<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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(1-3) Re melius perpensa: l'oggetto sociale è limite impreteribile dell´attività d'im­presa (di Carmelo Massimo de Iulis)


CASSAZIONE CIVILE, III Sezione, 4 ottobre 2010, n. 20597 – Trifone Presidente – Petti Relatore – P.M. (conf.) – Alpe Invest srl (avv. Lillo) c. Banca Intesa spa (avv.ti Gargani e Ricci)

 

Cassa con rinvio App. Venezia, 17 ottobre 2005

 

Società di capitali – Garanzia fideiussoria prestata da società di capitale – Importo superiore al capitale sociale – Società garantita appartenente allo stesso gruppo – Medesimo amministratore per entrambe le società – Conflitto d’interessi – Configurabilità – Delibera totalitaria della società garante di autorizzazione preventiva al compimento di atto estraneo all’oggetto sociale – Nullità – Atto estraneo all’oggetto sociale – Nullità 

(Art. 41, 2° comma, Cost.; artt. 1394, 2384-bis prev. c.c.)

 

La situazione di conflitto d’interessi posta in essere dall’amministratore unico in nome della società ed in conflitto d’interessi con la stessa, rende l’atto conflittuale viziato, di per sé, da annullabilità ai sensi dell’art. 1394 c.c., deducibile dalla società per il tramite del suo rappresentante organico [massima non ufficiale] (1).

 

La delibera assembleare unanime di preventiva autorizzazione dell’amministratore al compimento di un atto contrario all’oggetto sociale è nulla per violazione dell’oggetto sociale che appare posto a garanzia della stessa compagine sociale e del c.d. ordine pubblico economico – di cui all’art. 41 Cost. comma 3 [ma in realtà comma 2, n.d.r.] – da coordinarsi, per la sicurezza dei rapporti economici, con la utilità sociale dell’impresa, potendosi rilevare anche d’ufficio una nullità di una delibera che autorizza previamente e contra legem un atto estraneo all’oggetto sociale e destabilizzante il capitale societario in favore del terzo [massima non ufficiale] (2).

 

L’atto ultra vires compiuto dall’amministratore non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri di rappresentanza, ma viola disposizioni di legge imperative, anche di rango costituzionale, derivandone la nullità dello stesso atto e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o di ratifica [massima non ufficiale] (3).

 

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1. Il Presidente del Tribunale di Treviso, su ricorso depositato dal Banco Ambrosiano Veneto spa, con decreto n. 33 del 1999, ingiungeva alla s.r.l. Alpe Invest di pagare in favore del Banco la somma capitale di L. 135.190.480 – pari ad Euro 69.820,00, oltre interessi al tasso del prima rate ABI maggiorato di due punti percentuali dalla data di 28 novembre 1993 al saldo effettivo, oltre alle spese del alle competenze del procedimento monitorio.

Con atto di citazione del 9 marzo 1999, notificato in pari data, la società ingiunta proponeva opposizione al predetto decreto, di cui chiedeva la revoca in quanto nullo o annullabile, con la condanna della Banca al risarcimento dei danni derivanti alla ingiunta dalla prosecuzione della azione esecutiva, quantificati in 500 milioni. La invalidità della fideiussione, rilasciata dallo Amministratore Unico signor S.P. il 25 novembre 1993, derivava dal fatto che costui era anche amministratore unico della società garantita Piemmeti, che risultava ammessa al concordato preventivo a pochi giorni di distanza dalla prestazione della garanzia. La fideiussione, che impegnava la Alpe a garantire, per una cifra superiore al suo stesso capitale sociale, i debiti di una società che sia lo amministratore che la Banca creditrice sapevano versare in condizioni di insolvenza, era invalida in relazione al conflitto di interessi e per essere il contratto del tutto estraneo all’oggetto sociale di Alpe Invest, estraneità nota al soggetto che pretendeva la garanzia. Sosteneva infine l’opposta la inesistenza del credito per interessi convenzionali ultra legali.

Si costituiva il Banco Ambrosiano Veneto deducendo la inesistenza del conflitto di interessi sul rilievo che la fideiussione aveva ricevuto approvazione per delibera unanime della assemblea dei soci; che la prestazione di garanzia nello interesse della Piemmeti non poteva ritenersi atto estraneo allo oggetto sociale in quanto le società appartenevano al medesimo gruppo societario, e che pertanto la opposizione era infondata; con successiva memoria deduceva la prescrizione quinquennale della azione di annullamento. Il G.I. disponeva con ordinanza la provvisoria esecutorietà del decreto.

2. Il Tribunale di Treviso, con sentenza n. 1116 del 2001 depositata il 24 ottobre 2001, revocava il decreto opposto e condannava il Banco Ambrosiano Veneto alla rifusione delle spese di lite.

Il tribunale in particolare, pur rilevando la inesistenza della situazione di conflitto di interessi, in capo allo amministratore della Alpe Invest, S.P., accertava la inefficacia della fideiussione ai sensi dell’art. 2384 bis c.c., in quanto avvenuta a titolo gratuito e non corrispondendo ad alcun interesse economico giuridicamente apprezzabile della so­cietà attrice ed attesa la evidente insussistenza della buona fede dello istituto di credito.

3. Contro la decisione proponevano APPELLO PRINCIPALEla Banca IntesaBanca Commerciale Italia spa – in qualità di successore a titolo universale di Banco Ambrosiano veneto spa – e la INTESA BCI GESTIONE CREDITI SPA – quale successore a titolo particolare del diritto controverso – con unico atto, chiedendo la riforma della sentenza, la conferma del decreto opposto e la condanna della Alpe al pagamento delle somme ivi ingiunte. APPELLO INCIDENTALE era proposto dalla Alpe in punto di mancato accertamento della invalidità per conflitto di interessi e di mancata condanna della Banca al risarcimento dei danni, in via gradata insisteva nel rilevare che a titolo di interessi potevano essere computati solo gli interessi legali.

4. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1681/05 pubblicata il 17 ottobre 2005, accoglieva lo appello principale delle due Banche, rigettava quello principale, ed in riforma della sentenza impugnata respingeva la opposizione al decreto che confermava e condannava la Alpe alla rifusione delle spese dei due gradi.

5. Contro la decisione ricorrela Alpeinvest deducendo quattro motivi di censura, illustrati da memoria; resistono con unico atto di controricorso, illustrato da memoria, le Banche controparti.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

6. Il ricorso merita accoglimento in relazione ai primi due motivi di censura, restando assorbiti gli altri; la cassazione avviene con rinvio e con la puntualizzazione dei principi di diritto cui la corte del rinvio deve attenersi.

Per chiarezza espositiva si procede alla sintesi descrittiva dei motivi; quindi verranno in esame i motivi accolti e successivamente quelli assorbiti.

6.A. SINTESI DESCRITTIVA. Nel PRIMO MOTIVO si deduce error in iudicando per la violazione degli artt. 1394 e 1395 c.c., in relazione all’art. 306 c.p.c., n. 3; insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia in relazione alla mancata ricostruzione della situazione di conflitto di interessi esistente tra la società obbligata a prestare la garanzia ed il suo amministratore che stipula tale garanzia. Si censura in particolare quella parte della motivazione – ff. 12 a 14 – della Corte di appello, che sostiene che la previa deliberazione totalitaria della as­semblea dei soci esclude in radice la configurabilità di una situazione di conflitto e per lo effetto nega che alla fattispecie possano applicarsi le regole generali degli artt. 1394 e 1395 c.c.’

NEL SECONDO MOTIVO si deduce error in iudicando per violazione degli artt. 2384 e 2384 bis c.c., in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, ed il vizio della motivazione insufficiente e contraddittoria su punto decisivo relativo alla definizione del fatto dannoso controverso. In particolare si censurano gli argomenti espressi a pag. 14 e 15 della motivazione – nel punto in cui, malgrado fossero posti in evidenza due punti decisivi, in relazione al fatto che la fideiussione non fosse coerente o pertinente con l’oggetto sociale della Alpe Invest, ed alla concomitante circostanza che la natura di atto ultra vires fosse nota o riconoscibile da parte del Banco ambrosiano, la Corte di appello non li ha considerati come elementi integranti i requisiti della disciplina di cui alle norme richiamate,affermando un principio giuridico incoerente, che viene riprodotto in termini “la efficacia del singolo atto, se pur non riconducibile allo oggetto sociale, allorquando lo stesso figuri conforme alla volontà unanime dei partecipanti, non può ritenersi revocabile in dubbio, non venendo in rilievo, per ì fini che qui occupano, neppure le modalità di azione di detto atto”.

NEL TERZO MOTIVO si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sul rilievo che la Corte di appello, confermando il decreto ingiuntivo, anche per gli interessi ultralegali, ha omesso di considerare la domanda dell’ingiunto diretta a far valere gli interessi al saggio legale, non avendo contrattato altri interessi.

NEL QUARTO MOTIVO si deduce sostanzialmente error in iudicando sul punto in cui la corte di appello considera assorbita la domanda risarcitoria proposta contro le Banche.

6.B. ESAME DEI MOTIVI MERITEVOLI DI ACCOGLIMEN­TO. Il primo motivo merita accoglimento, in relazione alla situazione di fatto descritta come res controversa e nel contraddittorio sostanziale tra le parti.

La fattispecie considerata dai giudici di merito attiene alla verifica della validità di una fideiussione come atto compiuto dallo amministratore unico ed in nome della società ed in conflitto di interessi con la stessa, impegnando la garanzia della società ultra vires – ben oltre il capitale sociale – ed in favore di altra società collegata ma in evidente decozione. La fideiussione garantisce la Banca con un capitale societario ed una garanzia omnibus, con gravissimo danno per il capitale societario.

La disciplina dell’atto compiuto dall’amministratore unico, correttamente si rinviene nell’art. 1394 c.c., come da giurisprudenza di questa Corte, recentemente consolidatasi – vedi Cass. 2000 n. 4505, 2006 n. 1525 e 2007 n. 15879.

Il rapporto organico esistente tra società di capitali ed amministratore sociale, non esclude la esistenza di un rapporto rappresentativo, tra la prima e il secondo. Sono allora applicabili le norme generali invocate che regolano il conflitto di interessi o il contratto con se stesso.

La situazione in essere, rispetto alla fattispecie oggetto del giudizio, appare quella di contratto concluso dal rappresentante amministratore unico in conflitto di interessi con la società rappresentata, che infatti propone azione di annullamento ai sensi dell’art. 1394 c.c.’

La esclusione dei conflitto, motivata dalla Corte di appello, a ff. 12 e 13 della sentenza, appare giuridicamente errata – vedi Cass. 2008, n. 25361 – per la sua apoditticità, in quanto ritiene che la deliberazione totalitaria della assemblea dei soci, abbia una natura autorizzatoria sanante della illiceità che inerisce alla delibera stessa, dovendosi ritenere che i soci, debitamente informati dal loro dominus o amministratore unico, abbiano deliberato di rovinare una società di capitali solvente, in favore di altra società in evidente e nota decozione.

Se il nodo centrale della controversia deve essere – individuato nell’interesse tutelato, al momento in cui l’am­ministratore unico, agisce ma in cumulo di incarichi con le due società, la valutazione della rilevanza di una delibera illecita essendo contraria all’oggetto sociale e dannosa per i terzi creditori, ad eccezione della Banca favorita, non era in termini di irrilevanza, ma doveva essere considerata come indice certo di un interesse conflittuale, per la incompatibilità delle esigenze tra le due entità societarie vedi da ultima Cass. n. 23330/07.

ANCHE IL SECONDO MOTIVO merita accoglimento.

La Corte di appello – alla pag 15 della motivazione – esclude la applicazione della disciplina dello art. 2384 bis c.c., vigente al tempo del contratto, e della generale disciplina disposta dall’art. 1387 c.c. e ss., sul rilievo che la esorbitanza dello atto compiuto rispetto allo oggetto sociale, non produce effetti invalidanti su tale atto, quando lo stesso risulti autorizzato previamente dalla assemblea totalitaria dei soci.

La motivazione appare apodittica e giuridicamente errata. Apodittica in quanto postula che una assemblea di soci possa convalidare un atte illecito ed in contrasto con quella utilità sociale che lo oggetto sociale della impresa di capitali persegue ai sensi dello art. 41 Cost., comma 2, nel testo ancora vigente. Autorevole dottrina, che questa Corte condivide, sottolinea come la disciplina che regola i limiti del potere di rappresentanza dell’organo amministrativo di una società non risulta posta nell’interesse dei soci, ma anche dei terzi, in primo luogo dei creditori della stessa società e che la tutela degli interessi di questi ultimi impone, nel caso di necessità di un atto contrario allo statuto, una modifica dello stesso e seguendo il procedimento previsto dalla legge.

Nel caso di specie dunque l’atto autorizzativo totalitario ma illecito, per la violazione dell’oggetto sociale, che appare posto a garanzia della stessa compagine sociale e del c.d. ordine pubblico economico – di cui al citato art. 41 Cost., comma 3, da coordinarsi, per la sicurezza dei rapporti economici, con la utilità sociale della impresa, rendeva evidente anche la lesione del citato art. 2384 bis, potendosi rilevare anche di ufficio una nullità di una delibera che autorizza previamente e contra legem un atto estraneo allo oggetto sociale e destabilizzante il capitale societario in favore in terzo.

7. INCONCLUSIONE, I PRINCIPI DI DIRITTO CUI VIENE VINCOLATO IL GIUDICE DEL RINVIO, IN RELAZIONE ALLA FATTISPECIE IN CONCRETO ACCERTATA,IUXTA ALLIGATA ET PROBATA, attengono.

 

Quanto al primo motivo, al rilevamento del vizio della volontà negoziale ai sensi dell’art. 1394 c.c., come regola della situazione di conflitto di interessi posta in essere dallo amministratore unico in nome della società ed in conflitto di interessi con la stessa: lo atto conflittuale, nella specie una fideiussione, appare viziato, di per se, da annullabilità, deducibile proprio dalla società obbligatasi alla garanzia per il tramite del suo rappresentante organico.

Quanto al secondo motivo, al rilevamento del collegamento progettuale tra la previa autorizzazione della assemblea totalitaria, orientata dallo amministratore unico ma bicefalo – per lo identico incarico con la società garantita – e lo atto illecito ultra vires, per la garanzia fideiussoria data ad una società decotta, con il concorso attivo e negoziale della banca, la violazione delle norme speciali sulla rappresentanza di cui allo art. 2384 bis c.c., determina violazione di norma imperativa e posta in relazione al limite dello interesse pubblico e sociale delle imprese, che attiene alla ricostruzione dello oggetto sociale come vincolante per le imprese, come appare evidente e dalle norme costituzionali vigenti e dalle norme Europee da cui derivano le più recenti riforme proprio in materia societaria.

Se lo scopo sociale corrisponde al limite legale e virtuoso delle imprese, l’atto ultra vires compiuto dall’amministratore, con il concerto di soci avventurosi, non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri di rappresentanza, ma viola disposizioni di leggi imperative, anche di rango costituzionale, derivandone in linea di principio, la nullità dello atto stesso e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o ratifica.

8. RAGIONI del’assorbimento del terzo e quarto motivo.

Lo assorbimento del terzo motivo, relativo alla misura degli interessi convenzionali, deriva dalla invalidazione della fideiussione in accoglimento dei primi due motivi; lo assorbimento del quarto relativo alla domanda risarcitoria, deriva dalla rivalutazione del fatto dannoso, iusta alligata et provata, che appare opportuno rimettere al giudice del rinvio.

9. Il giudice del rinvio, Corte di appello di Venezia, prov­vederà anche in ordine al riparto delle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso per il primo e secondo motivo, assorbiti il terzo ed il quarto, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2010

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. La dottrina - 5. Il commento - NOTE


1. Il caso

Due società, di cui una (Alpe Invest s.r.l.) è soggetta a “direzione e coordinamento” dell’altra (Piem­meti), sono gestite dallo stesso amministratore unico; una di esse presta fideiussione per un importo superiore al suo capitale sociale nell’interesse della controllante e a favore di una Banca creditrice di que­st’ultima; la Banca è a conoscenza: delle condizioni d’insolvenza della garantita (che di lì a poco sarà ammessa al concordato preventivo); del fatto che l’amministratore della mallevadrice è «bicefalo», per avere identico incarico nella due società, e quindi è consapevole che lo stesso amministratore versa in con­flitto d’interessi, poiché la fideiussione, in contrasto palese con l’interesse della garante, soddisfa esclusivamente gli affari della garantita; della circostanza che la fideiussione è atto estraneo o non pertinente all’oggetto sociale e che, per tal motivo, esso aveva ricevuto autorizzazione preventiva con de­libera unanime dall’assemblea dei soci. In forza della stessa fideiussione, la Banca ottiene decreto ingiuntivo contro la Alpe Invest s.r.l., che si oppone e consegue la revoca del decreto dal Tribunale di prime cure. Il giudice, pur ritenendo insussistente il conflitto d’interessi, accerta però l’inef­ficacia della garanzia ai sensi dell’art. 2384-bis, c.c., prev. (applicato al caso ratione temporis), in quanto l’atto fu rilasciato a titolo gratuito, non corrispondendo ad alcun interesse economico giuridicamente apprezzabile della società attrice ed attesa l’evidente labilità della buona fede nella Banca. La Corte d’Appello esclude, invece, l’applicazione dell’art. 2384-bis e della generale disciplina disposta dagli artt. 1387 ss. c.c., «sul rilievo che la esorbitanza dell’atto compiuto rispetto all’oggetto sociale, non produce affetti invalidanti su tale atto, quando lo stesso risulti autorizzato previamente dalla assemblea totalitaria dei soci». Riforma perciò la sentenza, respingendo l’opposizione al decreto e conferma la condanna della garante al pagamento delle somme dovute alla Banca. Di qui il ricorso alla Corte suprema che, giudicando la motivazione del provvedimento impugnato [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Il conflitto d’interessi dell’amministratore unico di una società di capitali è regolato dall’art. 1394 c.c. [1]. A tale articolo ha fatto riferimento la sentenza in esame, poiché il caso era retto dalla normativa previgente la riforma societaria del 2003, introdotta nel c.c. dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6; per un’analoga fattispecie che ricadesse sotto l’impero delle norme in vigore, il legame prescrittivo, quanto alle s.r.l., cambierebbe, ma solo formalmente, posto che l’art. 2475-ter, 1° comma, c.c., inserito dal d. lgs. cit., riproduce la stessa regola recata dall’art. 1394 c.c. Questa norma è tuttora punto di riferimento per altre società di capitali, in assenza di espressa previsione, quando a versare in conflitto d’interessi sia l’am­ministratore unico o il consigliere munito del potere di rappresentanza che, delegato o no, agisca senza una preventiva deliberazione consiliare ai sensi del­l’art. 2391 c.c., ovvero dell’art. 2475-ter, 2° comma, c.c., nel caso di una s.r.l. Ai fini della dichiarazione di nullità della delibera assembleare autorizzatoria dell’atto estraneo all’og­get­to sociale, come per la dichiarazione di nullità dello stesso atto, la Corte applica l’art. 41, 2° comma, Cost. e l’art. 2384-bis, c.c., prev. La norma costituzionale dispone, come noto, che: “[L’iniziativa economica privata] non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»; l’art. 2484-bis, prescriveva: «L’estraneità al­l’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società non può essere opposta ai terzi in buona fede» [2]. Detto articolo è stato abrogato, non trovando più riscontro nella nuova formulazione numerica del Libro V, Titolo V, Capo V, c.c., adottata dall’art. 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6; il nuovo art. 2384 c.c. recita: «1. Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla delibera di nomina è generale. 2. Le limitazioni che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano [continua ..]


3. I precedenti giurisprudenziali

Nulla quaestio in giurisprudenza sull’applicazione dei principi recati dall’art. 1394 c.c., all’am­mi­ni­stratore unico di una società di capitali che sia in conflitto d’interessi [3]. Vexata quaestio, al contrario, diviene ora il regime giuridico applicabile all’auto­riz­zazione assembleare preventiva di un atto ultra vires. Dichiarandone la nullità, la III sez. della Cassazione si pone in aperto dissenso con l’orien­ta­mento sinora seguito dalla I sez. della stessa Corte [4], secondo cui era «inconferente l’affermazione che la modifica dell’oggetto sociale è consentita solo attraverso il rigoroso rispetto delle specifiche formalità previste dalla legge, ivi compresa la indispensabile pubblicità a garanzia dei terzi, poiché non è in discussione il rapporto con questi ultimi, mentre è logicamente incongrua la conseguenza che se ne è tratta, della nullità della delibera» [5]. Secondo l’orien­ta­mento ora contraddetto, infatti, «l’inefficacia del­l’at­to estraneo all’oggetto sociale è prevista dal legislatore quale conseguenza del regime della rappresentanza [corsivo mio]» e ne deriva che «ove il rappresentato previamente o successivamente con la ratifica faccia proprio l’interesse tutelato, non può esservi lesione dell’interesse tutelato e non può porsi il problema dell’inefficacia dell’atto nei confronti del terzo» [6]. Parimente, si deve adesso registrare dissidio anche per quanto attiene alla qualificazione giuridica del­l’atto ultroneo, con questa pronuncia dichiarato nullo, ma su cui si era in precedenza sentenziato che il suo compimento «non realizza ipotesi di nullità, ma semmai di inefficacia e di opponibilità nei rapporti con i terzi, in ordine alla quale è rimesso alla società e solo ad essa il potere di respingere gli effetti, di assumerli ex tunc, attraverso la ratifica, o ancora di farli preventivamente propri, attraverso la delibera autorizzativa, che giova a rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell’amministratore». Se, infatti, proseguiva la Corte «il rappresentante trova la fonte del suo potere gestorio nell’oggetto sociale, le [continua ..]


4. La dottrina

La dottrina non presenta divergenze di vedute dalla giurisprudenza circa l’applicazione dell’art. 1394 c.c. al conflitto d’interessi in cui versi l’ammini­stratore unico in una società di capitali, o il consigliere investito della rappresentanza sociale che agisca senza una preventiva deliberazione consiliare ai sensi dell’art. 2391 c.c. (ovvero, nel regime attuale, se si tratti di s.r.l., ai sensi dell’art. 2475-ter, 2° comma, c.c.) [8]. Salvo evidenziare [9] che, nell’ipotesi di amministratore-consigliere investito della stessa carica in società appartenenti al medesimo gruppo, deve ritenersi applicabile in via analogica il principio espresso dall’art. 2497, 1° comma, ult. per., c.c., per l’annullabilità della deliberazione assunta dalla controllata col voto determinante del consigliere in conflitto [10]. Qui la valutazione della potenziale dannosità dell’atto collegiale dovrebbe essere fatta con riguardo all’esistenza, o meno, dei c.d. vantaggi compensativi, eventualmente derivati alla società dalla esecuzione della delibera: presenti tali vantaggi, l’atto non potrebbe essere annullato. Questo canone ermeneutico dovrebbe vincolare il giudice anche nei casi in cui, come quello in esame, manchi un consiglio di amministrazione ed il contrasto tra gli interessi delle due società potrebbe affiorare solo in sede negoziale, sì che pure in tale evenienza, se sussistesse un vantaggio compensativo per la controllata che alleghi pregiudizi patrimoniali, il contratto non incorrerebbe nell’annullabilità [11]. Posizioni opposte presenta la dottrina, rispetto alla giurisprudenza, sulla qualificazione giuridica della autorizzazione assembleare preventiva, oppure di ra­tifica, dell’atto non connesso all’oggetto sociale. I po­chi autorevolissimi scrittori [12] che, dopo la riforma del 2003, hanno ripreso specificamente il tema, si so­no espressi per l’annullabilità della delibera ai sensi dell’art. 2377, 2° comma, c.c., in linea di continuità con la dottrina risalente, ma di non sbiadita efficacia, del Mengoni, il quale, ritenendo «assurdo pensare che la legge consenta all’assemblea di prendere deliberazioni estranee all’oggetto sociale» [13], osservava: «la lettera del’art. 2377, [continua ..]


5. Il commento

Per il nuovo orientamento della Cassazione appaiono, dunque, «apodittiche e giuridicamente errate» le affermazioni della sentenza cassata che «postulano» la possibilità per l’assemblea dei soci di «convalidare un atto illecito ed in contrasto con quella utilità sociale che l’oggetto sociale dell’im­presa di capitali persegue ai sensi dell’art. 41 Cost., comma 2, nel testo ancora vigente». Il postulato viene attaccato dalla Corte, con il motivo topico dell’“opinione notevole” di «autorevole dottrina», che «sottolinea come la disciplina che regola i limiti del potere di rappresentanza dell’organo amministrativo di una società non risulta posto nel­l’inte­resse dei soci, ma anche dei terzi, in primo luogo dei creditori della società e che la tutela degli interessi di questi ultimi impone, in caso di necessità di un atto contrario allo statuto, una modifica dello stesso e seguendo il procedimento previsto dalla legge». Nell’ar­gomento della tutela generale dei terzi, è dato riscontrare il pensiero di Pescatore [48]; sulla necessità di seguire il procedimento di modifica dello statuto, ove si volesse compiere un atto non contemplato dallo scopo sociale, mi sembra evidente il richiamo agli insegnamenti di Mengoni, Cottino e Galgano [49]. Tutt’altro che inappropriato [50], con riguardo alla violazione dell’oggetto sociale, appare, il riferimento ai valori costituzionali della sicurezza e dell’utilità sociale cui deve conformarsi l’esercizio dell’impresa privata, posto che in un sistema di giustizia legale, qual è il nostro, i principi costituzionali non sono «punti di vista orientativi che possono essere o no introdotti a piacere, ma sono norme giuridiche vincolanti sia pure non con la forza stringente del sillogismo deduttivo», le quali, proprio per essere positivamente recepite nell’ordinamento «avanzano una istanza di vigenza analoga alla verità» [51] e non sono quindi premesse giuridiche arbitrarie. Detti riferimenti normativi, a quanto consta, sono nuovi in ordine alla loro applicazione alla fattispecie giudicata. Nuova è soprattutto la connotazione della sicurezza umana, al cui rispetto la Cost. subordina la legittimità della libera [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2011