Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Profili di responsabilità amministrativa dei consiglieri di amministrazione non esecutivi di banche: doveri di vigilanza e di intervento e prova dell'immunità da colpa da parte dei singoli consiglieri (nota ad App. Roma, 12 giugno 2006 e 25 gennaio 2007) (di Matteo Bazzani)


CORTE DI APPELLO DI ROMA, 12 giugno 2006, n. 51912/2006 R.G. Volontaria Giurisdizione – Bonavitacola Presidente, Relatore, Estensore – Molinaro Amato Luigi (Avv.ti Morera, Sacchi) c. Banca d’Italia (Avv.ti Ceci, Mancini, D’Ambrosio) nonché Ministero dell’Economia e delle Finanze

Impugnazione di sanzioni amministrative ex artt. 144/145 D.lgs. 385/1993 – Consiglio di amministrazione di banche – Dovere di vigilanza e di intervento – Ruolo e responsabilità degli amministratori privi di deleghe gestorie

(Artt. 2381 e 2392 c.c., artt. 144, 145 e 53, 1° comma, lett. d) D.lgs. 385/1993 e relative disposizioni di vigilanza di Banca d’Italia)

Gli amministratori deleganti hanno un costante potere-dovere di controllo sugli organi delegati in ragione del fatto che gli organi delegati operano per conto dell’organo collegiale e devono uniformarsi ad ogni sua direttiva. In relazione a tale rapporto è dovere dei singoli componenti del C.d.A attivarsi in ogni maniera, prendere ogni utile iniziativa per verificare le operazioni che si stanno compiendo e non mantenere un comportamento del tutto passivo quali meri destinatari delle informazioni fornite dagli organi delegati (1).

CORTE DI APPELLO DI ROMA, 25 gennaio 2007, n. 58982/2006 R.G. Affari Camera di Consiglio – Fancelli Presidente – Pignatelli Relatore – Molinaro Amato Luigi (Avv.ti Morera, Sacchi) c. Banca d’Italia (Avv.ti Ceci, Mancini, D’Ambrosio) nonché Ministero del Tesoro

Impugnazione di sanzioni amministrative ex artt. 144/145 D.lgs. 385/1993 – Consiglio di amministrazione di banche – Dovere di vigilanza e di intervento – Ruolo e responsabilità degli amministratori privi di deleghe gestorie

(Artt. 2381 e 2392 c.c., artt. 144, 145 e 53, 1° comma, lett. d) D.lgs. 385/1993 e relative disposizioni di vigilanza di Banca d’Italia)

Gli amministratori deleganti hanno un costante potere-dovere di controllo sugli organi delegati in ragione del fatto che gli organi delegati operano per conto dell’organo collegiale e devono uniformarsi ad ogni sua direttiva. In relazione a tale rapporto è dovere dei singoli componenti del C.d.A attivarsi in ogni maniera, prendere ogni utile iniziativa per verificare le operazioni che si stanno compiendo e non mantenere un comportamento del tutto passivo quali meri destinatari delle informazioni fornite dagli organi delegati (1).

È infondata la richiesta di riduzione della sanzione, basata sulla sola assenza di una graduazione in relazione alle diverse responsabilità dei singoli consiglieri, atteso che il raffronto della sanzione inflitta ai consiglieri deleganti rispetto a quella ben più grave inflitta all’amministratore delegato dimostra che una graduazione vi è stata e il fatto che siano state irrogate identiche sanzioni ai componenti non esecutivi del C.d.A dimostra solo che è stata ritenuta uguale la colpa di detti componenti (2).

 

CORTE DI APPELLO DI ROMA
– Sezione Prima Civile –
VOLONTARIA GIURISDIZIONE

La Corte

(Omissis) L’opponente lamenta, innanzitutto, che la Banca d’Italia avrebbe formulato la proposta per la irrogazione delle sanzioni ai sensi del T.U. delle leggi bancarie prendendo a base di essa l’accertamento effettuato dalla CONSOB con riferimento al patto parasociale intervenuto tra la Banca Popolare di Lodi – divenuta, poi, Banca Popolare Italiana – e vari altri soggetti (Gnutti Emilio, Lonati Tiberio, Coppola Danilo, ecc.) per l’acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antonveneta e del controllo della stessa, senza operare un proprio accertamento ed una autonoma valutazione dei fatti con una corrispondente motivazione.

Il motivo di opposizione è infondato.

Vero è che la Banca d’Italia ha utilizzato l’accertamento fatto dalla CONSOB con riferimento al menzionato patto para­so­ciale, ma ciò si inseriva perfettamente nel sistema disegnato dal legislatore nelle materie di rispettiva competenza.

Invero, come si ricava dall’art. 7 D.lgs. n. 385 del 1993 e dagli artt. 4 e 10 D.lgs. n. 58 del 1998, la Banca d’Italia e la CONSOB erano tenute a scambiarsi tra loro informazioni circa l’attività di vigilanza al fine di rendere più agevoli e complete le rispettive attività di istituto; inoltre, ognuna poteva effettuare ispezioni per conto dell’altra, quando la particolare natura della materia lo richiedeva.

Ciò significa che nel complessivo sistema la vigilanza nelle rispettive materie era coordinata e che gli accertamenti dell’una erano utilizzabili dall’altra per la propria attività di vigilanza e di accertamento delle violazioni, al pari degli accertamenti diretti propri.

Insomma gli accertamenti della CONSOB erano equi­parabili sul piano probatorio a quelli della Banca d’Italia e viceversa e, quindi, utilizzabili pienamente.

Ma la Banca d’Italia non si è limitata ad una passiva accettazione dell’accertamento operato dalla CONSOB, ma ne ha effettuato una verifica, prima di utilizzarlo, sulla base di ulteriori elementi, trovando conferma all’esistenza del patto parasociale.

Così, in particolare, ha rilevato che l’esistenza di quel patto risultava dai provvedimenti adottati in via cautelare, sia dal giudice civile che da quello penale, quali il Tribunale di Padova in sede di impugnazione della delibera assembleare dell’Antonveneta del 30 aprile 2006 ed il GIP di Milano in sede di sequestro delle azioni acquisite per la scalata all’Antonveneta.

Peraltro, la Banca d’Italia, sulla base delle informazioni fornitele dalla CONSOB, ha avviato un autonomo procedimento istruttorio che ha consentito all’opponente, a seguito delle contestazioni, di articolare controdedu­zioni, così rendendo ampio e completo il contraddittorio sulla questione.

Con un secondo motivo l’opponente lamenta che nes­suna responsabilità gli sarebbe stata ascrivibile in relazione alla conclusione del patto parasociale con il conseguente acquisto di azioni ordinarie della Banca Antonveneta e l’assunzione di una influenza dominante sulla banca stessa; ciò per la ragione che le operazioni relative erano di competenza del presidente del consiglio di amministrazione e dell’amministratore delegato e che questi avrebbe riferito in merito al consiglio di amministrazione con ritardo, così da impedire qualsiasi tempestivo ed utile intervento da parte del consiglio stesso.

Anche tale motivo è infondato.

Vero è che le operazioni in questione erano state condotte dai predetti e che questi ne avevano dato notizia al consiglio di amministrazione soltanto in dato 23 marzo 2005, quando orami la notizia della scalata all’Anton­veneta era divenuta di pubblico dominio a seguito delle indiscrezioni apparse sulla stampa.

Ma i consiglieri di amministrazione, tra i quali il Mo­linari, ancorché sprovvisti di deleghe per la gestione erano tenuti tuttavia quali membri dell’organo collegiale, a vigilare sull’operato degli organi esecutivi e ad intervenire tempestivamente, sia per accertarsi che esso fosse conforme agli indirizzi stabiliti dal consiglio in materia di orienta­men­ti strategici e di politiche di gestione del rischio, come previsto dalle Istruzioni di Vigilanza (Titolo VI, cap. II), sia per evitare atti pregiudizievoli.

In particolare, essi, ai sensi dell’art. 2392, secondo comma, c.c., nel nuovo testo, avevano l’obbligo di “fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento o eliminare e attenuare le conseguenze dannose di eventuali atti pregiudizievoli di cui essi (fossero) venuti a conoscenza.

Inoltre, poiché ai sensi dell’art. 2381, terzo comma, c.c., il consiglio di amministrazione aveva il potere di “impartire direttive agli organi delegati ed avocare a sé operazioni rientranti nella delega” e di “valutare il generale andamento della gestione”, gli amministratori deleganti avevano il dovere di vigilare sull’esercizio delle deleghe, all’uopo chiedendo agli amministratori delegati ogni utile informazione sulla gestione sociale ai sensi dell’ultimo comma del cit. art. 2381.

Insomma, essi avevano un costante potere-dovere di controllo sugli organi delegati proprio in ragione del fatto che questi operavano per conto dell’organo collegiale e che, quindi, dovevano uniformarsi ad ogni direttiva di questo.

Pertanto, il Molinari doveva attivarsi in ogni maniera, con ogni utile iniziativa, esercitando i poteri attribuitigli dalla legge per verificare l’operato dei delegati.

Ma non risulta che egli abbia preso iniziative per ve­rificare le operazioni che si stavano compiendo per la scalata all’Antonveneta.

Eppure vi erano chiari segnali rivelatori dell’operazione concertata dalla Banca Popolare di Lodi con gli altri soggetti interessati per l’acquisizione da parte della Banca di rilevanti partecipazioni nel capitale della Banca Anton­veneta e del controllo della banca stessa.

Basta considerare, in particolare, che già nel novembre 2004 la BPI aveva deliberato una serie di finanziamenti che apparivano gravemente sospetti.

Invero, si trattava di finanziamenti per importi rilevanti (in media 50 milioni di euro per operazione), richiesti da persone fisiche sulla base di domande assolutamente gene­riche e deliberati in tempi brevissimi, con istruttorie del tutto sommarie.

Sarebbe bastato approfondire le ragioni di quei finanziamenti per scoprire l’operazione alla quale questi erano finalizzati e ciò molto prima che la scalata all’Antonveneta risultasse in maniera ufficiale dalla dichiarazione fatta dall’amministratore delegato nella seduta del consiglio di amministrazione in data 23 marzo 2005. Il che avrebbe consentito al consiglio di rilevare che l’operazione era destinata a conseguire l’acquisto di rilevanti partecipazioni nell’Antonveneta e del controllo della stessa, eludendo quelle autorizzazioni della Banca d’Italia che avrebbero dovuto verificare l’impatto dell’operazione sulla situazione finanziaria della BPI, sul margine disponibile per gli investimenti in partecipazioni, sull’adeguatezza patrimoniale e sul coefficiente di solvibilità. Con la conseguenza che l’ope­ra­zione si sarebbe potuta impedire.

Si impone, dunque, in definitiva, il rigetto dell’oppo­sizione.

Le spese del procedimento seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta l’opposizione di Molinari Amato Luigi e lo condanna a rimborsare alla Banca d’Italia e al Ministero del­l’Eco­nomia e delle Finanze le spese del procedimento, che liquida, quanto alla prima, in euro 2.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, euro 400,00 per diritti ed euro 1.400,00 per onorari, oltre accessori di legge e, quanto al secondo, in euro 1.400,00 di cui euro 400,00 per diritti ed euro 1.000,00 per onorari, oltre le spese prenotate a debito e gli accessori di legge.

Roma, 12 giugno 2006.

 

LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
VOLONTARIA GIURISDIZIONE
AFFARI CAMERA DI CONSIGLIO

(Omissis) Con ricorso, ritualmente notificato il 13 ottobre 2006, Amato Luigi Molinari, già componente del C.d.A. della Banca Popolare Italiana, proponeva reclamo avverso il provvedimento indicato in oggetto con il quale gli era stata inflitta sanzione pecuniaria per le infrazioni così specificate:

a) mancato rispetto dei coefficienti prudenziali minimi obbligatori nell’arco temporale ricompreso tra l’ultima decade del mese di aprile ed il 30 giugno 2005;

b) difformità tra le dichiarazioni effettuate alla vigilanza e quanto attuato nelle diverse operazioni di rafforzamento patrimoniale;

c) omessa comunicazione dell’opzione concessa al Deutsch

Il reclamante ha dedotto la illegittimità del provve­dimento impugnato per essere stata la proposta formulata quando erano decorsi 180 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione di controdeduzioni.

La tesi è infondata atteso che, con la legge 262/2005 (entrata in vigore quando ancora detto termine non era scaduto) è stata attribuita alla Banca d’Italia stessa l’irro­gazione della sanzione, con abrogazione per incompatibilità di un proce­di­mento che doveva essere attuato in relazione ad una proposta formulata ad ente diverso.

Nel caso in esame, pertanto, può trovare applicazione il solo termine di cinque anni dalla commissione della violazione, corrispondente a quello per la riscossione delle somme dovute per l’infrazione.

Tale ultimo termine, infatti, costituisce il limite tempo­rale entro il quale si esaurisce il potere dell’Ammini­stra­zione di applicare la sanzione: “Dal sistema complessivo della legge si desume, infatti, che il diritto di credito del­l’amministrazione alla somma di denaro, costituente la sanzione amministrativa pecuniaria, sorge direttamente dalla violazione la quale si pone come fonte dell’obbliga­zione, mentre l’ordinanza di pagamento ha l’effetto di determinare la somma dovuta. La disposizione presuppone cioè che esista una obbligazione anche prima della emanazione dell’ordinanza. Conseguentemente la prescrizione si riferisce non solo al diritto di riscuotere la sanzione pecuniaria (diritto che l’amministra­zione può esercitare dopo la emanazione della ordinanza-ingiunzione) ma anche al potere dell’amministrazione di applicare la sanzione comminata dalla legge per la violazione accertata” (così Cass. 6967/97).

Assume, poi, l’opponente che nessuna responsabilità sarebbe a lui ascrivibile in relazione alle violazioni conte­state e che la sua posizione non era stata vagliata dalla controparte; egli era solo componente non esecutivo del C.d.A. (non era mai stato amministratore delegato od aveva fatto parte di comitati esecutivi) e le informazioni che fornivano gli organi a ciò deputati erano del tutto insufficienti, tanto che nessuna problematica era emersa nel corso delle riunioni del consiglio alle quali egli aveva partecipato.

Anche tale censura è infondata.

I consiglieri di amministrazione, benché sprovvisti di deleghe per la gestione, erano tenuti a vigilare sull’operato degli organi esecutivi e ad intervenire tempestivamente, sia per accertarsi che fosse conforme agli indirizzi stabiliti dal consiglio in materia di orientamenti strategici e di politiche del rischio, come stabiliscono le Istruzioni di Vigilanza, sia per evitare atti pregiudizievoli.

In particolare, ai sensi dell’art. 2392, secondo comma, c.c. al ricorrente ed agli altri componenti del C.d.A. era attribuito l’obbligo di “fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento o attenuare le conseguenze dannose di eventuali atti pregiudizievoli di cui essi (fossero) venuti a conoscenza”; inoltre poiché a tale organo era attribuito il potere di “impartire direttive agli organi delegati ed avocare a sé operazioni rientranti nella delega” oltre che di “valutare il generale andamento della gestione” (ai sensi dell’art. 2381 c.c.) gli amministratori deleganti avevano il dovere di vigilare sull’esercizio delle deleghe, anche chiedendo ai delegati ogni utile informazione sulla gestione, ai sensi dell’ultimo comma della norma sopra richiamata, (nelle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia è indicato che il C.d.A. “prevede strumenti di verifica per l’eser­cizio di poteri delegati”).

In sostanza ai componenti del C.d.A. era attribuito un costante potere-dovere di controllo sugli organi delegati proprio perché questi operavano per l’organo collegiale e dovevano uniformarsi ad ogni sua direttiva.

In relazione a tale rapporto era dovere dei componenti del C.d.A. attivarsi in ogni maniera, prendere ogni utile iniziativa per verificare le operazioni che si stavano com­piendo e non mantenere un comportamento del tutto passivo quale mero destinatario delle informazioni fornite dagli organi delegati.

Tale dovere di attivazione, peraltro, era ancor più necessario considerando la rilevanza della manovra al­l’origine delle violazioni e, in particolare, l’impatto dell’assunzione di partecipazioni rilevanti in altre banche sulla situazione patrimoniale dell’acquirente.

Per quanto attiene, in particolare alla prima incolpazio­ne, nessun rilievo possono avere le assunte assicurazioni fornite nella seduta del 20 luglio 2005, essendo l’incolpa­zione riferita ad epoca antecedente, così come quelle fornite in epoca antecedente la richiesta di autorizzazione all’acquisto del 29,9% del capitale della Banca Antonveneta.

Ma anche dopo l’autorizzazione rilasciata dalla banca d’Italia, il C.D.A., che pure aveva i compiti sopra descritti si è limitato a ratificare le deliberazioni del comitato esecutivo, senza monitorarne gli sviluppi.

In sostanza, ciò che si addebita al ricorrente è il fatto di non essersi attivato, come era suo preciso obbligo nella qualità di componente del C.d.A. per vigilare concretamento sull’operazione non essendo sufficiente che si sia limitato (secondo il Suo assunto) a recepire acriticamente le assicurazioni che venivano dagli organi di gestione.

Identiche considerazioni possono farsi in relazione alle altre due incolpazioni considerando anche una richiesta di chiarimenti da parte dell’organo di vigilanza in ordine alla sussistenza dei requisiti patrimoniali. Non è sufficiente, quindi, la non presenza ad alcune riunioni ad escludere la colpa, non consistendo solo nella partecipazione ad esse il dovere di attivarsi per quanto sopra detto.

Il ricorso deve, pertanto, essere disatteso non risultando fondata neppure la richiesta di riduzione della sanzione, basata solo sulla assenza di una gradazione in relazione alle diverse responsabilità atteso che, già lo stesso esempio proposto (il raffronto con quella ben più grave inflitta all’ammi­ni­stratore delegato) dimostra che una graduazione vi è stata e il fatto che siano state irrogate identiche sanzioni ai componenti del C.D.A. e del collegio sindacale dimostra sola che è stata ritenuta uguale la colpa di detti componenti.

Il reclamo deve essere, quindi, disatteso.

Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

RIGETTA il reclamo proposto da Amato Luigi Molinari che condanna a rimborsare alla Banca d’Italia le spese del procedimento che liquida in euro 2.000,00 di cui euro 200,00 per esborsi euro 400,00 per diritti ed euro 1.400,00 per onorari, mandando alla Cancelleria di trasmettere copia del presente decreto alla Banca d’Italia per gli adempimenti di sua competenza.

Così deciso in Roma il 25 gennaio 2007

 

(1-2) Profili di responsabilità amministrativa dei consiglieri di amministrazione non esecutivi di banche: doveri di vigilanza e di intervento e prova dell’immunità da colpa da parte dei singoli consiglieri

  
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Orientamenti giurisprudenziali, posizioni della dottrina e problematiche aperte - 4. Il commento - NOTE


1. Il caso

Con i due provvedimenti in epigrafe, la Corte di Appello di Roma ha rigettato le opposizioni proposte da un ex componente non esecutivo del consiglio di amministrazione di Banca Popolare di Lodi (divenuta poi Banca Popolare Italiana, nel prosieguo “BPI”) avverso i provvedimenti con i quali erano state irrogate nei suoi confronti sanzioni amministrative pecuniarie, ai sensi degli artt. 144-145, d.lgs. n. 385/1993 (nel prosieguo “t.u.b.”), per plurime infrazioni della normativa bancaria commesse nell’am­bito della nota operazione di acquisto del controllo di Banca Antonveneta da parte di BPI ed altri soggetti [1]. Con il primo provvedimento, la Corte ha, infatti, ritenuto infondati i motivi di gravame dell’oppo­nente, che, nel merito, aveva invocato la personale immunità da colpa, deducendo che (i) da un lato, le operazioni contestate erano di competenza del presidente del consiglio di amministrazione e dell’am­mini­stratore delegato e (ii) dall’altro, l’ammini­stra­tore delegato aveva riferito al consiglio di amministrazione in merito alle suddette operazioni tardivamente, così da impedire qualsiasi tempestivo ed utile intervento da parte dei consiglieri non esecutivi [2]. Con il secondo provvedimento, la Corte ha parimenti ritenuto infondate le argomentazioni del reclamante, che invocava la personale immunità da colpa per essere stato membro non esecutivo del consiglio di amministrazione, al quale erano state fornite informazioni insufficienti nel corso delle riunioni consiliari alle quali aveva partecipato. A fondamento di entrambe le decisioni la Corte ha addotto che a tutti i consiglieri di amministrazione, ancorché sprovvisti di deleghe per la gestione, spetta un costante potere-dovere di controllo sull’operato degli organi delegati nonché di intervento per evitare il compimento di atti pregiudizievoli. Pertanto, ciascun componente del consiglio di amministrazione di BPI aveva il dovere di attivarsi in ogni maniera nonché di prendere ogni iniziativa utile per verificare le operazioni che si stavano compiendo in relazione alla scalata di Banca Antonveneta e non poteva, invece, limitarsi ad attendere passivamente e a fare affidamento sulle informazioni fornite dagli organi delegati. Con il secondo provvedimento in epigrafe, la Corte ha inoltre ritenuto infondata la richiesta di riduzione della sanzione del [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Il sistema sanzionatorio di cui agli artt. 144-145 t.u.b., predisposto per fattispecie (sia commissive sia omissive) che comportano inosservanza di una o più norme del t.u.b. o delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie, si fonda sul principio di responsabilità per colpa, secondo il criterio fissato dall’art. 3 della legge n. 689/1981 per tutti gli illeciti amministrativi [3]. La più recente giurisprudenza di legittimità ha, peraltro, più volte ribadito che l’art. 3 della legge n. 689/1981 pone una presunzione di colpevolezza dell’azione o omissione illegittima posta in essere da coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo di società [4]. Ne consegue che, al fine di evitare l’imputazione della responsabilità amministrativa, gli esponenti aziendali hanno l’one­re di dimostrare di aver agito od omesso di agire senza colpa, alla stregua della diligenza da loro esigibile in virtù del ruolo ricoperto. La disciplina che viene in considerazione, e che viene espressamente richiamata dai provvedimenti in epigrafe, per valutare la sussistenza dell’illecito amministrativo da parte dei membri non esecutivi del consiglio di amministrazione, è quella contenuta nella normativa bancaria secondaria [5] e, in particolare, nelle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia relative al sistema dei controlli interni (titolo IV, cap. 11, sez. II); istruzioni che, peraltro, continuano a trovare applicazione unicamente per gli aspetti non disciplinati dalle nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche (titolo I, cap. I, parte quarta) in vigore dal 1 gennaio 2007 (nel prosieguo le “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale”) [6]. Orbene, è evidente che la menzionata normativa bancaria secondaria attribuisce all’intero consiglio di amministrazione un ruolo di primaria importanza per assicurare la rispondenza della gestione sociale ai canoni di sana e prudente gestione e la prevenzione dei rischi cui è tipicamente esposta una banca nonché per realizzare quella dialettica gestionale imposta dal Vier Augen Prinzip [7]. Partendo dal dato normativo, la Corte romana arriva, tuttavia, a concludere che tutti i membri del consiglio di amministrazione, quand’anche privi di deleghe gestorie, non possono limitarsi a [continua ..]


3. Orientamenti giurisprudenziali, posizioni della dottrina e problematiche aperte

I provvedimenti in epigrafe aderiscono all’orienta­mento giurisprudenziale assolutamente prevalente (peraltro non ancora sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione) nell’ambito dei giudizi di opposizione a sanzioni amministrative pecuniarie comminate nei confronti degli amministratori non esecutivi di banche, ai sensi degli artt. 145 t.u.b. e 195, d.lgs. n. 58/1998 [11]. Secondo la giurisprudenza, infatti, la qualità di amministratore privo di deleghe non è ritenuta di per sé idonea ad escludere la culpa in vigilando in quanto tutti gli amministratori hanno un costante potere/dovere di controllo sulla sussistenza e sulla permanenza del requisito dell’adeguatezza delle procedure di controllo dei rischi; inoltre, gli amministratori non esecutivi non possono invocare di non aver ricevuto specifiche segnalazioni sulle anomalie di gestione, trattandosi di notizie che non devono attendere, bensì ricercare attivamente proprio in esecuzione del dovere di vigilanza [12]. In dottrina, alcuni autori hanno aderito al suddetto orientamento giurisprudenziale, sottolineando la peculiarità della posizione degli amministratori di società bancarie (in termini di ampiezza dei poteri e dei doveri inerenti al ruolo) rispetto a quella degli amministratori di altre società e sostenendo che il t.u.b. e la normativa bancaria secondaria assegnano agli amministratori la funzione di garanti di un insieme di interessi che fanno capo non soltanto alla impresa societaria, ma anche ai creditori sociali, ai terzi in genere ed all’economia generale. Ne conseguirebbe che, in caso di amministrazione delegata, il singolo amministratore non esecutivo sarebbe tenuto a svolgere continuativamente una funzione di stimolo, propulsiva all’acquisizione collegiale di dati e notizie, attraverso l’esercizio di poteri istruttori di verifica e di accertamento sull’operato dell’alta direzione [13]. Giova, tuttavia, evidenziare come attenta dottrina abbia correttamente messo in luce che il suddetto orientamento giurisprudenziale – caratterizzato dal­l’af­fermazione della centralità assoluta dell’or­gano collegiale nell’amministrazione sociale (vuoi nella fase di indirizzo della gestione, vuoi in quella di supervisione) e dalla forte responsabilizzazione del ruolo degli amministratori non esecutivi, in caso di omessa attivazione di strumenti di [continua ..]


4. Il commento

Prima di procedere nella direzione indicata, occorre svolgere, sia pur nei ristretti limiti consentiti in questa sede, alcune considerazioni di carattere generale in merito ai rapporti tra la normativa bancaria in tema di organizzazione e governo societario e di controlli interni e le norme di diritto societario generale in materia di amministrazione delle società per azioni; potrebbero, infatti, sorgere dubbi in merito alla legittimità delle disposizioni di vigilanza, quali fonti (regolamentari) di rango secondario, nella misura in cui esse fossero contrarie alle norme di rango primario di cui agli artt. 2381 ss. c.c. Invero, i suddetti dubbi non sembrano superabili mediante il tradizionale argomento in base al quale la fonte di rango secondario (quali, ad esempio, le Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale ovvero le Nuove disposizioni sulla governance bancaria) integra la fonte di grado primario (nello specifico, il combinato disposto degli artt. 53, 1° comma, lett. d) e 5, 1° comma, t.u.b., il quale a sua volta attua la legge delega n. 142/1992 [22]) e va a costituire con essa un unico sub-sistema normativo, con la conseguenza che l’eventuale deroga alla disciplina di diritto societario generale sarebbe da ritenere legittima, in quanto contenuta in una norma di rango (anch’esso) primario, quali sono le norme del t.u.b. [23]. A tal proposito, basti rilevare che il risultato di integrazione tipico della tecnica del plesso normativo deve essere perseguito mediante la riproduzione, da parte delle fonti di rango inferiore, dei principi generali già contenuti nella fonte di grado superiore, i quali vengono, dunque, soltanto specificati dalla nor­mativa secondaria, al fine di completare la regolamentazione della materia. Orbene, appare innegabile che vuoi le Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale vuoi le Nuove disposizioni sulla governance bancaria producono una disciplina non meramente specificativa bensì fortemente integrativa rispetto ai principi desumibili dal combinato disposto degli artt. 53 e 5 t.u.b. Ne consegue che rimarrebbero fondati i dubbi di legittimità di un’eventuale deroga alle norme codicistiche in materia di amministrazione delle società per azioni contenuta nella suddetta normativa di vigilanza (anziché nelle norme del t.u.b. o, quantomeno, in disposizioni di vigilanza attuative di regole già compiutamente espresse nella normativa [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2008