<p>Impresa Società Crisi di Palazzolo Andrea, Visentini Gustavo</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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I regimi europei d'approvazione di operazioni con parti correlate (di Michele Corgatelli)


Il recepimento dell’art. 9-quater della Direttiva (UE) 2017/828 negli ordinamenti dell’Unione Europea permette di indagare l’influenza che il livello di concentrazione dell’azionariato e il sistema di amministrazione e controllo esercitano nella delineazione dei regimi d’approvazione delle operazioni con parti correlate. In particolare, la riluttanza europeo-continentale all’introduzione di una votazione assembleare presidiata dal majority of the minority approval come unica procedura endosocietaria di controllo sulle operazioni con parti correlate si inserisce in un più ampio contesto di contrasto tra modelli di governo societario.

The European Approval Regimes of Related Party Transactions

The transposition of art. 9c of the Directive (EU) 2017/828 in the jurisdictions of the European Union allows to investigate the influence that the level of shareownership concentration and the administration and control system have on the definition of the approval regimes of related party transactions. In particular, the reluctance of continental Europe in the introduction of a shareholders’ “majority of the minority approval” as the only internal mechanism for controlling related party transactions is part of a broader context of conflict between corporate governance models.

Keywords: Related Party Transactions – Shareholder Rights Directive II.

SOMMARIO:

1. Le operazioni con parti correlate - 2. La procedimentalizzazione dell’approvazione - 3. L’art. 9-quater della Direttiva (UE) 2017/828 - 4. L’azionariato concentrato e la minoranza - 5. I sistemi di amministrazione e controllo - 6. Conclusioni - NOTE


1. Le operazioni con parti correlate

Il legislatore della riforma Vietti [1], inserendo l’art. 2391-bis nel codice civile [2], ha conferito alle operazioni con parti correlate (d’ora innanzi “OPC”) una collocazione sistematica che le caratterizza come “stati di pericolo” delle società per azioni [3]. L’art. 2391 c.c. infatti, originariamente rubricato “Conflitto d’interessi”, regola – al pari dell’articolo che lo segue nella codicistica – un pericolo per il corretto andamento societario. Il rapporto tra queste due norme è stato indagato da autorevole dottrina [4], che ha sottolineato le differenze tra le due fattispecie: nella prima a rilevare è l’amministratore con i suoi interessi, non necessariamente controparte dell’operazione; nella seconda invece rilevano le parti dell’operazione, di contro non necessariamente interessate, in quanto il pericolo è presunto dalla correlazione stessa. In questo senso, il rapporto che intercorre tra gli artt. 2391-bis e 2391 c.c. non è un rapporto species-genus [5]. Dalla comparazione della disciplina delle due “situazioni di pericolo” si coglie come le risposte regolatorie ad un fenomeno dai labili confini, quello dell’influenza d’un interesse, sia esso quello d’un amministratore in conflitto o quello d’una parte legata alla società da correlazione [6], possano essere molteplici, variando da obblighi di trasparenza a procedure endosocietarie [7]. L’art. 2391 c.c. poneva infatti, prima della sua riforma, una disciplina fondata sulla procedimentalizzazione dei controlli posti a limitare l’influenza dell’interesse in conflitto con quello della società, ma il presidio dell’astensione dell’amministratore interessato è stato successivamente modificato in un semplice obbligo di disclosure – al consiglio e al collegio sindacale – dell’interesse diretto e indiretto, con precisazione di natura, termini, origine e portata [8]. L’obbligo d’astensione è richiesto soltanto per l’amministratore delegato interessato, caso in cui l’operazione dev’essere approvata dal consiglio. Quanto alle procedure endosocietarie, la costruzione di presìdi procedurali interni alla singola società [9], volti ad evitare l’influenza della parte correlata [continua ..]


2. La procedimentalizzazione dell’approvazione

Le operazioni con parti correlate hanno un ambivalente significato economico, essendo vettori del c.d. tunneling, che può essere definito come un trasferimento di risorse e profitti da una società per il beneficio di chi la controlla [10], verso una parte che può essere il suo azionista di maggioranza, un suo amministratore, la società controllante, o financo la controllata [11]. Attraverso il tunneling è quindi possibile distrarre sia attivi, sia flussi di cassa. Per i primi, si farà ricorso ad acquisti di assets principali (beni materiali o immateriali) a prezzi gonfiati o, di contro, alla vendita di questi ad un prezzo ribassato; la distrazione dei flussi di cassa, invece, potrà avvenire con il c.d. transfer pricing, con compensi eccessivi agli amministratori, o con acquisti e rivendite di assets a prezzi superiori o inferiori a quelli di mercato [12]. Un’operazione effettuata con una parte correlata può comportare indubbi vantaggi: secondo due autori il costo d’una operazione è elevato quando il mercato esterno alla società non è sviluppato, e perciò la formazione di gruppi contribuisce a migliorare l’efficienza e la comunicazione, ad individuare nuovi partner commerciali, a stabilire relazioni di lungo periodo e a cumulare potere di mercato [13]. Altri autori notano come, quando il finanziamento esterno è scarso ed incerto, i gruppi possono allocare il capitale tra le imprese associate attraverso la costruzione d’un mercato finanziario interno che massimizzi i benefici economici dell’intero gruppo [14]. Per questo motivo, per quanto attiene alle OPC infragruppo, il dibattito circa gli effetti positivi o negativi delle stesse può trovare una conclusione soltanto qualora si decida quale interesse far prevalere e difendere: se quello della società atomisticamente intesa o quello del gruppo unitariamente considerato. Le OPC infragruppo sono infatti un importante strumento d’allocazione delle risorse, ma al contempo rappresentano un pericolo d’espropriazione per le risorse della singola società [15]. Questo è un punto colto nel caso giudiziario Flambo e Barro del 1993, in cui degli azionisti di minoranza di una società belga, Barro, denunziavano di essere stati espropriati degli assets da parte della controllante, la società francese [continua ..]


3. L’art. 9-quater della Direttiva (UE) 2017/828

Vari sono i modelli d’approvazione che possono essere adottati da un legislatore (o regolatore) per la definizione d’una procedimentalizzazione che depuri l’approvazione dell’opera­zione dall’interesse correlato, trasformando le OPC da conflitti d’interessi a transazioni efficienti. In primo luogo, può essere disposto un obbligo d’astensione dei correlati all’interno dell’organo preposto all’approvazione dell’operazione. In secondo luogo, l’operazione può essere approvata da un organo societario diverso da quello originariamente a ciò preposto. A seconda del modello di amministrazione e controllo previsto dall’ordina­mento, e dal livello di concentrazione del controllo che caratterizza il mercato [31], determinati presìdi possono mettere la società sotto scacco di sparute minoranze; si pensi ad una decisione assembleare al netto degli azionisti correlati, che qualora ostacolasse inutilmente transazioni efficienti fungerebbe, de facto, da quasi-divieto di operazioni in grado di apportare benefici all’azionariato stesso [32]. Proprio per le diverse sensibilità e resistenze nazionali alla delineazione di presìdi procedurali endosocietari volti ad un controllo sulle OPC, audace è stata la procedimentalizzazione delle stesse da parte del legislatore europeo, che si è inserita in un più ampio ciclo d’armonizzazione del diritto societario che ha occupato l’Unione Europea a partire dal Piano d’azione del 2003 [33]. Le due direttive sui diritti degli azionisti avanzano un ruolo attivo dell’azionariato all’interno del governo societario delle società per azioni in un contesto, quello continentale, in cui il rapporto tra l’assemblea e gli amministratori diverge considerevolmente da quello che caratterizza invece, storicamente, il sistema inglese [34]. Per questo motivo, particolarmente rilevante è l’analisi del procedimento legislativo della seconda direttiva sui diritti degli azionisti [35], per quanto qui rileva dell’art. 9-quater dedicato alle operazioni con parti correlate. La Commissione Europea propose originariamente, nel 2014 [36], un regime d’approvazione delle operazioni apparentemente ispirato a quello contenuto nel chapter 11 delle Listing Rules, applicabile alle società quotate sul [continua ..]


4. L’azionariato concentrato e la minoranza

Il tema della regolamentazione delle OPC corre su un doppio piano di scontro: quello tra amministratori e azionisti, e quello tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza [43]. Nei mercati europeo-continentali, e specialmente in quello italiano [44], l’assetto proprietario concentrato rimane predominante [45]. Se l’accumulazione del controllo in uno o più azionisti può beneficiare gli azionisti di minoranza, in quanto l’organo gestorio viene responsabilizzato nei confronti della società limitando gli agency costs, di contro determinate operazioni possono beneficiare gli azionisti di maggioranza ma risultare nocive per la restante compagine sociale [46]. In questo senso, la procedimentalizzazione delle OPC va a beneficio degli azionisti di minoranza. Diversa questione è tuttavia quale ruolo gli azionisti di minoranza debbano e possano avere nel regime d’approvazione delle operazioni stesse. Il recepimento dell’art. 9-quater della direttiva permette di indagare i caratteri peculiari dei regimi di approvazione delle OPC nei Paesi dell’Unione Europea. La direttiva ha infatti richiesto l’introduzione di presìdi procedurali, dettando però una disciplina armonizzata distintamente flessibile, a differenza del regime di approvazione assembleare originariamente proposto dalla Commissione Europea. Si pensi alla dettagliata disciplina contenuta nel Regolamento OPC emanato dalla CONSOB nel 2010 [47]: il regolatore italiano, consapevole della necessità di non rimettere la decisione in merito ad operazioni di maggiore rilevanza di competenza del consiglio di amministrazione ad una sparuta minoranza azionaria quale quella che caratterizza spesso le società per azioni italiane, ha optato per la previsione di un presidio procedurale fondato su un comitato di amministratori indipendenti, cui è rimesso il compito di emettere un parere circa «l’interesse della società al compimento dell’operazione nonché sulla convenienza e sulla correttezza sostanziale delle relative condizioni» (art. 8, 1° comma, lett. c). Un altro presidio è dato dalla riserva di competenza a deliberare in capo al consiglio in plenum (art. 8, 1° comma, lett. a). Le procedure d’approvazione, la cui stesura è delegata alle singole società nei limiti di quanto dettato dal Regolamento, possono [continua ..]


5. I sistemi di amministrazione e controllo

Il legislatore tedesco [70] ha implementato la direttiva con la riforma ARUG II [71], in vigore dal 1° gennaio 2020, aggiungendo le sezioni § 111a, § 111b e § 111c all’Aktiengesetz [72]. Originariamente era stata proposta una procedimentalizzazione basata sull’approvazione delle operazioni da parte del consiglio di sorveglianza, con obbligo d’astensione per gli interessati. Tuttavia, le società avrebbero potuto ovviare al presidio qualora fosse istituito un comitato dedicato alle OPC, in cui la parte correlata non avrebbe potuto sedere ma gli interessati sì purché la maggioranza fosse comunque disinteressata; in questo caso, un parere positivo del comitato avrebbe rimesso l’approvazione in capo al consiglio di sorveglianza. Di contro, in seguito ad un parere negativo del comitato, il consiglio di sorveglianza avrebbe potuto approvare l’operazione soltanto nel caso in cui vi fosse una fairness opinion positiva da parte di un auditor indipendente. Ad essere escluse dal voto sarebbero state soltanto le parti correlate, non gli interessati [73]. La disciplina infine approvata devia parzialmente dall’originaria proposta: le operazioni rilevanti devono essere approvate dal consiglio di sorveglianza in una votazione in cui i membri che sono parti correlate o in conflitto d’interessi non possono esercitare il loro diritto di voto (§ 111b, 2° comma) [74]. In caso di mancata approvazione da parte del consiglio di sorveglianza, gli amministratori che vogliano comunque concludere l’operazione devono richiedere l’autorizzazione all’assemblea annuale degli azionisti, che si esprime al netto dei correlati (§ 111b, 4° comma). Similmente, in Austria è richiesta l’approvazione da parte del consiglio di sorveglianza, con obbligo d’astensione per i correlati [75]. Il legislatore dei Paesi Bassi, ordinamento caratterizzato dalla presenza del sistema dualistico, ha altresì optato per non richiedere una votazione assembleare [76]. Anche in Croazia è richiesta l’approvazione da parte del consiglio di sorveglianza al netto dei correlati; in caso di diniego, gli amministratori possono però optare per l’autorizzazione assembleare [77].


6. Conclusioni

L’analisi dei regimi d’approvazione delle OPC successivi al recepimento dell’art. 9-quater della direttiva mostra come la concentrazione del controllo e il sistema di amministrazione tendano a riflettersi in una generale riluttanza europeo-continentale nei confronti di un meccanismo endosocietario limitato ad un majority of the minority approval da parte dell’assemblea degli azionisti. Ampiamente prevalente è la rimessione dell’approvazione al consiglio di amministrazione o al consiglio di sorveglianza al netto dei membri coinvolti. Il voto degli azionisti sulle operazioni con parti correlate, originariamente concepito dalla Commissione come strumento anti-espropriativo e al contempo d’avanzamento del loro ruolo nel buon governo societario, è implementato cautamente e come presidio ulteriore rispetto ad un altro meccanismo che viene eletto a principale. L’esperienza del Regno Unito è particolarmente indicativa: recependo la direttiva, il regolatore ha delineato un regime d’approvazione per le altre società quotate fondato su un’approvazione del board. Alle società quotate sul listino premium continua invece ad applicarsi il majority of the minority approval. Questo dimostra come quest’ultimo presidio procedurale sia sì più agevolmente previsto da ordinamenti caratterizzati da un mercato ad azionariato diffuso e sistema monistico, ma possa esser altresì sostituito dal controllo degli amministratori indipendenti [78], soluzione primariamente coerente con ordinamenti ad azionariato concentrato, in cui l’autorizzazione assembleare rischia di tenere la società sotto scacco di sparute minoranze [79]. La votazione assembleare si configura, nella regolamentazione italiana dettata dalla CONSOB nel 2010, come presidio eventuale e comunque ulteriore ad un altro meccanismo di controllo, come nel caso della disciplina tedesca introdotta recependo la direttiva; in quella francese la votazione non inficia la validità dell’operazione ma rileva ai fini della responsabilità degli amministratori. Quanto ai sistemi di amministrazione e controllo, si è registrata la tendenza degli ordinamenti europei caratterizzati dal sistema dualistico ad attribuire al consiglio di sorveglianza il controllo in merito alle operazioni con parti correlate. In questo senso, si può svolgere una più ampia [continua ..]


NOTE