<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Nuove regole generali per l'impresa nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza (di Vincenzo Di Cataldo, Serenella Rossi)


This article analyzes the new rules for business law and for company and corporation law set by the recent reform of Italian bankruptcy law. It is a novelty that the legislator, while creating new rules to regulate the industrial, economic and financial crisis, creates new rules also for general business law. Interesting amendments have been provided for the law of company directors and for the law of management control, aiming at guaranteeing that any company or corporation could perceive the incoming of a crisis as early as possible, and could shape and implement timely measures of reorganization to enable the firm to overcome the crisis. This article evaluates the efficacy of these new rules, as well as their harmonization with the rules of the new Code of the Crisis.

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SOMMARIO:

1. Nuove regole generali per imprese e società nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Verso un nuovo “diritto della crisi” meno “eccezionale” del vecchio “diritto fallimentare”? - 2. Un ritorno al passato in materia di società a responsabilità limitata - 3. L’obbligo di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili come regola generale del diritto dell’impresa che operi in forma societaria o collettiva - 4. L’obbligo dell’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di attivarsi per il superamento della crisi e gli strumenti adottabili - 5. La concentrazione dei poteri di gestione in capo all’organo amministrativo in tutte le società - 6. I limiti all’autonomia statutaria nella società a responsabilità limitata in materia di attribuzione di competenze gestorie - 7. Le regole di funzionamento del consiglio di amministrazione nella società a responsabilità limitata e la delega - 8. La responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata verso i creditori sociali e la liquidazione del danno procurato dopo lo scioglimento della società - 9. Il sistema dei controlli nelle società di capitali in crisi - 10. La procedura di allerta e i doveri di segnalazione degli organi di controllo - 11. Gli ulteriori doveri dell’organo di controllo interno in presenza di indizi di crisi - 12. Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. nella società a responsabilità limitata - 13. Le gravi irregolarità di gestione e la violazione degli obblighi di risanamento - NOTE


1. Nuove regole generali per imprese e società nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Verso un nuovo “diritto della crisi” meno “eccezionale” del vecchio “diritto fallimentare”?

Una delle novità più interessanti del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza (valeva la pena di conservare la vecchia etichetta “diritto fallimentare” anche solo per evitare queste complesse e forse un po’ ipocrite locuzioni) è da vedere in talune nuove norme in tema di impresa e di società, di cui si dispone l’inserimento nel codice civile. Queste nuove norme erano state collocate dalla Commissione ministeriale incaricata della riforma (da tutti chiamata Commissione Rordorf, dal nome del suo autorevolissimo Presidente) in un progetto di decreto legislativo intitolato “Proposta di decreto legislativo recante modifiche al codice civile, in attuazione della legge delega 30 ottobre 2017, n. 155, per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza” [[1]], formato da dieci articoli. Questo progetto era formalmente distinto da quello, coevo, molto più corposo, e strettamente collegato al primo, che conteneva il nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza”, più specificamente dedicato alla riforma delle procedure concorsuali (al cui interno, peraltro, figuravano anche disposizioni capaci di incidere sul funzionamento di istituti regolati dal codice civile [[2]]). Come è noto, i due progetti elaborati dalla Commissione Rordorf (presentati al Consiglio dei Ministri dimissionario della passata legislatura nel dicembre del 2017) non sono stati approvati, a motivo della conclusione anticipata della legislatura. Il nuovo Governo li ha ripresi, e ne ha affidato la rielaborazione ad una nuova commissione. Questa ha varato il 4 ottobre 2018 una nuova proposta di decreto legislativo, che, tra l’altro, unifica i due progetti precedenti in un unico testo, approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 novembre 2018 con la denominazione di “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 2019. Le nuove norme in tema di impresa e società sono contenute nella parte II del decreto e riferite dagli artt. da 375 a 384. Questo testo conserva l’impianto di fondo della versione di cui al precedente progetto, ma le sue norme risultano in più punti modificate. Il presente studio propone una prima analisi delle modifiche apportate al diritto dell’impresa e delle società [continua ..]


2. Un ritorno al passato in materia di società a responsabilità limitata

Una seconda osservazione sembra aprire una prospettiva del tutto diversa, anzi opposta: un ritorno al passato. Il Codice della crisi propone, infatti, in tema di società, un visibile recupero, su alcuni punti, di posizioni anteriori alla riforma del 2003, eliminando, o contraendo, alcune (importanti o meno, è da tutto da vedere) delle innovazioni che il legislatore societario aveva apportato [[5]]. In primo luogo, e questo proposito sembra assolutamente condivisibile, il Codice della crisi riavvicina, su alcuni punti, il diritto della società a responsabilità limitata al diritto della società per azioni. Viene così ridimensionata la eccessiva, e per molti punti francamente incomprensibile, volontà della riforma del 2003 di allontanare il più possibile, (quasi) sempre e su (quasi) tutto, le regole dei due tipi. Il Codice della crisi reintroduce, nel diritto della società a responsabilità limitata, una disciplina del consiglio di amministrazione, con possibilità di delega di poteri al suo interno, e regola la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali. Prevede, inoltre, l’affidamento esclusivo della gestione dell’impresa agli amministratori a valere per tutti i tipi di società. E non è detto che queste innovazioni non si rivelino poi capaci di trascinare in via interpretativa altre modifiche nella stessa direzione. In altra prospettiva, di meno agevole valutazione, la riforma propone una appariscente riduzione dell’autonomia statutaria della società a responsabilità limitata, soprattutto con riguardo alla gestione dell’impresa. Tutto o quasi torna (lo si vedrà meglio più avanti) nelle mani degli amministratori, e la distribuzione di poteri gestori che la riforma del diritto societario sembrava consentire viene bruscamente interdetta. Questo ritorno al passato potrebbe essere gradito a coloro (forse i più) che avevano espresso riserve, più o meno pronunziate, sulle nuove frontiere (quanto meno, su alcune di esse) aperte nel 2003. Per certi versi (posto che le regole del 2003 sono state applicate per oltre dieci anni senza che sia stato verificato appieno il loro rendimento) poteva forse valere la pena di attendere un’analisi empirica completa dei loro effetti prima di operare una loro così brusca cancellazione. È anche vero, però, che la [continua ..]


3. L’obbligo di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili come regola generale del diritto dell’impresa che operi in forma societaria o collettiva

La prima tra le modifiche del codice civile proposte dal Codice della crisi riguarda l’art. 2086 c.c., che viene dotato di un nuovo titolo e di un nuovo 2° comma. Il vecchio titolo “Direzione e gerarchia nell’impresa”, figlio diretto della visione corporativa degli anni quaranta del secolo scorso, è sostituito da “Gestione del­l’impresa”. Finalmente, verrebbe da dire, viene eliminato un relitto storico un po’ sgradevole. Ma forse il nuovo titolo non è del tutto appropriato: la disciplina degli assetti attiene alla “organizzazione” dell’impresa, non alla “gestione” dell’impresa in senso proprio e totale [[6]]. O forse alla nuova locuzione è sottesa l’idea che organizzazione e gestione dell’impresa siano ormai “collegate” sempre più strettamente dall’accrescersi di regole organizzative concepite come funzionali al perseguimento di obiettivi di corretta gestione; e lo testimonia la crescente importanza attribuita dal legislatore alla predisposizione di assetti organizzativi interni agli apparati e alle funzioni aziendali. In ogni caso, questa operazione ha un valore poco più che simbolico. Più consistente è l’innovazione introdotta dal nuovo 2° comma. A qualunque imprenditore «che operi in forma societaria o collettiva» si impone «il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa» [[7]]. Si prevede che la funzione di questi assetti sia «anche» quella di consentire una «rilevazione tempestiva» di una possibile situazione di crisi. Si impone poi all’imprenditore (sempre che «operi in forma societaria o collettiva») di «attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale». Va qui subito notato che il Progetto Rordorf riferiva il nuovo 2° comma dell’art. 2086 all’imprenditore che operi “in forma individuale, societaria o in qualunque altra veste”, mentre il Codice della crisi, come si è già detto, lo riferisce (solo) al­l’imprenditore che operi “in forma societaria o [continua ..]


4. L’obbligo dell’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di attivarsi per il superamento della crisi e gli strumenti adottabili

Alla previsione dell’obbligo di istituire assetti organizzativi amministrativi e contabili adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, il Codice della crisi fa seguire il dovere di «attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale». Un primo importante rilievo è che questo nuovo obbligo sorge solo a carico delle imprese soggette all’obbligo di creare assetti adeguati. Quindi sorge solo a carico delle imprese gestite «in forma societaria o collettiva», e non anche a carico del­l’imprenditore individuale (che nel Codice della crisi non ha più l’obbligo di istituire i predetti assetti, previsto invece dal Progetto Rordorf). La lettera del nuovo 2° comma dell’art. 2086 non lascia dubbi in proposito. All’imprenditore individuale si applica invece (solo) la regola dettata dall’art. 3 del Codice della crisi secondo la quale «L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte». Un obbligo di «rilevare» e «far ... fronte» alla crisi non comprende un obbligo di provare a superarla. Questo diverso assetto di regole dell’impresa individuale sembra condivisibile. Obbligare l’imprenditore individuale a risanare l’impresa sarebbe forse eccessivo, e la limitazione di quest’obbligo (la cui giustificazione ed il cui esatto contenuto appaiono tuttavia per molti versi oscuri) alle imprese societarie (e collettive) può trovare ragion d’essere nelle loro maggiori dimensioni, e pertanto nel loro più ampio impatto sul mercato e sull’intero sistema economico. Quanto alle società (ed alle altre strutture collettive), non è molto chiaro a cosa valga costruire a loro carico un obbligo (e non è neppure chiaro se tale obbligo esistesse già da prima) avente i contenuti su citati. Ed è da verificare come la violazione di questo obbligo si confronti con i reati di bancarotta. Sembra ovvio, ancorché il testo di legge sia muto sul punto, che tale obbligo si [continua ..]


5. La concentrazione dei poteri di gestione in capo all’organo amministrativo in tutte le società

Sempre attraverso la specifica integrazione della disciplina di tutti i tipi sociali [[15]], il Codice della crisi stabilisce che in tutte le società la gestione dell’impresa «spetta esclusivamente agli amministratori». Per la verità questa regola era già stata introdotta nell’art. 2380-bis per la società per azioni (quindi anche per la società in accomandita per azioni), dalla riforma del diritto societario del 2003. Essa è invece nuova, sia sul piano formale, sia sul piano sostanziale, per la società semplice, per la società in nome collettivo, per la società in accomandita semplice e per la società a responsabilità limitata. Nei tanti commenti al Progetto Rordorf, la generalizzazione di questa regola all’intero sistema delle società non ha incontrato consensi [[16]]. Qui non si vuol provare a valutare questa innovazione, e ci si limiterà ad alcune note sul suo rilievo effettivo. Il significato di questa regola è stato esaminato a partire, appunto, dalla sua introduzione nel diritto della società per azioni. Non è possibile riprendere qui nei dettagli l’intera tematica. Si può solo ricordare che la regola in esame viene generalmente intesa come volta ad escludere la possibilità di compimento diretto di atti di gestione da parte dei soci e di istruzioni vincolanti dei soci agli amministratori, e volta altresì a ricondurre agli amministratori la piena responsabilità per gli eventuali danni provocati alla società da atti di gestione (da chiunque decisi) non conformi agli obblighi di diligenza. Complesso, tuttavia, appare l’impatto di questa previsione sul diritto della società semplice, della società in nome collettivo, della società in accomandita semplice e della società a responsabilità limitata. Per le società di persone da sempre, per la società a responsabilità limitata a partire dal 2003, la previsione generale di un ampio corredo di autonomia statutaria consentiva, con specifico riguardo alla gestione dell’impresa, varie possibilità (forse, quanto alla società a responsabilità limitata, non ancora pienamente identificate e censite) di allocazione e distribuzione di poteri gestori. Come è noto, la normativa delle società di persone non [continua ..]


6. I limiti all’autonomia statutaria nella società a responsabilità limitata in materia di attribuzione di competenze gestorie

All’opposto, o quasi, la normativa della società a responsabilità limitata indica(va) alcune possibili opzioni, per la verità a volte in modo non chiarissimo, sembrando poi non escludere l’utilizzabilità di opzioni diverse. E si vuol qui rapidamente discutere dell’impatto della nuova norma introdotta dal Codice della crisi su questo tipo, che è il tipo più diffuso in assoluto nel nostro sistema, e, anche, il tipo verso il quale il nostro sistema tenta di far convergere le imprese societarie minori. Le norme oggi in vigore cui dare attenzione, in questa prospettiva, sono l’art. 2468, 3° comma, c.c. («Resta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’at­tribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società»), e l’art. 2479, 1° comma, c.c. («I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione»). Si potrebbe aggiungere l’art. 2483 c.c., il quale oggi prevede che l’emissione di titoli di debito (atto sicuramente di natura gestoria) possa essere attribuita alla competenza dei soci o degli amministratori. Come è noto, l’art. 2468 c.c. è stato tendenzialmente interpretato nel senso che lo statuto non potrebbe attribuire al singolo socio il diritto-potere di compiere atti di gestione. Potrebbe soltanto attribuire il diritto di esprimere pareri o autorizzazioni su singole operazioni. Dubbia è la vincolatività di questi pareri o autorizzazioni. L’art. 2479 c.c. è stato interpretato nel senso che la devoluzione dall’organo amministrativo all’assemblea dei soci potrebbe riguardare qualunque decisione gestoria, ma, in ogni caso, occorrerebbe poi un atto esecutivo degli amministratori. Modesta attenzione si è data (merita forse notarlo) al fatto che le norme scritte della società a responsabilità limitata non prevedono nessuna regola la quale (sul modello dell’art. 2364, 1° comma, n. 5, c.c., dettato per la società per azioni) tenga ferma la responsabilità degli amministratori per gli atti compiuti in esecuzione di delibere assembleari che autorizzano (o, a [continua ..]


7. Le regole di funzionamento del consiglio di amministrazione nella società a responsabilità limitata e la delega

La disciplina della società a responsabilità limitata viene integrata con un nuovo 6° comma dell’art. 2475 c.c., secondo il quale «Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2381». Un primo risultato di questa innovazione è nell’estendere alla società a responsabilità limitata il 1° comma dell’art. 2381 c.c., che propone (per la società per azioni) una disciplina, sia pure minimale, del funzionamento del consiglio di amministrazione, e identifica le prerogative fondamentali del suo presidente. Resta ferma, peraltro, la possibilità di una amministrazione pluripersonale disgiuntiva, non essendosi esteso alla società a responsabilità limitata il 3° comma dell’art. 2380-bis c.c. La riforma del 2003 non detta alcuna regola per il consiglio di amministrazione della società a responsabilità limitata. Essa consente allo statuto di disporre sul punto, ma manca (come per molti altri punti del diritto della società a responsabilità limitata rimessi all’autonomia statutaria [[17]]) una regola di default. Non è male quindi, in questa prospettiva, che questo vuoto sia colmato. Si potrebbe tuttavia dissentire, forse, dall’estensione tout court alla società a responsabilità limitata delle regole presenti in tema di società per azioni. Queste regole sono caratterizzate da piena rigidità, sono tendenzialmente inderogabili, e si giustificano pienamente (solo) all’interno della struttura azionaria. Il consiglio di una società a responsabilità limitata potrebbe regolarsi secondo una disciplina più flessibile senza che ciò comprometta interessi significativi. Ad esempio, le regole sui flussi informativi dal presidente al consiglio (art. 2381, 1° comma, c.c.: «il presidente … provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all’ordine del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri»), sicuramente irrinunciabili in una società per azioni, non sono davvero tali per un consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata formato dai tre soci, che siano gli unici tre soci e siano anche tutti dipendenti della società, giornalmente presenti in azienda. Alla luce di ciò, una soluzione più appropriata poteva forse esser [continua ..]


8. La responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata verso i creditori sociali e la liquidazione del danno procurato dopo lo scioglimento della società

Varie innovazioni sono previste sul tema della responsabilità degli amministratori. Il Codice della crisi chiude un altro problema lasciato aperto dalla riforma del 2003, prevedendo espressamente la responsabilità degli amministratori della società a responsabilità limitata nei confronti dei creditori sociali. La nuova norma [[18]], già prevista nel Progetto Rordorf, ricalca letteralmente in tutto la regola vigente per la società per azioni, compattando in un unico contesto (una seconda parte del 5° comma, o un nuovo 5°-bis comma dell’art. 2476 c.c.) le regole che l’art. 2394 c.c. distribuisce su tre commi. Su questo punto la prassi giurisprudenziale post-2003 è stata piuttosto oscillante, e deve valutarsi positivamente non solo che si sia fissata una regola, ma anche che si sia scelta la regola più adeguata. Se non altro, su questo punto, una divaricazione piena tra società per azioni e società a responsabilità limitata non sembra trovare una giustificazione comprensibile. Più complessa è la portata di una nuova serie di regole, introdotte da una nuova ultima parte del 2° comma (o da un nuovo 3° comma) dell’art. 2486 c.c., in tema di liquidazione del danno da responsabilità degli amministratori. Questa norma è collocata all’interno della disciplina dello scioglimento e liquidazione di società di capitali. Si tratta di una regola transtipica, rivolta a tutti i tre tipi di società di capitali. Nello stesso tempo, questa collocazione sembra escludere che le nuove norme siano da vedere come regole generali della responsabilità degli amministratori, e la lettera del testo le relega sul (limitato) fronte della responsabilità per violazione dello specifico obbligo fissato dal 1° comma dell’art. 2486 c.c. (obbligo di gestione conservativa al verificarsi di una causa di scioglimento). Il campo elettivo di applicazione delle nuove regole quindi dovrebbe essere quello delle società che incorrono nello scioglimento per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Meno significative appaiono, ovviamente, nella prospettiva della responsabilità degli amministratori, le altre ipotesi di scioglimento. Val la pena notare, tuttavia, che, anche per il caso indicato, le nuove norme regolano solo la quantificazione del danno provocato dagli amministratori alla [continua ..]


9. Il sistema dei controlli nelle società di capitali in crisi

Il Codice della crisi prevede un importante e incisivo intervento in materia di controlli sulla gestione dell’impresa costituita nella forme delle società di capitali e cooperative. La novità più eclatante, anche in questo caso, è rappresentata dalle modifiche apportate alla disciplina della società a responsabilità limitata nella quale viene amplificato l’obbligo di prevedere l’organo di controllo interno e il revisore, mediante una notevole riduzione delle soglie dimensionali al disotto delle quali tale previsione resta facoltativa (v. art. 379, 1° comma, lett. c), Codice della crisi), e viene altresì reintrodotta l’applicazione del procedimento di cui all’art. 2409 c.c. anche laddove la società sia priva dell’organo di controllo (v. art. 379, 2° comma, Codice della crisi). Il potenziamento della presenza del collegio sindacale e del revisore nella società a responsabilità limitata è sicuramente motivato dai compiti che sono loro affidati dal Codice nel monitoraggio sui sintomi premonitori di uno stato di crisi, compiti che trovano il loro apice negli specifici doveri di segnalazione previsti nell’ambito della procedura di allerta di cui parleremo tra breve. Le segnalate novità, tuttavia, paiono estendere il loro rilievo al di là della predetta procedura, e indipendentemente dai suoi esiti e dalla stessa sua attivazione. Innanzitutto, il Codice della crisi correttamente concepisce il sistema di controllo interno come un insieme di regole e processi complesso, annoverandovi in prima battuta la creazione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati che sono, come già osservato, essenzialmente funzionali al monitoraggio e alla gestione dei principali rischi aziendali, nonché alla corretta rilevazione dei risultati imprenditoriali. Rappresentano pertanto il presidio principale di protezione dell’impresa non solo dal rischio di errori e negligenze nella programmazione e gestione che possano compromettere gli equilibri aziendali, ma anche dal rischio che la crisi non venga tempestivamente avvertita e che l’impresa non reagisca adeguatamente alla prima allerta [[20]]. La stessa applicazione alla società a responsabilità limitata della disciplina delle deleghe di poteri in seno al consiglio di amministrazione di cui al­l’art. 2381 c.c. (la cui [continua ..]


10. La procedura di allerta e i doveri di segnalazione degli organi di controllo

Il ruolo dell’organo di controllo interno e del revisore si esalta nell’ambito della procedura di allerta, regolata dal Codice della crisi, agli artt. 12-15. La procedura in questione rientra tra gli strumenti di soluzione precoce e stragiudiziale della crisi allo stadio iniziale già oggetto di Raccomandazione della Commissione Europea (Raccomandazione UE 2014/135) e già introdotti negli ordinamenti di alcuni paesi europei, come, ad es., l’ordinamento francese [[22]], nonché già proposti in precedenti progetti di riforma del diritto fallimentare (v. ad es. la proposta della Commissione Trevisanato [[23]]). Nell’ambito del Codice della crisi, la procedura di allerta sicuramente rappresenta l’elemento che meglio ne esprime l’obiettivo più innovativo, quello cioè di assicurare un avvistamento precoce dei segnali di crisi e di indurre il debitore al suo superamento tramite il ricorso a formule «di natura non giudiziale e confidenziale» (v. art. 4, legge delega n. 155/2017). La disciplina della procedura, in realtà, si presta ad essere diversamente declinata, modulando secondo diverse possibili combinazioni il dosaggio degli elementi di eterotutela dei creditori con gli spazi lasciati alla collaborazione e alle decisioni del debitore proprio perché i presupposti della sua applicazione consistono (o dovrebbero consistere) in una condizione di difficoltà non ancora particolarmente avanzata, in cui le possibilità di recupero degli equilibri aziendali (e della stessa futura capacità solutoria) sono effettivi e pertanto non giustificano soluzioni eccessivamente coercitive della volontà del debitore [[24]]. Il Codice della crisi, in particolare, individua lo stato di crisi sostanzialmente nello squilibrio economico-finanziario, attivato dal declino della redditività, e pertanto nella previsione di flussi di cassa insufficienti ad assicurare, anche prospetticamente, la capacità di soddisfare le obbligazioni “pianificate” (v. art. 2, 1° comma, lett. a), Codice della crisi). Si tratta quindi di uno stadio in cui, non solo non vi è insolvenza attuale, ma nemmeno incapacità di soddisfare debiti contratti che non siano ancora scaduti. L’in­capacità solutoria rilevante nella fattispecie è riferita ad obbligazioni solo “pianificate”, segno [continua ..]


11. Gli ulteriori doveri dell’organo di controllo interno in presenza di indizi di crisi

Non va meglio per la disciplina relativa ai compiti affidati agli organi di controllo nella procedura di allerta, per la quale si è osservato che l’esonero da responsabilità per atti od omissioni degli amministratori successivi alla segnalazione potrebbe, da un lato, incentivare un indiscriminato ricorso dell’organo di controllo all’attività di segnalazione, dall’altro, depotenziare le più impegnative attività di vigilanza sulle successive decisioni degli amministratori [[26]]. Tuttavia, se il Codice della crisi disciplina specificamente i doveri dell’organo di controllo interno nei termini dei richiamati obblighi di segnalazione, c’è da osservare che i nuovi doveri imposti agli amministratori di società in situazioni di crisi sono previsti in via generale, destinati a far parte delle disposizioni del codice civile in materia di impresa (art. 2086, 2° comma, nella versione prevista dal Codice della crisi all’art. 375, 2° comma) e sul loro adempimento l’organo di controllo interno sarebbe chiamato a vigilare facendo ricorso a tutti gli strumenti di indagine e reazione concessi dall’ordinamento. A parere di chi scrive, questa conclusione si impone sia per le ragioni di carattere sistematico e formale appena esposte (previsione di nuovi doveri degli amministratori nella disciplina di diritto comune), sia per ragioni di tipo funzionale. La procedura di allerta, infatti, proprio per la sua natura stragiudiziale e conciliativa (finalizzata, per l’appunto, alla “composizione assistita della crisi”), a basso livello di cogenza quanto agli impegni proposti all’imprenditore e gestita da un organismo che ha natura di comitato tecnico, come tale naturalmente privo di poteri comminatori, non può rappresentare l’unico sbocco al riscontro della violazione dei nuovi doveri imposti agli amministratori dell’impresa in crisi. O meglio, se il riformatore avesse voluto ottenere questo risultato avrebbe dovuto strutturare diversamente la disciplina, ma l’espansione dei doveri generali degli amministratori non può che portare con sé l’estensione dell’area dei comportamenti degli amministratori soggetta a vigilanza dell’organo di controllo secondo la disciplina di diritto comune che ne governa doveri e poteri. Questo comporta che i poteri/doveri di indagine e reazione [continua ..]


12. Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. nella società a responsabilità limitata

Il rafforzamento del sistema dei controlli societari previsto nel Codice della crisi si espande anche al controllo esterno sulla gestione delle società di capitali ad opera dell’autorità giudiziaria tramite il recupero del procedimento ex art. 2409 c.c. alla disciplina della società a responsabilità limitata (art. 379, 2° comma, Codice della crisi). Anche in questo caso, il Codice propone un ritorno al passato poiché scommette nuovamente su un istituto in qualche misura ridimensionato dalla riforma del diritto societario del 2003 che lo ha circoscritto ai tipi azionari ed ha puntualizzato i suoi obiettivi in termini di prevenzione del danno alla società derivante da gravi irregolarità compiute dagli amministratori nell’attività di gestione. La novità proposta chiuderebbe così l’ampio dibattito sviluppatosi in dottrina e in giurisprudenza successivamente alla riforma del 2003 sulle ragioni di tale limitazione, sulla sua stessa legittimità costituzionale [[27]], e sulla verifica della possibilità di estendere in via interpretativa l’applicazione del procedimento previsto per la società per azioni alla società a responsabilità limitata nonostante il silenzio del legislatore [[28]]. L’esclusione del procedimento ex art. 2409 c.c. dalla disciplina della società a responsabilità limitata è stata, come è noto, fondata sul rafforzamento dei poteri di informazione concessi al socio in tale tipo sociale, unitamente al potere di chiedere la revoca in via cautelare degli amministratori nell’ambito del giudizio sull’azione di responsabilità [[29]]. Il Progetto Rordorf, secondo quanto si legge nella Relazione che lo accompagnava, non pareva però condividere queste valutazioni. Accoglieva, viceversa, gli argomenti delle posizioni più critiche verso la limitazione introdotta dalla riforma del 2003, negando che vi fosse equivalenza tra i rimedi concessi dall’art. 2476 c.c. al socio di società a responsabilità limitata di fronte a gravi irregolarità degli amministratori e la tutela assicurata dal procedimento ex art. 2409 c.c. [[30]]. Nella predetta Relazione si sottolineava, infatti, che il procedimento ex art. 2409 c.c. può ottenere risultati che le misure previste [continua ..]


13. Le gravi irregolarità di gestione e la violazione degli obblighi di risanamento

In una prospettiva riferibile a tutti i tipi sociali in cui il procedimento ex art. 2409 c.c. trova applicazione, si dovrebbe in particolare accertare se la violazione dei nuovi doveri di risanamento dell’impresa imposti ai suoi amministratori possa costituire una grave irregolarità suscettibile di denuncia ex art. 2409 c.c. [[38]]. La soluzione del problema non è così scontata soprattutto dopo la revisione della disciplina del procedimento operata dalla riforma del diritto societario del 2003 che ha in qualche modo rafforzato quegli orientamenti favorevoli ad un’interpre­tazione selettiva delle irregolarità rilevanti. Non tutte le violazioni dei doveri posti in capo agli amministratori possono quindi essere considerate “gravi irregolarità” ai sensi dell’art. 2409 c.c. Uno spunto a favore della soluzione affermativa in realtà vi sarebbe. Si trova nel­­l’art. 14, 3° comma, del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.l. n. 175/2016) che, disponendo in materia di crisi, espressamente qualifica grave irregolarità rilevante ai sensi dell’art. 2409 c.c. la mancata adozione, da parte degli amministratori, di provvedimenti adeguati a prevenire l’aggravamento della crisi, a cor­reggerne gli effetti e ad eliminarne le cause attraverso un idoneo piano di risanamento. Questo elemento non pare però determinante perché opera in un contesto del tutto peculiare, nell’impresa, cioè, finanziata con risorse pubbliche, che realizza, nella sua attività, un interesse pubblico capace di condizionare le scelte del socio di controllo anche relativamente alla gestione della crisi e alle decisioni in merito alla conservazione in vita dell’organizzazione. Ciò non di meno, se ci si pone nella prospettiva della tutela dell’interesse dei creditori sociali, che è centrale in quella stessa disciplina che introduce l’obbligo per l’imprenditore di attivarsi per il superamento della crisi e che, come si è osservato, potrebbe giovarsi del procedimento ex art. 2409 c.c. almeno in caso di violazioni idonee a ledere la garanzia patrimoniale (v. supra, § 12), la soluzione affermativa potrebbe trovare giustificazione anche nelle società di diritto comune. C’è da osservare, tuttavia, che il dovere di [continua ..]


NOTE