Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La riduzione del capitale sociale nelle s.r.l. (di Marco Saverio Spolidoro)


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SOMMARIO:

1. Riduzione del capitale non per perdite. Ambito di applicazione dell’art. 2482 c.c. - 2. (Segue). Soppressione del requisito dell’esuberanza del capitale - 3. (Segue). Competenza in merito alla riduzione del capitale non per perdite - 4. (Segue). Limiti alla riduzione del capitale non per perdite - 5. (Segue). Pubblicità ed efficacia della decisione di riduzione del capitale non per perdite - 6. (Segue). Modalità di esecuzione della riduzione di capitale non per perdite - 7. (Segue). Riduzione del capitale non per perdite e conferimenti «garantiti» da polizze assicurative o fideiussioni bancarie - 8. (Segue). Riduzione del capitale non per perdite e partecipazioni non proporzionali ai conferimenti - 9. (Segue). Riduzione del capitale non per perdite e sorteggio delle partecipazioni da annullare o acquisto e annullamento di partecipazioni - 10. (Segue). Opposizione dei creditori - 11. (Segue). Forma dell’opposizione - 12. (Segue). Autorizzazione all'esecuzione della riduzione malgrado l’opposizione - 13. Riduzione del capitale per perdite superiori al terzo del capitale. Ambito di applicazione dell’art. 2482-bis c.c. - 14. (Segue). Doveri degli amministratori in caso di perdite superiori al terzo del capitale - 15. (Segue). Modi di eliminazione delle perdite e opportuni provvedimenti - 16. (Segue). Effetti della riduzione del capitale per perdite sui diritti e sulle partecipazioni dei soci. Rinvio - 17. (Segue). Riduzione del capitale obbligatoria - 18. (Segue). Riduzione del capitale per perdite ad opera degli amministratori - 19. Riduzione del capitale a seguito di perdite superiori al terzo del capitale e di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Ambito di applicazione dell’art. 2482-ter c.c. - 20. (Segue). Perdita del capitale e scioglimento della società - 21. (Segue). Convocazione dell’assemblea - 22. (Segue). Riduzione e ricostituzione del capitale - 23. (Segue). Capitale azzerato o «sotto zero» - 24. (Segue). Riduzione del capitale e trasformazione della società - 25. Effetti della riduzione del capitale per perdite sulle partecipazioni e sui diritti dei soci - 26. (Segue). Derogabilità dell’art. 2482-quater c.c. - NOTE


1. Riduzione del capitale non per perdite. Ambito di applicazione dell’art. 2482 c.c.

La riduzione del capitale della s.r.l. è, come l’aumento, una modificazione dell’atto costitutivo (art. 2463, 2° comma, n. 4, c.c.). Essa è regolata anzitutto dalla norma generale dettata dall’art. 2480 c.c., che riguarda in primo luogo la competenza a decidere in merito (e richiama a tal fine l’art. 2479-bis c.c.), in secondo luogo la verbalizzazione della decisione ed infine la pubblicità, il controllo di legittimità e la efficacia dell’operazione (rinviando all’art. 2436 c.c.) [[1]]. L’art. 2482 c.c. riguarda il caso in cui la riduzione del capitale non sia la conseguenza di perdite [[2]]. In realtà il 1° comma dell’articolo dice «come» si può ridurre il capitale, prevedendo che siano rimborsate ai soci le quote «pagate» o che essi siano liberati dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti. Ma rimborso o liberazione dell’obbligo di completare i conferimenti sono soltanto «conseguenze» della riduzione; per di più presuppongono che «prima» si sia verificato un ulteriore effetto, che è direttamente prodotto dalla delibera (sia pure subordinatamente a quanto dispone il 2°comma), vale a dire la liberazione di una parte del patrimonio netto dal vincolo a capitale. La riduzione del capitale regolata dall’art. 2482 c.c. è dunque più correttamente definita come riduzione del vincolo del capitale (in presenza di una copertura del suo valore all’attivo) sul totale del patrimonio netto, indipendentemente dal fatto che la società proceda al rimborso ai soci o alla loro liberazione dall’obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti e, quindi, anche a prescindere dal fatto che alla riduzione del capitale nominale faccia immediatamente riscontro una riduzione effettiva dell’attivo. In pratica, rientra nell’ambito di applicazione della norma anche quel «tipo» di riduzione del capitale che si realizza «contabilmente» (o «nominalmente»), attraverso l’accantonamento ad una riserva disponibile delle somme nella misura delle quali è ridotto il capitale [[3]].


2. (Segue). Soppressione del requisito dell’esuberanza del capitale

La riduzione del capitale di cui all’art. 2482 c.c. non richiede più che il capitale sia esuberante per il conseguimento dell’oggetto sociale: pacificamente si riconosce che la nuova norma ha allargato le maglie della legge. Del resto il requisito della esuberanza è stato cancellato anche dall’art. 2445 c.c. (cui rinviava il vecchio art. 2496 c.c.) [[4]]. La norma in tema di s.r.l., a differenza di quella sulle s.p.a., tuttavia va ancora più in là: e in particolare non dice che «l’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione» (art. 2445, 2° comma, c.c.). Di conseguenza nelle s.r.l. non sussiste la possibilità di ricavare, attraverso un procedimento indiretto, la necessità di una specifica motivazione dell’ope­ra­zione e tantomeno l’obbligo, per chi propone l’operazione (in primis per gli amministratori), di predisporre relazioni o prospetti contabili [[5]]. Non è nemmeno necessario che gli amministratori attestino la copertura del capitale al momento della decisione [[6]]. Si deve però tener presente l’art. 2479-ter, 3° comma, c.c., relativo all’invalidità delle decisioni «prese in assenza assoluta d’informazione»: di conseguenza, devono essere fornite all’assemblea almeno indicazioni di massima sulle finalità e gli effetti della riduzione [[7]]. Non si può comunque escludere che, tra le finalità della riduzione, possa anche esserci quella di sopprimere il collegio sindacale e di risparmiare i relativi costi: anche questa è una motivazione valida che, si badi, non dà tecnicamente luogo ad una revoca dell’organo di controllo e non è perciò subordinata né all’esistenza di una giusta causa né alla delibazione dell’autorità giudiziaria. In ogni caso è possibile che la minoranza impugni la deliberazione per conflitto di interessi o per abuso dei poteri della maggioranza [[8]], naturalmente se ne ricorrano gli estremi in concreto.


3. (Segue). Competenza in merito alla riduzione del capitale non per perdite

La competenza in materia di riduzione del capitale ai sensi dell’art. 2482 c.c. non può essere attribuita agli amministratori [[9]]. Entro certi limiti, tuttavia, potranno essere delegate le operazioni esecutive e, stante il mancato rinvio al 2° comma dell’art. 2445 c.c. (che impone di indicare nell’avviso di convocazione le modalità della riduzione), è sicuramente da ritenere che gli amministratori possano anche ricevere l’incarico di stabilire come e quando dare attuazione al rimborso o alla liberazione dei soci, salvo il rispetto dei diritti dei creditori.


4. (Segue). Limiti alla riduzione del capitale non per perdite

Ovviamente non è possibile deliberare di ridurre il capitale «al di sotto del minimo legale». Ma si discute se vi siano altre fattispecie nelle quali è preclusa non solo l’attuazione, ma la stessa decisione di ridurre il capitale. In particolare, poiché la riduzione del capitale non è più subordinata al presupposto dell’esube­ranza, è certamente permesso combinare la riduzione per perdite ai sensi dell’art. 2482-bis c.c. con la riduzione di cui all’art. 2482 c.c., nel senso che, ridotto il capitale in ragione della perdita, si può ulteriormente ridurlo per creare una riserva disponibile o perfino per effettuare rimborsi ai soci o per liberarli dagli obblighi residui di versamento [[10]]. Invece è più dubbio che si possa procedere ad una «riduzione c.d. effettiva» del capitale fino a che non siano state coperte le perdite. Poiché in presenza di perdite non si possono distribuire utili ai soci (art. 2478-bis, 5° comma, c.c.), è stato infatti sostenuto che a maggior ragione non si possono rimborsare i conferimenti [[11]]. In senso contrario si può tuttavia osservare che la disposizione dell’art. 2478-bis, 5° comma, c.c. si limita a vietare la distribuzione di utili di esercizio che non siano anche utili di bilancio. Essa ha la ratio di evitare che si ripartiscano dividendi sostanzialmente a carico del capitale laddove, per rimborsare il capitale, sarebbe necessario seguire la disposizione dell’art. 2482 c.c.: di qui la conseguenza che, se l’art. 2482 c.c. è rispettato, la presenza di perdite di bilancio non è rilevante [[12]]. La forza di queste ultime considerazioni sembra oggi prevalere, dopo che è stato eliminato il presupposto dell’esuberanza ai fini della riduzione del capitale [[13]]. È ancor più discusso che si possa procedere alla riduzione «con rimborsi ai soci o liberazione dei soci» durante la fase della liquidazione [[14]]. È anzitutto da tener presente che la fattispecie non deve essere confusa con quella dell’assegnazione ai soci degli acconti sul risultato della liquidazione (art. 2491, 2° comma, c.c.), acconti che possono essere ripartiti, a certe condizioni, dai liquidatori (anche senza delibera dell’assemblea) e che, peraltro, sono [continua ..]


5. (Segue). Pubblicità ed efficacia della decisione di riduzione del capitale non per perdite

La deliberazione di ridurre del capitale, debitamente verbalizzata dal notaio, deve essere da lui assoggettata al controllo di legittimità e deve essere iscritta nel registro delle imprese (art. 2480 c.c.). Con l’iscrizione la delibera inizia a produrre alcuni dei suoi effetti, segnatamente nei confronti dei creditori: solo i creditori anteriori all’iscrizione hanno infatti il potere di opporsi alla riduzione, nel termine loro concesso dell’art. 2482, 2° comma, c.c. Si tratta tuttavia soltanto di effetti preliminari. Come risulta espressamente dalla legge, la deliberazione non può essere «eseguita» fino a che il suddetto termine non sia decorso, neppure se, all’atto della decisione, sia stato verbalizzato il consenso di tutti i creditori esistenti al momento della delibera [[21]]. In effetti la deliberazione di riduzione del capitale «non per perdite» è soggetta ad una condizione sospensiva (mancata opposizione dei creditori entro i novanta giorni successivi all’iscrizione della decisione nel registro delle imprese) [[22]]. Fino al verificarsi della condizione l’inefficacia è assoluta. Si ritiene perciò che il «vecchio» capitale (ante riduzione) debba continuare ad essere indicato negli atti e nella corrispondenza fino a che la delibera non divenga eseguibile. Secondo la prassi notarile questo vale anche per l’atto costitutivo (o lo statuto) di cui si effettua l’allegazione alla decisione di ridurre il capitale ai sensi dell’art. 2436, 6° comma, c.c.: anche in questo documento va scritto il «vecchio» capitale, anche se si ritiene «consigliabile ... l’inserimento della clausola che dia conto della pendenza della riduzione» [[23]] e si aggiunge che, «dopo l’esecuzione, sarà compito degli amministratori depositare il nuovo testo dal quale tale clausola sia espunta» [[24]].


6. (Segue). Modalità di esecuzione della riduzione di capitale non per perdite

Non è il caso di soffermarsi, in questa sede, sulle modalità di rimborso dei conferimenti o di liberazione dei soci dall’obbligo di effettuarli, salvo che per ricordare le principali divergenze rispetto alla disciplina dettata dall’art. 2445 c.c. in tema di s.p.a. Il principio fondamentale è comunque quello della parità di trattamento [[25]]. La violazione della parità di trattamento, se è contenuta già nella decisione di riduzione, comporta l’impugnabilità della medesima; se la violazione riguarda la fase esecutiva, troverà applicazione il rimedio risarcitorio previsto dall’art. 2476 c.c. Il rispetto della parità di trattamento non è però assoluto. I diritti speciali che possono essere riconosciuti a singoli soci, ai sensi dell’art. 2468 c.c., comprendono infatti anche i privilegi che siano eventualmente accordati dall’atto costitutivo con riferimento alla riduzione del capitale. In altri casi il fatto che la riduzione del capitale comporti il rimborso o la liberazione di alcuni soci, e non di tutti, è una conseguenza logica della legge (si pensi alla disciplina del recesso e dell’esclusione): dunque non dà luogo ad una violazione della parità di trattamento. In generale, il diritto alla parità di trattamento è un tipico diritto di cui il socio può disporre, anche se la maggioranza non può disattenderlo. L’introduzione nell’atto costitutivo di privilegi rispetto alla riduzione del capitale «non per perdite» è peraltro regolata dall’art. 2468, 4° comma, c.c. [[26]]. Si discute sugli effetti della riduzione in presenza di quote non interamente liberate e di quote interamente liberate. La professione notarile raccomanda che, in tal caso, «la delibera indichi le modalità con cui la decisione deve essere attuata» [[27]]: ma vi è da chiedersi anzitutto se sia legittimo rimborsare in danaro le quote non ancora liberate, lasciando intatto il debito del socio, oppure se sia necessario procedere in via prioritaria all’estinzione del debito di apporto [[28]]. Al riguardo occorre premettere che il socio ancora debitore del conferimento, così come può sempre liberare la sua quota (arg. ex art. 2464, 4° comma, ultima frase, c.c.), può ovviamente compensare il suo [continua ..]


7. (Segue). Riduzione del capitale non per perdite e conferimenti «garantiti» da polizze assicurative o fideiussioni bancarie

Quando i conferimenti siano stati garantiti da polizze di assicurazione o fideiussioni bancarie (art. 2464, 4° e 6° comma, c.c.) si pongono problemi particolari [[30]]. L’ipotesi più semplice è quella della garanzia «sostitutiva» del versamento in danaro: la dottrina è dell’opinione che il rimborso debba essere «attuato con la liberazione per pari valore della garanzia prestata» [[31]], ma questa soluzione non è l’unica possibile [[32]]. In particolare la società può procedere al rimborso, lasciando intatta la garanzia e la facoltà di escuterla: naturalmente gli amministratori saranno responsabili se lasceranno estinguere l’obbligazione del garante e se l’obbligato (il sottoscrittore originario, non il successivo acquirente, visto che la stipula della garanzia libera la quota!) [[33]] non è in grado di pagare il suo debito residuo. Nel caso dei conferimenti d’opera o di servizi, la situazione è più complessa. La dottrina che se ne è occupata parte dalla condivisibile premessa che, a fronte degli apporti in questione (e sia pure subordinatamente alla prestazione della garanzia), viene riconosciuta una partecipazione al capitale [[34]]. Andrebbe poi operata una distinzione tra la situazione nella quale il conferente non abbia ancora (neppure parzialmente) eseguito l’opera o il servizio promesso e quella in cui vi sia stato un sia pur parziale adempimento. Nel primo caso, secondo un autore, si dovrebbe procedere al rimborso «con la liberazione per pari valore della garanzia prestata» [[35]], mentre per un altro autore il conferente potrebbe essere liberato dal suo obbligo di prestazione, «con corrispondente limitazione della garanzia» [[36]]. Le due tesi probabilmente coincidono, anche se la seconda risulta formulata in termini più articolati e precisi. Nel caso in cui i conferimenti siano già stati effettuati, e l’ammontare della riduzione sia inferiore o uguale alla parte per cui il valore capitalizzato dell’opera o del servizio è stato ammortizzato [[37]], il rimborso può essere effettuato in danaro, ferma restando la riduzione della garanzia per la quota corrispondente all’intero importo dell’ammortamento [[38]]. Queste conclusioni sembrano pienamente fondate. [continua ..]


8. (Segue). Riduzione del capitale non per perdite e partecipazioni non proporzionali ai conferimenti

Un’altra questione riguarda il rimborso (o la liberazione dei soci) nell’ipotesi in cui i conferimenti non siano stati proporzionali alle quote di partecipazione al capitale. A questo proposito, sembra che in linea di principio (vale a dire: salva l’esistenza di regole diverse nell’atto costitutivo) la riduzione del capitale si rifletta proporzionalmente sulle quote di partecipazione al capitale, indipendentemente dal fatto che esse siano o non siano state assegnate in proporzione dei conferimenti: perciò, se il capitale è ridotto di un quinto, ciascun socio ha diritto al rimborso di un quinto del valore nominale della sua quota [[39]], eventualmente sotto forma di liberazione dall’obbligo di versare i conferimenti da lui ancora dovuti [[40]].


9. (Segue). Riduzione del capitale non per perdite e sorteggio delle partecipazioni da annullare o acquisto e annullamento di partecipazioni

Ci si è chiesti se sia possibile procedere alla riduzione del capitale «non per perdite» tramite sorteggio dei soci da liquidare o tramite acquisto e annullamento di partecipazioni. Occorre subito togliere di mezzo un’argomentazione contraria all’ammissibilità dell’acquisto e annullamento di partecipazioni, fondata sull’art. 2474 c.c. (divieto di acquisto delle proprie partecipazioni). Quando le partecipazioni acquisite dalla società sono «automaticamente» annullate, la società non sta ponendo in essere un’operazione che corrisponda alla causa della compravendita, ma a quella del rimborso. Si tratta dunque di un’operazione non compresa nel tenore letterale e nella ratio dell’art. 2474 c.c. [[41]]. L’acquisto e annullamento di partecipazioni, al pari del sorteggio, pone tuttavia un problema di rispetto concreto della parità di trattamento dei soci. In questa prospettiva, ambedue le modalità esecutive della riduzione sono sicuramente legittime se previste nell’atto costitutivo originario (che necessariamente è stato approvato da tutti i fondatori e vincola tutti i soci successivamente entrati a far parte della società). In particolare si deve ritenere che il sorteggio non dia luogo ad una fattispecie di esclusione e che pertanto non trovi ostacolo nella disposizione (restrittiva) dell’art. 2473-bis c.c. Quest’ultima non può comunque essere applicata al caso del riacquisto, che non dà luogo ad un annullamento coattivo della partecipazione e presuppone un accordo fra la società ed il socio. Alla stessa stregua, è sicuro che sorteggio e riacquisto con contestuale annullamento delle partecipazioni di alcuni soci possono essere previsti come modalità esecutive della riduzione da una decisione unanime dei soci, a prescindere dalla presenza di una clausola autorizzativa nell’atto costitutivo. Viceversa, è altrettanto indubbio che gli amministratori non possono adottare tali modalità di propria iniziativa, senza la copertura di una norma statutaria o di una decisione assembleare. Le incertezze dunque riguardano anzitutto la possibilità di introdurre a maggioranza, nell’atto costitutivo, la previsione del sorteggio o del riacquisto delle partecipazioni da annullare; e in secondo luogo la possibilità che la singola [continua ..]


10. (Segue). Opposizione dei creditori

Il 2° comma dell’art. 2482 c.c. stabilisce che la decisione dei soci di ridurre il capitale può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della decisione medesima. La decisione è opponibile ai creditori successivi al momento dell’iscrizione, ma è ancora inefficace e il capitale non può ancora essere ridotto (v. sopra il § 5). Durante i novanta giorni successivi all’iscrizione i creditori, il cui diritto sia sorto prima di tale data, possono fare opposizione, necessariamente deducendo (come si evince dal 3° comma) di poter subire un pregiudizio a causa della deliberazione. L’opposizione rende ineseguibile la riduzione del capitale anche dopo il decorso dei novanta giorni (lo dice in modo più che chiaro il 2° comma dell’art. 2482 c.c.), fino a che il creditore opponente non sia stato pagato o non abbia dato il suo consenso, oppure fino a che non sia stato deciso che l’opposizione è infondata [[44]], oppure fino a che non sia stata assunta la decisione di cui al 3° comma della disposizione in esame. L’art. 2482 c.c., come l’art. 2445 c.c., non prevede espressamente in che modo il termine di novanta giorni possa essere abbreviato. In tema di trasformazione regressiva, allorché la legge prevede che la deliberazione può essere eseguita solo dopo un certo lasso di tempo dall’iscrizione, durante il quale i creditori possono opporsi (art. 2500-novies c.c.), si fa salvo il caso che «consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso». Allo stesso modo, ma con una disciplina diversa, si prevede che, in caso di fusione (art. 2503, 1° comma, c.c.) o di scissione (art. 2506-ter, 5° comma, c.c.), sia possibile ridurre e perfino eliminare il termine dilatorio previsto tra iscrizione delle deliberazioni e stipula dell’atto di fusione. L’estensione analogica di queste ultime disposizioni al caso della riduzione del capitale non è particolarmente facile. Tuttavia si deve ammettere che, quando siano stati pagati tutti i creditori legittimati (o risulti il consenso dei medesimi), l’attesa del decorso del termine di cui al 2° comma dell’art. 2482 c.c. non ha alcun senso [[45]].


11. (Segue). Forma dell’opposizione

Secondo l’opinione tradizionale, tuttora prevalente, i creditori esercitano il diritto di opposizione in via giudiziale, attraverso la notifica di un atto di citazione con il quale si chiede sia l’accertamento che la riduzione del capitale è suscettibile di recare pregiudizio all’opponente sia l’inibitoria dell’esecuzione della deliberazione. È però compatibile con la lettera della norma anche una diversa interpretazione, secondo la quale i creditori possono opporsi stragiudizialmente, sia pure motivando l’opposizione in relazione al pericolo cui sarebbe esposto il loro credito, mentre spetterebbe semmai alla società di rivolgersi all’autorità giudiziaria (ai sensi degli artt. 25 ss., d.lgs. n. 5/2003) per ottenere il via libera previsto dal 3° comma dell’art. 2482 c.c. [[46]]. La scelta fra le due interpretazioni non è facile. A favore della tesi tradizionale si può dire che essa pone giustamente al centro dell’attenzione il presupposto sostanziale del pericolo per il creditore: pericolo che deve essere valutato e accertato dall’autorità giudiziaria. Inoltre la tesi tradizionale ha dalla sua parte il parallelismo tra opposizione e impugnazione della decisione: anzi, questo parallelismo è in qualche misura suggerito dall’identità del termine (novanta giorni) previsto dagli artt. 2479 ter, 1° comma, e 2482, 2° comma, c.c. Infine l’opinione secondo cui i creditori opponenti devono iniziare un giudizio ordinario sembra giustificata da una serie di considerazioni pratiche: ad esempio, imporre l’instaurazione di una lite scoraggia le opposizioni non serie o poco meditate; le formalità necessarie per iniziare il giudizio danno maggiore certezza alla situazione della società che intende eseguire la riduzione (si pensi alla possibilità di verificare nella cancelleria del Tribunale l’eventuale pendenza di un’opposizione). Invece, a favore della tesi secondo la quale l’opposizione potrebbe essere stragiudiziale, si può osservare che la disciplina processuale degli artt. 25 ss., d.lgs. n. 5/2003, che si applica per espressa volontà della legge all’istanza di cui al 3° comma dell’art. 2482 c.c., pone difficili problemi di coordinamento con la disciplina del processo di cognizione che, come si è visto, dovrebbe essere [continua ..]


12. (Segue). Autorizzazione all'esecuzione della riduzione malgrado l’opposizione

La società può chiedere che il Tribunale autorizzi «l’esecuzione» della riduzione del capitale, ai sensi del 3° comma dell’art. 2482 c.c., malgrado l’opposizione dei creditori. L’istanza della società dà vita ad un procedimento in camera di consiglio che (per effetto del­l’espli­cita previsione dell’art. 33, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5) è regolato dagli artt. 30-32, nonché dagli artt. 25-27, dello stesso decreto legislativo. Se l’opposizione dei creditori si può proporre in via stragiudiziale, il procedimento introdotto dalla società non pone problemi particolarmente difficili da risolvere. Si può ricordare che, ai sensi dell’art. 32 del citato decreto, dal procedimento in camera di consiglio può essere generato un giudizio di cognizione piena nel quale, ad esempio, possono trovare sfogo le questioni relative all’esi­sten­za, all’ammontare o all’eventuale estinzione del credito fatto valere dall’opponente. Se l’opposizione dei creditori deve essere proposta instaurando un giudizio di cognizione, la lettera della legge sembra escludere che l’istanza della società debba essere proposta nell’ambito del giudizio iniziato dal creditore: in sostanza, la società dovrebbe costituirsi nel giudizio di merito, chiedendo il rigetto dell’opposizione (eventualmente negando il credito dell’opponente, ovvero limitandosi a contestare l’esistenza di un pericolo per i creditori in caso di esecuzione della riduzione del capitale); volendo accelerare i tempi, potrebbe presentare l’istanza di cui all’art. 2482, 3° comma, c.c. nelle forme previste dall’art. 25 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. In questo caso, ovviamente, non si vedrebbe l’utilità dell’applicazione dell’art. 32. Il Tribunale, investito della richiesta della società, può valutare se «il pericolo di pregiudizio dei creditori» sussista o no; «quando ritenga infondato» tale pericolo, può autorizzare l’esecuzione della deliberazione. Si deve ritenere che, nella valutazione, il Tribunale debba mettersi dal punto di vista del creditore opponente e non da quello dei creditori «in generale» (o, tanto meno, da quello dei creditori meno garantiti di quelli che hanno fatto [continua ..]


13. Riduzione del capitale per perdite superiori al terzo del capitale. Ambito di applicazione dell’art. 2482-bis c.c.

L’art. 2482-bis c.c. si applica «quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite» [[50]]. Se le perdite sono inferiori al predetto limite e finché esso non sia oltrepassato, la norma non può essere invocata: nondimeno la riduzione di capitale è possibile anche quando le perdite non raggiungono l’ammontare indicato. In questo caso non si applica la disciplina dell’art. 2482 c.c., che riguarda la riduzione del capitale effettiva (o, più esattamente, «non per perdite»), in quanto la riduzione del capitale deriva comunque dall’eliminazione contabile delle perdite e non dà luogo ad alcuna riduzione del valore del patrimonio netto [[51]]. Del resto dall’art. 2478-bis, 5° comma, c.c. si desume che la riduzione del capitale per perdite può sempre avere luogo, anche se la perdita non raggiunge il limite stabilito dall’art. 2482-bis c.c. In conclusione, la riduzione resta, anche nell’ipotesi delle perdite inferiori al terzo, una «riduzione per perdite», e per questa ragione l’operazione non ricade nell’ambito dell’art. 2482 c.c. Questa norma invece presuppone (di regola) un rimborso ai soci o la loro liberazione dall’obbligo di conferimento. Comunque, nel caso previsto dall’art. 2482 c.c. si produce la liberazione di una parte dell’at­tivo dal vincolo della copertura del capitale mentre, nel caso della riduzione per perdite, la premessa logica è che l’attivo sia divenuto insufficiente ad assicurare che il capitale sia coperto. Si ha perdita di oltre un terzo del capitale quando, alla data presa come riferimento della misurazione, il patrimonio netto contabile della società è inferiore ai due terzi del capitale indicato nell’atto costitutivo [[52]]. In pratica si può dire che le perdite d’esercizio, sommate alle perdite degli esercizi precedenti ancora risultanti dal bilancio, erodono il capitale solo dopo aver esaurito il valore di tutte le riserve. Vi è un’unica eccezione, consistente nella riserva per azioni o quote della società controllante, che in realtà serve ad assicurare che il valore attribuito nell’attivo della situazione patrimoniale a tali partecipazioni non concorra alla copertura del capitale [[53]]. Qualora la copertura [continua ..]


14. (Segue). Doveri degli amministratori in caso di perdite superiori al terzo del capitale

Gli amministratori della società devono organizzarsi per fare in modo di aver sotto controllo l’andamento dei conti e la copertura del capitale [[55]]: si tratta di un’obbligazione che si può ricondurre al dovere di gestire diligentemente la società. Non appena vi è sentore di una perdita che possa dar luogo all’applicazione della norma, gli amministratori devono accertarsene predisponendo al più presto una situazione patrimoniale e, nel caso in cui sia confermata l’esistenza di una perdita superiore al terzo del capitale, debbono «senza indugio» convocare l’assemblea dei soci, «per gli opportuni provvedimenti». Si applica l’art. 2631 c.c.: perciò gli amministratori che attendono più di trenta giorni «dal momento in cui sono venuti a conoscenza» della perdita di oltre un terzo del capitale sociale sono responsabili di un illecito e sono esposti ad una sanzione pecuniaria amministrativa [[56]]. È utile notare che, secondo la lettera della legge, non basta che gli amministratori provochino una decisione dei soci, ma occorre specificamente convocare un’assemblea, cioè l’organo che può deliberare la riduzione del capitale. Questo vale anche se gli amministratori non intendono proporre la riduzione del capitale e vogliono suggerire altre misure che non rientrano fra quelle di cui all’art. 2479, 4° comma, c.c. o all’art. 2480 c.c. [[57]]. Il 2° comma dell’art. 2482-bis c.c. richiede che all’assemblea sia «sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società»; alla relazione devono aggiungersi le osservazioni dei sindaci e/o dei revisori, se la società prevede o è tenuta alla nomina di tali organi [[58]]. Se le perdite vengono ad emergere in sede di preparazione dei conti annuali dell’esercizio, la relazione prevista dall’art. 2482-bis, 2° comma, c.c. può essere assorbita dal progetto di bilancio e dalla documentazione allegata. Altrimenti occorre produrre una relazione ed eventuali osservazioni ad hoc. Malgrado la formulazione non felice della norma, non basta comunque una mera «relazione», di carattere discorsivo; occorre predisporre almeno anche una vera e propria situazione patrimoniale e, secondo l’opinione più rigorosa (ma [continua ..]


15. (Segue). Modi di eliminazione delle perdite e opportuni provvedimenti

Come già accennato, la perdita può essere eliminata (prima o dopo l’assemblea) senza che l’assemblea adotti alcun provvedimento. Infatti i soci possono sempre eseguire versamenti spontanei; i creditori possono rinunciare a loro crediti; gli amministratori possono compiere operazioni, di loro competenza, che consentono di rovesciare la situazione. Non si ritiene possibile, invece, coprire le perdite con semplici rivalutazioni dei beni iscritti all’attivo a valori inferiori a quelli correnti, a meno che non vi siano norme speciali che lo consentano (le c.d. leggi di rivalutazione monetaria) o non ricorrano circostanze eccezionali che impongono, per il principio di verità, di non applicare le regole ordinarie di redazione del bilancio. L’assemblea convocata ai sensi dell’art. 2482-bis, 1° comma, c.c. può decidere la riduzione del capitale ovvero decidere di attendere fino alla conclusione dell’esercizio successivo: questi, in senso stretto, sono gli opportuni provvedimenti ai quali si fa riferimento nell’art. 2482-bis c.c. L’assemblea può anche decidere sul compimento di operazioni straordinarie o di altri atti di gestione, ma solo nei limiti in cui sia competente in base all’atto costitutivo o alla legge (tenendo conto anche dell’art. 2479, 1° comma, c.c.). Altrimenti la decisione spetta agli amministratori. Non vi è comunque ragione di pensare che l’assemblea possa soprassedere alla riduzione del capitale «solo se», contestualmente, vengono adottati altri provvedimenti di ristrutturazione. Se si sceglie la via della riduzione del capitale, essa deve coincidere, di regola, con la perdita, salvo gli arrotondamenti che possono essere necessari per non dar vita a quote il cui valore nominale (se previsto) sia costituito da un numero decimale di Euro. Non si può escludere, tuttavia, che la riduzione possa essere inferiore alla perdita (e che la perdita residua possa essere rinviata a nuovo) [[66]] quanto meno fino a quando la riduzione non sia diventata obbligatoria. Fra le operazione straordinarie che possono essere decise per evitare la riduzione del capitale, rientrano (ma non è pacifico) l’aumento del capitale [[67]], che può avere l’effetto di diluire la perdita facendo ridurre a meno di un terzo il capitale, la fusione, la scissione, lo scioglimento [continua ..]


16. (Segue). Effetti della riduzione del capitale per perdite sui diritti e sulle partecipazioni dei soci. Rinvio

V. oltre i paragrafi 25 e 26.


17. (Segue). Riduzione del capitale obbligatoria

La riduzione del capitale diventa obbligatoria «se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo» (art. 2482-bis, 4° comma, c.c.). In realtà, anche se la lettera della norma apparentemente dice il contrario, sembra preferibile interpretare questa disposizione nel senso che l’obbligo di ridurre il capitale si manifesta solo se la perdita di «oltre un terzo» (1° comma) non si riduce «a un terzo o a meno di un terzo» entro la fine dell’esercizio successivo: se non fosse così, il 1° comma e il 4° comma dell’art. 2482-bis c.c. si porrebbero in un inspiegabile contrasto. L’esercizio successivo è il primo esercizio che inizia dopo la data di riferimento della situazione patrimoniale presentata all’assemblea ai sensi dell’art. 2482-bis, 2° comma, c.c. Nel corso dell’esercizio successivo la perdita può essere eliminata nei modi già esaminati, includendo fra questi anche l’eventuale riduzione (volontaria) del capitale. La perdita può ridursi al di sotto del terzo del capitale per effetto della gestione, ordinaria o straordinaria, della società. Solo se dal bilancio dell’esercizio successivo risulta che la perdita «non risulta diminuita a meno di un terzo», la riduzione diventa obbligatoria. La formulazione testuale del 4° comma dell’art. 2482-bis c.c. dice che, nell’ipotesi in cui la perdita non «risulti» ridotta, «deve essere convocata l’assemblea per l’approvazione del bilancio e per la riduzione del capitale in proporzione delle perdite accertate». Per stabilire se nel corso dell’esercizio successivo la perdita si è ridotta al di sotto di un terzo del capitale, occorre dunque che sia predisposto ed approvato il bilancio dell’esercizio successivo: ma per l’approvazione del bilancio il legislatore ha voluto che provvedesse l’assemblea (non basterebbe una semplice decisione dei soci) [[68]]. D’altra parte la seconda parte della disposizione lascia il dubbio circa le formalità ed i quorum necessari per la riduzione del capitale: occorre l’intervento del notaio? Se l’atto costitutivo prevede per l’approvazione delle sue modificazioni maggioranze più elevate di quelle richieste per [continua ..]


18. (Segue). Riduzione del capitale per perdite ad opera degli amministratori

L’ultimo comma dell’art. 2482-bis c.c. stabilisce che «si applica in quanto compatibile, l’ultimo comma dell’art. 2446 c.c.», a tenor del quale «nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal caso l’art. 2436» [[72]]. La norma riguarda il caso della riduzione obbligatoria e presuppone l’inutile decorso di un intero esercizio dalla data di riferimento della situazione patrimoniale presentata all’assemblea convocata per la prima volta ai sensi dell’art. 2446 c.c. Essa consente di introdurre una deroga alle competenze «normali» dell’assemblea e, chiaramente allo scopo di facilitare l’adozione di un «atto dovuto», permette che la riduzione sia deliberata dall’organo amministrativo purché ciò sia previsto dallo statuto o da una deliberazione assembleare ad hoc, cioè sostanzialmente da una delega. Malgrado il tenore letterale dell’art. 2446, ultimo comma, c.c., si deve preferire la tesi per la quale, anche in presenza della previsione della competenza dell’organo amministrativo, l’assemblea conserva comunque la competenza a ridurre il capitale. Qualche autore ha ritenuto che la «possibilità di delegare al Consiglio di amministrazione la riduzione del capitale» [[73]] nelle s.r.l. sia da ammettere in via generale; ma in realtà l’ultimo comma dell’art. 2446 c.c., richiamato dall’ultimo co. dell’art. 2482-bis, presuppone che la s.p.a. abbia azioni «prive del valore nominale». Trattandosi di s.r.l., come si deve intendere, allora, il rinvio? Nelle s.r.l. l’art. 2463, 2° comma, n. 6 impone di indicare nell’atto costitutivo «la quota di partecipazione di ciascun socio» e sembra ammettere sia l’adozione di indicazioni costituite da numeri frazionari (1/3; 1/5; 2/15; ecc.) o percentuali (3%; 8,5%; ecc.), sia l’adozione del valore nominale in Euro (partecipazione di 2.500,00 Euro; di 12.864 Euro; ecc.). Perciò, nelle s.r.l. il cui atto costitutivo assegna alle partecipazioni dei [continua ..]


19. Riduzione del capitale a seguito di perdite superiori al terzo del capitale e di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Ambito di applicazione dell’art. 2482-ter c.c.

La disposizione dell’art. 2482-ter c.c. si applica solo se sussistono ambedue le condizioni seguenti: perdita di oltre un terzo del capitale e riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Una perdita pari ad un terzo o a meno di un terzo del capitale, che ne riduca la copertura al di sotto del minimo legale, non impone perciò agli amministratori di convocare «senza indugio» l’assemblea, né è causa di scioglimento della società [[78]]. Resta ovviamente salva la possibilità che, di fronte ad una simile fattispecie, gli amministratori convochino di loro iniziativa l’assemblea e che questa deliberi lo scioglimento anticipato della società ovvero la riduzione e contestuale ricostituzione del capitale, o la trasformazione in società di persone, ecc. La norma dettata dall’art. 2482-ter c.c. trova applicazione anche in caso di azzeramento del capitale o di perdita tale da ridurre il capitale «sotto zero». In questi casi la disciplina deve tuttavia essere adattata alla fattispecie, come si spiegherà di seguito.


20. (Segue). Perdita del capitale e scioglimento della società

Lo scioglimento della società per effetto di perdite che superino il terzo del capitale sociale e lo riducano al di sotto del minimo legale non produce i suoi effetti ope legis, ma dalla «data di iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa» (art. 2484, 3° comma, c.c.) [[79]]. È pacifico che gli amministratori sono tenuti ad agire prontamente e rispondono dei danni eventualmente derivanti dal ritardo nell’adempiere gli obblighi stabiliti nell’articolo appena richiamato (v. infatti art. 2485, 1° comma, c.c.). Tuttavia, dal coordinamento fra le norme contenute nell’art. 2482-ter c.c. e la disciplina dello scioglimento, si può desumere che, ferma l’eventuale responsabilità per i danni derivanti dal ritardo nell’accertamento delle perdite in fieri, una volta avuto conoscenza della perdita, gli amministratori devono «senza indugio» convocare l’assemblea dei soci per le delibere di cui all’art. 2482-ter c.c., mentre la dichiarazione di scioglimento deve essere depositata ed iscritta nel registro delle imprese solo se l’assemblea, tempestivamente convocata, non abbia deliberato la riduzione e reintegrazione del capitale o la trasformazione (o se non sia stata presa alcuna altra misura idonea a risanare la situazione) [[80]].


21. (Segue). Convocazione dell’assemblea

Verificatasi una perdita di capitale rientrante nella definizione dell’art. 2482-ter c.c. gli amministratori «devono» (non semplicemente «possono») convocare l’assemblea: la formulazione della legge non sembra ammettere dubbi circa il fatto che la convocazione non può essere evitata, neanche se gli amministratori ritengono che essa sia inutile e che si debba procedere senz’altro a dichiarare lo scioglimento della società. L’assemblea può deliberare la riduzione del capitale e la contestuale reintegrazione, la trasformazione (v. oltre) oppure lo scioglimento della società. L’omessa convocazione entro trenta giorni dalla data in cui gli amministratori (e i sindaci) sono venuti a conoscenza del presupposto della convocazione (cioè la perdita) è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa prevista dall’art. 2631 c.c. [[81]]. Inoltre i danneggiati possono chiedere il risarcimento del pregiudizio subito a causa dell’omessa o ritardata convocazione. L’assemblea deve poter deliberare la ricostituzione del capitale o la trasformazione: occorre pertanto l’intervento del notaio. Non è possibile decidere in materia in forma non assembleare, né si applica l’ultimo comma dell’art. 2482-bis c.c. Pare invece pacifico che si debbano osservare i 2° e 3° comma dell’art. 2482-bis c.c. [[82]]. Se l’assemblea va deserta, non riesce a deliberare o se non viene sottoscritta la reintegrazione del capitale, gli amministratori devono accertare che si è verificata una causa di scioglimento e devono depositare la relativa dichiarazione per l’iscrizione nel registro delle imprese. Devono inoltre convocare l’assemblea per la nomina del liquidatore [[83]].


22. (Segue). Riduzione e ricostituzione del capitale

Il 1° comma dell’art. 2482-ter c.c. prende in considerazione la riduzione e ricostituzione del capitale. Se le perdite incidono sul capitale in misura tale da diminuirne la copertura al di sotto del minimo legale ma non ad un importo inferiore a zero, la riduzione del capitale è idonea ad eliminare integralmente la perdita. L’aumento del capitale, necessario a reintegrarne il minimo, è regolato dall’art. 2481-bis c.c.; ma il 1° comma di questa disposizione proibisce che, in tal caso, possa essere escluso (in tutto o in parte) dall’atto costitutivo il diritto di sottoscrizione preferenziale riconosciuto ai soci [[84]]. Questi ultimi, tuttavia, possono rinunciare spontaneamente ad esercitarlo, una volta che sia sorto o contestualmente alla delibera di ricostituzione del capitale [[85]]. La lettera della legge non richiede che la sottoscrizione del capitale, necessaria a riportarne la cifra al minimo legale, sia fatta «in assemblea». Non si vede ragione per derogare alla disciplina che riserva ai soci l’offerta dell’aumento, né alla regola che stabilisce che il termine concesso ai soci per esercitare il diritto di sottoscrizione non può essere inferiore a trenta giorni (art. 2481-bis, 2° comma, c.c.) [[86]]. Nulla vieta, se la delibera lo prevede, che i diritti di sottoscrizione non esercitati dal titolare vengano «recuperati» attraverso l’offerta della parte dell’aumento di capitale rimasta scoperta a soci o a terzi. In particolare questa eventualità non si pone in contrasto con l’art. 2482-quater c.c. perché, in tal caso, l’alterazione delle partecipazioni non dipende dalla decisione della società, ma dalla mancata sottoscrizione di alcuni soci. D’altro lato, se così non fosse, la riduzione e la ricostituzione del capitale sarebbero sostanzialmente subordinate al veto di ciascun socio. Ovviamente, nei casi in cui emergano inadempienza o gravi imprudenze degli amministratori (e, se ricorrono i presupposti, dei soci) potrà essere esercitata nei loro confronti l’azione di responsabi­lità: la causa petendi non può tuttavia essere identificata nel fatto che sia stato seguito l’iter voluto dalla legge, ma semmai nel ritardo accumulato prima d’intervenire, oppure nella mancata richiesta dell’apertura di procedure [continua ..]


23. (Segue). Capitale azzerato o «sotto zero»

L’azzeramento del capitale non annulla la partecipazione (v. art. 2482-quater c.c.). In linea di principio, se le perdite uguagliano o superano il capitale, le regole che si applicano sono le stesse appena illustrate per il caso in cui il capitale non sia stato completamente eroso. Tuttavia è evidente che la presenza di perdite non annullate tramite la riduzione del capitale pone un problema specifico: vale a dire quello della copertura di queste perdite ulteriori. A questo scopo possono essere impiegate tecniche diverse [[87]]. Ad esempio può essere previsto che le quote dell’aumento di capitale offerto ai soci incorporino un sopraprezzo pari all’ammontare delle perdite che eccedono il capitale: la riserva sopraprezzo quote che si viene così a creare si annulla ipso facto azzerando la perdita. Il sopraprezzo non costituisce infatti un onere incompatibile con il diritto di sottoscrizione o una sua limitazione, a maggior ragione nelle s.r.l. (v. art. 2481-bis, 2° comma, c.c.), né comporta una variazione dei diritti dei soci vietata dall’art. 2482-quater c.c. [[88]]. Questo procedimento pone a carico di chi risulterà socio «dopo» la reintegrazione del capitale le perdite generatesi in precedenza. Più elastica e più pratica è un’altra soluzione, in base alla quale i soci (ma eventualmente anche terzi) intervengono con versamenti spontanei o rinunce a crediti per colmare il deficit che non può essere annullato azzerando il capitale. Tali versamenti e rinunce non possono essere imposti a chi non voglia eseguirli. D’altro lato è perfettamente lecito che la copertura delle perdite «eccedenti» sia effettuata solo da uno (o da alcuni) dei soci, oppure anche da tutti, ma in misura non corrispondente a quella che si applicherebbe ripartendo la perdita tra i soci proporzionalmente alle rispettive partecipazioni al capitale prima dell’azzeramento. In concreto accade frequentemente che la partecipazione alla ricostituzione del capitale minimo, mediante il diritto di sottoscrizione, sia subordinata, nella decisione dei soci, alla partecipazione alla previa copertura della perdita eccedente il capitale in proporzione della quota posseduta da ciascun socio [[89]]. In questa fattispecie la partecipazione alla copertura delle perdite eccedenti il capitale resta «volontaria», ma [continua ..]


24. (Segue). Riduzione del capitale e trasformazione della società

Il 2° comma dell’art. 2482-ter c.c., pone in alternativa alla riduzione e reintegrazione del capitale la trasformazione della società. La dottrina ritiene che la formulazione testuale della disposizione (che è diversa da quella della corrispondente norma dettata per le s.p.a.) confermi la tesi secondo cui la trasformazione può essere deliberata senza che occorra preliminarmente ridurre il capitale [[97]]. Si ritiene altresì che la società a responsabilità limitata, ancorché abbia interamente perduto il proprio capitale ed anzi residuino ulteriori perdite, possa trasformarsi in un tipo sociale che non richiede un capitale minimo [[98]]. È stato esattamente osservato che, ricorrendo la fattispecie di cui all’art. 2482-ter c.c., non si può applicare interamente la disciplina della trasformazione, specie per gli aspetti procedimentali che risultano incompatibili con le disposizioni relative alla riduzione del capitale (ad esempio quanto al deposito della relazione presso la sede sociale, che secondo l’art. 2482-bis c.c. deve essere effettuato otto giorni prima della convocazione, mentre secondo l’art. 2500-sexies c.c. deve essere fatto trenta giorni prima) [[99]].


25. Effetti della riduzione del capitale per perdite sulle partecipazioni e sui diritti dei soci

L’art. 2482-quater c.c. sostituisce l’art. 2496, 3° comma, c.c. [[100]], nel quale si stabiliva che «in caso di riduzione del capitale per perdite i soci conservano i diritti sociali secondo il valore originario delle rispettive quote». L’abolizione delle norme che imponevano che le quote avessero un valore nominale pari ad un euro o ad un suo multiplo (e che prevedevano che al socio spettassero tanti voti per quante volte il valore nominale della sua partecipazione fosse multiplo di un euro) ha reso molto meno importante la disposizione che, nel passato, aveva peraltro sollevato non pochi problemi interpretativi [[101]]. In ogni caso oggi la disposizione è molto chiara: anche se la riduzione del capitale si ripercuote sul valore nominale (o contabile) delle quote di partecipazione dei soci, essa lascia invariati i diritti di partecipazione (amministrativi e patrimoniali). Si è posta la questione se i diritti speciali dei soci (quelli previsti dall’art. 2468 c.c.) si azzerino o si annullino in caso di azzeramento del capitale per perdite, seguita dalla ricostituzione dello stesso, o se, anche in questo caso, l’eliminazione di tali diritti richieda il consenso di tutti i soci ai sensi del­l’art. 2468, 4° comma, c.c. [[102]]. Il testo della norma sembra peraltro non ammettere dubbi: anche in tali fattispecie opera il principio generale per cui i diritti (speciali) dei soci restano intatti, a meno che non ricorrano le condizioni di cui all’art. 2468, 4° comma, c.c. Il che, ovviamente, non esclude che, di fatto, la riduzione abbia ripercussioni diverse sui soci: si pensi al caso in cui sia stato riservato ad un socio un privilegio sugli utili il cui ammontare sia commisurato ad una determinata percentuale del valore nominale della sua quota di partecipazione al capitale al momento della distribuzione del dividendo [[103]].


26. (Segue). Derogabilità dell’art. 2482-quater c.c.

La questione maggiormente dubbia riguarda la derogabilità del principio dettato dalla norma del­l’art. 2482-quater c.c. La formulazione testuale della legge è perentoria ed in particolare le prime paro­le dell’articolo («In tutti i casi è escluso ...») fanno pensare che il legislatore abbia voluto dettare una norma imperativa, cui non si potrebbero fare eccezioni. Tuttavia l’interesse del socio al conseguimento ed al mantenimento di una certa partecipazione (e perfino alla conservazione dei diritti individuali) è senz’altro un interesse privato, appartenente a chi ne è titolare e a nessun altro. Non si vede perché escludere che, con il consenso degli interessati, la riduzione del capitale possa incidere «in modo diverso» sui soci, ancorché essi si ritrovino in condizioni di partenza uguali [[104]]. D’altra parte, fermo restando che la maggioranza non può essere arbitra della distribuzione delle perdite fra i soci in concreto, cioè con riferimento a singoli casi di riduzione del capitale, sembra che l’art. 2482-quater c.c. sia comunque subordinato, nella sua portata, all’art. 2468 c.c.: in altre parole, il 3° comma di quest’ultimo articolo autorizza senz’altro a stabilire, nell’atto costitutivo, che tra i particolari diritti di uno o più soci rientri anche quello di limitare la propria partecipazione alle perdite. È vero infatti che l’art. 2468, 3° comma, c.c. non contempla in modo esplicito il caso della postergazione nella partecipazione alle perdite o della loro diversa incidenza sulle quote; ma è anche noto che, secondo l’interpretazione preferibile (sorretta da una pluralità d’indizi sistematici e dalla specifica volontà legislativa diretta ad accrescere – nelle s.r.l. – il ruolo dell’autonomia privata), è possibile una lettura assai liberale della norma [[105]]. Sarebbe fra l’altro assai poco giustificabile, nella prospettiva della riforma, ritenere vietata la postergazione di un socio di s.r.l. rispetto alle perdite, allorché la disciplina delle s.p.a. prevede espressamente la creazione di «categorie di azioni fornite di diritti diversi, anche per quanto concerne l’incidenza delle perdite (art. 2348, 2° comma, prima frase, c.c.). Ammesso che la [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2007