<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La gestione dell'impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale (di Paolo Montalenti)


SOMMARIO:

1. Assenza di una disciplina organica della c.d. twilight zone. - 2. Gli interessi in gioco. - 3. Frammenti di un istituto di prevenzione: piano attestato e esenzione dai reati di bancarotta. - 4. Il piano attestato: caratteri funzionali. Piano attestato e/o liquidazione con esercizio provvisorio. - 5. Pregi e limiti dell''istituto di prevenzione' - 6. Necessità di coordinamento tra diritto societario e concorsuale - 7. Il concetto di controllo: necessità di una rivisitazione sistematica. - 8. Crisi d'impresa e soluzioni operative tra Business Judgement Rule e regole di correttezza. - 9. La crisi aziendale: tipologie e manifestazioni. Assetti organizzativi e sistemi di controllo adeguati di prevenzione. - 10. Assetti organizzativi e regole di responsabilità: profili sistematici. Lo spettro della responsabilità oggettiva. - NOTE


1. Assenza di una disciplina organica della c.d. twilight zone.

La riforma del diritto fallimentare ha modificato radicalmente le procedure alternative al fallimento, ma, a ben vedere, non ha espressamente e sistematicamente regolato la c.d. twilight zone (la “zona del crepuscolo”), cioè quell’area economico-temporale antecedente ad una situazione di crisi in senso tecnico, sita in uno stadio prodromico sospeso tra il rischio di insolvenza e le prospettive di risanamento. Non è stata cioè introdotta, con la riforma del diritto fallimentare, – anche se da molti auspicata [1] – una “procedura di allerta e di prevenzione”, che consenta all’imprenditore di valutare le scelte per far fronte alle situazioni di crisi, rectius di pre-crisi, con un appropriato safe-harbour. Non indugio su possibili spunti comparatistici (si pensi all’esperienza francese) [2]; ritengo invece utile focalizzare quei “frammenti” normativi che, a seguito degli interventi legislativi successivi alla riforma, possono costituire una “cornice”, se non un “istituto strutturato” per la gestione della crisi nella sua fase iniziale precedente alla crisi conclamata ma reversibile [3] di contro agli strumenti concorsuali liquidatori qual è il fallimento [4].


2. Gli interessi in gioco.

È noto che nella crisi dell’impresa gli interessi coinvolti sono molteplici e, soprattutto, che il loro contemperamento è arduo e complesso, vuoi sul piano teorico vuoi sul piano operativo: creditori, finanziatori, lavoratori, consumatori, comunità di riferimento, valore economico dell’impresa stentano a trovare un razionale assetto tra necessità di tutela dei creditori e priorità di strumenti giurisdizionali, prevalenti in passato, da un lato, e protezione dell’impresa nonché legittimazione di soluzioni “privatistiche”, emergenti nel diritto riformato, dall’altro lato. I nuovi istituti – dal piano attestato al nuovo concordato preventivo, all’accordo di ristrutturazione dei debiti – introducono strumenti conservativi e recuperatori dell’impresa, a cui è sottesa una filosofia innovatrice rispetto ad un diritto fallimentare tradizionale eccessivamente (i) ispirato a logiche liquidatorie, (ii) protettivo delle esigenze dei creditori (iii) e governato da dirigismo giudiziario. Resta tuttavia, a mio parere, una cesura tra il diritto societario, che è diritto dell’orga­niz­zazione dell’impresa in espansione o in equilibrio, e il diritto pre-concorsuale, cioè il diritto del concordato e degli accordi, che è diritto della crisi, reversibile sì, ma ultronea rispetto alla fase antecedente, che definirei di “pre-crisi”, caratterizzata da tensione finanziaria, segnali di difficoltà e aggravamento degli indici di rischio. La fase della c.d. twilight zone [5] si colloca a mio avviso in un’area intermedia tra impresa in normali condizioni di esercizio e impresa in condizioni di crisi conclamata. In altri termini credo si possa distinguere tra: (i) situazione di normalità; (ii) situazione di pre-crisi (la c.d. twilight zone); (iii) situazione di crisi reversibile; (iv) situazione di crisi irreversibile. La situazione che ho definito di “pre-crisi” merita, a mio parere, un’attenzione particolare perché è la fase in cui non è ancora incrinata la fiducia del mercato, non si è cioè verificato il salto di qualità negativo che immette l’impresa in un’area di diffidenza, o di rigetto, da parte di fornitori, creditori e finanziatori.  


3. Frammenti di un istituto di prevenzione: piano attestato e esenzione dai reati di bancarotta.

Per la verità il legislatore ha abbozzato i lineamenti di un istituto di prevenzione con il piano attestato ex art. 67, 3° comma, lett. d), legge fall., anche se rimasto, in realtà, monco sino alla recente microriforma del diritto penale fallimentare. Tassello fondamentale deve infatti – a mio giudizio – individuarsi nella recente disposizione di cui (i) all’art. 217-bis (legge 30 luglio 2010, n. 122), che ha sancito l’esenzione dai reati di bancarotta, in particolare, appunto, in relazione al (ii) piano attestato ex art. 67, 3° comma, lett. d), legge fall. Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione sono procedure complesse, dichiarative di una crisi conclamata e soggette ad intervento giurisdizionale. Per contro il piano attestato è funzionale al risanamento dell’esposizione debitoria, funzionale al riequilibrio della situazione finanziaria ed è procedura totalmente “privatistica”: è quindi la procedura tipica per superare i momenti di tensione finanziaria, cioè le fasi di crisi temporanea, rectius di “pre-crisi”, relativamente snella e rapida da attuare, preventiva rispetto al rischio di revocatoria ma soprattutto, ora, anche protettiva rispetto al rischio che atti compiuti per salvare l’impresa si tramutino, in caso di, possibile, insuccesso, in sproporzionate e eccessive sanzioni penali.    


4. Il piano attestato: caratteri funzionali. Piano attestato e/o liquidazione con esercizio provvisorio.

Il piano attestato [6] deve certamente avere caratteristiche effettive di attendibilità dal momento che deve attestare una apprezzabile probabilità della risanabilità del debito, certificare la plausibilità del riequilibrio finanziario, attestare la ragionevolezza delle previsioni: il piano deve – dunque – essere prognosticamente credibile sotto il profilo della verificabilità del programma recuperatorio. L’attestazione dovrà pertanto valutare, sia pure sinteticamente, la attendibilità dei dati forniti, ponderare la probabilità di verificazione dei presupposti per il recupero dell’impresa giudicare la probabilità di tenuta della ripresa sul medio periodo e attestare quindi la coerenza logica e fattuale del piano sia pure in un’ottica previsionale e probabilistica. Non può essere, in sintesi, un mero esercizio letterario. Molti i problemi aperti: dalla data certa alle asimmetrie informative alle conseguenze in caso di falsità dell’attestazione su cui ritornerà poco oltre. Tuttavia il punto di forza, sia pur criticato, sta nell’assenza di obblighi pubblicitari: la riservatezza è, infatti, garanzia di prevenzione del rischio di strumentalizzazione da parte dei creditori [7]. Il piano potrebbe anche essere combinato con la liquidazione unita all’esercizio provvisorio, ove ricorrano sia i presupposti della liquidazione (cfr. art. 2484, n. 2 e n. 4, c.c.) sia l’esigenza di porre in essere “atti necessari per la conservazione dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio” [art. 2487, 1° comma, lett. c), c.c.]. Fase, peraltro, reversibile a maggioranza (art. 2487-ter c.c.). La nuova fisionomia della liquidazione [8] è in effetti ricca di potenzialità positive per la salvaguardia di valori economici mentre, nel vigore della precedente disciplina, il principio del divieto di nuove operazioni e dell’ammissibilità di meri atti conservativi, condannava inevitabilmente l’impresa ad una liquidazione in moneta vile. L’esercizio provvisorio e la revocabilità a maggioranza della liquidazione aprono spazi significativi per il recupero dell’impresa in tutte le ipotesi in cui la crisi giuridicamente irreversibile – al momento del verificarsi della causa di scioglimento – sia tuttavia economicamente reversibile: si [continua ..]


5. Pregi e limiti dell''istituto di prevenzione'

Gli strumenti alternativi alle procedure irreversibilmente liquidatorie e in particolare il piano attestato, hanno dunque il pregio della rapidità di attuazione e della conseguente rapida messa in salvaguardia degli amministratori nel disporre le misure idonee a preservare l’impresa: pagamento dei fornitori primari, differimento del pagamento dei creditori meno critici, accordi con i finanziatori, rifinanziamento dell’im­presa. Misure tutte che un tempo erano fortemente pregiudicate dalla spada di Damocle, incombente sugli amministratori, del rischio di revocatoria e del rischio di porre in essere atti di bancarotta. L’istituto è tuttavia incompleto, perché manca di regole di protezione del finanziamento del piano: la prededucibilità dei crediti delle banche finanziatrici e, fino all’ottanta per cento, dei soci finanziatori è limitata al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione omologati ma non si estende al piano attestato, privando così il piano di risanamento e di riequilibrio di un supporto finanziario incentivato che potrebbe rivelarsi decisivo. Se al piano attestato sono stati attribuiti effetti così incisivi – esenzione da revocatoria, esenzione da reati – non si vede per quale ragione non possano prevedersi incentivi per il finanziamento-ponte. Il tema merita alcune ulteriori riflessioni. Emergono, frequentemente, nel dibattito posizioni scettiche o prevenute nei confronti dell’istituto, in ragione di un possibile uso distorto delle nuove regole, di un ricorso improprio allo strumento recuperatorio al solo fine di ritardare il fallimento con ulteriore pregiudizio per i creditori. Non vi è dubbio che i rischi di deviazioni sono presenti, che l’attestazione di ragionevolezza possa essere sottoscritta da professionisti disinvolti anche in ipotesi in cui le prospettive di recupero siano del tutto assenti, che, in altre parole, si possa concretare un vero e proprio abuso dell’istituto. Tutti gli strumenti non sanzionatori presentano rischi di distorsione nel settore che ci occupa. La famigerata epoca dell’«uso alternativo» delle procedure concorsuali ne è significativa testimonianza. Tuttavia è necessario evitare con forza di adottare regole, interpretazioni, valutazioni ispirate ad una sorta di benchmark negativo, che assuma cioè la devianza come comportamento generalmente [continua ..]


6. Necessità di coordinamento tra diritto societario e concorsuale

. – Gli strumenti di prevenzione sono, in ogni caso, ancora da perfezionare, quanto meno in via interpretativa. Credo cioè che la disciplina della twilight zone consistente, nei termini illustrati, nel (i) piano attestato e nella (ii) esenzione dai reati bancarotta debba coordinarsi con le regole del diritto societario. Il diritto societario riformato ha introdotto nuovi strumenti normativi – (i) il rispetto dei principi di corretta amministrazione; (ii) il dovere di dotare la società di assetti organizzativi adeguati; (iii) il dovere di istituire, quindi, un adeguato sistema di controllo interno – che costituiscono, come ho in altra sede ampiamente sostenuto [9], un nuovo appropriato paradigma di condotta nella gestione dell’impresa. Sull’attuazione del sistema di controllo convergono più organi: (i) gli amministratori delegati (“istituiscono”); (ii) il consiglio uti plenum (“valuta”); (iii) l’organo di controllo (“vigila”). La disciplina riformata costituisce un’evoluzione qualificante del nostro sistema di corporate governance. Il parametro della correttezza, intesa essenzialmente come completezza informativo-pro­cedurale del processo decisionale – con significativi parallelismi con l’evoluzione dell’ordina­mento statunitense – si inserisce come categoria intermedia, suscettibile di valutazione in termini di responsabilità, tra la legalità e il merito (insindacabile in virtù della Business Judgment Rule). Gli assetti organizzativi, intesi come sistemi e procedure di gestione e di controllo, assurgono a dovere degli amministratori – con competenze e responsabilità graduate –, correlati non più al tipo di società (si pensi alla precedente disciplina esclusiva della società quotata) bensì alle dimensioni dell’impresa. Il controllo si emancipa da una visione antiquata di mera verifica ex post ed assurge a pieno titolo ad elemento coessenziale dell’esercizio dell’impresa. In particolare la rilevazione dei rischi (risk assessment) e il controllo degli stessi (risk management) assurgono sì a condotta doverosa, per espressa previsione regolamentare, nei settori vigilati, ma, a ben vedere, in ragione delle clausole generali integrate dalle fonti eteronome della tecnica aziendale e delle best practice, divengono elemento [continua ..]


7. Il concetto di controllo: necessità di una rivisitazione sistematica.

La materia è complessa. Rinviando ad altri scritti [10] in cui mi sono occupato del tema mi limito a sintetizzare alcuni assunti.In primo luogo si deve sottolineare che accanto alla categoria tradizionale del controllo come verifica, giuridica o tecnica, emerge oggi la categoria del controllo come strumento di organizzazione e, quindi, di esercizio dell’impresa [11].In secondo luogo accanto alle categorie tradizionali del controllo di merito e del controllo di legalità, emerge il tertium genus del controllo di correttezza e di adeguatezza organizzativa.In terzo luogo, nell’ambito del controllo deve distinguersi – in termini sia di poteri sia di responsabilità – tra controlli indiretti, prevalenti (ad es.: dell’amministratore delegato sul dirigente preposto, di questi sul responsabile del controllo interno, di quest’ultimo sul suo staff) e controlli diretti, che sono minoritari (ad es.: addetti ai controlli ispettivi).Ancora si deve distinguere tra controllo, come funzione optimo jure di esercizio dell’im­pre­sa, e vigilanza, come supervisione sintetica e generale: si pensi alla vigilanza dell’organo di con­trollo interno [art. 2403, art. 2409-terdecies, 1° comma, lett. c); art. 2409-octiesdecies, 5° comma, lett. b)] rispetto ai controlli di linea o alla ripartizione dell’internal audit tra Presidente, con competenze di vigilanza, l’Amministratore delegato, con competenze più pervasive e la funzione interna di Audit, con competenze di controllo diretto.Infine, si deve puntualizzare che le scelte di merito, salvo il caso della manifesta irrazionalità, sono insindacabili in applicazione della Business Judgment Rule, ma, diversamente, a mio parere, le scelte organizzative – fermo restando che la responsabilità è pur sempre per colpa, non oggettiva – in materia di controlli e di assetti organizzativi sono scrutinabili alla luce di parametri di correttezza, sicuramente di complessa individuazione, da ricercarsi sulla base di valutazioni tecniche e di best practice condivise, ma non assimilabili al giudizio sulle decisioni di merito.


8. Crisi d'impresa e soluzioni operative tra Business Judgement Rule e regole di correttezza.

In materia di crisi di impresa, ritengo cioè che anche le scelte tra le diverse soluzioni operative (piano attestato, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo, ecc.) non siano del tutto discrezionali, ma siano invece scrutinabili secondo parametri di correttezza, fondati appunto, sulla “ragionevolezza” del piano, sulla “attuabilità” dell’accordo, sulla “fattibilità” del piano. Tuttavia dal momento che le soluzioni operative si fondano su attestazioni di professionisti, vero è allora che le opzioni tra i diversi strumenti di risposta alla crisi – salvo frodi – sono estranee alla sfera di responsabilità dell’imprenditore. Il tema merita un approfondimento. In linea di principio le scelte d’impresa sono rette dal principio di libertà d’iniziativa economica: cosa, come, dove produrre sono opzioni affidate all’autonomia privata. È ben noto, peraltro, come le scelte di riduzione o di cessazione dell’attività non siano del tutto discrezionali [12] bensì limitate dalla legislazione del lavoro e assistite dal sistema dei c.d. ammortizzatori sociali. Sotto il profilo specifico della disciplina del diritto commerciale ritengo che, nel momento in cui l’imprenditore deve ricorrere agli strumenti di prevenzione o di disciplina della crisi, l’in­teresse dei creditori emerge come limite alla sua discrezionalità e la conservazione del­l’impresa si configura certamente come interesse al mantenimento dello scopo lucrativo ma nel limite di una migliore protezione dell’interesse dei creditori. La scelta se tentare il risanamento o procedere alla liquidazione fallimentare, se affidarsi al piano attestato o ricorrere a soluzioni più strutturate non è, a mio parere, affidata alla discrezionalità insindacabile dell’imprenditore bensì alla sua discrezionalità tecnica assistita dalla valutazione qualificata del professionista. In ogni caso, come già si è sottolineato, salvo ipotesi di dolo o colpa grave imputabili ad entrambi, la centralità della relazione dell’esperto nell’architettura dell’istituto circoscrive significativamente il perimetro della potenziale responsabilità dell’imprenditore per erroneità della scelta dello strumento adottato per fronteggiare la crisi.


9. La crisi aziendale: tipologie e manifestazioni. Assetti organizzativi e sistemi di controllo adeguati di prevenzione.

– È allora necessario che gli assetti organizzativi e i sistemi di controllo siano adeguati non solo to a going concern, ma altresì ad una efficace, completa, puntuale e tempestiva rilevazione dei segnali di crisi. Segnali che dovrebbero essere codificati sia sotto il profilo tipologico (industriali, finanziari ecc.) sia sotto il profilo qualitativo (tensione finanziaria, crisi reversibile, ecc.). La dottrina aziendalistica [13] ha messo esattamente in luce come nel concetto generale di crisi aziendale, possono riconoscersi diversi stati – debolezza economico-finanziaria, tensione nei flussi di cassa, crisi reddituale, crisi patrimoniale finanziaria – e diverse manifestazioni –, crisi temporanea, crisi stabile ma reversibile, dissesto irreversibile. Ruolo centrale assumono i segnali premonitori, in particolare i sintomi di tensione finanziaria, che possono essere indicatori di crisi finanziarie a carattere temporaneo, nelle quali interventi sia endogeni sia esogeni possono consentire di superare l’asincronia dei flussi di gestione corrente e consentire il riequilibrio finanziario senza conseguenze patrimoniali di rilievo. La crisi può essere economica, per obsolescenza del prodotto, inefficienze gestionali, rigidità delle strutture produttive, carenza di programmazione, deficit di innovazione oppure finanziaria-patrimoniale, per squilibrio delle fonti di finanziamento, eccesso di dipendenza del capitale di terzi, eccesso di debiti e così via. La diagnosi della crisi è dunque tappa essenziale per adottare soluzioni operative adeguate. Affinché ciò sia possibile è allora necessario che il sistema di controllo interno veda un’appropriata regolamentazione procedurale e un’efficace verifica di corretto funzionamento della funzione di risk management. Devono cioè, a mio avviso, essere correttamente censiti i rischi tipici della specifica impresa, individuati gli indicatori di allerta per singoli rischi o aree di rischio, disciplinata la funzione di reporting, specificati i meccanismi di reazione. La tecnica aziendalistica e le best practice forniranno adeguati e più analitici standard; sul terreno del diritto si può concludere che: (i) il sistema di controllo interno, strumento di diritto societario, deve essere finalizzato anche alla ricognizione dello stato di pre-crisi e non solo al controllo della gestione [continua ..]


10. Assetti organizzativi e regole di responsabilità: profili sistematici. Lo spettro della responsabilità oggettiva.

Ma una riflessione finale si impone. La valutazione di adeguatezza, se effettuata ex post in termini di responsabilità degli organi, deve essere effettuata con la ragionevolezza del giudizio ex-ante, tenuto conto dei margini di imprevedibilità dei fenomeni economico-finanziari [14]: diversamente il declivio verso la responsabilità oggettiva, cioè verso l’inadeguatezza imputabile indotta dall’insuccesso del risanamento, si impenna pericolosamente. E il divario tra l’area del “to big to fail” e l’area dell’imprenditore “decoctor ergo fraudator” rischia di riaprirsi, con effetti non solo iniqui ma anche inefficienti. Il tema ha una rilevanza sistematica a cui è necessario dedicare alcune riflessioni. L’introduzione di nuove “clausole generali”, paradigma di condotta e criterio di imputazione di responsabilità degli amministratori – correttezza nella gestione, adeguatezza degli assetti organizzativi, agire informato (cfr. art. 2381 c.c.) – deve essere salutata con favore. Il criterio generalissimo della diligenza, ora professionale (art. 2392 c.c.), si specifica in regole più puntuali, correlate alla progressiva complessità e dell’impresa e delle tecniche gestionali. La nuova clausola di correttezza consente uno scrutinio più stringente delle scelte d’impresa rispetto alla sindacabilità delle sole opzioni manifestamente irrazionali consentita dalla business judgement rule. Impone un’adeguata protezione e prevenzione dei rischi. Ma due profili della questione devono essere messi in luce. In primo luogo le nuove clausole generali devono essere valutate in relazione a parametri tecnici che sono fortemente variabili in relazione alla tipologia, alle dimensioni, alle caratteristiche dell’impresa e, soprattutto, suscettibili di margini ampi di discrezionalità. Tipologia delle procedure – informatiche, manuali, miste –, struttura degli organigrammi, ripartizione delle competenze nel funzionigramma, regolamentazione del raccordo tra istanze di controllo, tecniche di follow up e così via, costituiscono un apparato tecnico che non può essere coartato in schemi precostituiti aprioristicamente definibili come adeguati. Il range di adeguatezza è ampio, flessibile e variabile in relazione ad una molteplicità complessa di fattori. In secondo [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2011