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Il prof. Pietro Abbadessa, in un suo autorevole intervento 1, ha con la nota acutezza evidenziato già nell’incipit dello scritto come tramite le previsioni – al tempo contenute negli artt. 2458 s. c.c. – «il legislatore consente di attribuire rilevanza corporativa ad interessi pubblici concernenti l’amministrazione della società». Ebbene, le ripercussioni degli interessi pubblici sulla struttura corporativa prescelta danno vita a notevoli peculiarità, e, alla fine, impattano sulla problematica dello spoils system, sul quale chi scrive ha già avuto in passato occasione di soffermarsi 2. In tale senso, si vuole qui cogliere proprio lo spunto offerto nel summenzionato intervento ove si avanzava “l’ipotesi che l’art. 2458, comma 2, celi un principio di carattere generale secondo il quale l’inserzione di amministratori pubblici rende inapplicabili tutti quegli aspetti dello statuto ordinario dell’organo amministrativo che appaiono incompatibili con il perseguimento dello specifico interesse pubblico di cui detti amministratori sono latori” 3. Le novelle intervenute in corso di tempo su questa specifica problematica, in uno alla rilevanza concreta che l’argomento in esame presenta, consentono di sviluppare ulteriormente questo ragionamento, fermo restando che, probabilmente, aldilà dei possibili accenni che sia possibile prospettare interpretativamente, è il legislatore a dovere prendere posizione su alcuni problemi concreti. In una visione della società pubblica come strumento dell’attività amministrativa, potrebbe infatti essere lecito giungere a ritenere che non soltanto non è necessaria una previsione di legge che disciplini la libera sostituzione degli amministratori e dei direttori generali, riferita alle ipotesi in esame, essendo già di per sé tale facoltà insita nei legittimi poteri/doveri del soggetto di governo in una prospettiva generale di sistema, ove naturalmente questi detenga quantomeno la maggioranza della società di cui si tratta – il che può apparire ovvio – ; ma che soprattutto, in tali ipotesi, nessun compenso debba essere riconosciuto ai soggetti revocati, a differenza di quanto avviene nelle analoghe sostituzioni di diritto comune – ciò che certamente lo è meno. D’altra parte, è evidente [continua ..]
Quanto alla governance delle società partecipate dallo Stato o da Enti pubblici, la norma di partenza 7, come è noto, è costituita dall’art. 2449 c.c. – come riformulato in virtù dell’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 6 dicembre 2007, nel caso AEM 8 dall’art. 13, legge comunitaria 25 febbraio 2008, n. 34 –, che si occupa della nomina e della revoca degli organi amministrativi e di controllo di società pubbliche, ed in particolare delle disposizioni statutarie che possono ritenersi legittime e compatibili con la qualificazione «pubblica» della società di cui si tratta. In altre parole, in assenza di una disposizione statutaria nei sensi detti, dovrebbe coerentemente applicarsi la disciplina di diritto comune 9. Ebbene, questo articolo stabilisce attualmente per le società «chiuse» (ovvero che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio) 10 un rapporto di proporzionalità tra diritti statutari di nomina dei componenti dell’organo amministrativo e dell’organo di controllo in favore dello Stato o Enti pubblici, e partecipazione detenuta da questi al capitale sociale. La traduzione pedissequa della decisione della Corte di Giustizia, secondo la quale avrebbe dovuto reputarsi legittimo il diritto di nomina “diretta”, a cura del soggetto pubblico, solo ove tale nomina fosse proporzionale al quantitativo della partecipazione societaria dello stesso, pone tuttavia più di un problema applicativo. Specie ove si considerino in proposito taluni discutibili orientamenti della giurisprudenza di merito, secondo cui la previsione in esame dovrebbe “essere interpretata nel senso che la quota di rappresentanza nominata da detti soggetti deve essere approssimativamente uguale, in termini percentuali, a quella della partecipazione nella società, con gli eventuali limiti che si dovessero rendere necessari per arrotondare i dati per eccesso o per difetto ai fini della loro compatibilità” 11. Innanzitutto, la relazione tra previsione statutaria e diritto dell’azionista pubblico non pare ben formulata e sembra ignorare le particolarità del meccanismo mediante il quale vengono assunte le decisioni in una qualsiasi impresa societaria di capitali. Specie qualora il socio pubblico sia minoritario, [continua ..]
Beninteso, come è parimenti noto, l’art. 2449 c.c. introduce una relazione univoca tra diritto particolare di nomina e diritto di revoca, che assume una peculiare importanza proprio al fine della configurazione stessa della società pubblica e del rapporto tra ente pubblico e amministratore nominato 14. Questo secondo diritto compete esclusivamente ai titolari del primo, pur essendo in via praticamente pacifica riconosciuta la possibilità da parte della generalità dei soci di deliberare la revoca del componente l’organo amministrativo o di controllo, pur nominato ex art. 2449 c.c., in presenza di una giusta causa 15. In tal modo, da una parte, si conferisce una particolare «stabilità» all’amministratore nominato in applicazione di questa disposizione; dall’altra, si collega ad una scelta dell’ente pubblico la revoca dell’amministatore da questo stesso ente «individualmente» nominato. In argomento, e anche al di fuori di questa disposizione, occorre tuttavia distinguere la posizione degli amministratori da quella dei componenti l’organo di controllo. In giurisprudenza si sta facendo strada un orientamento – ben corretto – secondo il quale per quanto concerne questi ultimi, e, in particolare, il collegio sindacale, la revoca, seppur promuovibile a cura del soggetto pubblico che ha proceduto alla nomina, sarebbe pur sempre soggetta alle guarentigie previste dal diritto comune 16. L’organo di controllo assume una posizione totalmente diversa nella società pubblica rispetto all’organo amministrativo, pur laddove sia di esclusiva nomina pubblica e anche ai sensi dell’art. 2449 c.c. Conseguentemente, le considerazioni che seguiranno non potrebbero applicarsi ai componenti l’organo di controllo, proprio per il diverso ruolo da costoro assolto, come peculiarmente qualificato persino nell’ambito dell’art. 2449 c.c.: laddove si individua come necessaria la nomina per un periodo triennale dei componenti gli organi di controllo, quale conferma della garanzia istituzionale loro riservata anche dalla norma generale dell’art. 2400 c.c., ed a differenza del periodo triennale individuato per gli amministratori nominati ex art. 2449 c.c., che è un termine massimo, al di sotto del quale è invece ben lecito andare. Ebbene, è molto chiaro che la [continua ..]
Al di fuori dell’art. 2449 c.c., ed anche per il caso di mutamento del soggetto governativo, esistono disposizioni sia di carattere regionale sia di carattere nazionale che si occupano della cessazione degli organi amministrativi delle società pubbliche, e che hanno superato persino il vaglio della Corte costituzionale. Nella legislazione regionale, basti por mente, ad esempio, per la regione Abruzzo, alla legge 12 agosto 2005, n. 27, art. 1, 2° comma, il quale dispone che «al fine di realizzare compiutamente il riallineamento temporale, le nomine degli organi di vertice, individuali e collegiali, di amministrazione degli enti dipendenti dalla Regione, economici e non, dei consorzi, delle agenzie, compresi i componenti di comitati, di istituti, di commissioni e di organismi regionali o interregionali, nonché delle società controllate e partecipate dalla Regione, in osservanza degli articoli 2449, commi 1 e 3 secondo capoverso, e 2450 del codice civile, conferite dagli organi di direzione politica, hanno una durata massima effettiva pari a quella della legislatura regionale e decadono all’atto di insediamento del nuovo Consiglio regionale, salvo motivata conferma nei successivi 180 (centottanta) giorni. Per le società di capitali in osservanza delle disposizioni del codice civile, per le nuove nomine occorre aspettare la prima assemblea utile ove è prevista l’approvazione del bilancio». Disposizioni analoghe sono contenute in altre leggi regionali, come, ad esempio, la legge regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12. Il problema che introducono queste previsioni è quello, noto, del c.d. spoils system, ovvero, come ognuno sa, la possibilità, o, meglio, il diritto di sostituire gli amministratori, cosi come i direttori generali e ogni altra persona che occupa un ruolo apicale nella società pubblica, con altre persone, che risultino maggiormente in grado di dare corso agli indirizzi strategici che il socio pubblico dovesse impartire. Ebbene, è evidente come la semplice evocazione dello spoils system implica una immediata reazione negativa nell’ascoltatore: la matrice storica richiama la nota frase del senatore Marcy del 1832, in difesa del presidente Jackson e delle revoche da questi attuate, nel senso che «to the victor belong the spoils of the enemy», con tutti gli elementi deteriori che questo concetto evidentemente [continua ..]
Rimane tuttavia aperto il quesito relativo all’eventualità che, in queste ipotesi di cessazione dalla carica, competa agli amministratori cessati una somma a titolo di risarcimento del danno, seppure nei limiti, oramai pacificamente definiti per ipotesi di revoca senza giusta causa, del compenso che sarebbe stato ancora dovuto fino alla scadenza naturale dell’incarico. In argomento, la S.C. aveva in un suo oramai remoto precedente 19 dimostrato lucidità – almeno in parte – nel momento in cui aveva statuito la inapplicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 2383 c.c. «dato che il potere di revoca di siffatti amministratori spetta all’ente pubblico e non alla società», anche se poi, coerentemente con gli orientamenti dell’epoca, nella seconda parte riconosceva all’interessato la possibilità di «ricorrere ai rimedi concessi per la lesione di un interesse in sede amministrativa». Su questo noto precedente, si erano concentrati gli strali di una parte della dottrina, secondo la quale questa decisione finiva «col determinare non solo una totale carenza di tutela per l’amministratore ingiustificatamente revocato, ma un ulteriore affievolimento delle possibilità di porre qualche limite alla spregiudicatezza dei politici che condizionano le scelte degli enti pubblici» 20. Ed anche recentemente da più parti 21 si è ritenuta la sussistenza del diritto risarcitorio, anche alla luce della lettera dell’art. 2449 c.c., nel punto in cui stabilisce che gli amministratori così nominati «hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall’assemblea», così come di talune disposizioni che occasionalmente (e disordinatamente) sono intervenute sul tema, come l’art. 22-ter, d.l. 1 luglio 2009, n. 78. La giurisprudenza tuttavia non pare abbia considerato questo diverso punto di vista, ed ha invece riaffermato l’insussistenza di un diritto risarcitorio in capo all’amministratore revocato ex art. 2449 c.c.; da ultimo, in questo senso, la Corte d’Appello di Milano, nel noto caso Serravalle, secondo la quale, appunto “in caso di revoca dell’amministratore da parte dell’ente pubblico che l’ha nominato, si deve ritenere inapplicabile l’art. 2383, 3° comma, c.c., o elevato ex se a giusta [continua ..]
Il problema sin qui esaminato, proprio per le società pubbliche, si pone soprattutto in considerazione del rilievo del contenuto delle relazioni che si stabiliscono tra la società e il soggetto politico di governo, nazionale o locale, a seconda dei casi. Questa relazione ha una significativa importanza, e sotto molteplici punti di vista. Ci si limiterà qui a considerarne uno: il controllo analogo, come situazione che può giustificare il mancato ricorso alla concorrenza per l’organismo pubblico, che vuole attribuire direttamente a una società sottoposta al suo controllo l’esecuzione di un’attività che, altrimenti, avrebbe dovuto essere attribuita a soggetti selezionati a mezzo di una procedura ad evidenza pubblica. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 10 settembre 2009, n. C-573/07, ha stabilito che “i principi di parità di trattamento e di non discriminazione in base alla cittadinanza così come l’obbligo di trasparenza che ne discende non ostano all’affidamento diretto di un appalto pubblico di servizi ad una società per azioni a capitale interamente pubblico qualora l’ente pubblico che costituisce l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su tale società un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e questa società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano». In questo precedente, si specifica che vi è controllo analogo quando ricorrono congiuntamente i seguenti elementi: “l’attività di tale società è limitata al territorio di detti enti ed è esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi”, e, soprattutto, “tramite organi statutari composti da rappresentanti di detti enti, questi ultimi esercitano un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società”. È evidente che per assicurare il controllo analogo sulle società pubbliche occorre considerare in maniera totalmente diversa lo spoils system: specie laddove si considerino le società per azioni, nelle quali l’art. 2380-bis c.c. individua quali titolari esclusivi dei poteri di gestione gli amministratori. In questa prospettiva, difatti, il «coordinamento» tra [continua ..]
In chiusura, sul tema della nomina e revoca di amministratori di società pubblica, non può non farsi menzione delle previsioni che, in corso di tempo, si sono succedute, al fine della riduzione e razionalizzazione delle spese, intervenendo sul tema della composizione del consiglio di amministrazione di società pubblica non quotata, che hanno egualmente una influenza significativa sulla governance di tali società (tra le altre, legge 24 dicembre 2007, n. 244, legge 30 luglio 2010, n. 122, e legge 7 agosto 2012, n. 135) (es: numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione, indicazione sulle qualifiche di detti componenti, eliminazione del ruolo del vicepresidente, ecc.). In argomento, è di notevole interesse quanto – molto condivisibilmente – statuito dalla Corte dei conti, 23 ottobre 2012, n. 447, nel senso che la applicazione delle disposizioni della legge 7 agosto 2012, n. 135, che incidono sulla composizione qualitativa e quantitativa dei c.d.a. delle società pubbliche ivi disciplinate, che, ai sensi della predetta legge, decorre «dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto», non risulta condizionata dalla modifica statutaria di adeguamento alla norma di legge, ed è invece suscettibile di immediata applicazione «anche se contrastante con le previsioni statutarie». Il medesimo Consiglio di Stato precisa inoltre che la decorrenza della nomina, per gli amministratori nominati ex art. 2449 c.c., va computata dall’atto di nomina dell’ente pubblico, e non dalla (peraltro eventuale) presa d’atto a cura dell’assemblea. Tuttavia, queste previsioni non possono andare totalmente esenti da critiche, seppure ad altri fini. In particolare, la disposizione contenuta nell’art. 4, secondo la quale (deduzione ora solo implicita, all’esito delle modifiche introdotte con l’art. 15, d.l. 24 giugno 2014, n. 90) i c.d.a. delle società pubbliche considerate dalla norma possono essere composti in modo che sia persino maggioritaria la presenza di dipendenti dell’amministrazione pubblica che è titolare della partecipazione o che comunque ha poteri di indirizzo e vigilanza sulla società, implica tali e tante problematiche sul ruolo di questi componenti, sulla loro qualificazione come amministratori di società, [continua ..]