<p>Impresa Società Crisi di Palazzolo Andrea, Visentini Gustavo</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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È possibile impugnare le delibere del collegio sindacale? (di Arianna Paoletti, Alessio D’Alessandro)


Il Codice Civile consente espressamente di impugnare le delibere assembleari e consiliari (artt. 2377, 2378, 2379), ma tace in relazione a quelle del collegio sindacale.

Sul punto, è particolarmente rilevante l’ordinanza del Tribunale di Milano in data 23 aprile 2018, relativa alla nota controversia sulla revoca di alcuni amministratori di TIM S.p.A. (Vivendi et al. c. Collegio sindacale di Tim et al.).

Con tale decisione, per la prima volta, la giurisprudenza ha affrontato il tema in oggetto.

Analizzando la suddetta ordinanza e ripercorrendo le tesi dottrinali sul tema, l’articolo tenta di chiarire una delle questioni più discusse in materia di governo societario: se e, in caso affermativo, secondo quale disciplina, sia possibile impugnare le delibere del collegio sindacale.

Is it possible to challenge the Board of Statutory Auditors’ resolutions?

The Italian Civil Code expressly allows to challenge the Shareholders’ and Board of directors’ resolutions (Articles 2377, 2378, and 2379 of the Italian Civil Code) but is silent on those by the Board of Statutory Auditors.

In this scenario, the Milan Tribunal decision on the dispute to dismiss several Board members of TIM S.p.A. (Vivendi et al. v. TIM Board of Statutory Auditors et al.) is particularly relevant. In fact, by order of April 23, 2018, the Milan Tribunal ruled expressly on the matter for the first time.

Analyzing this decision and reviewing the legal theory on the matter, the article attempts to answer one of the most discussed questions on corporate governance: whether and, if so, under what rules, it is possible to challenge the Board of Statutory Auditors resolutions.

TRIBUNALE MILANO, Sezione specializzata in materia di impresa B, 23 aprile 2018 – Riva Crugnola Giudice (Artt. 2377, 2378, 2388 c.c.) Gli artt. 2377 e 2378 c.c. esprimono un principio generale di sindacabilità e, dunque, di impugnabilità delle deliberazioni di tutti gli organi sociali per contrarietà alla legge o all’atto costitutivo. Tale principio è applicabile anche alle delibere del collegio sindacale produttive di effetti diretti sull’organizzazione societaria o sulla posizione di singoli soci.   (Omissis) Fatto La vicenda di fatto La vicenda in discussione è pacifica tra le parti quanto ai suoi snodi, potendo essere così schematizzata: 6.3.2018. il CDA di TIM SPA delibera la convocazione di assemblea dei soci per il 24.4.2018 (Omissis) 14.3.2018. i soci di TIM SPA – ELLIOTT INTERNATIONAL LP, ELLIOTT ASSOCIATES LP e THE LIVERPOOL LIMITED PARTENERSHIPS (d’ora in avanti anche solo ELLIOTT) – formulano tempestivamente richiesta di integrazione ex art. 126 bis TUF dell’odg dell’assemblea del 24.4.2018 per due punti (Omissis): 1. revoca di 6 amministratori nelle persone di Ar. Ro. D. Pu., HE. Ph., Fr. Cr., GI. Re., FE. He. e AN. Jo.; 2. nomina di sei amministratori nelle persone di Fu. Co., Ma. Fe., Pa. Gi. D. Po., Lu. Gu., Da. Ro. e Ro. Sa., in sostituzione di quelli revocati ai sensi del precedente punto; allegando relazione nella quale, tra l’altro, la richiesta è così illustrata: “VIVENDI dirige e coordina Telecom con meno di un quarto del suo capitale l. 2/3 degli amministratori sono attualmente di nomina vivendi che ha dunque il piano controllo del consiglio di amministrazione di TELECOM. Crediamo che alcuni membri di questo consiglio di amministrazione siano focalizzati sugli interessi particolari del socio VIVENDI a discapito dei restanti azionisti. La sostituzione degli amministratori di nomina VIVENDI con nuovi consiglieri – pienamente indipendenti, di elevata professionalità e maggiormente rappresentativi dell’aziona­riato – è l’unico strumento per ripristinare una adeguata governance della SOCIETÀ, imprimendo un chiaro indirizzo strategico e ristabilire una proficua relazione con le Autorità italiane (fattore fondamentale in un business regolato). Per fare emergere il valore di TELECOM ad oggi inespresso, è necessaria una discontinuità, che potrà essere realizzata in sede assembleare con il concorso di tutti gli azionisti che, come noi, dissentono profondamente dalla gestione VIVENDI”. 22.3.2018. il CDA, con l’astensione dei sei membri Re., Bo Ca., Co., Fr., Vi.: “1. prende atto delle dimissioni dei consiglieri Ar. Ro. D. Pu., Ca. An., Fr. Cr., FE.He., AN. Jo., Ma. Mo. HE. Ph. con decorrenza dal 24.4.2018 e del consigliere GI. Re. con decorrenza dalla chiusura dei [continua..]
SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il caso Tim / Vivendi - 3. La normativa di riferimento - 4. La delibera del collegio sindacale è impugnabile? le diverse teorie a confronto - 4.1. Segue: lo strano caso delle delibere del consiglio di sorveglianza - 5. Il commento. Osservazioni conclusive alla luce dell’ordinanza TIM/Vivendi - NOTE


1. Introduzione

Il codice civile prevede espressamente la possibilità di impugnare le delibere dell’as­semblea (artt. 2377, 2378 e 2379 c.c.) e del consiglio di amministrazione (art. 2378 c.c.), ma tace in relazione a quelle del collegio sindacale [1]. Sul tema, la dottrina è divisa tra coloro che, in considerazione del silenzio legislativo, negano l’impugnabilità di tali delibere e co­loro che, di contro, l’ammettono. Come vedremo, un primo orientamento riconosce al soggetto leso una tutela meramente risarcitoria. Invero, nel caso di delibera contraria alla legge o allo statuto, il codice civile prevede soltanto il ricorso all’azione di responsabilità ex art. 2407 c.c. (che richiama gli artt. 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395 sulla responsabilità degli amministratori) [2]. Un secondo orientamento, invece, ritiene impugnabili le delibere del collegio sindacale, ma è diviso sulla normativa di riferimento: secondo alcuni sarebbe applicabile la disciplina delle delibere assembleari (artt. 2377 e ss. c.c.); secondo altri quella delle delibere consiliari (art. 2388 c.c.). In tale contesto, particolare rilievo ha assunto l’ordinanza del Tribunale di Milano in data 23 aprile 2018 che, per la prima volta, ha ritenuto impugnabili le delibere oggetto di analisi. Analizzando tale ordinanza e ripercorrendo le differenti tesi dottrinali sul tema, con il presente articolo si tenta di chiarire se (ed eventualmente in che termini) sia ammissibile impugnare le delibere del collegio sindacale.


2. Il caso Tim / Vivendi

Come anticipato, il tema è stato affrontato espressamente nell’ordinanza del Tribunale di Milano in data 23 aprile 2018 (Sez. Impresa B – Dott.ssa Riva Crugnola – R.G. n. 18561-1/2018 e 18561-3/2018), avente ad oggetto l’impugnazione da parte di Vivendi S.A. (“Vivendi”), socio di maggioranza relativa di TIM S.p.A. (“TIM” o “Società”), di una delibera adottata dal collegio sindacale della stessa Società. In particolare, il ricorso cautelare con cui Vivendi ha chiesto di sospendere gli effetti della delibera assunta dal collegio sindacale è stato promosso ex artt. 2377, 2378, 2388, c.c. nonché 700 c.p.c., ossia richiamando sia la disciplina in materia di annullabilità delle delibere assembleari sia quella in materia di delibere consiliari. Prima di analizzare il provvedimento adottato, sono opportune alcune premesse sulla vicenda. In data 10 marzo 2018, il consiglio di amministrazione di TIM ha convocato l’assemblea annuale per il 24 aprile 2018, al fine di approvare il bilancio al 31 dicembre 2017 [3]. Successivamente, il 14 marzo 2018, un gruppo di fondi attivisti titolari di una partecipazione di minoranza (ossia, Elliott International LP, Elliott Associates LP e The Liverpool Limited Partnership: “Elliott”) ha chiesto di integrare l’ordine del giorno ex art. 126-bis del TUF [4], proponendo di revocare sei amministratori e nominarne di nuovi “in sostituzione di quelli revocati” [5]. La richiesta di integrazione è stata argomentata sostenendo che “la sostituzione degli amministratori di nomina Vivendi con nuovi consiglieri […] è l’unico strumento per ripristinare una adeguata governance della Società, imprimerle un chiaro indirizzo strategico e ristabilire una proficua relazione con le Autorità italiane” nonché “per far emergere il valore di Telecom ad oggi inespresso” [6]. In data 22 marzo 2018, al fine di esaminare la menzionata richiesta, si è riunito il consiglio di amministrazione della Società [7] all’esito del quale i consiglieri di cui era stata chiesta la revoca hanno peraltro “rassegnato le proprie dimissioni con decorrenza dal giorno 24 aprile 2018, prima dello svolgimento dell’Assemblea Ordinaria della Società convocata per [continua ..]


3. La normativa di riferimento

In origine, il codice civile del 1942 regolava esclusivamente l’impugnazione delle delibere assembleari (artt. 2377-2379 c.c.) [29]. La possibilità di impugnare le delibere consiliari, invece, era limitata al particolare caso delle delibere assunte con il voto determinante dell’amministratore in conflitto di interessi (art. 2391 c.c.) [30]. Facendo propri i risultati della giurisprudenza [31], il D.Lgs. n. 6/2003 (“Riforma del 2003”) ha introdotto all’art. 2388 c.c. la possibilità d’impugnare, in via generale, le delibere del consiglio di amministrazione. Per espresso rinvio normativo, tale disciplina si applica anche: – nel sistema dualistico, al consiglio di gestione (art. 2409-undecies, comma 2, c.c.) e al consiglio di sorveglianza (art. 2409-quaterdecies, comma 1, c.c.). Come analizzeremo nel proseguo, peraltro, le delibere del consiglio di sorveglianza per approvare il bilancio di esercizio sono impugnabili ex art. 2377 c.c. (art. 2409-quaterdecies, comma 1, c.c.); – nel sistema monistico, al consiglio di amministrazione (art. 2409-noviesdecies c.c.). Come anticipato, la novella legislativa non ha espressamente disciplinato la possibilità di impugnare le delibere del collegio sindacale. Analizzando, invece, la disciplina per le società quotate, prevista dal D.Lgs. n. 58/1998 (“TUF”), emerge una disciplina frammentata, che per singole ipotesi di inadempimento richiama quella codicistica. In particolare, il TUF prevede la possibilità di impugnare le delibere assembleari in caso di violazione delle norme in materia di offerte pubbliche di acquisto obbligatorie (art. 110 TUF), partecipazioni rilevanti (art. 120 TUF), partecipazioni reciproche (art. 121 TUF), patti parasociali (art. 122 TUF) e bilancio (art. 157 TUF) [32]. In questi casi, l’impugnazione può essere proposta anche dalla CONSOB. Infine, l’art. 147 TUF riconosce anche al rappresentante legale degli azionisti la possibilità di assistere all’assemblea della società e di impugnarne le delibere. Da quanto esposto, emerge l’assenza di una disciplina generale sull’invalidità delle delibere nelle società quotate, per cui è necessario riferirsi ancora al codice civile.


4. La delibera del collegio sindacale è impugnabile? le diverse teorie a confronto

Descritta la normativa vigente, è opportuno ripercorrere le divergenti interpretazioni dottrinali elaborate fino ad oggi, che sono state altresì richiamate dalle ricorrenti e dalle resistenti nonché dal Tribunale di Milano nel caso oggetto di analisi. Come anticipato, un primo orientamento dottrinale ha valorizzato il silenzio normativo e ne ha dedotto una precisa scelta del legislatore, che avrebbe escluso la sindacabilità delle delibere [33]. Invero, è stato sostenuto che “laddove il legislatore avesse voluto disciplinare una materia tanto delicata mediante un rinvio alla disciplina del consiglio di amministrazione, l’avrebbe fatto espressamente (come per il consiglio di sorveglianza)” [34]. Conseguentemente, eventuali violazioni di legge da parte dell’organo di controllo dovrebbero essere sanzionate soltanto sul piano della responsabilità e/o della giusta causa di revoca dei singoli sindaci, anche al fine di garantirne l’indipendenza [35]. Un’altra ragione che escluderebbe l’impugnabilità, riguarderebbe la mancanza di autonomia delle delibere: i vizi di queste ultime si riverserebbero necessariamente nelle successive delibere assembleari o, comunque, in quella annuale che approva il bilancio [36]. Tale tesi sembra trovare conforto nella pronuncia della Cassazione secondo cui “l’ill-egittima costituzione del collegio sindacale è destinata ad inficiare la regolarità del procedimento di approvazione del bilancio sociale e della deliberazione assembleare che lo conclude, perché la relazione dei sindaci costituisce indiscutibilmente un momento essenziale di detto procedimento” [37]. In sintesi, dato il contenuto meramente “organizzativo”, le delibere del collegio sindacale avrebbero un valore esclusivamente interno ai procedimenti delle società di capitali. Un secondo orientamento, al contrario, ha ritenuto che l’assenza di riferimenti per impugnare le delibere del collegio sindacale costituirebbe una lacuna normativa, colmabile con il ricorso all’interpretazione analogica. Quest’ultima soluzione, peraltro, ha generato inevitabili contrasti tra chi ritiene applicabili gli artt. 2377 ss. c.c. (impugnazione delle delibere assembleari) e chi l’art. 2388 c.c. (impugnazione delle delibere consiliari). I sostenitori della prima tesi ricordano che, per espresso [continua ..]


4.1. Segue: lo strano caso delle delibere del consiglio di sorveglianza

Come anticipato, il sistema di amministrazione e controllo c.d. dualistico, introdotto con la Riforma del 2003, è caratterizzato da un regime peculiare per impugnare le delibere assunte dal consiglio di sorveglianza [49]. In particolare, l’art. 2409-quaterdecies c.c.: – da una parte, dispone l’applicazione, in quanto compatibile, dell’art. 2388 c.c. per impugnare le delibere consiliari nel sistema tradizionale; – dall’altra, rinvia all’art. 2434-bis c.c. [50] per impugnare le delibere assembleari di approvazione del bilancio. Si tratta, quindi, di una disciplina complessa (detta anche del “doppio binario”) in cui, ad una previsione generale di applicazione delle norme relative alle delibere consiliari, si affianca una regolamentazione specifica che richiama la normativa in materia assembleare. Occorre allora chiedersi se sia rilevante o meno che, con la stessa riforma, il legislatore sia intervenuto positivamente sulla disciplina per impugnare le delibere del consiglio di sorveglianza, ma non su quella del collegio sindacale, sebbene i due organi abbiano alcune competenze in comune. Sul punto, sia i lavori preparatori sia la relazione illustrativa al D.Lgs. n. 6/2003 tacciono e non consentono di rinvenire alcuno spunto per un’interpretazione teleologica della norma. Secondo autorevole dottrina [51], attribuire rilievo alla scelta legislativa di differenziare la disciplina del consiglio di sorveglianza e quella del collegio sindacale, imporrebbe di non applicare analogicamente a quest’ultimo l’art. 2388 c.c., in ragione del mancato richiamo. Conseguentemente, sarebbero prospettabili due alternative: (i) negare tout court l’impugnabilità delle delibere del collegio sindacale; (ii) ritenere che, nei casi in cui il legislatore non abbia disposto diversamente, sia applicabile la generale disciplina sulle delibere assembleari. Ancora una volta, la scelta non è priva di conseguenze. Infatti, l’ipotesi sub (i) comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento per i soci e i terzi a seconda del modello di governance: in particolare, una tutela ridotta di tali soggetti nel sistema tradizionale, rispetto al sistema dualistico [52]. Di contro, l’ipotesi sub (ii) implicherebbe una disciplina peggiorativa per i soci e per i terzi che abbiano optato [continua ..]


5. Il commento. Osservazioni conclusive alla luce dell’ordinanza TIM/Vivendi

Analizzata la normativa rilevante e le diverse teorie sul tema, ci si chiede se il nostro ordinamento giuridico consenta di impugnare le delibere del collegio sindacale e, in caso affermativo, se l’art. 2388 c.c. possa assurgere a principio generale, in grado di ricomprendere tutte le ipotesi prospettabili. Come esaminato in precedenza, il Tribunale di Milano ha riconosciuto apertis verbis l’esistenza di un “principio generale di sindacabilità delle deliberazioni di tutti gli organi sociali” [56], senza però illustrare chiaramente le ragioni che hanno condotto a tale conclusione. L’ordinanza, infatti, afferma tale principio in maniera pressoché tautologica, ricordando che la possibilità di impugnare le delibere, inizialmente prevista soltanto per quelle assembleari, è stata progressivamente estesa (dal legislatore o dalla giurisprudenza) ad ipotesi originariamente non contemplate nel codice civile [57]. Peraltro, affermata la sussistenza di un “principio generale” di sindacabilità delle delibere di tutti gli organi sociali, con riguardo al collegio sindacale, il Tribunale di Milano sembra limitarne l’applicazione alle sole delibere che siano “produttive di effetti diretti rispetto all’organizzazione societaria ovvero rispetto alla posizione di singoli soci”; ipotesi che il Tribunale rinviene nel caso di specie, essendosi il collegio sindacale sostituito al consiglio di amministrazione nella valutazione della richiesta del socio di integrare l’ordine del giorno. La delibera del collegio, quindi, sarebbe impugnabile soltanto perché presenterebbe il medesimo contenuto gestorio della delibera consiliare, della quale costituirebbe un “continuum”. In altri termini, l’ordinanza sembra riconoscere l’impugnabilità delle sole delibere che dispiegano effetti direttamente sulla posizione dei soci o sull’organizzazione societaria, non anche di quelle aventi un carattere meramente interno, come quelle che normalmente assume il collegio sindacale. Quest’ultimo, infatti, è un organo collegiale [58] e necessario [59] delle società per azioni, chiamato a svolgere un incarico professionale e le cui funzioni tipiche non consistono nel gestire la società, ma nel controllare l’attività degli amministratori [60]. Tuttavia, in [continua ..]


NOTE