<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La progressiva 'messa a fuoco' del significato dell´art. 2497, 3° comma, c.c. (di Lorenzo Benedetti)


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CASSAZIONE CIVILE, I Sezione, 5 dicembre 2017, n. 29139 – Ambrosio Presidente – Nazzicone Relatore   Direzione e coordinamento – Azione di responsabilità del socio – Condizione di procedibilità per l’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento – Infruttuosa escussione del patrimonio della controllata – Esclusione L’art. 2497 c.c., 3° comma, c.c. non prevede una condizione di procedibilità del­l’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita dalla infruttuosa escussione, da parte del socio della società controllata, del patrimonio di questa o dalla previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento.   FATTI DI CAUSA   La Corte d’appello di Messina con sentenza del 4 febbraio 2014 ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città dell’8 maggio 2008, la quale, per quanto qui rileva, ha dichiarato improcedibile la domanda proposta nel gennaio 2007, ai sensi dell’art. 2497 c.c., comma 1, da I. s.r.l. ed M.A.P., soci di minoranza della S. Telecomunicazioni s.r.l., avverso la controllante di quest’ultima, la G. Solutions Italia S.p.A., nonché contro la G. Finance Holdings B.V., unica azionista della prima; la corte d’appello ha, inoltre, confermato la decisione di primo grado, laddove essa ha statuito la competenza del giudice ordinario e l’insussistenza della competenza arbitrale sull’azione proposta nei confronti degli amministratori della società dominata. La corte territoriale ha condiviso la tesi del tribunale, secondo cui la procedibilità della domanda dei soci della controllata, volta alla condanna della capogruppo (e della controllante di questa, dopo l’estinzione della stessa) al risarcimento del danno per la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, è subordinata alla preventiva escussione del patrimonio della controllata medesima. Ha ritenuto che a tale conclusione induce il dato letterale della norma, il quale individua il patrimonio della società dominata come da aggredire in prima battuta, nonché il corretto equilibrio tra le posizioni dei soci e creditori della controllata e quelle dei soci e creditori della controllante, evitando che i soci esterni di questa siano inutilmente aggrediti. Quanto alla eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dagli ex amministratori della società dominata, ha osservato che la clausola compromissoria è stata eliminata dall’assemblea straordinaria di S. Telecomunicazioni s.p.a. del 28 [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Gli orientamenti delle precedenti pronunce sull’art. 2497, 3° comma, c.c. Critica - 3. L’interpretazione dell’art. 2497, 3° comma, c.c. proposta dalla sentenza in esame - 4. L’autonomo carattere precettivo del­l’art. 2497, 3° comma, c.c. - 5. Segue - 6. L’art. 2497, 3° comma, c.c. e i creditori della società dominata - 7. Risvolti processuali della tesi accolta dalla Cassazione - 8. Conclusioni - NOTE


1. Il caso

La fattispecie oggetto della controversia qui esaminata è piuttosto semplice: i soci di minoranza di una società esperivano un’a­zione risarcitoria ai sensi dell’art. 2497, 1° comma, c.c. nei confronti della holding del gruppo, nonché nei confronti della società che controllava direttamente l’ente danneggiato. Tanto il giudice di primo grado quanto la Corte d’Appello dichiaravano improcedibile la domanda, in quanto l’azione risarcitoria dei soci della dominata per violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale sarebbe subordinata, ai sensi dell’art. 2497, 3° comma, c.c., alla preventiva escussione della stessa società eterodiretta. La Suprema Corte ha invece accolto il ricorso contro la decisione adottata in appello, negando che l’art. 2497, 3° comma, c.c. preveda quella condizione di procedibilità dell’azione del socio contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento configurata dai giudici di merito.


2. Gli orientamenti delle precedenti pronunce sull’art. 2497, 3° comma, c.c. Critica

La sentenza in esame costituisce un ulteriore contributo alla ricostruzione del significato dell’art. 2497, 3° comma, c.c., definito dai più come “singolarmente oscuro”, “contrario a ogni logica” e fonte di “imbarazzi ed equivoci” [1], ma ritenuto, al contem­po, “norma chiave” per la comprensione della prevista risarcibilità del danno riflesso da abuso di eterodirezione in termini coerenti con il sistema [2]. Nell’interpretare quella norma, la Suprema Corte ha negato la fondatezza della tesi ad avviso della quale essa configurerebbe un onere di preventiva escussione dell’ete­rodiretta danneggiata a carico dei soci, i quali potrebbero agire nei confronti della capogruppo solo successivamente, se insoddisfatti [3]. Più specificamente, la sentenza in esame ha sostenuto l’opinabilità di entrambe le versioni della ricostruzione appena rappresentata [4]: ad avviso della Cassazione la lettera dell’art. 2497, 3° comma, c.c. non prescrive l’onere per i danneggiati ex art. 2497, 1° comma, c.c. né di agire preventivamente (o in sede di giudizio di cognizione; o in sede di esecuzione forzata) contro la società dominata, né di richiederle anche in via stragiudiziale il risarcimento del danno [5]. Ne consegue – secondo la Corte – che il socio della eterodiretta non è neppure titolare del diritto di essere risarcito dalla stessa per fatto della capogruppo, ossia non ha un’azione risarcitoria per attività di direzione e coordinamento abusiva contro la propria società. Peraltro, oltre alle argomentazioni addotte dalla Cassazione [6], contro l’esistenza di un beneficium excussionis a favore della capogruppo si può sostenere che: – ammettendone l’esistenza e individuando in esso una condizione dell’azione esecutiva verso la holding – ossia interpretando il 3° comma dell’art. 2497 c.c. come l’art. 2304 c.c. [7] –, la responsabilità della capogruppo assumerebbe carattere sussidiario rispetto a quella dell’eterodiretta. Tale esito interpretativo appare, tuttavia, difficilmente conciliabile con l’art. 2497 c.c., che sembra attribuire, al contrario, carattere principale alla prestazione risarcitoria della [continua ..]


3. L’interpretazione dell’art. 2497, 3° comma, c.c. proposta dalla sentenza in esame

La Suprema Corte ha riconosciuto in modo condivisibile che il passaggio fondamentale per proporre una ricostruzione soddisfacente della disposizione in esame consiste nel cogliere il significato del termine “soddisfatti” riferito dalla norma in esame tanto ai soci quanto ai creditori dell’ete­ro­diretta, dato che, una volta individuate le ipotesi in cui gli uni o gli altri possono dirsi tali, risultano definiti di conseguenza anche i casi nei quali essi non sono legittimati ad agire ex art. 2497, 1° comma, c.c. Alla stregua di tale premessa, per quanto concerne i soci della dominata, la Cassazione pare aver recepito quello spunto dottrinale secondo il quale la disposizione in esame non discorre di “adempimento “, ma di una “soddisfazione”, così facendo intendere che in essa non tanto si tratti dell’eser­cizio di una pretesa risarcitoria nei confronti della società controllata e del suo adempimento di un obbligo (risarcitorio), quanto di una presa d’atto che, se gli interessi dei soci esterni della società dominata sono stati soddisfatti dalla stessa al proprio interno, non sussiste una pretesa risarcitoria nei confronti della controllante. Anzi neppure esiste un danno risarcibile, poiché tale è in definitiva quello di non aver avuto soddisfazione dei propri interessi nella controllata [12]. La soddisfazione menzionata dalla norma in esame è da intendere, dunque – secondo l’insegnamento della dottrina civilistica [13] – come attribuzione ai soci della dominata di un’utilità che ne realizza l’interesse leso dall’eterodirezione abusiva (alla reddittività e al valore della partecipazione sociale) [14]. In altri termini, l’intervento satisfattivo del­l’eterodiretta quale terza estranea all’ob­bli­gazione risarcitoria gravante unicamente sulla capogruppo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., elide il danno patito dai soci minoritari e con esso la loro legittimazione ad agire nei confronti della holding [15].


4. L’autonomo carattere precettivo del­l’art. 2497, 3° comma, c.c.

A tale ricostruzione dell’art. 2497, 3° comma, c.c., parte della dottrina ha obiettato che essa rende la norma del tutto superflua, non essendoci alcuna necessità di statuire con una disposizione specifica l’ovvia carenza, a seguito del risarcimento corrisposto dall’eterodiretta, della legittimazione dei suoi soci ad agire verso la holding per un danno ormai ristorato [16]. Tale rilievo, tuttavia, sembra affrettato per una serie di ragioni, alcune delle quali colte nella stessa sentenza della Cassazione. In primo luogo, la soddisfazione dei soci dell’eterodiretta può realizzarsi ove si ammetta – come fa parte consistente della giurisprudenza teorica e pratica espressasi sul­l’argomento [17] – la legittimazione della società eterodiretta [18] ad agire contro la società “madre” per il risarcimento del danno da essa patito in conseguenza dell’eterodi­re­zione abusiva: il pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale ex art. 2497, 1° comma, c.c. è un danno riflesso, che transita, cioè, per il patrimonio della dominata; risarcito questo, dunque, i soci sono già ristorati della lesione indirettamente patita derivante dall’eterodirezione abusiva e, in quanto “soddisfatti”, non hanno più titolo per agire nei confronti della capogruppo [19]. Laddove si accolga questa tesi, la previsione dell’art. 2497, 3° comma, c.c. assume una funzione normativa autonoma. L’art. 2497, 1° comma, c.c., prevedendo una responsabilità diretta della capogruppo verso i soci della dominata per il danno tipicamente riflesso alla “redditività e al valore della partecipazione sociale” e derogando, così, con riguardo alle società soggette a direzione e coordinamento, alla regola generale (ex art. 2395 c.c.) del diritto societario che limita il risarcimento del socio al solo pregiudizio diretto [20], pone il problema di evitare la duplice riparazione – alla società dominata, da un lato e ai suoi soci, dall’altro – del medesimo danno da direzione unitaria scorretta. Quel problema che sorge, peraltro, ogni qualvolta un comportamento incida in modo pregiudizievole sul patrimonio sociale, così cagionando un danno oggettivamente unitario sotto il profilo [continua ..]


5. Segue

Pur prescindendo dalla sussistenza – non pacifica, come detto – della legittimazione attiva della società eterodiretta ad agire nei confronti della holdinga fronte del danno arrecatole nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, l’art. 2497, 3° com­ma, c.c. non sembra poter essere ritenuto ultroneo, seppure ricostruito nei termini (condivisibili) prospettati dalla sentenza in esame. Al riguardo, la Suprema Corte si è fatta carico di attribuire un’autonoma portata precettiva alla disposizione, cogliendone i profili di specialità rispetto all’art. 1180 c.c., del quale l’art. 2493, 3° comma, c.c. viene considerato un’applicazione nel contesto della disciplina del gruppo. La norma in esame è stata ritenuta speciale rispetto a quella civilistica sia per quanto attiene al terzo adempiente, non estraneo, in quanto società dominata, all’organizzazione della capogruppo responsabile nei confronti del socio danneggiato; sia per quanto attiene all’esclusione implicita della possibilità – ammessa invece dalla norma civilistica – per il creditore della prestazione risarcitoria di rifiutare l’adempimento da parte del terzo; sia, infine, per la particolare connotazione della causa concreta del pagamento – normalmente fattispecie avente natura causale astratta [24] – da parte della controllata. L’autonoma portata precettiva dell’art. 2497, 3° comma, c.c., pur a fronte dell’in­ter­pretazione qui preferita del termine “sod­disfatti”, non è circoscritta, però, solo ai profili civilistici sui quali si è soffermata la sentenza commentata. In primo luogo, in una prospettiva maggiormente attinente al diritto societario, essa è stata individuata nella valenza “organizzativa” della regola enunciata nella disposizione, avente cioè la funzione di dettare criteri o parametri di comportamento degli organi appartenenti al gruppo: tale regola varrebbe a legittimare trasferimenti di risorse finanziarie dalla capogruppo alla eterodiretta danneggiata, preordinati al soddisfacimento delle pretese risarcitorie avanzate ai sensi dell’art. 2497, 1° comma, c.c. dai singoli soci della stessa [25]. Ma anche qualora si ritenga ultroneo il 3° comma dell’art. 2497 c.c. così [continua ..]


6. L’art. 2497, 3° comma, c.c. e i creditori della società dominata

Seppure in un obiter dictum – trattandosi nel caso controverso dell’azione di responsabilità esercitata dai soci di minoranza della società dominata – la sentenza in esame si è soffermata anche sull’interpretazione del­­l’art. 2497, 3° comma, c.c. laddove dispone in merito all’azione dei creditori della società eterodiretta. La pronuncia, pur condividendo l’assimi­labilità dell’azione dei creditori della dominata per abuso di eterodirezione a quella ex art. 2394 c.c. quanto ai rispettivi presupposti, ha escluso che l’art. 2497, 3° comma, c.c. possa essere spiegato nel senso che l’a­zione dei creditori nei confronti della capogruppo sarebbe sussidiaria rispetto a quella contro l’eterodiretta, in quanto i) condizione di procedibilità della domanda risarcitoria di costoro verso un terzo rispetto al debitore sarebbe (come previsto all’art. 2394, 2° comma, c.c.) l’insufficienza in concreto del patrimonio dell’obbligato stesso e in quanto ii) tale insufficienza risulterebbe pro­vata proprio in conseguenza della previa escussione della debitrice/domi­nata [28]. La Cassazione ha negato, in altri termini, che il riferimento alla “soddisfazione” verso i creditori (come anche verso i soci) da parte della società dominata vada inteso come onere di procedere almeno con una richiesta stragiudiziale nei confronti della stessa, poiché solo in caso di richiesta infruttuosa sarebbe azionabile la pretesa risarcitoria verso la holding. Al contrario, la pronuncia ha affermato che la disposizione in esame regola la situazione fattuale successiva alla nascita del credito risarcitorio [29], in cui la menzionata soddisfazione si realizza – in termini omogenei con il pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale che è volta a eliminare – “mediante l’adozione di misure di ripatrimonializzazione” dell’eterodiretta [30] idonee a ripristinarne la garanzia patrimoniale e così a eliminare la situazione pregiudizievole per i crediti vantati nei suoi confronti. Tale lettura viene ritenuta preferibile dalla Cassazione, valorizzando l’analoga regola iuris (stando almeno al tenore letterale della disposizione in esame) prescritta per i soci e per i [continua ..]


7. Risvolti processuali della tesi accolta dalla Cassazione

La pronuncia in esame fornisce l’occa­sione per dedicare qualche cenno alle implicazioni sul piano processuale dell’inter­pre­tazione preferita dell’art. 2497, 3° comma, c.c. Per quanto attiene alle implicazioni negative, la Suprema Corte ha escluso che nel­l’art. 2497, 3° comma, c.c. possa essere rav­visata sia una condizione di procedibilità dell’azione del socio verso la holding per eterodirezione abusiva, sia un onere di formale messa in mora stragiudiziale della dominata [38]. Così ragionando, dunque, il socio o il creditore che agisca ai sensi del­l’art. 2497, 1° comma, c.c. viene sollevato dal­l’onere di provare – in particolare, allorché sussista un’espressa e puntuale contestazione sul punto del convenuto – il suo mancato soddisfacimento da parte della do­minata [39]. D’altro canto, la Cassazione ha affermato che, nel caso dell’eliminazione specifica del danno da eterodirezione da parte della dominata mediante soddisfacimento della pretesa risarcitoria ai sensi dell’art. 2497, 3° comma, c.c., la holding ha l’onere di allegare e provare tale evenienza, capace di determinare la sopravvenuta carenza di interesse ad agire dell’attore per il venir meno del pregiudizio, quale elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria [40].


8. Conclusioni

L’interpretazione accolta dalla Suprema Corte costituisce un significativo sviluppo di quell’“assetto del diritto vivente” [41] ela-borato dalla giurisprudenza di merito – in particolare quella del Tribunale di Milano –che va nel senso di agevolare la possibilità per i soci di minoranza della dominata in bonis di chiamare in giudizio direttamente la capogruppo. Dal principio di diritto enunciato dalla sentenza commentata pare possibile evincere, infatti, l’impossibilità di ricavare dall’art. 2497, 3° comma, c.c. finanche quel mero “onere di richiesta di soddisfazione, posto in capo al socio…che ben può essere assolto anche citando in giudizio la società controllata in chiave di denuntiatio litis volta a stimolarla all’azio­ne verso la controllante …” [42], affermato, invece, da parte della giurisprudenza di merito.


NOTE