fatto, il proprio orientamento giurisprudenziale, per cui gli eventi interruttivi non incidono sul corso del processo di cassazione, che è dominato dall’impulso di ufficio [16]. Sarebbe stato infatti sufficiente questo rilievo, per respingere l’istanza di interruzione. In realtà, la Suprema Corte si è spinta più oltre, motivando – pur non essendovi tenuta – nel merito il rigetto della richiesta di interruzione: ciò fornisce lo spunto per un compiere un ulteriore e più diffuso ordine di riflessioni. Un’importanza centrale nel ragionamento svolto dalla sentenza in epigrafe è rivestita dall’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 2504-bis c.c. che, a differenza della norma previgente, non contiene più alcun riferimento alle società estinte per effetto della fusione, ma stabilisce – in evidente assonanza con quanto previsto dall’art. 2498 c.c. [continua ..]