TRIBUNALE DI ROMA, Ufficio del registro delle imprese, 7 giugno 2011 – Vannucci Giudice del registro
Società per azioni – Nomina di cariche sociali – Doppia assemblea contestuale – Cancellazione d’ufficio di deliberazioni assembleari da parte del giudice del registro
(Art. 2191 c.c.)
I poteri di controllo del giudice del registro si esauriscono nella verifica dell’esistenza dell’atto iscritto e della sua riconducibilità al genus astrattamente previsto dalla legge: compete al giudice ordinario in sede contenziosa accertare la sussistenza di eventuali cause di invalidità di deliberazioni assembleari (1).
Il giudice del registro delle imprese, in persona del magistrato Marco Vannucci, vista l’istanza, sollecitatoria di esercizio del potere officioso di cui all’art. 2191 c.c., presentata da Luciano D’Ulizia, in proprio e quale presidente del consiglio di amministrazione della Fondo per la Promozione e lo Sviluppo della Cooperazione – Promocoop s.p.a., e da Michele Marinelli, in proprio e quale presidente del collegio sindacale della stessa società, con ricorso depositato il 3 giugno 2011; esaminati i documenti allo stesso ricorso allegati; vista la nota del conservatore del 6 giugno 2011, prot. n. 215833/11;
OSSERVA
che con il ricorso sopra indicato si sollecita l’esercizio del potere officioso di cancellazione dal registro delle imprese (art. 2191 c.c.) di atti di accettazione di incarichi gestori e di controllo disposti da delibere assembleari della Promocoop s.p.a., dai ricorrenti ritenute “inesistenti” in presenza dei vizi dedotti nel ricorso medesimo;
che, in concreto, è accaduto che il 27 maggio 2011 il conservatore del registro delle imprese ha iscritto gli atti di accettazione delle nomine di componenti il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale di Promocoop posti in essere in esecuzione di deliberazioni assembleari a contenuto contrastante risultanti da due verbali apparentemente redatti lo stesso giorno 29 aprile 2001;
che, per effetto di tali iscrizioni, la società risulta verso i terzi amministrata da due consigli di amministrazione e controllata da due collegi sindacali;
che la gravissima anomalia derivante da tali iscrizioni è senz’altro foriera di informazioni decettive (per i soci e i terzi) in ordine alle identità delle persone che compongono l’organo di amministrazione e quello di controllo della società;
che tale paradossale conseguenza deriva però da comportamenti imputabili a soggetti diversi dal conservatore del registro delle imprese;
che dalle iscrizioni eseguite nel registro delle imprese risulta il capitale di Promocoop appartiene, rispettivamente, alla Unione Nazionale Cooperative Italiane – UNCI (proprietaria di azioni pari al 98,3% del capitale) e alla Società Finanziaria per la Cooperazione di Produzione e Lavoro SO.FI.COOP. – Società cooperativa (proprietaria di azioni pari all’1,7% del capitale);
che all’assemblea di Promocoop del 29 aprile 2011, apertasi alle ore 11,00, Luciano D’Ulizia (che in quanto presidente del consiglio di amministrazione della società presiedeva l’adunanza ai sensi dell’art. 10 dello statuto) ha accertato la presenza: di Roberto Celenza, quale delegato al voto da UNCI; di Federico Freni, quale delegato al voto di SOFICOOP;
che in conseguenza di tale identificazione e dell’accertamento del diritto all’esercizio del voto in capo ai soci, il presidente ha dichiarato costituita l’assemblea, cui assistevano i componenti del consiglio di amministrazione (Luciano D’Ulizia, Paolo Galligioni e Pasquale Amico) e due componenti del collegio sindacale (Michele Marinelli e Anna Maria Pagliaccetti);
che dal verbale risulta che, prima dell’inizio della discussione, il delegato di SOFICOOP e Paolo Galligioni (che in sé cumulava gli incarichi di componente il consiglio di amministrazione di Promocoop e di presidente del consiglio di amministrazione di UNCI, come tale dotato dei poteri di rappresentanza di detta associazione) si sono allontanati dal luogo ove si teneva la seduta assembleare;
che l’assemblea è quindi proseguita con la presenza del solo Roberto Celenza, delegato del socio UNCI;
che, col voto del solo delegato dal socio UNCI l’assemblea ha: approvato il bilancio di Promocoop relativo all’esercizio al 31 dicembre 2010; revocato il solo Paolo Galligioni dall’incarico di componente il consiglio di amministrazione; nominato, per il triennio 2011-2013, il consiglio di amministrazione nelle persone di Luciano D’Ulizia (con funzioni di presidente), Pasquale Amico e Roberto Celenza; nominato, per lo steso triennio il collegio sindacale nelle persone di Michele Marinelli (con funzioni di presidente), Gennaro Scognamiglio e Antonio Crivello; nominato sindaci supplenti, per il medesimo periodo, Anna Maria Pagliaccetti e Carlo Delle Cese;
che dopo la proclamazione dei risultati l’adunanza appare essersi sciolta alle ore 13,00;
che lo stesso giorno 29 aprile 2001 risulta apparentemente essersi riunita, presso la sede sociale, altra assemblea della Promocoop (per discutere del medesimo ordine del giorno indicato nel verbale dell’assemblea sopra descritta) con l’intervento di: Federico Freni quale delegato del socio SOFICOOP; di Paolo Galligioni, quale presidente dotato dei poteri di rappresentanza del socio UNCI;
che a tale seconda adunanza, tenutasi lo stesso giorno della prima e apparentemente terminata alle ore 11,55, non hanno assistito persone diverse da quelle da ultimo indicate;
che, dopo la nomina di Paolo Galligioni all’incarico di presidente dell’assemblea (in, ovvia, assenza di D’Ulizia), col voto dell’amministratore dotato dei poteri di rappresentanza del socio UNCI (Galligioni) e con quello del delegato (Freni) del socio SOFICOOP, tale assemblea “parallela” ha: deciso di rinviare ad altra data l’approvazione del bilancio di Promocoop relativo all’esercizio al 31 dicembre 2010; dopo avere accertato la scadenza del termine di durata dell’organo amministrativo e di quello di controllo, nominato, per il triennio 2011-2013, il consiglio di amministrazione di Promocoop nelle persone di Donato Sciannameo (con funzioni di presidente), Giacomo Venuto e Alessio Rigido; nominato, per lo steso triennio il collegio sindacale della stessa società nelle persone di Stefano Gennarelli (con funzioni di presidente), Luigi Campanile e Diego Locci; nominato sindaci supplenti, per il medesimo periodo, Maurizio Di Franco e Gabriele Di Criscio;
che non rientra fra i poteri del conservatore del registro delle imprese, e quindi anche del giudice che sul registro esercita la vigilanza, accertare quale delle decisioni contrapposte, rispettivamente contenute in due verbali apparentemente estratti dal libro dei verbali delle assemblee, sia riferibile all’assemblea di Promocoop, dal momento che le decisioni medesime non vennero assunte da occasionali passanti (nel qual caso limite potrebbe ravvisarsi una assoluta non riferibilità delle decisioni a organo assembleare della società), ma, con riferimento al socio UNCI, rispettivamente da persona dotata del potere di rappresentanza sostanziale dell’associazione (Paolo Galligioni; nei cui confronti non trova, pacificamente, applicazione il precetto di cui all’art. 2372, quinto comma, c.c., non essendo egli delegato dall’ente nel senso indicato dalla disposizione ma, come detto, persona dotata, per effetto di rapporto di immedesimazione organica, del potere di rappresentanza sostanziale dell’ente medesimo verso i terzi) e, in senso divergente dalla prima, da persona delegata al voto in assemblea dall’organo amministrativo della stessa associazione (Roberto Celenza);
che, in altre parole: entrambi i verbali contenenti le decisioni contrapposte sono apparentemente riferibili a assemblea di Promocoop; il socio UNCI risulta essere rappresentato in una assemblea da delegato dall’organo amministrativo dell’associazione e in un’altra da persona dotata dei poteri di rappresentanza sostanziale dell’ente; nessuno dei vizi denunciati dai ricorrenti determina manifesta inesistenza dell’una ovvero dell’altra deliberazione (nel senso che la riforma del diritto delle società di capitali ha tendenzialmente indicato la volontà del legislatore di non lasciare che un angusto spazio alla categoria dell’inesistenza delle deliberazioni assembleari delle società per azioni, è la costante giurisprudenza del tribunale di Roma; cfr. altresì di recente, in motivazione, Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361); nel caso concreto l’accertamento relativo a quali debbano essere le delibere assembleari efficaci verso Promocoop e i terzi e quali quelle invalide appartiene al giudice ordinario in sede contenziosa (cui spetterà, fra l’altro, accertare quale delle manifestazioni divergenti di volontà imputabili al socio UNCI sia efficace nei confronti di quest’ultimo e verso Promocoop), non certo al conservatore ovvero al giudice del registro delle imprese, tenuti solo alla verifica dell’esistenza di atti qualificabili come deliberazioni assembleari, non certo a sindacare vizi, determinanti invalidità ovvero inefficacia di tali decisioni nei confronti della società e dei terzi (in questo senso, di recente Trib. Roma, decr. 20 dicembre 2010, citato nella nota del conservatore e emesso su reclamo di decreto del giudice del registro delle imprese, che aveva confermato il rifiuto del conservatore a iscrivere deliberazione relativa a operazione sul capitale contenuta in verbale redatto da notaio sul rilievo che nessuna decisione risultava assunta dall’assemblea, avendo il socio titolare del 50% del capitale votato a favore dell’operazione mentre il socio titolare della residua metà aveva votato contro);
P.Q.M.
dichiara che non sussistono i presupposti richiesti dalla legge per ordinare le cancellazioni officiose degli atti indicati nel ricorso in epigrafe indicato.
TRIBUNALE DI ROMA, 18 giugno 2012 – Raganelli Presidente – Vannucci Relatore
Società per azioni – Invalidità delle deliberazioni assembleari – Patto parasociale – Sospensione dell’esecuzione delle delibere
(Art. 2378, 3° comma, c.c.; art. 2379, 1° comma, c.c.)
Le decisioni dei soci di s.p.a. assunte al di fuori di un contesto assembleare costituiscono patto parasociale e non sono opponibili alla società (2).
È legittimo il provvedimento con cui il Tribunale, sulla base di una prognosi di invalidità dell’atto controverso, accoglie la richiesta di sospensione, formulata a norma dell’art. 2378, 3° comma, c.c., di deliberazione assembleare di nomina delle cariche sociali (3).
Il Tribunale di Roma,
Sezione terza civile,
riunito in camera di consiglio in persona dei magistrati
Elena Raganelli
presidente
Marco Vannucci
giudice relatore
Stefano Cardinali giudice
visti gli atti del procedimento di reclamo cautelare n. 55624/11 r.g. recl. e quelli del processo di merito n. 42733/11 r.g.a.c. fra Luciano D’Ulizia, Pasquale Amico, Roberto Celenza (procuratore: avvocato Filippo Lino Jacopo Silvestri), la Fondo per la Promozione e lo Sviluppo della Cooperazione – Promocoop s.p.a., in persona del curatore speciale avvocato Gian Luca Piccinni (procuratori: avvocati Gian Luca Piccinni e Alessandro Lembo), la Unione Nazionale Cooperative Italiane – UNCI (procuratori: avvocati Maria Cristina Pieretti e Alessandro Iodice) e la SO.FI.COOP. – Società Finanziaria per la Cooperazione di Produzione e Lavoro soc. coop. (procuratore: avvocato Luigi Medugno); sentiti in camera di consiglio i difensori con procura delle parti costituite nel procedimento di reclamo e nel processo di merito; udita la relazione del giudice relatore,
OSSERVA
Le modalità di formazione della volontà imputabile ai soci, aventi diritto di voto, di società per azioni (ovvero ai soggetti, da costoro diversi, titolari del diritto a esprimere una volontà incidente sulla decisione imputabile alla collettività: art. 2352 c.c.), secondo il sistema maggioritario informante di sé la disciplina legale comune alle società di capitali, sono necessariamente fondate sul procedimento assembleare disciplinato dalla legge (artt. 2363 – 2376 c.c.) e dallo statuto mercé una serie di disposizioni di natura organizzativa funzionali, attraverso il compimento di una serie di atti, a consentire l’espressione di una volontà a contenuto negoziale. Tale manifestazione si sostanzia in una o più deliberazioni imputabili all’assemblea, quale organo collegiale, e vincolanti, ove prese in conformità della legge e dello statuto, tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti (art. 2377, primo comma, c.c.) e gli organi, amministrativi e di controllo della società.
A differenza, dunque, di quanto è dato riscontrare nella disciplina legale delle società a responsabilità limitata (in cui le decisioni imputabili ai soci possono essere assunte con modalità di formazione del consenso, aventi forma scritta, diversi da quello assembleare: art. 2479, terzo comma, c.c.), il metodo assembleare nella società per azioni, avente la disciplina del relativo svolgimento nella legge e nello statuto, costituisce la sola, complessa, fattispecie negoziale a formazione progressiva che consente di imputare all’assemblea della società stessa una o più deliberazioni, vincolanti (in taluni casi al verificarsi di specifiche condizioni di efficacia: vedi art. 2436 c.c.), tutti i soci e gli organi amministrativi e di controllo della società medesima.
In altre parole, le decisioni dei soci incidenti sull’organizzazione sociale possono legittimamente essere assunte solo all’interno del procedimento assembleare, secondo le regole che lo disciplinano. Così, se i due soci proprietari delle azioni rappresentanti l’intero capitale di una società per azioni si incontrano presso il domicilio di uno di loro e decidono, per iscritto, di autorizzare gli amministratori al compimento di una specifica operazione, la decisione (costituente patto parasociale) potrà vincolare solo costoro, ma non sarà di certo opponibile alla società perché non adottata nell’osservanza delle regole disciplinante il metodo assembleare.
Qualunque violazione delle regole, di fonte legale ovvero statutaria, disciplinanti tale procedimento di formazione della volontà assembleare costituisce vizio determinante, di regola, annullabilità (art. 2377 c.c.) e, eccezionalmente, nullità, in taluni casi sanabile, della decisione collettiva (artt. 2379, 2379-bis c.c.).
Nel caso oggetto della sollecitata decisione cautelare tutte le regole del procedimento appaiono essere state violate.
Il capitale della Fondo per la Promozione e lo Sviluppo della Cooperazione – Promocoop s.p.a. (di seguito indicata come “Promocoop”), pari a nominali E 120.000, appartiene, rispettivamente, alla Unione Nazionale Cooperative Italiane – UNCI (proprietaria di azioni pari al 98,3% del capitale; di seguito indicata come “UNCI”) e alla Società Finanziaria per la Cooperazione di Produzione e Lavoro SO.FI.COOP. – società cooperativa (proprietaria di azioni pari all’1,7% del capitale; di seguito indicata come “Soficoop”).
Per effetto di convocazione effettuata dal consiglio di amministrazione di Promocoop, all’assemblea di tale società svoltasi a partire dalle ore 11,00 del 29 aprile 2011, Luciano D’Ulizia (che in quanto presidente del consiglio di amministrazione della società presiedeva l’adunanza ai sensi dell’art. 10 del relativo statuto) ha accertato la presenza: di Roberto Celenza, quale delegato al voto da UNCI; di Federico Freni, quale delegato al voto da Soficoop.
In conseguenza di tale identificazione e dell’accertamento del diritto all’esercizio del voto in capo ai soci, il presidente ha dichiarato costituita l’assemblea, cui hanno presenziato i componenti del consiglio di amministrazione (Luciano D’Ulizia, Paolo Galligioni e Pasquale Amico) e due componenti del collegio sindacale (Michele Marinelli e Anna Maria Pagliaccetti) di Promocoop.
Dal contenuto del verbale risulta che, prima dell’inizio della discussione, il delegato da Soficoop e Paolo Galligioni (che in sé cumulava gli incarichi di componente il consiglio di amministrazione di Promocoop e di presidente del consiglio di amministrazione di UNCI, come tale dotato dei poteri di rappresentanza di detta associazione, ma che non risultava essere presente all’adunanza anche quale rappresentante statutario di UNCI) si sono allontanati dal luogo ove si teneva la seduta assembleare. Dal contenuto dello stesso verbale non risulta punto che a Galligioni sia stata precluso, dal presidente dell’assemblea, l’intervento nella stessa adunanza quale rappresentante statutario di UNCI.
L’assemblea è quindi proseguita con la presenza del solo Roberto Celenza, delegato dal socio UNCI (art. 2372 c.c.).
Col voto del solo delegato dal socio UNCI l’assemblea ha: approvato il bilancio di Promocoop relativo all’esercizio al 31 dicembre 2010; revocato il solo Paolo Galligioni dall’incarico di componente il consiglio di amministrazione; nominato, per il triennio 2011-2013, il consiglio di amministrazione nelle persone di Luciano D’Ulizia (con funzioni di presidente), Pasquale Amico e Roberto Celenza; nominato, per lo steso triennio il collegio sindacale nelle persone di Michele Marinelli (con funzioni di presidente), Gennaro Scognamiglio e Antonio Crivello; nominato sindaci supplenti, per il medesimo periodo, Anna Maria Pagliaccetti e Carlo Delle Cese.
Dopo la proclamazione dei risultati l’adunanza appare essersi sciolta alle ore 13,00.
Nel periodo temporale successivo all’abbandono da parte di Galligioni e Freni della sala ove si teneva tale assemblea, a partire dalle ore 11,32 fino alle ore 11,55, tali persone fisiche si riunirono da sole (non erano presenti altri amministratori di Promocoop e i due sindaci presenti all’assemblea da Galligioni e Freni abbandonata) in un altro locale ubicato presso la sede di Promocoop e, nelle loro rispettive qualità di amministratore dotato dei poteri di rappresentanza del socio UNCI e di delegato del socio Soficoop, hanno espresso consenso unanime, in ordine alle seguenti decisioni: rinvio ad altra data dell’approvazione del bilancio di Promocoop relativo all’esercizio al 31 dicembre 2010; nomina, per il triennio 2011-2013, il consiglio di amministrazione di Promocoop nelle persone di Donato Sciannameo (con funzioni di presidente), Giacomo Venuto e Alessio Rigido; nomina, per lo steso triennio, del collegio sindacale della stessa società nelle persone di Stefano Gennarelli (con funzioni di presidente), Luigi Campanile e Diego Locci; nomina, quali sindaci supplenti per il medesimo periodo, di Maurizio Di Franco e Gabriele Di Criscio.
Gli amministratori rispettivamente nominati con tali decisioni di segno contrapposto (frutto di una rissa di potere, senza quartiere e ammantata dal richiamo cavilli mascherati da regole, interna a UNCI che ha ulteriormente aggravato il già cospicuo carico di lavoro di questo tribunale) hanno, in maniera affatto spregiudicata, depositato, per le relative iscrizioni nel registro delle imprese (ex artt. 2383, quarto comma e 2400, terzo comma, c.c.), gli atti di accettazione degli incarichi ad amministratori e sindaci espressi dalle stesse decisioni.
Le decisioni in questo processo impugnate (quelle assunte col consenso espresso da Galligioni, in nome e per conto di UNCI, e da Freni, in nome e per conto di Soficoop, nel periodo intercorso fra le ore 11,32 e le ore 11,55 del giorno 29 aprile 2011), ancorché riferibili alle persone dei soci di Promocoop, vennero chiaramente adottate in forma extra-assembleare; con conseguente sussistenza di prognosi di fondatezza della relativa invalidità fatta valere con l’impugnazione da parte di D’Ulizia, Amico e Celenza (nominati amministratori di Promocoop col solo voto espresso dal delegato di UNCI nell’assemblea della società apertasi alle ore 11,00 e terminata alle ore 13,00 del giorno 29 aprile 2011), espressa dall’ordinanza in questa sede reclamata.
L’accertamento della titolarità del potere di rappresentare UNCI in seno all’assemblea da ultimo indicata da parte del delegato non forma oggetto di questo processo, bensì di altro processo fra le stesse parti pendente avanti questo tribunale.
In conclusione, la decisione cautelare deve essere confermata.
La regolamentazione delle spese del procedimento di reclamo, costituente ulteriore fase di procedimento cautelare incidentale al processo di merito pendente fra le odierne parti, è riservata alla sentenza definitiva del processo, relativo all’azione di cui qui si è discusso, nel cui ambito si è svolto l’incidente cautelare.
Invero, alla luce dei precetti rispettivamente recati dagli artt. 669-septies, secondo comma, e 669-octies, settimo comma, c.p.c., l’obbligo giudiziale di pronuncia sulle spese del procedimento cautelare sussiste solo: in caso di rigetto di istanza cautelare proposta prima dell’inizio della causa di merito relativa al diritto cautelando; in caso di accoglimento di istanza cautelare funzionale a ottenere l’adozione di provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito, del pari proposta prima dell’inizio della causa di merito relativa al diritto cautelando.
Nel caso di accoglimento o rigetto di istanza cautelare interna a processo di merito, la pronuncia sulle spese del procedimento cautelare incidentale è dunque riservata alla sentenza che definisce il processo.
Anche a tal fine, il fascicolo d’ufficio del procedimento di reclamo dovrà essere inserito nel fascicolo d’ufficio della causa di merito.
P.Q.M.
conferma l’ordinanza emessa il 13 settembre 2011 dal giudice designato dal presidente del tribunale di Roma per la trattazione del procedimento cautelare incidentale al processo di merito n. 42733/2011 r.g.a.c., con la quale è stata sospesa l’esecuzione delle decisioni extra-assembleari assunte, fra le ore 11,32 e le ore 11,55 del giorno 29 aprile 2011 dalla Unione Nazionale Cooperative Italiane – UNCI (in nome e per conto della quale ha agito l’amministratore dotato dei poteri di rappresentanza Paolo Galligioni) e dalla SO.FI.COOP. – Società Finanziaria per la Cooperazione di Produzione e Lavoro soc. coop. (in nome e per conto della quale agiva il delegato per l’assemblea Federico Freni), socie della Fondo per la Promozione e lo Sviluppo della Cooperazione – Promocoop s.p.a.
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I provvedimenti quivi annotati fanno capo ad una deprecabile vicenda societaria: la Promocoop s.p.a., il cui capitale è posseduto quasi interamente dall’UNCI (l’Unione Nazionale Cooperative Italiane) e, per la quota residua, da una società cooperativa (SO.FI.COOP.), si trova ad assumere, nell’arco di una mattina, un assetto organizzativo manifestamente schizofrenico. La patologia nasce dalla sovrapposizione di due delibere di nomina delle cariche sociali aventi segno opposto, frutto, a loro volta, di due distinti episodi assembleari: l’uno svoltosi nel rispetto delle forme di legge e delle relative garanzie procedimentali, l’altro palesemente contra ordinem, sorto, quasi per gemmazione, dal precedente. In particolare, una volta costituitasi regolarmente la prima assemblea, il presidente registra a verbale l’allontanamento dal luogo di riunione di due soggetti, pur inizialmente presenti: un consigliere di amministrazione della Promocoop e il delegato al voto di SO.FI.COOP., i quali danno vita ex abrupto ad un consesso parallelo, pretendendo di surrogarsi all’assemblea legittimamente in corso. Del resto, il primo dei due citati protagonisti della secessione, cumulando su di sé l’ulteriore ufficio di presidente del consiglio di amministrazione dell’UNCI, è astrattamente in grado di spendere, attraverso il voto, la volontà negoziale dell’associazione quale suo rappresentante statutario. Il risultato della vicenda, apparentemente paradossale, è il seguente: la prima assemblea adotta a maggioranza una data deliberazione con la quale provvede alla nomina dei membri del collegio sindacale e del consiglio di amministrazione di Promocoop; contestualmente, dalla vicina “sala della Pallacorda”, viene deliberata, teoricamente all’unanimità, una composizione dei suddetti organi del tutto differente. Segue l’iscrizione nel registro delle imprese degli atti di accettazione delle nomine. Così, i presidenti degli organi di amministrazione e controllo nominati secundum legem promuovono istanza ex art. 2191 c.c., sollecitando il giudice del registro a disporre la cancellazione dell’accettazione dei rivali. Non è questa, tuttavia, la sede – afferma il giudice “adìto” – per accertare quali tra le delibere in gioco debbano considerarsi [continua ..]
A norma dell’art. 2191 c.c., la rimozione dal sistema di pubblicità legale di un atto precedentemente iscritto costituisce l’oggetto di un potere del giudice del registro esercitabile d’ufficio sul presupposto che egli ravvisi la carenza in concreto delle condizioni richieste dalla legge ad regularitatem. È affermazione sufficientemente consolidata di certa giurisprudenza che i poteri del giudice del registro siano circoscritti al controllo di legittimità formale dell’atto della cui iscrizione si tratta, esaurendosi nella verifica della sua corrispondenza tipologica al genus previsto in astratto dalla legge [1]. La censura di eventuali vizi di validità sostanziale resterebbe pertanto al di fuori della sfera di controllo del giudice del registro, salvo trattarsi di vizi prima facie identificabili [2] e tali da privare l’atto dei prerequisiti minimi e indefettibili per la sua giuridica esistenza o comunque per la sua riconducibilità al “tipo” normativo di atto iscrivibile. Del resto, l’attribuzione di un potere accertativo che non necessariamente si radica in un impulso di parte sta a significare la volontà di tutelare interessi generali, sottratti alla disponibilità dei soggetti autori dell’atto e dei diretti “controinteressati”: il procedimento ex art. 2191 c.c., è caratterizzato, con ogni evidenza, dai moduli della volontaria giurisdizione, ed è dunque destinato a sfociare in un provvedimento “privo del carattere di definitività, in quanto relativo a materia che potrebbe liberamente formare oggetto di ordinario giudizio di cognizione, nonché privo del carattere di decisorietà, in quanto, non incidendo su posizioni di diritto soggettivo, si risolve in un mero atto di gestione di un pubblico registro a tutela di interessi generali” [3]. Il giudice, in questa sede, non svolge attività propriamente giurisdizionale, assolvendo piuttosto ad una funzione (lato sensu) amministrativa [4]: del resto, al terzo che entra in contatto d’affari con la società interessa che l’atto esista effettivamente, in modo da orientare il suo operato successivo; l’interesse alla validità dell’atto, intesa come conformità al paradigma normativo, potrà essere soddisfatto solo dal sistema di tutela giurisdizionale dei diritti, e [continua ..]
Orbene, è noto che nelle società azionarie la deliberazione assembleare rappresenta l’atto terminale di un procedimento governato da un “metodo” legalmente predefinito e tendenzialmente indisponibile. Il procedimento assembleare è, per così dire, la forma della funzione deliberativa. L’osservanza delle formalità imposte dalla disciplina legale (e statutaria) del procedimento si pone come condizione di imputazione della delibera all’assemblea, e, dunque, all’ente societario nel suo complesso [6]. E imputazione alla società di una determinata volontà negoziale significa costituzione di un vincolo non meramente inter partes, bensì destinato a proiettarsi sul piano dei rapporti sociali: un vincolo che viene a saldarsi alla partecipazione sociale in quanto tale, che accede, pertanto, alla posizione dell’azionista uti socius e non uti singulus, e che con essa circolerà in virtù di siffatta inerenza. È questo che differenzia il sociale dal parasociale: una pattuizione avente carattere sociale produce gli effetti giuridici di cui all’art. 1372 c.c. nei confronti di chiunque, in ogni momento, venga ad assumere la qualità di socio. Diversamente, un patto parasociale non si incorpora nel contratto di società; afferisce bensì alla persona dei contraenti, con la conseguenza che il trasferimento della quota di partecipazione al capitale non determina una correlativa traslazione in capo all’avente causa delle regole di condotta sancite in via parasociale. L’ordinanza del Tribunale di Roma offre in proposito un interessante spunto di riflessione. Una volta chiarito che nelle società per azioni la vincolatività erga omnes di una determinata decisione dei soci è il risultato di una “complessa fattispecie negoziale a formazione progressiva” il cui perfezionamento esige il rispetto di moduli procedimentali rigorosi, l’ordinanza afferma la non opponibilità alla società e, più in particolare, la natura di patto parasociale di un’ipotetica decisione con la quale i soci, pur rappresentanti l’interezza del capitale, incontratisi presso il domicilio di uno di loro, dunque al di fuori del contesto assembleare disciplinato dal codice civile, autorizzassero gli amministratori al compimento di una specifica operazione. E analoghe [continua ..]
Dal punto di vista processuale, l’ordinanza del Tribunale di Roma aderisce all’orientamento, ormai dominante in dottrina [12] e in giurisprudenza [13], secondo cui il rimedio cautelare approntato dall’art. 2378, 3° comma, c.c., sarebbe invocabile anche nei riguardi di una delibera a carattere organizzativo insuscettibile di esecuzione materiale in senso stretto, e idonea, per converso, a produrre ex se effetti giuridicamente rilevanti, quantunque non immediatamente apprezzabili sul piano fattuale. È tale, ad esempio, l’atto di nomina degli amministratori della società, una delibera, cioè, che trae da se stessa la capacità di incidere sugli assetti organizzativi dell’ente, senza postulare il concorso di alcuna attività tecnicamente esecutiva. Vero è che il rigore della littera legis imporrebbe di escludere simili delibere dal novero degli atti sospendibili: ciò che la legge consente di paralizzare attraverso l’esperimento del rimedio sospensivo è, propriamente, l’esecuzione di una delibera assembleare, con la conseguenza che non potrebbero accedere alla tutela cautelare in esame le c.d. deliberazioni self-executing. Cionondimeno, una simile accezione restrittiva rischierebbe di apparire ingiustificata, al punto da costringere taluni interpreti a rinnegare la natura auto-esecutiva delle deliberazioni de quibus, sostenendo, ad esempio, che neppure alla nomina assembleare di cariche sociali possa dirsi davvero estranea una qualche prospettiva di esecuzione aliunde, eventualmente ravvisabile nella futura attuazione del mandato gestorio o dell’incarico di vigilanza da parte di amministratori e sindaci, o ancora, più semplicemente, nel preliminare atto di accettazione dei soggetti nominati e nel loro effettivo insediamento [14]. Pertanto, la più recente giurisprudenza ha ritenuto preferibile una ricostruzione del dato normativo fondata su un’interpretazione estensiva del significato giuridico di “esecuzione”, alla stregua della quale la misura inibitoria si atteggia a generico atto di paralisi dell’efficacia giuridica del deliberato. Di conseguenza, la sospensione dovrà essere concessa, ricorrendone i presupposti, ogniqualvolta la delibera risulti suscettibile “di continuare a produrre la propria efficacia, perché non vi è distinzione sostanziale fra efficacia ed [continua ..]
Non sembra, invece, esser giunta ad una soluzione soddisfacente la questione relativa alla natura, conservativa o anticipatoria, del provvedimento di sospensione di una delibera assembleare. La dottrina tradizionale [16] riconduce l’utilità dell’ordinanza sospensiva al c.d. pericolo da infruttuosità, inferendone la natura conservativa: il provvedimento mirerebbe esclusivamente ad elidere, sia pure in via provvisoria, gli effetti prodotti da uno scorretto esercizio del potere della maggioranza assembleare nella sfera giuridica degli azionisti impugnanti, preservandola dal rischio che, nelle more del processo a cognizione piena, intervengano e si consolidino situazioni di fatto, consequenziali al contenuto programmatico della delibera censurata, tali da pregiudicare irreversibilmente la concreta attuazione dell’emananda sentenza. La dottrina più recente [17] si è mossa, invece, nell’opposta direzione, sostenendo l’idoneità dell’inibitoria ex art. 2378, 3° comma, c.c., “ad anticipare gli effetti della sentenza di merito” e, pertanto, a norma del penultimo comma dell’art. 669-octies c.p.c., la sua “relativa autonomia” rispetto al giudizio a cognizione piena (da intendersi come sopravvivenza del provvedimento cautelare all’eventuale estinzione del giudizio di merito). È evidente, allora, l’estrema delicatezza della questione, in ragione delle implicazioni processuali, di non secondario rilievo, che il codice di rito ricollega all’una piuttosto che all’altra opzione esegetica. Si tratterà, a tal fine, di vagliare due ulteriori profili, la cui disamina è logicamente preliminare ad un corretto inquadramento del provvedimento di sospensione. In particolare, si tratterà: a) di identificare l’esatto contenuto della statuizione di merito nei giudizi di impugnazione delle delibere assembleari (statuizione rispetto alla quale si postula, in via di mera ipotesi, la portata anticipatoria dell’ordinanza cautelare de qua); b) e di determinare con sufficiente rigore il significato stesso dell’espressione “anticipazione degli effetti”. Il primo profilo di indagine richiede una precisazione: la distinzione tra nullità e annullamento, in materia di impugnazione delle deliberazioni assembleari, assume una valenza puramente descrittiva, venendo ad [continua ..]
L’ostacolo principale, dal punto di vista dogmatico, al riconoscimento di un effetto “conformativo” [25] alla sentenza di annullamento, è rappresentato, storicamente, dalla teorica di matrice chiovendiana che radica il modello di tutela ex art. 2908 c.c. nella figura del diritto potestativo sostanziale: la pretesa di identificare nell’Aufhebungsanspruch, quale diritto potestativo dell’impugnante alla caducazione dell’atto impugnato, lo strumento di misurazione dei confini dello Streitgegenstand (= oggetto del processo), conduce a risultati inappaganti, non potendo impedire in alcun modo che la stessa distorsione funzionale censurata dal giudicato costitutivo venga reiterata in un successivo episodio di esercizio del medesimo potere. È questo un corollario della natura strumentale del diritto potestativo, che “cessa di esistere nel momento in cui la sentenza acquista l’autorità di giudicato” [26], poiché con essa si produce l’effetto finale cui è preordinato. È evidente che una sentenza di annullamento così strutturata rappresenti, nelle mani dell’azionista impugnante, un’arma spuntata. E ben si comprende la reazione fortemente critica della dottrina successiva, la quale, nel tentativo di attribuire alla sentenza costitutiva una portata più incisiva sul terreno del diritto sostanziale, ha prospettato, alternativamente, due modelli di ricostruzione dell’istituto profondamente diversi, in ragione dell’inclusione o meno, nell’area del giudicato, dei presupposti di merito dell’effetto caducatorio. Infatti, una prima linea di pensiero ha ritenuto che il quid proprium della tutela di cui all’art. 2908 c.c. fosse ravvisabile in un effetto di Festlegung (e non già di mera Feststellung), inteso come prescrizione, vincolante per il futuro, del dover essere del rapporto giuridico sostanziale tra i soggetti in lite: detto diversamente, l’immutazione della realtà giuridica impressa dal giudicato costitutivo verrebbe a tradursi nella fissazione di una disciplina del rapporto dedotto dalle parti, sulla base di una cognizione o “accertamento logico” (privo, pertanto, di efficacia di giudicato) circa la “sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’attribuzione della tutela richiesta” [27]. Altra dottrina [28], invece, [continua ..]