<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Adottare un Modello 231 conviene? Una risposta della Pubblica Accusa di Como (di Alessandro De Nicola)


Il caso riguarda i risvolti sotto il profilo della responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 di un’ipotesi di corruzione di un funzionario del­l’Agenzia delle Entrate posta in essere da amministratori di una società comasca. La Procura della Repubblica ha innanzitutto verificato che la società avesse adottato, anteriormente alla commissione del reato, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire i reati in contestazione e ha riscontrato che gli amministratori avevano compiuto il fatto aggirando le regole ivi contenute. Appurato inoltre che l’organismo di vigilanza si fosse effettivamente attivato per garantire il rispetto del modello, il pubblico ministero ha emesso decreto motivato di archiviazione ex art. 58 d.lgs. n. 231/2001, ritenendo insussistente qualsiasi profilo di responsabilità a carico dell’ente.

Is it worthwhile to adopt a 231 Model? A response from public prosecution in Como

The case is about the corporate criminal liability of a corporation triggered by an episode of bribery of an Italian Tax Agency official carried out by two directors of a company in Como. The Public Prosecutor’s Office first checked that the company had adopted, before the commission of the crime, an organization and management model pursuant to Legislative Decree no. 231/2001 suitable to prevent corruptive crimes and noted that the directors had committed the crime by circumventing the procedures laid down therein. Moreover, after ascertaining that the vigilance body had effectively taken action to ensure compliance with the model, the public prosecutor issued a motivated decree of dismissal (decreto di archiviazione) pursuant to art. 58 of Legislative Decree no. 231/2001, deeming that no liability profile could existed in relation to the company.

Keywords: corruption – bribery – organization and management model pursuant to Legislative Decree no. 231/2001 – compliance program – fraudulent circumvention suitability of the model exemption from responsibility – dismissal pursuant to Article 58 Legislative Decree no. 231/2001.

Non può sussistere responsabilità amministrativa da reato dell’ente laddove i presìdi e controlli posti a fondamento dell’attività di monitoraggio ex d.lgs. n. 231/2001 siano stati, nei fatti, aggirati ed elusi dai soggetti agenti, i quali abbiano commesso il reato in totale autonomia. Nulla, infatti, in tale situazione avrebbero potuto verificare gli organi preposti e nulla, pertanto, può essere addebitato all’ente sotto il profilo dell’astrattamente rilevante “mancato controllo”. DECRETO DI ARCHIVIAZIONE Art. 58 d.lgs. 231/01 Il Pubblico Ministero visti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, iscritto nei confronti di … rappresentata dal dott. … per il seguente illecito amministrativo: art. 25 comma 2 d.lgs. 231/01 in relazione al seguente reato presupposto: … delitto di cui agli artt. 318, 319, 321 c.p. perché, in concorso tra loro e nelle rispettive qualità: … titolari di … quali corruttori che promettevano e/o consegnavano somme di denaro (di seguito indicate) al p.u. … per il tramite della mediazione corruttiva dei professionisti … quali mediatori della conclusione degli accordi corruttivi, esecutori materiali della consegna delle somme di denaro al p.u. … da cui ottenevano indebita riduzioni delle pretese erariali e la “protezione” nelle verifiche fiscale in corso per i predetti clienti dai quali ricevevano somme di denaro complessivamente pari ad euro 53.000 di cui 10.000 per remunerare … ed euro 43.000 per la loro mediazione corruttiva; promettevano ed effettivamente corrispondevano somme di denaro complessivamente non inferiori ad euro 10.000 a … – direttore dell’Agenzia delle Entrate di … nel periodo compreso dal … al … e direttore dell’Agenzia delle Entrate di … dal … fino ad oggi – pubblico ufficiale corrotto – per il sistematico asservimento delle funzioni e poteri sopraindicati nonché per compiere o per aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio in violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), indisponibilità della pretesa tributaria e riserva di legge (art. 23-53 Cost.); in specie … in data … adottava la comunicazione n. … al fine di far ottenere indebite riduzioni del debito erariale dovuto a titolo di imposte, sanzioni ed interessi ai contribuenti … nonché unitamente a …siglava in data … accoglimento integrale istanza di mediazione nr. … presentata da … per conto di … Consumato in … nel periodo compreso tra il … In via preliminare si rileva che … sono stati condannati per il predetto reato alla pena di anni 1 mesi 10 con sentenza n. … emessa dal Tribunale di Como in data … ai sensi [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 1.1. L’inquadramento della fattispecie effettuato dalla Pubblica Accusa - 2. La normativa di riferimento - 3. I requisiti di validità del Modello secondo dottrina e giurisprudenza - 3.1. Adozione di un Modello - 3.2. L’Organismo di Vigilanza - 3.2.1. Sorveglianza e continuità di azione - 3.2.2. Professionalità e onorabilità - 3.2.3. Autonomia e indipendenza - 3.2.4. Flussi informativi e formazione - 3.2.5. Attività di vigilanza, controlli e ispezione - 3.2.6. Attività di aggiornamento e di verifica dell’idoneità del Modello - 3.3. Analisi delle attività a rischio e adeguati protocolli - 3.4. Sistema disciplinare - 3.5. Elusione fraudolenta del Modello - 4. Il commento. La ratio decidendi sottesa al provvedimento di archiviazione emesso dalla Procura della Repubblica di Como - 4.2. Le possibili omissioni - 4.3. Le motivazioni - 4.4 Conclusioni - NOTE


1. Il caso

Il Decreto di archiviazione ex art. 58 d.lgs. n. 231/2001, emesso dalla Procura della Repubblica di Como in data 29 gennaio 2020, veniva emesso nell’ambito di un procedimento penale avviato (anche) nei confronti di una società di tessitura comasca, iscritta nel registro degli indagati in relazione alla commissione dei reati presupposto di cui agli artt. 318 (corruzione per l’esercizio della funzione), 319 (corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio), 321 (pene per il corruttore) c.p. contestati ai propri amministratori. La vicenda nasceva da un episodio di corruzione contestato nei confronti dei due amministratori (nonché soci di maggioranza) della società, in favore di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, direttore della sede di Como. Nello specifico, secondo quanto ricostruito nell’ambito investigativo, la dazione corruttiva in favore del pubblico ufficiale sarebbe stata materialmente effettuata da tre professionisti “mediatori” i quali avrebbero ottenuto “indebite riduzioni delle pretese erariali” e la “protezione” nelle verifiche fiscali in corso per i loro clienti. Questi ultimi, invece, avrebbe consegnato ai professionisti somme di denaro pari a 53.000 €, in parte per corrompere il direttore, in parte per remunerare la loro intermediazione corruttiva. Nei confronti dei due amministratori veniva applicata una pena, ai sensi dell’art 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento), pari a 1 anno e 10 mesi di reclusione con confisca pari ad euro 60.000 €. Il raggiungimento di tale accordo con la Pubblica Accusa era frutto anche di una condotta “proattiva” dei medesimi i quali, nella fase immediatamente successiva all’emanazione degli ordini di arresto nei confronti di alcuni degli indagati, si presentarono dal Pubblico Ministero ricostruendo la vicenda e mettendo a disposizione la somma ut supra. Al fine di valutare se la vicenda corruttiva così come ricostruita avesse coinvolto anche la società rendendola responsabile ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, la Pubblica Accusa riassumeva i seguenti fatti: – gli amministratori e i professionisti erano conoscenti personali di lunga data e il rapporto era estraneo alle dinamiche societarie; – la difesa della società nella vicenda tributaria era affidata ad un altro professionista risultato del tutto estraneo alle condotte corruttive oggetto di [continua ..]


1.1. L’inquadramento della fattispecie effettuato dalla Pubblica Accusa

Elencati i fatti rilevanti per il giudizio, il Pubblico Ministero inquadrava i requisiti necessari e sufficienti affinché la società potesse beneficare dell’esimente prevista dall’art. 6, 1° comma, d.lgs. n. 231/2001, ai sensi del quale l’ente non risponde se prova che: “a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b)”. Al 2° comma, inoltre, si stabilisce che i modelli devono rispondere alle seguenti esigenze: “a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’os­servanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello”. Infine, vengono specificati, nello stesso articolo 6 e in ossequio alla normativa c.d. Whistleblowing i canali di comunicazione a disposizione per poter segnalare la commissione di illeciti. Inoltre, l’art. 7 aggiunge, riprendendo quanto elaborato nel corso degli anni da dottrina e giurisprudenza, che in ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza sui soggetti non apicali se il modello adottato e attuato prima della commissione del reato “prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio. 4. L’efficace [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Il decreto in oggetto offre spunti interessanti in merito all’operatività dell’esimente di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001.


3. I requisiti di validità del Modello secondo dottrina e giurisprudenza

Il Decreto di archiviazione cita alcune sentenze che supportano la ratio decidendi. In primis si fa riferimento alla sentenza del Tribunale di Milano del 2009 che conferma l’esimente per l’ente se il modello organizzativo “prevedeva una specifica normativa interna finalizzata alla prevenzione dei diversi reati” e questa risulti elusa dai vertici aziendali e la violazione di una norma del modello è “la conseguenza del mancato rispetto delle procedure interne, consacrate nel modello” [[1]]. A supporto si indica inoltre – ancor più chiaramente – la Corte di Appello di Milano che nel 2012 affermava che “la condotta elusiva del modello organizzativo è da considerarsi fraudolenta ove sia stata diretta ad ingannare … gli altri soggetti deputati alla prevenzione degli illeciti presupposto in base ai dettami del compliance program adottato dall’ente” [[2]]. Infine, viene richiamata una pronuncia della Suprema Corte del 2013 ove si precisa che la “condotta ingannevole” deve risultare di “aggiramento e non di semplice frontale violazione delle prescrizioni adottate” [[3]].


3.1. Adozione di un Modello

Quanto al primo dei requisiti di cui all’art. 6, 1° comma, lett. a), d.lgs. n. 231/2001, ovvero l’adozione e l’efficace attuazione prima del compimento del reato di un modello idoneo a prevenire i reati, è d’uopo ricordare come la giurisprudenza abbia in più occasioni affermato che la mera adozione del Modello non integra di per sé l’esimente. La citata pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 4677/2014, nota anche come “sentenza Impregilo”, pur se molto discutibile relativamente ai suggerimenti ivi contenuti per raggiungere l’efficacia del modello (tipo il parere preventivo dell’OdV sui comunicati che l’emittente rilascia al mercato) [[4]], ribadisce che la valutazione sull’idoneità del Modello non può essere astratta e meramente teorica, dovendosi basare su un ragionamento rigoroso applicato al caso concreto, volto ad accertare le norme comportamentali aziendali e i presìdi di controllo effettivamente posti in essere dall’ente in riferimento al reato-presupposto verificatosi. Si ribadisce l’importanza di verificare l’adeguatezza e la concreta attuazione del Modello, dovendo il giudizio di idoneità sostanziarsi sulle modalità con cui lo stesso viene concretamente attuato. Tale concreta implementazione del Modello è alla base anche delle più recenti sentenze emesse dalla Suprema Corte di Cassazione, la n. 29538/2019 e la n. 43656/2019 [[5]] che, seppur in tema di violazione della normativa antinfortunistica, esprimono concetti chiaramente applicabili in modo generale. Nel primo caso la Suprema Corte confermava quanto notato dalla Corte d’Appello, secondo la quale nello specifico, il modello, pur adottato dopo l’effettuazione di un’analisi dei rischi (altro elemento essenziale), era inficiato da una carenza delle attività di monitoraggio e di controllo interne e la mancata implementazione delle misure di prevenzione e delle procedure aziendali le quali non prendevano in considerazione i rischi concreti dell’attività posta in essere. Si notava inoltre come dall’analisi delle relazioni semestrali emergesse che “l’organismo di vigilanza non aveva posto in essere, a causa di ritardi aziendali, le attività propedeutiche ai controlli”. In generale, tutti gli elementi in esame avevano portato i giudici a ritenere che, nel [continua ..]


3.2. L’Organismo di Vigilanza

Passiamo a quanto prescritto dalle lett. b) e d) dell’art. 6, 1° comma, vale a dire l’assegnazione del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo e la diligente esecuzione dei compiti da parte dell’organismo stesso. Ebbene, la dottrina e la giurisprudenza si sono soffermate su molteplici aspetti relativi sia alle caratteristiche proprie dell’Organismo di Vigilanza che dei suoi compiti. Senza addentrarci in un tema che richiede ben altro approfondimento, vi è ormai unanime accordo sul fatto che l’OdV sia un ufficio dell’impresa inserito all’interno del sistema dei controlli e che a tal fine debba collaborare con le altre funzioni o organi a ciò deputati [[8]].


3.2.1. Sorveglianza e continuità di azione

L’attività di sorveglianza dell’OdV si svolge sia attraverso controlli cosiddetti di terzo livello, cioè sulla legalità formale e sostanziale dell’attività d’impresa, sia sugli assetti organizzativi della stessa, in quanto essi possono incidere sulla realizzabilità o meno di un reato, sia infine attraverso controlli di secondo livello mediante ispezioni mirate. Per poter eseguire queste attività l’OdV deve essere per l’appunto dotato degli “autonomi poteri di iniziativa e controllo” di cui parla il legislatore. Pur in assenza di dettati normativi (salvo sulla possibilità per il collegio sindacale di assumere anche il ruolo di OdV), dottrina e giurisprudenza hanno elaborato una serie di indici rilevatori dell’autonomia ed indipendenza dei componenti stessi dell’organismo, della loro onorabilità, professionalità, dei criteri di nomina, del loro compenso [[9]] e delle incompatibilità. Orbene, in sintesi, si ritiene che l’attività dell’OdV debba essere caratterizzata da “continuità d’azione”, intendendosi con ciò secondo alcuni che sia necessario un impegno “esclusivo” o a tempo pieno dei componenti [[10]], e da altri, più ragionevolmente, come effettività dell’attività di controllo attraverso lo svolgimento di un certo numero di attività, quali ispezioni, colloqui con il management, analisi dei flussi informativi, verifica periodica del modello e così via [[11]], di cui venga conservata adeguata documentazione, in modo tale da consentirgli di ravvisare in tempo situazioni anomale.


3.2.2. Professionalità e onorabilità

Per quanto concerne la professionalità, le Linee guida di Confindustria, seguite dalla giurisprudenza, stabiliscono che i componenti dell’OdV abbiano competenze “in materia ispettiva e consulenziale” [[12]], tali da poter utilizzare “tecniche ispettive che garantiscano l’efficacia dei poteri sia di controllo che propositivi” [[13]] e consulenziali dell’OdV, cui si possono aggiungere conoscenze di materie giuridiche o altri ambiti specialistici. Per quanto non di loro competenza professionale, i componenti dell’OdV possono rivolgersi alle strutture interne o a specialisti e di qui anche la necessità che all’Organismo venga assegnato un budget annuale di spesa da impiegare in autonomia [[14]]. Naturalmente, assieme alla professionalità assume rilevante importanza l’ono­rabilità dei membri dell’OdV, interpretato in senso sostanziale dalla giurisprudenza che in varie pronunce ha chiarito che anche una condanna penale in primo grado per uno dei reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001 sia sufficiente per non rendere idoneo un soggetto alla carica de quo [[15]].


3.2.3. Autonomia e indipendenza

Quanto all’autonomia ed indipendenza, essa è duplice: autonomia nei poteri di iniziativa e controllo, indipendenza dagli organi esecutivi della società. L’autonomia si configura quindi come assenza di interferenze, condizionamenti o pressioni da parte dei vertici aziendali [[16]], autoregolamentazione del proprio funzionamento, budget adeguato, distanza da attività operative o gestorie [[17]]. La mancanza di autonomia dell’OdV (rectius indipendenza) può assumere un’importanza tale, secondo la Suprema Corte, da inficiare la validità dell’intero modello [[18]]. L’indipendenza presuppone la non coincidenza tra controllore e controllato o la subordinazione del primo al secondo [[19]]. La dottrina e le principali linee guida hanno quindi elencato quali possibili cause di ineleggibilità o decadenza l’esistenza di relazioni di parentela, coniugio, o affinità entro il quarto grado con i membri del consiglio di amministrazione o i vertici della società o del gruppo societario, nonché l’esistenza di un rapporto di lavoro continuativo di consulenza o prestazione d’opera (fatto salvo il rapporto di lavoro subordinato [[20]] che possano compromettere l’indipendenza o l’autonomia di giudizio del componente dell’OdV. Per assicurare l’autonomia e l’indipendenza dell’Organismo di Vigilanza nel suo insieme non è però necessario che ciascun membro risponda rigidamente a tutti gli standard di indipendenza (anche se alcune figure esecutive come un amministratore delegato o come il Responsabile Sicurezza Prevenzione e Protezione sono sufficienti ad escluderla per tutto il collegio), ma che l’OdV nel suo complesso lo sia [[21]] e quindi non si identifichi con strutture interne che non siano dotate di autonomi poteri di iniziativa e controllo e difettino di indipendenza nei confronti dei vertici societari o che abbiano funzioni operative [[22]]. A tal fine, la composizione dell’Organismo di Vigilanza [[23]] dovrà essere adeguata alla dimensione e attività aziendale nonché alla sua struttura organizzativa (in una società di medio-grandi dimensioni, l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale porta a ritenere che un OdV collegiale sia altamente preferibile al posto di uno monocratico).


3.2.4. Flussi informativi e formazione

Per poter esercitare il proprio ruolo di vigilanza e stimolo, ai sensi della lett. d) dell’art. 6, 1° comma, d.lgs. n. 231/2001, l’OdV deve essere destinatario (e a sua volta origine) di adeguati flussi informativi da parte degli esponenti aziendali e di soggetti esterni in rapporto con la società così come imposto dall’art. 6, 2° comma secondo cui i Modelli devono contenere “obblighi di informazione nei confronti dell’organismo”. I flussi possono essere periodici (ad esempio da parte di organi e funzioni aziendali) o ad hoc, prestabiliti o ottenuti grazie ad interventi motu proprio dell’OdV, in modo da poter conoscere tempestivamente modifiche all’assetto interno della società, variazioni delle aree di attività, violazioni delle disposizioni contenute nel Modello o della legge e di altri fatti od anomalie (ad esempio procedimenti giudiziari o amministrativi a carico dell’ente o di suoi esponenti) che potrebbero portare ad una violazione del d.ls. n. 231 [[24]]. Un ruolo importante dell’Organismo di Vigilanza consiste inoltre nel vigilare sull’osservanza degli obblighi di formazione previsti dall’art. 6, 2° comma, d.lgs. n. 231. Il Tribunale di Milano nella già richiamata ordinanza del novembre 2004, ha evidenziato che il Modello dovrebbe prevedere una formazione differenziata tra dipendenti e il contenuto e la frequenza dei corsi di formazione nonché il controllo sulla qualità e l’effettivo svolgimento e partecipazione [[25]].


3.2.5. Attività di vigilanza, controlli e ispezione

L’OdV verifica l’effettiva applicazione del modello e la sua adeguatezza a prevenire i comportamenti vie­tati [[26]], sia su iniziativa propria attraverso controlli, interviste, richieste di documenti, ispezioni programmate o a sorpresa [[27]], sia ricevendole in modo accidentale sia in base a precisi obblighi previsti dal Modello o a seguito di richieste di altri organi o funzioni aziendali. Gli interventi ispettivi possono essere svolti anche “avvalendosi di soggetti terzi” [[28]]. Nel caso vengano effettuate segnalazioni o si accertino violazioni del modello o della legge, esse devono essere comunicate all’organo amministrativo e a quello di controllo per gli opportuni provvedimenti [[29]]. L’OdV ha accesso senza restrizioni ad ogni documentazione rilevante senza bisogno di ottenere il consenso preventivo degli organi sociali e il modello deve prevedere “un obbligo per i dipendenti, i direttori, gli amministrativi della società di riferire all’Organismo di Vigilanza notizie rilevanti e relative alla vita dell’ente, a violazioni del modello o alla consumazione di reati” [[30]]. Non sembra invece doversi ravvisare in capo all’OdV nessun potere impeditivo né modificativo del Modello [[31]] né, nonostante qualche obiter dicta contrario, disciplinare, potere quest’ultimo in capo all’organo direttivo dell’ente o a funzioni (ad esempio il responsabile risorse umane) da esso delegate [[32]]. Altre caratteristiche di funzionamento dell’OdV secondo la best practice sono quelle di verbalizzare il contenuto degli incontri e di dotarsi di un proprio regolamento operativo [[33]].


3.2.6. Attività di aggiornamento e di verifica dell’idoneità del Modello

L’art. 6, 1° comma, lett. b) stabilisce che l’OdV abbia il compito di curare l’aggior­namento dei Modelli, intendendosi con ciò l’adeguamento dello stesso alle mutate realtà aziendali, giurisprudenziali e normative o a seguito dell’accertamento di significative violazioni del Modello stesso. In capo all’OdV grava un obbligo di segnalazione all’organo direttivo di quali potrebbero essere gli opportuni aggiornamenti e modifiche cui sarà appunto l’organo dirigente a dover provvedere (o a decidere di non porre in essere) [[34]].


3.3. Analisi delle attività a rischio e adeguati protocolli

Soffermiamoci ora su quanto stabilito dalle lett. a), b) e c) dell’art. 6, 2° comma, d.lgs. n. 231, che stabiliscono come i modelli debbano individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione o l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione dei reati. Tali caratteristiche del modello sono riprese dall’art. 7, 3° e 4° comma, laddove si prevede che esso debba contenere misure idonee a garantire lo svolgimento delle attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio, nonché una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso a seguito di violazioni o mutamenti nell’organizzazione. In realtà la lett. c) sulla gestione delle risorse finanziarie non è altro che una specificazione del più generale obbligo di predisporre protocolli (procedure idonee) in tutte le aree aziendali, atti a prevenire la commissione di reato. A tal scopo sono utili, ed espressamente previste dall’art. 6, 3° comma, d.lgs. n. 231/2001, le Linee Guida per la costruzione del modello emanate dalle associazioni di impresa (tra le quali spiccano quelle di Confindustria) ed approvate dal Ministero della Giustizia. Tuttavia, la giurisprudenza ha decretato l’inidoneità di quei Modelli che recepiscono in modo astratto le Linee Guida senza un reale adattamento alla realtà imprenditoriale attraverso un’analisi dei rischi e la conseguente emanazione di procedure efficaci [[35]]. L’individuazione delle attività a rischio si effettua attraverso un “check-up” aziendale [[36]] sia iniziale sia periodico che consenta di individuare i gap tra un modello ideale e i presidi in essere nella società e i comportamenti concreti tenuti. Il risultato dovrebbe consistere in un modello che individua le aree sensibili (la giurisprudenza ha parlato di una “mappatura dei rischi di reato specifica ed esaustiva e non meramente descrittiva o ripetitiva del dettato normativo” [[37]] i protocolli che le presidiano, l’interazione con le procedure societarie già esistenti, il coordinamento tra controlli di primo livello (del management), di secondo livello (funzioni [continua ..]


3.4. Sistema disciplinare

L’art 6, 2° comma, lett. e) prescrive che il Modello debba “introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure” per gli apicali e l’art. 7, 4° comma, lett. b) impone ai fini dell’esi­mente “un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello” per coloro i quali sono soggetti alla altrui direzione. Il sistema disciplinare deve essere parte integrante del modello, tant’è che la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare l’inadeguatezza del modello organizzativo in quanto “per quanto concerne il sistema disciplinare non è espressamente prevista la comminazione di sanzione disciplinare nei confronti degli amministratori, direttori generali e compliance officer che – per negligenza ovvero imperizia – non abbiano saputo individuare, e conseguentemente eliminare, violazioni del modello e, nei casi più gravi, perpetrazione di reati” [[41]]. Secondo le Linee Guida di Confindustria, il sistema disciplinare è un presidio interno (e ulteriore rispetto a quelli “esterni” e già esistenti per legge) le cui sanzioni si applicano a prescindere e senza necessità di aspettare la comminazione di sanzioni “esterne”. Le sanzioni devono essere individuate nel modello, collegate a specifici comportamenti e graduate a seconda della gravità della violazione [[42]]. Il concetto è stato ribadito in giurisprudenza dal gip del Tribunale di Bari che ha affermato come non si possa parlare di un sistema sanzionatorio idoneo che non specifichi la correlazione tra illecito e sanzione né “a quale pratica decisione sanzionatoria effettiva condurrà eventualmente il procedimento disciplinare” [[43]]. Ovviamente, in ottemperanza alle disposizioni contenute nello Statuto dei lavoratori e nella contrattazione collettiva, il sistema disciplinare dovrà non solo essere adeguatamente pubblicizzato ma altresì strutturato in modo tale da prevedere tutte le garanzie di difesa del soggetto che venga accusato di aver commesso l’illecito.


3.5. Elusione fraudolenta del Modello

Elemento essenziale affinché la società che ha adottato un Modello goda dell’esimente prevista dall’art. del d.lgs. n. 231/2001 è che, se un reato nell’interesse o vantaggio dell’ente è stato comunque perpetrato, gli autori dello stesso abbiano eluso fraudolentemente il Modello stesso. In altre parole, la commissione dell’illecito non deve essere attribuibile a una “colpa di organizzazione”, a un deficit organizzativo e/o gestionale dell’ente. Il concetto di elusione fraudolenta è spesso ricondotto alla condotta tipica del reato di truffa ex art. 640 c.p., il quale prevede l’induzione in errore del soggetto in forza di “artifizi e raggiri”. Con riferimento agli artifici e raggiri, la consolidata elaborazione giurisprudenziale e dottrinale declina i primi come una qualsivoglia “manipolazione e trasformazione della realtà esterna, ottenuta con la simulazione di circostanze inesistenti o la dissimulazione di circostanze esistenti”; i secondi si estrinsecano invece in “un’attività simulatrice realizzata con parole o argomentazioni atte a scambiare il falso per il vero” [[44]]. Oltre tali strumenti ingannatori, peraltro, la giurisprudenza di legittimità ammette da tempo che anche il semplice silenzio possa assumere rilevanza penale ai sensi dell’art. 640 c.p. quando sia “maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo” [[45]]. Tale accezione “oggettiva” sembra essere stata adottata anche dalla Suprema Corte di Cassazione che precisa come la condotta fraudolenta “non deve necessariamente coincidere con gli artifizi e raggiri”, ma d’altronde “non può non consistere in una condotta ingannevole falsificatrice, obliqua, subdola” che sfocia in una “condotta di aggiramento di una norma imperativa” e non “una semplice frontale violazione della stessa” [[46]]. In altre parole, perché si abbia un’elusione fraudolenta che giustifichi la concessione dell’esimente, la mera violazione o trasgressione delle norme del Modello non sono sufficienti, ma è necessario un quid [continua ..]


4. Il commento. La ratio decidendi sottesa al provvedimento di archiviazione emesso dalla Procura della Repubblica di Como

4.1. Le verifiche effettuate. – Rispetto ai requisiti del Modello così come riassunti nei paragrafi che precedono, cosa ha verificato la Procura della Repubblica di Como? La Pubblica Accusa ha analizzato in parte la sussistenza degli elementi fondamentali per l’idoneità del Modello, adottato prima del fatto criminoso, concentrandosi su quelli più direttamente afferenti alla fattispecie concreta. Per quel che concerne i flussi informativi, si è notato che l’OdV era stato informato dell’attività di difesa nel contenzioso tributario affidata e svolta ad un professionista estraneo alla vicenda penale. Inoltre, l’OdV si era attivato per richiedere chiarimenti ai vertici della società acquisendo altresì i verbali di interrogatorio resi avanti la Procura. I principi comportamentali contenuti nel Modello proibivano esplicitamente sia comportamenti corruttivi o che potessero anche astrattamente far sorgere il sospetto di un conflitto di interessi (ad esempio promesse di denaro o utilità a parenti o affini di pubblici funzionari). Si accenna anche a prassi, procedure e controlli operativi relativi ai reati contro la Pubblica Amministrazione, non esplicitati, ma evidentemente presenti nel Modello. Infine, il comportamento successivo all’accertamento del fatto, vale a dire le immediate dimissioni degli amministratori coinvolti, è stato valutato ai fini della concessione dell’esimente di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 231/2001. Dal punto di vista dell’elusione fraudolenta dei presidi previsti dal MOG, come si è detto, a giudizio del Pubblico Ministero gli amministratori avevano completamente “bypassato” i controlli e procedure interne, servendosi di fondi propri per porre in essere le azioni corruttive ed affidandosi a professionisti legati ad essi personalmente e non alla società.


4.2. Le possibili omissioni

Non vengono trattate invece altre caratteristiche del Modello e soprattutto della sua concreta attuazione che invece normativa e giurisprudenza ritengono essenziali per verificarne l’idoneità ad evitare la commissione di reati. A titolo di esempio, non viene approfondito se la società abbia svolto l’analisi delle attività a rischio (ed eventualmente le modalità di svolgimento della medesima); non si dà conto delle attività di controllo e di monitoraggio; non si sono esaminati né i poteri, né l’autonomia dell’OdV e – fatte salve le azioni intraprese relativamente alla fattispecie de qua – l’esplicarsi della sua attività di vigilanza (sia la continuità che l’adeguatezza). Non si discute la professionalità e l’onorabilità dei componenti dell’Organismo e, sebbene vengano fatti esempi di flussi informativi relativi all’area di attività aziendale interessata dal reato, non si approfondisce la tematica, né si menziona la loro adeguatezza rispetto al resto delle funzioni a rischio. Non è possibile capire se siano state condotte la formazione o le verifiche periodiche o a sorpresa. Non analizzato è il sistema disciplinare e non è dato sapere se le dimissioni dei due amministratori corruttori siano state determinate da scelta autonoma o da una richiesta dei soci o se fossero previste nel modello insieme ad altre misure sanzionatorie (in genere si prevede l’immediata convocazione della assemblea affinché deliberi la revoca degli amministratori anche se la pratica conosce anche altri provvedimenti per sanzionare gli amministratori). Se è vero che, rispetto a quanto sopra ricordato in merito ai molteplici aspetti che coinvolgono una valutazione a 360° circa la responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001, l’analizzato provvedimento di archiviazione non li contiene tutti, tale approccio ben può trovare ragione in un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, si tratta di un provvedimento emesso dall’organo d’Accusa in favore dell’ente-indagato, nel corso della fase delle indagini preliminari: tale contesto richiama, evidentemente, uno standard probatorio meno rigoroso rispetto a quello richiesto dall’organo giudicante. In merito, basti richiamare il disposto dell’art. 124 delle disposizioni attuative del codice di [continua ..]


4.3. Le motivazioni

Andiamo con ordine cominciando col perimetro delle indagini. Mentre vi sono caratteristiche fondamentali del Modello che debbono sempre essere verificate, sarebbe eccessivo pensare che la commissione di un reato debba portare ad una verifica in astratto della validità dei presidi di tutte le aree a rischio dell’ente. In altre parole, è del tutto normale che, ad esempio, nell’ambito di un procedimento penale relativo ad asserite violazioni di disposizioni relative alla salute e sicurezza sul lavoro non sia necessario svolgere un esame della idoneità del modello a prevenire i reati di abuso di mercato. È bene ricordare che l’approvazione del Modello non è obbligatoria secondo il d.lgs. n. 231/2001 e perciò non avrebbe senso un giudizio da parte del giudice penale relativamente a parti dello stesso (e alla loro attuazione) che sono meramente facoltative. Oltre alla difficoltà di un giudizio ex ante (nell’ipotesi della commissione di un illecito di abuso di mercato, il modello sarebbe idoneo a prevenirlo?), si rischierebbe di perdere di vista la ratio del sistema 231. Non c’è sanzione nel non adottare un Modello, come si potrebbe punire l’ente perché una parte di quello in vigore non è considerata adeguata (seppur, ameno formalmente, implementata)? Passando invece alla specifica area a rischio interessata dalla fattispecie in esame, i reati nei confronti della Pubblica Amministrazione, in particolare la corruzione, ci si chiede se il perimetro di indagine sia andato al di là di quanto emerge dal decreto della Procura della Repubblica. Ebbene, sembrerebbe che per certi aspetti alcune caratteristiche si debbano ricavare in modo deduttivo. Ad esempio, il fatto che l’organismo di vigilanza abbia richiesto e poi abbia avuto accesso alla documentazione rilevante al contenzioso tributario, procedendo anche ad un’audizione del responsabile amministrativo della società e, successivamente all’apertura delle indagini da parte dell’Autorità Giudiziaria, abbia preteso ulteriori chiarimenti nonché i verbali di interrogatorio, oltre ad essere indice di corretta attività di vigilanza potrebbe essere stato interpretato, per relationem, come spia di “autonomi poteri di iniziativa e controllo” da parte dell’OdV stesso e della professionalità dei suoi [continua ..]


4.4 Conclusioni

Quali sono gli insegnamenti che possiamo trarre da questa importante ordinanza? Il primo è che l’idoneità del Modello si verifica rispetto alle aree di rischio nelle quali è stato commesso il reato. Potrebbe sembrare una conclusione scontata, ma in realtà molta giurisprudenza precedente si è prodotta in una disamina o una vera e propria elencazione delle caratteristiche generali di un modello per validarne l’adeguatezza. Invece, poiché l’adozione di un Modello è un onere, ma non un obbligo per l’ente, non possono scaturire conseguenze negative da una valutazione di un’astratta inidoneità dello stesso, quale sarebbe quella non legata ai controlli e ai protocolli rilevanti per prevenire la fattispecie delittuosa concreta. Il secondo è che, in presenza di commissione di reati che comunque, a causa della loro modalità di esecuzione, non sarebbe possibile prevenire nemmeno con un Modello idealmente perfetto, l’idoneità dello stesso non è inficiata dalla commissione di tali reati. Tale conclusione pare rispettare il canone della idoneità ex ante: in altri termini, un disegno criminoso che elude (ex post) fraudolentemente non solo il Modello concreto ma anche un modello astrattamente idoneo, non fa sorgere la “colpa di organizzazione”. Da ultimo, la per certi versi sinteticità del provvedimento apre la strada ad alcune considerazioni critiche. Ragioni pragmatiche e di “politica investigativa” potrebbero portare ad una selezione discrezionale da parte dell’Accusa dei soli profili ritenuti rilevanti nel caso di specie, non esplorando taluni requisiti che sono espressamente richiesti dalla legge (ad esempio, l’esistenza di un sistema disciplinare ad hoc). Una tale eventuale selezione in fase valutativa, tuttavia, non deve condurre a ritenere che un modello idoneo solo in alcune parti di esso possa passare “l’esame di idoneità” sempre e comunque. Ed infatti, non può sottacersi che, al netto di tali semplificazioni valutative, l’onus probandi a carico dell’ente nel caso di reati commessi da soggetti in posizione apicale richiede una puntuale disamina di tutti i requisiti normativamente previsti, per cui un’indagine ad hoc di cui poi dar conto nella decisione sarebbe, almeno in astratto, sempre necessaria. In merito, non può che ribadirsi [continua ..]


NOTE