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1. Profili sulla responsabilità del socio di società a responsabilità limitata per gli atti di influenza gestionale prima della riforma del 2003. Abuso della personalità giuridica e scorrettezza organizzativa - 2. La portata innovativa della norma contenuta nell’art. 2476, 7° comma, c.c., legata al nuovo tipo società a responsabilità limitata. Riflessioni sul tipo società a responsabilità limitata. Lo status di socio. Il rapporto soci e amministratori - 3. Le condizioni di applicabilità della norma. Gli elementi oggettivi della condotta illegittima dell’amministratore di ruolo e dell’atto del socio di decisione o di autorizzazione. L’elemento soggettivo psicologico dell’intenzionalità - 4. Singoli profili problematici. La natura della responsabilità. L’amministratore di gruppo. Inapplicabilità della norma alle società per azioni - NOTE
La norma contenuta nel 7° comma dell’art. 2476 c.c. rappresenta, come da molti riconosciuto già all’indomani della riforma 1, una delle più innovative dell’intera riforma del diritto societario del 2003, anche rispetto alla legge delega (che non ha disposto espressamente la previsione di una norma di tale portata precettiva). Essa, si è affermato, prevedendo che siano «altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi» 2, infrange a detta di molti “per la prima volta” il tabù della responsabilità limitata del socio per le società di capitali 3. La portata innovativa della disposizione va tuttavia a nostro avviso più propriamente inquadrata. È vero che nella giurisprudenza teorico-pratica il tema della responsabilità del socio di società a responsabilità limitata per gli atti di influenza gestionale prima della riforma del diritto societario del 2003 non era posto nei termini che sono alla base della scelta del legislatore. Di alcuni profili ad esso inerenti si trovavano però già stimolanti tracce nell’ambito degli orientamenti della giurisprudenza teorica e pratica sulla responsabilità personale dei soci di società di capitali in generale (e quindi non soltanto con riferimento ad un tipo societario), in contesti in cui il socio avesse esercitato in modo continuativo una attività di direzione della società medesima, dando luogo a fenomeni come il socio tiranno o sostanzialmente unico, ovvero in un gruppo di società (come socio capogruppo) 4; ed in particolare in quella giurisprudenza che, con approccio “sostanzialista”, giungeva a sanzionare la responsabilità della persona fisica socio non unico (anche se con soci a partecipazione simbolica) proprio di una società a responsabilità limitata: che, ancorché non esercitando una diversa impresa né autonomamente né in società con altro socio, veniva considerato illimitatamente responsabile ed assoggettabile al fallimento ai sensi dell’art. 147 legge fall. Da notare però che tali casi riguardavano un soggetto non solo socio sostanzialmente unico ma anche [continua ..]
La indubbia capacità innovativa della norma in esame non è da rapportare tout court alle società di capitali ma è, come si cercherà di spiegare, figlia della carica riformatrice del sistema della nuova società a responsabilità limitata, di cui è una delle più segnaletiche. La norma riflette ed è coerente con il modello legale tipico (o fattispecie negoziale tipica) della società a responsabilità limitata nelle sue più salienti note caratteristiche 6 così come registrate da una lettura della disciplina orientata dalla rilevazione del dato socio-economico reale – che il legislatore accetta come minimo e comune ad ogni modello potenzialmente attuabile in concreto – dell’impresa societaria che adotta tale veste. Ciò vale sotto diversi profili, in primis per lo status di socio in ordine ai suoi interessi tipici o “prevalenti”. In effetti, e volendo sdrammatizzare la visione dicotomica che porta alla distinzione tra “socio imprenditore” e “socio finanziatore” (essendo, banalmente, il primo anche finanziatore ed il secondo anche partecipe alla vita di impresa), è rilevazione ormai ovvia che nel tipo societario che ci occupa – nel “voluto” del legislatore – i soci abbiano prevalenti interessi di tipo “imprenditoriale” anziché “finanziario”. Il legislatore standardizza ciò che ritiene l’id quod plerumque accidit quanto agli interessi dominanti dei soci, ed in questo senso la sussunzione del modello socio-economico a fattispecie negoziale (tipica) giuridicamente rilevante in via generale ed astratta porta a definire come oggetto dell’interesse (tipico) del socio di società a responsabilità limita quello di esercitare l’impresa in sé, ossia “fare impresa” in una progettualità ad ampio respiro temporale, prevalendo ciò rispetto all’interesse a capitalizzare nel breve periodo l’investimento. Il che, per provare a scandire ulteriormente tale paradigma partecipativo, significa che questo è legato a una concezione e ad un modo di fare impresa eminentemente (in senso storico e sociologico) individuale e perciò personale (di qui la centralità della persona-individuo), dell’imprenditore che considera [continua ..]
Nella prospettiva indicata si comprende perché la nuova regola del superamento del beneficio della limitazione della responsabilità “soffra” alcune condizioni. Esse sono direttamente dovute non all’appartenenza del nostro tipo societario alla categoria delle società di capitali ma ai caratteri tipici e qualificanti del modello societario sopra evidenziati. La responsabilità invero non si aziona per una semplice assenza di controllo e neanche, ricorrendo l’atto gestionale dannoso, per la mera riconducibilità di tale atto al socio, ma è solidale con gli amministratori, e si aziona laddove i soci abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato quegli specifici atti dannosi. La responsabilità ricorre al verificarsi dei seguenti presupposti. In primo luogo suppone la presenza di un amministratore che ricopra formalmente tale ruolo ed abbia compiuto l’atto amministrativo (eminentemente gestionale, ma non si può escludere un’accezione ampia 12 come sopra pregiudizievole. In altri termini il “compimento” di atti amministrativi che possano dar luogo ad una responsabilità anche del socio nei confronti della società, dei soci o dei terzi per atti dannosi implica che l’atto sia deciso (ricordiamoci che il socio deve decidere o autorizzare) o soltanto eseguito dagli amministratori in carica. In quest’ultimo caso può affermarsi la responsabilità del socio comunque, anche qualora un amministratore non abbia deciso l’atto, ma questo sia stato in realtà deciso dagli stessi soci – sia collettivamente (cfr. l’art. 2479, 1° comma), sia individualmente in virtù dell’attribuzione ex art. 2468 del diritto particolare di decidere determinati atti degli amministratori 13 – e meramente eseguito dagli amministratori. In altri termini, il socio o i soci i quali, o per essere stati investiti per disposizione statutaria della facoltà di interferire sull’operato degli amministratori, oppure autonomamente e di fatto, adottino i comportamenti quali appunto le autorizzazioni o le decisioni diretti a condizionare l’operato degli amministratori, sono ugualmente soggetti alla responsabilità per questi ultimi prevista. Anche tale scelta legislativa interpreta il dato socio-economico in armonia con il sistema giuridico. L’elemento di fatto [continua ..]
Nel quadro tracciato possono esaminarsi alcune altre tra le questioni messe in risalto dalla dottrina. Per quanto riguarda la natura della responsabilità, sia la lettera della norma sia considerazioni razionali e di coerenza sistematica ci consentono di ritenere che la responsabilità del socio sia contrattuale o extracontrattuale a seconda di quella dell’amministratore con cui è solidalmente responsabile «sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, (…)», e quindi a seconda del destinatario dell’atto dannoso e del rapporto che lo lega al socio responsabile. Per tal via, come avviene per l’amministratore, si qualifica – ai sensi di tutto il 2476 – l’essenza della responsabilità: contrattuale verso la società ed eventualmente dei creditori, extracontrattuale verso i soci uti singulie i terzi. La solidarietà con gli amministratori è indice che la responsabilità del socio ha la medesima natura di quella degli amministratori 22. Né vale – non sarebbe dogmaticamente corretto – propendere per l’una o l’altra tesi per spostare l’asse dell’onere probatorio (anche se concretamente ci si rende conto che se l’onere della prova posto a carico di chi agisce con l’azione sociale di responsabilità – società o socio – contro il socio non èfacile, diviene quasi probatio diabolica nel caso di azione extracontrattuale). Il fondamento contrattuale della responsabilità è legato alla posizione particolare che riveste il socio di società a responsabilità limitata e risiede nella violazione dei suoi doveri di socio e fiduciari. Da un lato infatti il disegno sistematico del modello legale tipico di società a responsabilità limitata è tale da imputare in capo al socio un dovere contrattuale di correttezza e buona fede verso la società e i soci (e i creditori di risulta) nello svolgimento del proprio compito, in parte di leale collaborazione in quanto socio nei confronti della società e quindi degli altri soci, in parte fiduciario-amministrativo. Dall’altro il fondamento extracontrattuale dimora naturalmente nel principio del neminem laedere. La diversità di presupposti rispetto alla responsabilità degli [continua ..]