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1. Premessa - 2. Il concetto di «riserva indivisibile» - 3. Riserve indivisibili ed agevolazioni fiscali. Gli interessi dell’autonomia statutaria nell'istituzione del vincolo di indivisibilità - 4. Le riserve indivisibili per disposizione di legge (esplicita o implicita) - 5. Riserve indivisibili e copertura delle perdite sociali - 6. La riserva legale - 7. Destinazioni facoltative degli utili e ruolo dell’assemblea delle società cooperative - 8. I limiti legali e statutari all'assegnazione delle riserve divisibili ai soci - 9. (Segue). Le deroghe per i possessori di strumenti finanziari - 10. Le modalità di assegnazione delle riserve divisibili ai soci: a) l'emissione di strumenti finanziari - 11. (Segue). b) L'aumento gratuito di capitale - 12. (Segue). Aumento gratuito di capitale e rivalutazione delle quote o delle azioni mediante utilizzazione degli utili non distribuiti (con cenni al regime fiscale) - 13. L'assegnazione delle riserve divisibili ai soci in caso di scioglimento del singolo rapporto sociale - 14. Ulteriori possibili impieghi delle riserve di società cooperative: a) nell'acquisto di quote o azioni proprie della società - 15. (Segue). b) Nella costituzione di patrimoni destinati a «specifici affari» - 16. La formazione di riserve mediante accantonamento di ristorni: le c.d. «riserve individualizzate» - NOTE
La disciplina delle riserve delle società cooperative, consegnata agli artt. 2545-ter ss. del novellato codice civile, indubbiamente costituisce fondamentale terreno di emersione della dialettica tra mutualità e mercato. Presidio della mutualità si rivela, in questo contesto normativo, l’istanza di scongiurare l’accesso a considerevoli benefici fiscali, incentivi finanziari e previdenziali ad entità che, dopo averne usufruito, intendano proiettare l’assetto aziendale così acquisito ad una gestione tesa a massimizzare la remunerazione del capitale investito dai soci (c.d. lucro soggettivo); ai quali non è consentito, dunque, in alcun caso assegnare risorse economiche attribuite dallo Stato sotto forma di agevolazioni volte a promuovere ed a favorire – in ossequio al dettato costituzionale (art. 45) – la «funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata» [[1]]. Funzionale al perseguimento dei divisati obiettivi è l’istituzione, prima nella legislazione speciale ed ora nel rinnovato codice civile, di un «vincolo di destinazione» – c.d. «proprietà cooperativa» – al patrimonio accumulato grazie alle agevolazioni tributarie, sottratto alla disponibilità dei soci e stabilmente destinato all’emancipazione e sviluppo del movimento cooperativo nel suo complesso [[2]]: ciò che si concretizza altresì nell’assicurare nel tempo le prestazioni mutualistiche pur nella mutevole composizione delle compagini sociali (c.d. «mutualità solidaristica» o «di sistema») [[3]]. Tali vincoli non sono estranei alle cooperative a mutualità non prevalente, pure tese a soddisfare una «funzione sociale»; in virtù della quale risultano legittimate a fruire di agevolazioni e provvidenze di natura non tributaria, ma al contempo destinatarie di precetti tipicamente preordinati ad attenuare la «lucratività incondizionata» [[4]]. Fra questi può indubbiamente annoverarsi l’attuale disciplina civilistica delle «riserve indivisibili», ormai applicabile, per taluni importanti aspetti, a prescindere dalla fruizione delle agevolazioni fiscali [art. 26, lett. b) e c), d.lgs. C.p.S. 14 dicembre [continua ..]
Punto di partenza dell’indicato percorso pare la definizione del concetto, specifico del diritto cooperativo, di «riserva indivisibile». Sul piano civilistico, l’indivisibilità delle riserve esprime l’esigenza di escludere i fondi così qualificati dal calcolo del valore della quota di partecipazione del socio, sia in occasione dello scioglimento del singolo rapporto sociale, che nel caso di dissoluzione della società. E quest’ultimo limite vale a distinguere il connotato di indivisibilità dal carattere di indisponibilità, tipico altresì di talune riserve delle società lucrative (riserva legale e riserve statutarie) ed invece indicativo soltanto del vincolo di destinazione impresso dalla legge o dallo statuto ai fondi accantonati: le riserve indisponibili, benché utilizzabili esclusivamente per determinati scopi, vanno infatti certamente incluse nel computo del valore delle quote di partecipazione e non risultano, pertanto, permanentemente sottratte alla proprietà dei soci [[6]]; per converso, il regime dell’indivisibilità può ma non deve necessariamente accompagnarsi al vincolo di indisponibilità: talune riserve indivisibili sono invero disponibili ai fini della gestione sociale per scopi che non comportino una loro distribuzione anche indiretta ai soci (paradigmatico, al riguardo, il vincolo posto dal capoverso dell’art. 2545-ter). E tale puntualizzazione non è senza rilevanza pratica [[7]]. Specifico portato dell’indivisibilità delle riserve è altresì, in positivo, l’obbligo civilistico di loro devoluzione disinteressata ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (istituiti dall’art. 11, legge 31 gennaio 1992, n. 59) [[8]] vuoi in sede di scioglimento della società, vuoi in ipotesi di trasformazione: obbligo esteso alle cooperative a mutualità non prevalente (a meno che non abbiano adottato le clausole mutualistiche previste dall’art. 14, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601 alla data del 1° gennaio 2004), come indirettamente attestato dall’art. 2545-undecies in tema di trasformazione [[9]] – che soltanto a queste si riferisce – e dall’art. 11, 5° comma, legge n. 59/1992, che tuttora completa la [continua ..]
Il carattere di indivisibilità di una riserva non si desume dalla sua denominazione in bilancio, bensì da una previsione di legge (esplicita o implicita) o dello statuto, che può assegnare tale connotato a qualsiasi riserva accantonata dalla società. Tracciate nel paragrafo precedente le coordinate del nuovo regime civilistico delle riserve indivisibili, conviene ora brevemente polarizzare l’attenzione sulla congerie di disposizioni fiscali agevolative che decisivamente influenzano la scelta statutaria di “battezzare” una riserva come indivisibile. Nell’indicato proposito occorre prendere le mosse dall’art. 12, legge 16 dicembre 1977, n. 904, ai sensi del quale «non concorrono a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento». Tale previsione di intassabilità è stata parzialmente modificata prima dall’art. 6, d.l. 15 aprile 2002, n. 63 (conv. in legge 15 giugno 2002, n. 112) [[12]], e, da ultimo, dall’art. 1, 460° comma ss., legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005). Ne risulta il seguente regime fiscale delle riserve indivisibili: a) nelle cooperative a mutualità prevalente, la detassazione del patrimonio indivisibile opera per il 70% del suo complessivo ammontare (e per l’80% nelle cooperative agricole e della pesca e loro consorzi) ed è altresì deducibile la quota del 3% degli utili netti annuali destinata ai fondi mutualistici (ex comb. disp. artt. 2545-quater, 2° comma, e 11, 4° comma, l. 59/1992); b) nelle cooperative a mutualità non prevalente, la deduzione dal reddito imponibile della società è limitata al 30% degli utili netti annuali (ai quali si aggiunge il 3% di pertinenza dei fondi), a condizione che tale quota sia destinata ad una riserva indivisibile prevista dallo statuto. Questi sintetici cenni al profilo tributario palesano gli interessi dell’autonomia privata all’istituzione del vincolo di indivisibilità delle riserve e, di riflesso, il significato stesso del riferimento all’indivisibilità «per disposizione … dello statuto» [continua ..]
L’enucleazione dei vincoli di indivisibilità delle riserve posti da disposizioni di legge vale a renderne manifesta la centralità del ruolo nel nuovo diritto cooperativo. a) Viene anzitutto in considerazione l’ipotesi di perdita, volontaria od involontaria, della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente, nella quale gli amministratori devono redigere un apposito bilancio al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili (art. 2545-octies). E proprio nella previsione di questo vincolo si compone la dialettica tra le due istanze evidenziate in apertura del presente lavoro[[15]]: la domanda di maggiore flessibilità delle cooperative, alle quali si offre oggi la duplice opportunità di aprirsi al mercato ed ai rapporti con i terzi e di svincolarsi,per il futuro, dagli stringenti limiti di indistribuibilità del patrimonio sociale posti dall’art. 2514, lett. c), non penalizzandole con l’immediata devoluzione ai fondi mutualistici dell’intero patrimonio (dedotti il capitale versato ed i dividendi eventualmente maturati) invece disposta, in precedenza alla riforma, dall’art. 17, legge n. 388/2000 (cfr. art. 111-decies trans.); l’esigenza, per altro versante, di salvaguardare la c.d. «proprietà cooperativa», scongiurando ripartizioni tra i soci delle risorse accumulate con le agevolazioni tributarie concesse in virtù della qualità di cooperativa a mutualità prevalente, che devono restare permanentemente vincolate al perseguimento di uno scopo mutualistico [[16]]. b) Il ruolo di «misura antilucrativa» dal legislatore assegnato alle riserve indivisibili emerge nitidamente dal secondo periodo del 3° comma dell’art. 2525, che impone la destinazione ad esse dei diritti patrimoniali delle azioni eccedenti i limiti di partecipazione del socio alla cooperativa: la soglia massima è fissata dal primo capoverso della norma ora menzionata in centomila euro e, nelle cooperative con più di cinquecento soci, può essere elevata, con apposita previsione statutaria, sino al due per cento del capitale sociale. Laratiodella destinazione a riserva indivisibile consiste nel comprimere il c.d. lucro soggettivo escludendo la convenienza della detenzione di rilevanti partecipazioni al capitale della cooperativa; ciò [continua ..]
L’accennata distinzione concettuale tra divisibilità e disponibilità delle riserve nelle cooperative affiora altresì dal capoverso dell’art. 2545-ter: la disposizione si riferisce ad un vincolo di indisponibilità che si aggiunge al connotato dell’indivisibilità delle riserve. Si dispone in particolare un ordine di gradualità nell’utilizzazione delle riserve per la copertura delle perdite, secondo cui le riserve indivisibili possono esser intaccate soltanto allorché le perdite abbiano completamente eroso sia le riserve destinate dalla società ad operazioni di aumento di capitale, sia le altre riserve divisibili tra i soci al momento dello scioglimento della società. In questa chiave, il riferimento alle «riserve che la società aveva destinato ad aumento di capitale» – che evidentemente rientrano nella più ampia categoria delle riserve non indivisibili menzionate subito dopo nel testo della disposizione – mira chiaramente a renderle la parte più disponibile del netto, ponendole quindi in posizione di priorità ai fini dell’imputazione delle perdite rispetto alle riserve indisponibili [[19]]; non sembra invece attendibile una sua diversa lettura volta a scorgerne un «caso eccezionale», nel quale le perdite incidono prima su una parte del capitale (aumentato utilizzando riserve disponibili) e solo successivamente sulle riserve indivisibili [[20]], donde conseguirebbe il dirompente effetto di rendere inefficaci senza limiti di tempo aumenti gratuiti di capitale nelle ipotesi in cui, successivamente alla loro esecuzione, affiorino perdite di esercizio. Va infine rimarcato che l’art. 2545-ter non prevede alcun obbligo civilistico di ricostituzione prioritaria, con gli utili eventualmente maturati nei successivi esercizi, delle riserve indivisibili. La distribuzione degli utili tra i soci prima della reintegrazione delle riserve erose dalle precedenti perdite comporta, tuttavia, la decadenza dai benefici fiscali, ai sensi dell’art. 3, 1° comma, legge 18 febbraio 1999, n. 28: questo limite alla ripartizione degli utili in funzione dell’esigenza di ricostituzione delle riserve è tuttora [[21]] rilevante, però, ai soli fini del conseguimento e/o mantenimento delle agevolazioni tributarie, non potendosi reputare interferente [continua ..]
L’art. 2545-quater ha consistentemente innalzato la quota di utili netti annuali da destinare a riserva legale, che passa dal 20 al 30%. Prescindendo dalle ragioni di compromesso «politico» sottese a tale modifica [[24]], è d’uopo notare che le cooperative che non usufruiscono dei benefici fiscali possono continuare a limitare al quinto degli utili netti annuali la quota di destinazione obbligatoria a riserva legale, ai sensi dell’art. 223-quinquiesdecies, 2° comma, disp. trans. [introdotto dall’art. 5, lett. mmm), d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37]; concedere questo beneficio alle sole cooperative costituite entro il 2003, come indurrebbe a pensare una superficiale lettura del combinato disposto del 1° e del 2° comma di questa disposizione transitoria, significherebbe invero originare una disparità di trattamento tra identiche fattispecie in contrasto con i princìpi costituzionali [[25]]. Sul piano sistematico, l’innalzamento della quota di utili netti annuali da destinare a riserva legale sembra collegarsi all’accresciuta possibilità di ricorso della cooperativa (anche a mutualità prevalente) a capitale di credito attraverso l’emissione di strumenti finanziari, risultando pertanto intimamente connesso con l’indice di indebitamento – non a caso parametrato al patrimonio netto – previsto dal successivo art. 2545-quinquies. Il costante obbligo di accantonamento a riserva legale trova del resto ragione nella sua stessa funzione di «cuscinetto» di protezione del capitale sociale, che nelle cooperative è variabile: caratteristica che, congiunta all’assenza della previsione legale di limiti minimi (disposti invece per la s.p.a. e la s.r.l.), ha tradizionalmente imposto un supplemento di tutela per i creditori in guisa da scongiurare il rischio di un capitale esiguo della società a fronte di un regime legale di responsabilità limitata dei soci [[26]]. Il 1° comma dell’art. 2545-quater individua nel trenta per cento degli utili netti annuali la quota minima da destinare a riserva legale; nel rispetto delle altre destinazioni obbligatorie (fondi mutualistici), lo statuto può tuttavia prevedere la devoluzione a riserva legale di quote più elevate di utili. In assenza di una simile previsione statutaria, l’assemblea ordinaria può [continua ..]
Dal confronto del 3° comma dell’art. 2545-quater con il secondo capoverso del corrispondente vecchio testo dell’art. 2536 emerge la centralità del ruolo dell’assemblea della società cooperativa nella materia delle destinazioni facoltative di utili [[32]]. La norma previgente poneva un ordine vincolante nella assegnazione della quota di utili che residuava dalle destinazioni obbligatorie a riserva legale ed ai fondi mutualistici, secondo il quale occorreva prima imputarla a rivalutazione delle quote e delle azioni, poi assegnarla ad altre riserve facoltative ed, infine, devolverla a fini mutualistici. L’attuale disposizione, per converso, investe inderogabilmente l’assemblea del potere di decidere in assoluta autonomia, fermo restando il rispetto dei parametri dell’indebitamento recati dal successivo art. 2545-quinquies, la sorte degli utili che residuano dalle destinazioni obbligatorie (riserva legale e fondi mutualistici). Di tal ché l’assemblea ordinaria può determinarsi, per sopperire ad esigenze di finanziamento della società, alla creazione di riserve facoltative con gli utili accantonati [[33]]: fondi questi che possono poi essere assegnati ai soci nell’osservanza delle modalità e dei limiti previsti dall’art. 2545-quinquies. È al riguardo da puntualizzare che il divieto di distribuire le riserve fra i cooperatori, elevato a tratto essenziale della «prevalenza» dalla lett. c) dell’art. 2514, non preclude l’istituzione, nelle cooperative protette, di riserve facoltative con i dividendi accantonati nel tetto dell’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato, posto dalla lett. a) della stessa norma; e deve conseguentemente ritenersi che la successiva assegnazione di queste riserve facoltative ai soci non comporta il venir meno del carattere di prevalenza [[34]].
Passando ad esaminare il profilo dell’assegnazione di riserve, va osservato anzitutto che la loro attribuzione ai soci cooperatori è possibile alla condizione che il patrimonio netto ecceda il venticinque per cento dell’indebitamento [[35]]. La variabilità del capitale ha indotto il legislatore a tutelare i creditori sociali mediante una presunzione di eccessivo indebitamento della società ancorata al suddetto rapporto [[36]]. Il rispetto di questo coefficiente finanziario, emergente dall’ultimo bilancio approvato [[37]], costituisce inderogabile presupposto legale per l’adozione della successiva ed eventuale deliberazione dell’assemblea ordinaria di assegnazione ai soci delle riserve, come del resto affiora anche dall’ultimo comma dell’art. 2545-quater. Sennonché, la delibera presa in assenza di tale condizione deve ritenersi annullabile in quanto non conforme alla legge (art. 2377), con conseguente responsabilità degli amministratori che vi abbiano dato esecuzione. L’assegnazione delle riserve ai soci è possibile altresì nelle cooperative a mutualità prevalente: benché tra i requisiti del carattere di «prevalenza» vi sia il divieto di distribuire riserve fra i soci cooperatori [art. 2514, lett. c)], pare tuttavia lecito assegnar loro le riserve accantonate per le somme corrispondenti agli utili distribuibili in precedenti esercizi entro la soglia fissata dalla lett. a) dell’art. 2514 [[38]]; possono inoltre attribuirsi senza limiti riserve ai soli soci finanziatori, sempreché esistenti. Ciò premesso, occorre individuare esattamente le riserve ripartibili tra i soci cooperatori. Malgrado la formulazione del 2° comma dell’art. 2545-quinquies si limiti a richiedere a tal fine il connotato della «divisibilità», ripartibili fra i soci cooperatori sono le sole riserve disponibili (riserve facoltative; riserva da soprapprezzo e, previa modifica dell’atto costitutivo, le riserve statutarie): non lo sono, quindi, i fondi accantonati a riserva legale [[39]]. La misura dell’assegnazione ai soci delle riserve divisibili e disponibili è proporzionale alla quota di capitale da ciascun socio sottoscritta, ma sono possibili diverse modulazioni in presenza di privilegi patrimoniali di talune categorie [continua ..]
Nell’intento legislativo di incentivare il finanziamento della cooperativa si dispone la neutralità dell’ammontare del complessivo indebitamento della società ai fini dell’esercizio dei diritti patrimoniali riconosciuti dagli strumenti finanziari: ai relativi possessori possono dunque assegnarsi riserve divisibili anche in caso di rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento inferiore ad un quarto, a prescindere dalla sussistenza dei requisiti richiesti dal carattere di prevalenza della mutualità di cui all’art. 2514. Qualche dubbio solleva l’interpretazione della locuzione «possessori di strumenti finanziari» contenuta nell’ultimo periodo del 2° comma dell’art. 2529; ad insinuarlo è il divieto di remunerare, nelle cooperative a mutualità prevalente, gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi [art. 2514, lett. b)]. Può discutersi, in particolare, se la deroga ivi consacrata si riferisca ai diritti riconosciuti dagli strumenti finanziari ovvero alla «qualifica» del loro possessore, dovendosene in quest’ultimo caso escludere l’operatività allorché gli strumenti siano detenuti da soci cooperatori [[41]]. Contribuisce a dileguare ogni perplessità al riguardo, a nostro avviso, la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e non. Nelle prime, ai sensi dell’art. 2514, lett. b) e c), gli strumenti finanziari detenuti dai soci cooperatori non possono (né attribuire utili in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi, né) riconoscere diritti all’assegnazione di riserve divisibili: restrizioni, queste, che trovano condivisibile ragione nella preoccupazione di politiche gestionali della cooperativa orientate a tralignare lo scopo mutualistico, tuttavia suscettibili di agevole elusione mediante intestazioni di strumenti finanziari a familiari del socio cooperatore [[42]]. Per contro, nelle cooperative c.d. «diverse», non sussistendo pericoli di tal sorta, resta il solo limite legale all’assegnazione di (dividendi e) riserve divisibili (ed agli acquisti della società di azioni o quote dei soci cooperatori), motivato da esigenze di salvaguardia [continua ..]
Tornando alla disciplina della assegnazione delle riserve divisibili ai soci e passando ad approfondirne le modalità operative, deve premettersi che, nel silenzio dell’atto costitutivo, il 3° comma dell’art. 2545-quinquies impone la loro liquidazione in danaro: nel modello legale, se è fuori contestazione la piena discrezionalità dell’assemblea ordinaria circa l’assegnazione delle riserve ai soci durante societate, del pari indubbio pare il diritto del socio, al cospetto di una decisione positiva in merito dell’organo competente, di rivendicare il pagamento in contanti della quota di riserve divisibili di propria pertinenza [[43]]. D’altronde, la norma non offre indicazioni per suffragare distinzioni sul punto fra cooperative a mutualità prevalente e non, tali da predicare in questi casi la sussistenza di un implicito divieto assoluto di distribuzione delle riserve nelle prime: lettura, questa, cui conseguirebbe peraltro l’effetto di disincentivare l’afflusso di capitali in cooperative a mutualità prevalente, che il legislatore ha all’opposto inteso favorire proprio circoscrivendo l’àmbito soggettivo di applicazione di questo divieto ai soci cooperatori. Per altro versante, pare logico ritenere che, nella dialettica tra l’aspettativa del socio di realizzare immediatamente un (sia pur limitato) lucro soggettivo e l’interesse della società a mantenere inalterato il proprio livello di patrimonializzazione, la prevalenza del secondo sulla prima esige quanto meno una chiara determinazione statutaria. Tanto acclarato, la disposizione testé menzionata concede tuttavia all’autonomia statutaria la possibilità di autorizzare l’assemblea [[44]] ordinaria ad assegnare ai soci le riserve divisibili sia attraverso l’emissione degli strumenti finanziari previsti dall’art. 2526, sia mediante aumento gratuito del capitale, da attuarsi con un incremento proporzionale delle quote sottoscritte e versate ovvero con emissione di nuove azioni, anche in deroga ai limiti di partecipazione di cui ai primi tre commi all’art. 2525, nella misura massima del venti per cento del valore originario. Quanto alla distribuzione «cartacea» delle riserve ai soci, va premesso che la sua ammissibilità è subordinata alla previsione dell’atto [continua ..]
L’atto costitutivo può autorizzare l’assemblea ad assegnare ai soci le riserve divisibili con l’ulteriore modalità dell’aumento gratuito del capitale sociale [[48]], realizzabile con due tecniche alternative: aumento proporzionale delle quote sottoscritte e versate ovvero emissione di nuove azioni, anche in deroga ai limiti di partecipazione sociale previsti dai primi tre commi dell’art. 2525 ma nella misura massima del venti per cento del loro valore originario [[49]]. La variabilità del capitale delle società cooperative, funzionale all’attuazione del principio della porta aperta, indurrebbe a reputare l’assemblea ordinaria investita della competenza a deliberare siffatto aumento di capitale: ciò in quanto questa operazione non comporterebbe, in teoria, né ampliamento della compagine sociale né alterazioni delle quote di capitale sottoscritte da ciascun socio, attesa la proporzionalità del loro aumento [[50]]. È tuttavia ben possibile che, nella prassi, l’aumento gratuito comporti alterazioni di tale rapporto di proporzionalità ovvero mutamenti del valore nominale delle azioni; di tal ché la modifica delle relative indicazioni nell’atto costitutivo (art. 2521, n. 4) esige la delibera (e la forma pubblica) dell’assemblea straordinaria [[51]]. Nelle cooperative a mutualità prevalente, il divieto di distribuire riserve fra i cooperatori consente l’aumento delle sole quote sottoscritte dai soci finanziatori e circoscrive a questi il novero dei destinatari dell’emissione di nuove azioni. All’eventuale aumento gratuito del capitale mediante utilizzo di riserve divisibili in prò dei cooperatori automaticamente consegue la perdita del connotato di «prevalenza». Le cooperative c.d. «diverse», per quanto evidentemente esentate da questa proibizione, non possono effettuare l’aumento gratuito senza vincoli. Pur riconoscendosi la possibilità di derogare ai limiti massimi di partecipazione dei soci contemplati dall’art. 2525, si stabilisce un tetto all’aumento proporzionale delle quote sottoscritte e versate ed all’emissione di nuove azioni nella misura massima complessiva del venti per cento del valore originario. Qualora questa soglia venga superata, opera la sanzione prevista dal secondo [continua ..]
Oggetto della lett. b) del 3° comma dell’art. 2545-quinquies è l’aumento gratuito mediante imputazione di riserve divisibili a capitale; tale previsione non viene, pertanto, a sovrapporsi al disposto dell’art. 7, legge 31 gennaio 1992, n. 59, ai sensi del quale l’aumento gratuito si attua con la destinazione di una quota degli utili di esercizio. Pervero, qualche perplessità in merito potrebbe sollevare la soppressione dell’esplicito riferimento all’assegnazione di una quota di utili a «rivalutazione delle quote o delle azioni», contenuto nel vecchio testo del 3° comma dell’art. 2536; la sua mancata trasposizione nel corrispondente secondo capoverso dell’art. 2545-quater è, tuttavia, esclusivamente ascrivibile al proposito legislativo di ampliare la discrezionalità dell’assemblea in materia di destinazioni degli utili, non già di escluderne la perdurante legittimità. Affiora però il problema del coordinamento tra i suddetti limiti generali all’aumento gratuito posti dalla disposizione generale [art. 2545-quinquies, 2° comma e 3° comma, lett. b)] con i diversi vincoli contemplati dalla norma speciale, che sembra potersi risolvere nei termini seguenti. a) Nelle cooperative a mutualità prevalente, la rivalutazione delle quote o delle azioni dei soci cooperatori può attuarsi mediante imputazione di utili, e non di riserve divisibili, ad aumento di capitale; possono superarsi i tetti di partecipazione previsti dall’art. 2525 (oltreché dall’art. 3, legge n. 59/1992), purché nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, calcolate dall’ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili stessi sono stati prodotti (art. 7, 1° comma, legge n. 59/1992). La rivalutazione si applica anche alle azioni ed alle quote dei soci sovventori nonché, a nostro parere, alle azioni di partecipazione cooperativa[[53]]; non invece agli strumenti finanziari emessi a fronte di apporti non imputabili a capitale (arg.ex 2526, 1° comma) [[54]]. Tale rivalutazione continua, soprattutto, ad essere fiscalmente agevolata: la quota di utili destinata ad aumento di capitale sociale, nei limiti ora esposti, non concorre a formare il [continua ..]
Costituisce assunto generalmente condiviso che il lucro soggettivo si concretizza non soltanto al momento della divisione periodica degli utili ma anche in sede di liquidazione della quota. Sennonché, nelle società cooperative, le limitazioni al lucro soggettivo coinvolgono altresì il profilo dei diritti patrimoniali del socio uscente e degli eredi del socio defunto, ai quali restano interamente sottratte le riserve indivisibili. Ne consegue che: a) nelle cooperative a mutualità prevalente, stante il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori [art. 2514, lett. c)], i soli soci finanziatori possono, in sede di scioglimento del rapporto, vantare diritti sulle riserve divisibili; b) nelle cooperative c.d. «diverse», a tutti i soci, cooperatori e finanziatori, spetta una quota di riserve divisibili in caso di recesso od esclusione; inoltre, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, la liquidazione della quota al socio uscente ovvero agli eredi del socio defunto comprende qui [[57]] anche il rimborso del soprapprezzo, sempreché versato, ancora sussistente nel patrimonio della società e non destinato ad aumento di capitale ai sensi del 3° comma dell’art. 2545-quinquies (art. 2535, 2° comma). Ciò premesso in via generale, la dialettica tra interesse della società a mantenere immutato il proprio livello di patrimonializzazione ed aspettativa di lucro, pur limitata, del socio cooperatore uscente trova adeguata composizione nella regola del 4° comma dell’art. 2545-quinquies, per la quale le riserve divisibili possono essere assegnate, se non disposto altrimenti in statuto, attraverso l’emissione di strumenti finanziari liberamente trasferibili e devono esserlo là dove il patrimonio netto sia inferiore ad un quarto del complessivo indebitamento della società [[58]]. Fra i problemi esegetici sollevati da questa disposizione, pregiudiziale è la definizione del preciso oggetto della possibile deroga dell’atto costitutivo. Occorre cioè stabilire se la salvezza si riferisca: a) ad una previsione che vincoli la società a liquidare il socio uscente (o gli eredi del socio defunto) in contanti sempreché il patrimonio netto ecceda il venticinque per cento del complessivo indebitamento; ovvero b) ad una [continua ..]
Meritano qualche cenno le questioni dell’impiego delle riserve per finalità connesse alla gestione della società cooperativa, quali l’investimento delle liquidità eccedenti in acquisti di quote o azioni proprie, recentemente emerso nella pratica [[67]], nonché l’ampliamento e la diversificazione dell’attività produttiva mercé la costituzione di patrimoni destinati a «specifici affari». È risaputo che l’acquisto della società di proprie azioni o quote può assolvere, nelle società cooperative, ad un’importante funzione di mobilizzazione della partecipazione del socio nei casi in cui, vietando l’atto costitutivo la cessione delle azioni e non sussistendo i presupposti per il recesso (art. 2530, 6° comma), sopravvengano vicende personali che affievoliscano od eliminino il suo interesse alle prestazioni mutualistiche, anche (e soprattutto) in conseguenza dell’insorgere di difficoltà economiche di tale gravità da render vitale per il socio l’immediata monetizzazione della quota [[68]]. Occorreva però evitare che la previsione di un simile favor per il socio, sostanzialmente consistente in una «porta aperta in uscita», potesse, in una società con capitale variabile, recar pregiudizio alle ragioni dei creditori della cooperativa [[69]], anche in considerazione dell’inapplicabilità del limite del dieci per cento del capitale e del divieto di acquisto di azioni non interamente liberate [[70]]; ragion per cui il legislatore ha inteso consentire alla cooperativa acquisti di quote od azioni proprie alla sola condizione che la consistenza del suo patrimonio netto sia almeno pari al venticinque per cento del totale dell’indebitamento. Questa condizione, pienamente compatibile con le caratteristiche strutturali della cooperativa, assorbe dunque i limiti previsti dal secondo periodo del 1° comma e dal 3° comma dell’art. 2357; l’art. 2529 estende alle cooperative la regola secondo cui la società non può acquistare azioni proprie se non nella soglia degli utili distribuibili [[71]] e delle riserve disponibili (riserve facoltative, riserve statutarie destinate all’acquisto di azioni proprie; riserva da soprapprezzo) risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente [continua ..]
Le osservazioni ora svolte rimuovono ogni ostacolo alla costituzione di un patrimonio destinato ad uno «specifico affare» mediante l’impiego di riserve indivisibili, giacché non esiste veruna limitazione alla loro esposizione al rischio d’impresa. Merita al riguardo sottolineare che la destinazione patrimoniale, funzionale pure in questo contesto all’implementazione dei canali di finanziamento dell’impresa ed al reinvestimento di risorse in intraprese caratterizzate da un margine di rischio tendenzialmente elevato, si rivela qui strumentale al perseguimento dello scopo mutualistico della società, come si deduce dalla necessità di applicare agli strumenti finanziari di partecipazione all’affare eventualmente emessi i limiti alla remunerazione dell’investimento: in particolare, l’art. 2526 c.c. esclude che i privilegi previsti nella ripartizione degli utili – in ipotesi, dello «specifico affare» – possano estendersi alle riserve indivisibili a norma dell’art. 2545-ter. Esclusivo oggetto dei conflitti ipotizzabili in questo scenario risultano pertanto le diverse gestioni mutualistiche così istituite nella società cooperativa (cfr. artt. 2540, 2° comma; 2545-sexies, 2° comma; 2513, 2° comma), non sussistendo alcuna esigenza di comporre la generale gestione mutualistica con una inesistente componente lucrativa (ipoteticamente rappresentata dallo «specifico affare» oggetto di destinazione patrimoniale). Gli stessi limiti alla remunerazione dell’investimento negli eventuali strumenti finanziari di partecipazione allo specifico affare valgono allora a sdrammatizzare il pericolo di elusione del divieto di assegnazione ai soci, in ipotesi sottoscrittori dei titoli, delle riserve indivisibili [[73]]: ciò in quanto alla «parte spettante alla società» dei «frutti o proventi» derivanti dal patrimonio destinato (cfr. art. 2447-quinquies, 1° comma) costituito (anche) con riserve indivisibili sembra estendersi il vincolo di «irripartibilità» sia durante societate che in sede di scioglimento.
Oggetto della disamina fin qui svolta è stata la destinazione, obbligatoria o facoltativa, di utili a riserva. Occorre in chiusura interrogarsi se, pur nel silenzio della legge, possano invece allocarsi – ed, allora, entro quali limiti – ristorni in un’apposita riserva. Anche in questa delicata problematica emerge la dialettica tra esigenze generali di efficienza e conservazione dell’impresa cooperativa, che talora ne rendono vitale l’autofinanziamento mediante i ristorni, ed interessi individuali dei soci alla immediata liquidazione delle eccedenze di gestione in proporzione alle prestazioni mutualistiche (beni e servizi acquistati dalla cooperativa, qualità e quantità del lavoro prestato nella società, ecc.); dialettica sul cui sfondo si staglia il risalente dibattito circa la natura di «costo» o di «utile» dei ristorni, sulla quale il legislatore del 2003 ha consapevolmente ritenuto di non pronunciarsi [[74]]. Va piuttosto registrata, al proposito, la scelta di rimettere all’atto costitutivo la determinazione dei «criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici» (artt. 2521, 3° comma, n. 8, e 2545-sexies, 1° comma), ed all’assemblea ogni determinazione in ordine alle modalità di attribuzione dei ristorni (art. 2545-sexies, 3° comma). In termini più espliciti: nell’atto costitutivo e negli eventuali regolamenti approvati dall’organo deliberativo occorre dunque indicare i metodi di computo del ristorno, ad esempio optandosi per il calcolo proporzionale al valore monetario degli scambi intervenuti con il singolo socio ovvero all’avanzo di gestione specificamente imputabile ad ogni scambio secondo classi di operazioni e/o dati periodi temporali [[75]]; l’assemblea deve invece stimarsi sovrana in ordine alla definizione dei tempi di assegnazione dei ristorni, potendo perciò, in virtù di esigenze di conservazione dell’impresa e/o di suoi contingenti bisogni finanziari, deliberare l’accantonamento dell’avanzo della gestione mutualistica, da ripartire successivamente in base ai criteri fissati nell’atto costitutivo. Dal quadro sinteticamente tracciato affiora una configurazione del ristorno più in [continua ..]