1. Responsabilità civile e responsabilità amministrativa - 2. Questioni irrisolte in tema di responsabilità amministrativa delle società pubbliche - 3. Da un ordine di tipo asimmetrico a un ordine di tipo isonomico: il principio fondamentale dell’economia di mercato aperta e in libera concorrenza - 4. La responsabilità amministrativa: uno svantaggio competitivo per le società pubbliche? - 5. La responsabilità amministrativa: un vantaggio competitivo per le società pubbliche? - 6. I rischi per il corretto funzionamento dell’economia di mercato - 7. I possibili rimedi - NOTE
Tra responsabilità civile e responsabilità amministrativa vi è distinzione, ma anche complementarità. La distinzione è netta, giacché la responsabilità civile serve ad allocare i costi delle azioni umane, mentre la responsabilità amministrativa unisce alla finalità del risarcimento una finalità sanzionatoria. Non a caso, Cavour ne indicò sinteticamente la missione nel comminare un «castigo in denaro» agli amministratori pubblici [[2]]. Tuttavia, una volta che si ponga alla base delle responsabilità – seguendo l’orientamento scientificamente più avanzato prima richiamato – il fatto illecito, è agevole rendersi conto della circostanza che tra la responsabilità civile e la responsabilità amministrativa vi è anche complementarità. L’esistenza, anziché di uno solo, di diversi regimi e giudizi di responsabilità è garanzia che al potere corrisponda sempre la responsabilità, intesa come imputazione degli effetti relativi all’esercizio del potere o anche al suo mancato esercizio. Così intesa, la responsabilità è il presupposto della legalità ed entro certi limiti dell’efficienza. La complementarità tra i due regimi di responsabilità non lascia, in astratto, «zone franche» di irresponsabilità nel caso in cui l’ordinamento si serva, quasi indifferentemente, sia del diritto pubblico, sia del diritto privato per l’espletamento dei compiti delle pubbliche amministrazioni. Secondo l’indirizzo al quale la Corte di cassazione si è costantemente attenuta fino a pochi anni or sono, se gli amministratori delle società pubbliche espletano funzioni pubbliche, essi vanno assoggettati alla responsabilità propria di tali funzioni, quella amministrativa; se, invece, svolgono attività d’impresa, devono soggiacere al regime di responsabilità proprio di tali attività, quella civile. Entrambi i regimi di responsabilità, pur nella loro diversità, si configurano come meccanismi di riscontro della corrispondenza delle condotte alle norme che le governano. Tra di essi corre, conseguentemente, un rapporto di reciproca esclusione, nel senso che, ove si applichi l’uno, si esclude l’altro [[3]]. Affinché ciascun [continua ..]
Quanto finora osservato spiega, non giustifica, il révirement della giurisprudenza. Abbandonando il criterio dell’attività, al quale la Corte di cassazione si era attenuta fino al 2003, al fine di distinguere la responsabilità assunta dagli amministratori a seconda che essi svolgessero attività d’impresa o funzioni pubbliche, essa ha finito per prescindere dalla natura (privata) dell’impresa. Ha annesso rilievo, invece, esclusivamente alla natura del patrimonio al quale il danno è inferto. Se quel patrimonio è riferibile, anche indirettamente, a una pubblica amministrazione, ciò basta a far ritenere che vi sia un illecito, che esso debba essere ricondotto alla responsabilità amministrativa, che su di essa debba pronunciarsi – conseguentemente – il giudice contabile. Del resto, per esempio dell’aleatorietà connessa con il rischio d’impresa, non curat praetor. Per configurare in termini decisamente estensivi l’altro presupposto al quale è subordinata la responsabilità amministrativa, ossia la sussistenza di un rapporto di servizio tra il soggetto al quale è imputabile la condotta – di tipo attivo od omissivo – dalla quale il danno è cagionato e la pubblica amministrazione che lo subisce, in assenza d’una specifica disposizione legislativa, la Corte di cassazione avrebbe dovuto adempiere un onere di tipo argomentativo. L’onere non consisteva soltanto nel dimostrare che vi è un rapporto di servizio tra gli amministratori e la società o tra i primi e il socio pubblico [[5]]. Occorreva dimostrare, altresì, che a questo rapporto sia riconducibile una responsabilità diversa e ulteriore rispetto a quella prevista dal codice civile. Questo onere, peraltro, non è stato assolto. Dunque, l’estensione dell’ambito della responsabilità amministrativa alle società in mano pubblica «tradisce» la logica stessa dell’istituto della responsabilità [[6]]. Non a caso, proprio il giudice contabile, il quale ha richiesto e ottenuto l’ampliamento – in via «interpretativa» – della propria giurisdizione, non ha tardato ad accorgersi delle difficoltà alle quali si va incontro non appena si tenti di configurare una responsabilità diversa e ulteriore, a segnalare i [continua ..]
Il punto dal quale prendere le mosse è la concorrenza. Una «foto di gruppo» dei sistemi economici dell’area dell’OCSE denunciava alla fine degli anni ’80 del XX secolo almeno due elementi di inferiorità del sistema italiano, variamente connessi con le imprese pubbliche. Si era registrato un incremento – nelle dimensioni e nella tipologia – delle imprese pubbliche, senza che vi fosse un corrispondente incremento degli indici di produttività, di sviluppo tecnologico, del livello dei prodotti. Anche a causa delle difficoltà congiunturali degli anni ’70, erano divenute pubbliche imprese non in grado di contenere i costi mediante miglioramenti tecnologici e dell’organizzazione del lavoro, di offrire alla potenziale clientela prodotti competitivi, di far fronte agli impegni finanziari, come il servire il debito e il remunerare i terzi. Non è in discussione, beninteso, la possibilità d’includere in astratto l’impresa pubblica tra le «tecniche» ai quali i pubblici poteri possono fare ricorso per la cura degli interessi attribuiti loro, al pari della manovra finanziaria, di quella dei prezzi. La questione è, piuttosto, se in concreto l’impresa pubblica conseguisse risultati positivi sotto il duplice profilo dell’allocazione delle risorse e della stabilizzazione. La necessità di servirsi della svalutazione e l’accrescersi del disavanzo e del debito pubblico inducono a ritenere che la risposta al quesito non possa che essere di segno negativo. Il sistema italiano, inoltre, era contraddistinto da un diffuso utilizzo dell’istituto della riserva originaria in ordine alla produzione e all’erogazione dei servizi pubblici. La riserva originaria, certamente, non era ignota negli altri Paesi dell’OCSE; aveva un espresso fondamento costituzionale; in alcuni settori, segnatamente in quello dell’energia, aveva dato un contribuito tutt’altro che esiguo allo sviluppo economico dell’Italia, alle sue infrastrutture. Pure, nell’assetto istituzionale italiano, sovente i pubblici poteri si avvalevano della riserva originaria in modo particolarmente ampio, senza darsi pena di valutarne i risultati, in molti ambiti inferiori – a volte in misura notevole – rispetto a quelli di Paesi il cui livello di spesa era paragonabile al nostro. Pure, sotto un profilo più [continua ..]
Una volta chiarito che la concorrenza va annoverata tra gli interessi protetti in massimo grado dall’ordinamento giuridico e costituisce un basilare presidio dell’efficienza allocativa di lungo periodo, si può considerare il quesito posto all’inizio, vale a dire se la concorrenza risenta negativamente dell’assoggettamento degli amministratori delle società pubbliche alla responsabilità amministrativa, alla giurisdizione del giudice contabile (si consideri l’ENEL s.p.a., che compete in un mercato tendenzialmente liberalizzato). Giova dire subito, a fini di chiarezza, che ai fini che qui interessano non è determinante se da tale fenomeno discenda un risultato ulteriore, nel senso di favorire o di sfavorire le società pubbliche rispetto a quelle private. Non è un risultato privo di rilievo, ovviamente. Ma si tratta – appunto – di un aspetto ulteriore, da valutare in altra sede, anche ai fini della politica del diritto. Ebbene un’alterazione delle condizioni di concorrenza tra gli operatori che agiscono nel mercato è indubbia nel caso in cui la responsabilità amministrativa si aggiunga a quella civile, dando luogo a complessi problemi d’ordine teorico e pratico (uno, per esempio, è, se il procuratore agisca soltanto a tutela del capitale pubblico, come sia tutelato quello privato; un altro è in quale situazione versi, dopo il procuratore ha agito, il diritto di azione spettante al collegio dei revisori). L’alterazione è, invece, semplicemente potenziale nel caso in cui la responsabilità amministrativa prenda il posto di quella civile. In questa evenienza, assumono rilievo fattori diversi, relativi al regime di responsabilità: l’iniziativa dell’azione di responsabilità, spettante al Procuratore della Corte dei conti; la previsione del danno indiretto; l’introduzione – a mo’ di jus praetorium – della responsabilità per «danno all’immagine». Sul piano istituzionale, la scelta effettuata tempo addietro dall’ordinamento italiano è stata quella d’imperniare la giurisdizione contabile sul modello della pubblica accusa. Il testo unico degli anni Trenta ribadiva la scelta effettuata dalla legge ottocentesca istitutiva della Corte dei conti del Regno d’Italia (legge 14 agosto 1862, n. 800). Disponeva [continua ..]
Posto che il giudizio di risultato parziale derivante dalla rapida indagine sin qui svolta segnali un’alterazione delle regole di concorrenza, a svantaggio delle società pubbliche, ciò non implica necessariamente che il giudizio di risultato complessivo sia del medesimo segno. Vi sono numerosi indizi, infatti, della circostanza che l’applicazione della responsabilità amministrativa in luogo di quella civile rischi – all’opposto – di avvantaggiare, e in grado consistente, le società in mano pubblica rispetto a quelle in mano privata. Essi riguardano i presupposti ai quali è subordinato il riconoscimento dell’illecito, la disciplina della prescrizione e della trasmissibilità della responsabilità, il potere riduttivo spettante alla Corte dei conti. Affinché una determinata condotta dia luogo a un illecito, facendo così sorgere la responsabilità, non è sufficiente né l’evidenza di uno danno inferto al patrimonio pubblico, né la sussistenza di un rapporto di servizio. La responsabilità amministrativa si instaura soltanto nel caso in cui la condotta del soggetto al quale il danno è imputabile sia connotata da un tratto specifico. Il tratto specifico consiste nella presenza di un determinato elemento d’ordine soggettivo o – come taluni dicono – psicologico. Esso può consistere nel dolo o nella colpa grave [[11]]. Non occorre, ai fini che qui interessano, esaminare in modo analitico i due presupposti. È sufficiente limitarsi a una duplice constatazione, più che osservazione. In primo luogo, ai fini del riconoscimento dell’illecito, dal quale discende la responsabilità amministrativa, basta la presenza della colpa grave. Di qui le formule di stile del quale i procuratori della Corte dei conti si avvalgono, chiedendo alle sezioni giudicanti di riconoscere «quanto meno la colpa grave». In secondo luogo, occorre quanto meno che vi sia una colpa, ed essa è contraddistinta da una specifica qualificazione di tipo limitativo, la gravità. Con la conseguenza che la responsabilità amministrativa si discosta dalla responsabilità civile, nella misura in cui l’addebito non sorge in presenza della colpa semplice, non è commisurato al danno («ingiusto», secondo l’art. 2043 c.c.), è determinato in [continua ..]
Non è determinante, lo si è detto fin dall’inizio, se il giudizio di risultato parziale raggiunto in precedenza circa gli svantaggi competitivi che il regime di responsabilità amministrativa comporta per le società pubbliche sia bilanciato oppure sovrastato dal giudizio di risultato parziale esposto in ordine ai vantaggi competitivi che ne derivano, come in un gioco a somma zero. Quel che conta è, piuttosto, il giudizio di risultato complessivo che da entrambi scaturisce. Questo è il giudizio da esprimere relativamente all’adeguatezza della cornice giuridica in vista del principio dell’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Ebbene, questa cornice giuridica consente agli operatori economici pubblici di agire in un contesto normativo non equivalente, non necessariamente ma molto probabilmente più favorevole, rispetto a quello in cui agiscono tutti gli altri operatori economici [[14]]. Planando dal giudizio sulla specifica questione riguardata, astratta dal contesto generale, sulla realtà del dibattito in corso in Italia attorno alle scelte dell’ordinamento in tema di responsabilità degli amministratori delle società pubbliche, vanno segnalati due equivoci, ai quali sono forse esposti soprattutto i giuristi. Il primo equivoco consiste nel ritenere che una moderna soluzione per arginare i danni che alla finanza pubblica sono arrecati dalle sempre più numerose società a prevalente o totale partecipazione pubblica possa consistere nell’estendere un istituto concepito per le amministrazioni a guida governativa. Non è in discussione il giudizio di fatto che la Corte dei conti e la Corte di cassazione hanno posto alla base del révirement del 2003, ossia la circostanza che sempre più spesso le pubbliche amministrazioni si avvalgano di istituti e tecniche di azione proprie del diritto privato [[15]], non di rado a fini tutt’altro che commendevoli e, comunque, con esiti distorsivi. È in discussione, piuttosto, la conseguenza che ne viene tratta, ossia che si debba porre fine alla distinzione, se non alla separatezza, tra le funzioni svolte dalle società pubbliche e loro le attività imprenditoriali. Con l’ulteriore conseguenza di determinare una dequotazione della natura societaria e privatistica dell’impresa, svalutata rispetto alla natura pubblica [continua ..]
Dal discorso sin qui svolto possono trarsi, passando dal piano descrittivo al piano normativo, alcune indicazioni di metodo, per porre rimedio agli inconvenienti segnalati. La prima consiste nel self-restraint della Corte dei conti. Essa certamente può, probabilmente deve, autolimitare il proprio intervento, circoscrivendolo ai casi di omesso esercizio dell’azione civile nei confronti degli amministratori [[17]]. Al tempo stesso, la necessità di salvaguardare le finanze pubbliche, alla quale le due giurisdizioni superiori hanno fatto più volte riferimento, richiede senz’altro acconci e tempestivi interventi di riordino, non solo per tenere fede agli impegni assunti dal nostro Paese nel quadro dell’Unione economica e monetaria. Vi è bisogno, dunque, di un equilibrato riordino. Questo non può provenire, contrariamente a quanto si è sostenuto recentemente, soltanto dalla giurisprudenza. Richiede l’adozione di scelte e l’esercizio di poteri d’indirizzo generale, che solo alla Politica competono, come la chiara lettera degli artt. 41 e 42 della Costituzione indica. Inoltre, nell’auspicabile circostanza che la Politica, i politici, si facciano carico di tali scelte nell’interesse del Paese, è da valutare se il rimedio debba consistere nell’estendere la responsabilità amministrativa, quale attualmente si configura; se, invece, si possa configurare un’apposita azione pubblica nel giudizio sulla responsabilità civile; se, infine, si debba porre mano all’intero sistema delle responsabilità, riservando i relativi giudizi al giudice ordinario e rendendo la Corte dei conti esclusivamente il controllore dell’equilibrio finanziario e dell’efficienza della spesa, come accade in altri Paesi civili.