L’Autore si propone di indicare le ragioni che inducono a ricostruire la condotta che genera responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. in termini strutturalmente diversi rispetto a quanto imposto dall’art. 2392, 1° comma, c.c. nel caso di responsabilità degli amministratori verso la società. L’analisi svolta tiene in debito conto l’evoluzione storica della disciplina e valorizza in particolare il tenore testuale delle due disposizioni, evidenziando le incongruità di una interpretazione che renda sovrapponibile l’ambito di applicazione delle stesse.
The Author underlines the reasons why the behaviours generating directors liability towards the creditors (art. 2394 of the Italian Civil Code) deserve to be defined differently from the general directors liability towards the joint-stock company (art. 2392, para 1, of the Italian Civil Code). The analysis considers the historical evolution of both provisions and focuses on their textual content, highlighting the inconsistencies of an interpretation leading to overlapping their scope.
KEYWORDS: Joint-stock company – Directors – Liability towards corporate creditors.
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1. L’azione dei creditori sociali nei recenti approdi interpretativi - 2. L’imprevedibile esito dei lavori di riforma del codice di commercio sul tema della responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali - 3. Spunti per una revisione critica della posizione largamente maggioritaria: il problema del significato testuale dell’art. 2394, 1° comma, c.c. - 4. Insindacabilità della gestione vs. arbitrio nella valutazione dell’amministrazione che si voglia ispirata dall’interesse generale - 5. Il contesto interpretativo di riferimento dell’art. 2394 c.c.: ipotesi sul senso della disposizione - 6. Conclusioni e problemi aperti - NOTE
Il discorso in ordine alla natura ed ai doveri degli amministratori, nella prospettiva del legislatore, ha da sempre privilegiato un approccio indiretto, svolto attraverso la disciplina della responsabilità, della solidarietà e dei casi di esonero [[1]]. Una prospettiva non diversa da quella preferita dal legislatore della riforma nella disciplina dei gruppi di società. Gli approdi interpretativi di dottrina e giurisprudenza in materia possono quindi essere apprezzati guardando al ruolo dell’organo amministrativo che concorrono a delineare. L’affermazione della responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali costituisce importante tassello di tale discorso, già solo perché, come ha dimostrato la disciplina della riforma societaria in materia di società a responsabilità limitata (fosse essa lacunosa o frutto di scelta [[2]]), nient’affatto scontata. L’autonomia che in detti approdi si vuole riconoscere all’azione dei creditori, premiata dalle recenti scelte del legislatore, costituisce stimolo all’approfondimento del tema [[3]]. Nonostante la questione di principio fosse pressoché acquisita in giurisprudenza [[4]], le Sezioni Unite hanno compiuto nel 2017 [[5]] un ulteriore passo in avanti, intervenendo sul tema della c.d. “inscindibilità”. Come noto, in un contesto nel quale l’azione dei creditori era il più delle volte esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 legge fall. insieme all’azione sociale di responsabilità, si era formato un orientamento che considerava inscindibili le azioni di responsabilità infine esercitate dal curatore, nel senso della promiscua utilizzabilità da parte del medesimo dei presupposti e delle ragioni di responsabilità previsti all’art. 2392 c.c. e all’art. 2394 c.c. [[6]]. Le Sezioni Unite hanno chiarito che “inscindibilità” non implica fusione dei due distinti titoli di responsabilità, bensì necessità di evitare duplicazione dei danni risarciti (il danno di cui si chiede il ristoro ex art. 2394 c.c. è, come noto, il riflesso di quello di cui la società chiede ristoro ai sensi dell’art. 2392 c.c. [[7]]). Nella stessa direzione si è mosso anche il legislatore della riforma fallimentare [continua ..]
Se ci si sofferma sugli antecedenti storici della disposizione codicistica attualmente dedicata alla responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali, ci si avvede che la configurazione che sembra oggi aver assunto l’azione dei creditori sociali corrisponde all’ipotesi che, con la più elevata probabilità, era destinata a divenire diritto positivo nel 1942. Pare del resto invariata, almeno negli ultimi duecento anni, l’istanza di fondo che, come visto, ne alimenta la sua ricostruzione in termini ad un tempo suppletivi ed autonomi, istanza generata dalla considerazione del possibile disallineamento tra interessi dei soci e interessi dei creditori, e per la quale si richiede una sostanziale sovrapponibilità, per ampiezza, dei due rimedi (salva ovviamente l’inutilità dell’azione dei creditori quando il patrimonio risulti capiente, con sua conseguente attrazione nel contesto delle procedure concorsuali), ma anche la tendenziale insensibilità dell’azione dei creditori alle sorti dell’azione sociale [[28]]. Il codice di commercio varato nel 1865, nonostante la chiara distinzione tra casi specifici di responsabilità e responsabilità da mandato [[29]], declinava poi in una singola disposizione (l’art. 139 [[30]]) e dunque in maniera unitaria gli obblighi degli amministratori dalla cui violazione sarebbe sorta ad un tempo responsabilità «verso i terzi» [[31]] e «verso gli azionisti» [[32]]. L’impostazione, che si poneva in linea con la tradizione anteriore alle codificazioni [[33]], venne confermata nei lavori di riforma che portarono al codice di commercio del 1882, il cui art. 147 nuovamente affermava la responsabilità, questa volta solidale, degli amministratori verso i soci e verso i terzi per l’inadempimento di obblighi affermati rilevanti senza distinzioni verso gli uni e gli altri [[34]]. Già all’epoca, la responsabilità verso i terzi (ossia, come detto, i creditori) si considerava offrire un’azione in buona sostanza confinata al caso di scioglimento o fallimento della società [[35]]. Ad ogni modo, la sua specifica testuale previsione, ribadita accanto alla responsabilità verso gli azionisti, consentì nel tempo di farne emergere l’autonoma utilità, sebbene limitatamente agli aspetti [continua ..]
La ricostruzione della disciplina in tema di responsabilità degli amministratori verso i creditori pare allora richiedere un qualche riflessione aggiuntiva e, infine, un ripensamento. Merita in primo luogo tornare a riflettere sulla effettiva possibilità di considerare sostanzialmente sovrapponibili le due fattispecie di responsabilità, non foss’altro per due ordini di ragioni, che qui possono solo essere accennate. La prima attiene alla ampiezza della libertà che deve ritenersi data all’interprete dinanzi al testo offerto dal legislatore. La seconda, cui è dedicato il successivo paragrafo, alla valenza sistematica che dovrebbe darsi ad una disposizione per la quale gli amministratori di società per azioni, con l’accettazione della carica, assumono anche nei confronti dei creditori il dovere di bene amministrare. Alcune osservazioni sul primo profilo. La soluzione prevalente in dottrina e giurisprudenza assume che il perimetro dell’inadempimento ai «doveri agli amministratori imposti dalla legge e dallo statuto» (art. 2392 c.c.) non sia diverso dal perimetro tracciato dalla formula «inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale». Ad una tale conclusione si oppone, innegabilmente, il dato testuale, la cui formulazione, come visto, non può proprio dirsi frutto di un caso. Si può osservare che “doveri imposti dalla legge e dallo statuto” è espressione omnicomprensiva. Per essa non è dato proprio porsi un problema di perimetro, ossia un problema di individuazione di “doveri” degli amministratori dalla cui violazione non possa poi discendere, in caso di danno ovviamente, una loro responsabilità. Al contrario, il testo del 1° comma dell’art. 2394 c.c., che rinvia all’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, un problema di perimetro lo pone [[66]]. L’art. 2394 si riferisce inoltre agli obblighi, e non ai doveri. Proprio con il riferimento ai generici doveri l’art. 2392 c.c. richiede che ne siano in concreto ricavati di specifici, in particolare facendo applicazione di quegli strumenti che attengono alla misura dello sforzo richiesto (la diligenza professionale) e, se così si vuol dire, alla direzione di esso [continua ..]
Veniamo al secondo profilo, e dunque alla valenza sistematica che dovrebbe darsi ad una disposizione per la quale gli amministratori di società per azioni, con l’accettazione della carica, assumono gli stessi obblighi e nei confronti della società e nei confronti dei creditori. La dottrina che più di recente si è fatta portatrice di siffatta interpretazione ne ha affrontato le conseguenze sistematiche [[72]] con chiarezza, dando atto che l’art. 2394 c.c., come sopra interpretato, mette in discussione l’idea che la società per azioni rimanga un affare fra privati [[73]]. In virtù dell’art. 2394 c.c., si era già sostenuto [[74]], gli amministratori dovrebbero agire perseguendo un «generale interesse, trascendente quello delle singole società, ad una corretta gestione delle imprese», strumentalmente posto in capo ai creditori «per realizzare interessi pubblici», ma riconducibile ad interessi ancora più generali. L’adesione alla prospettiva contrattualista impone ovviamente di rigettare l’idea che un interesse di carattere generale costituisca lo strumento per valutare la buona amministrazione di una società per azioni, idea che non dovrebbe trovare ospitalità in un ordinamento nel quale l’iniziativa economica privata non cessa di essere libera per il sol fatto del suo perseguimento con il beneficio dell’autonomia patrimoniale perfetta [[75]]. Tuttavia, alcune minime notazioni non paiono inutili. Potrebbe in effetti sostenersi [[76]] che l’affermazione di un dovere degli amministratori di bene amministrare nell’interesse della generalità dei consociati conduca ad un rafforzamento delle tutele, per il maggior rigore con il quale sarebbero valutati i comportamenti degli amministratori di società per azioni. La sensazione è però che l’ampliamento del novero degli interessi da perseguire vada ad estendere non l’area della responsabilità, bensì – per il maggior spazio concesso a valutazioni di opportunità – l’operatività della business judgment rule, e dunque l’area della insindacabilità. Al contrario, la presenza di interessi da rispettare restringe l’area della discrezionalità [continua ..]
Fin qui si sono esposte le ragioni che inducono a dubitare della validità della tesi che fa dell’art. 2394 c.c. un semplice doppione dell’art. 2392 c.c., salvo poter essere attivato dai creditori se ed in quanto gli illeciti contestati agli amministratori abbiano reso il patrimonio sociale incapiente. Devono quindi ora trovar posto cenni per una plausibile ipotesi ricostruttiva. Gli autori che avevano ravvisato una strutturale differenza tra la condotta presa in considerazione nelle due disposizioni, hanno poi offerto soluzioni interpretative che non sono apparse indicare una strada univoca, e dunque anche convincente. Esclusa la rilevanza del generico dovere di diligente amministrazione, posto il rinvio dell’art. 2394 c.c. ai soli obblighi aventi un contenuto predeterminato, non è stato offerto un criterio persuasivo per l’identificazione di tali obblighi [[81]]. Ora, le considerazioni sin qui svolte dovrebbero già aver persuaso della necessità di abbandonare nell’esegesi del primo comma dell’art. 2394 c.c. una prospettiva interpretativa incentrata sugli effetti della condotta [[82]], anziché sull’elemento materiale della condotta [[83]]. Il 1° comma si limita ad indicare un criterio per formare un catalogo di obblighi gravanti sugli amministratori. È il 2° comma che si occupa di dare rilevanza alle conseguenze della violazione. Anche fra gli autori che muovono dalla necessità di specifica ed autonoma individuazione del contenuto dell’art. 2394, 1° comma, c.c., spesso i due profili (condotta e conseguenze pregiudizievoli della condotta) sono invece indistintamente utilizzati per individuare gli obblighi in questione. A questo riguardo, non pare trascurabile il fatto che l’art. 2394 c.c. non si riferisce a “obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” [[84]], bensì a obblighi solo inerenti tale conservazione. Non sarebbero in effetti identificabili obblighi degli amministratori la cui prestazione corrisponda ad una attività di conservazione di questo o quel bene o del patrimonio sociale considerato come l’insieme degli assets [[85]]. Persino nell’art. 2486 c.c. (disposizione che si porrebbe comunque oltre il perimetro di riferimento dell’art. 2394 c.c. [[86]]) la conservazione [continua ..]
L’autonomia dell’art. 2394 c.c. pare da predicare non solo per l’azione direttamente riconosciuta ai creditori, ma in ragione della specificità e della particolare valenza degli obblighi la cui violazione costituisce elemento materiale della condotta che genera la responsabilità invocabile con quella azione. L’applicazione dell’art. 2394, 1° comma, c.c., va delimitata ai soli casi in cui risultino violati obblighi di cui possa affermarsi, nei termini sopra visti, l’inerenza alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, nella irrilevanza del generico dovere di bene amministrare, e quindi anche di ogni pregiudizio al patrimonio sociale che gli amministratori, appunto contravvenendo a questo dovere, possano aver colpevolmente causato. Ricostruita così la condotta, trova piena giustificazione il risarcimento diretto di un danno subito dai creditori solo di riflesso, danno che la violazione di preesistenti obblighi posti in funzione della tutela (indiretta) dei creditori sociali rende però immediatamente rilevante. [[107]]. In conclusione, e provando a guardare al problema da un punto di vista più generale, si può osservare che l’incapienza costituisce il banco di prova dell’autonomia patrimoniale perfetta. Lasciare che l’amministratore negligente sia esposto alla responsabilità verso i creditori sociali formalmente non intacca l’autonomia patrimoniale perfetta [[108]], ma in qualche modo ne riduce la portata [[109]] e sembra perciò corrispondere ad una scelta inefficiente. I creditori della società di capitali corrono il rischio del cattivo andamento dell’attività d’impresa, rischio nel quale dovrebbe considerarsi insita l’incapacità degli amministratori di corrispondere allo standard di diligenza richiesto dalla natura dell’incarico. Gli amministratori si fanno invece carico del rischio dell’incapienza che poteva essere impedita (e nei limiti in cui poteva essere impedita) dall’osservanza degli obblighi inerenti alla integrità del patrimonio sociale. Acquisita, non più solo sotto il profilo processuale, l’autonomia della responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali e ricostruita in termini specifici la condotta da cui tale responsabilità [continua ..]