<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. I – Osservatorio sulle novità normative - Gli adeguamenti degli statuti delle società con azioni quotate dopo il d.lgs. n. 303/2006 * (di Mario Stella Richter)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Elezione e composizione del consiglio di amministrazione - 3. (Segue). Il voto di lista - 4. (Segue). Collegamento tra liste - 5. (Segue). Amministratori indipendenti - 6. (Segue). Dichiarazione di indipendenza e decadenza dalla carica - 7. Elezione e composizione del collegio sindacale - 8. Sostituzione dei componenti degli organi sociali nominati dalle minoranze - 9. Elezione e composizione degli organi di amministrazione e controllo nei sistemi alternativi - 10. Voto a scrutinio segreto per la elezione delle cariche sociali - 11. Nomina del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari - 12. Modalità di adeguamento dello statuto - 13. Per concludere - NOTE


1. Premessa

Il 25 gennaio 2007 è entrato in vigore il d.lgs. 29 dicembre 2007, n. 303 (d’ora in avanti anche solo d.lgs. n. 303/2006), recante «Coordinamento con la legge 28 dicembre 2005, n. 262, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B) e del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.)» [1]. Il decreto è stato adottato dal Governo sulla base della delega contenuta nell’art. 43 della stessa legge n. 262/2005 sulla «tutela del risparmio», disposizione che abilitava l’esecutivo ad adottare, entro l’anno dall’entrata in vigore della legge n. 262/2005 (e cioè entro il 12 gennaio 2007), uno o più decreti legislativi per l’adeguamento delle disposizioni introdotte dalla medesima legge sulla tutela del risparmio a quelle del T.U.B., del T.U.F., nonché delle altre leggi speciali interessate. L’intervento correttivo realizzato è stato vasto e profondo, al punto da fare dubitare della sua congruenza rispetto ai criteri della delega e quindi anche, almeno in parte, della sua legittimità costituzionale. L’intervento correttivo ha pure toccato la materia della c.d. governance delle società quotate, della quale ci si era già occupati [2], e sulla quale mette conto ora tornare.


2. Elezione e composizione del consiglio di amministrazione

L’art. 147-ter T.U.F. continua – anche dopo la sua non marginale riformulazione operata dal d.lgs. n. 303/2006 – a imporre agli (atti costitutivi-)statuti delle società italiane con azioni quotate su di un mercato regolamentato (italiano o) dell’Unione europea di prevedere sistemi di elezione del consiglio di amministrazione basati sulla tecnica del voto di lista, e ciò all’evidente fine di garantire alle minoranze qualificate la possibilità di esprimere almeno un amministratore. Per quanto riguarda il contenuto della clausola, anche dopo il d.lgs. n. 303/2006, viene lasciata ampia autonomia alle singole società. Ma lo statuto dovrà necessariamente prevedere: (i) una quota minima di partecipazione al capitale sociale per la presentazione di liste di candidati non superiore al 2,5% o non superiore «alla diversa misura stabilita dalla Consob con regolamento tenendo conto della capitalizzazione, del flottante e degli assetti proprietari» della società (art. 147-ter, 1° comma, primo periodo, T.U.F.); (ii) che almeno uno dei consiglieri di amministrazione sia tratto «dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e che non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti» (art. 147-ter, 3° comma, T.U.F.); tuttavia lo stesso statuto può disporre che «ai fini del riparto degli amministratori da eleggere, non si tenga conto delle liste che non hanno conseguito una percentuale di voti almeno pari alla metà di quella richiesta dallo statuto per la presentazione delle liste» (art. 147-ter, 1° comma, terzo periodo, T.U.F.). Rispetto alla originaria formulazione dell’art. 147-ter T.U.F. (così come dettata dalla legge n. 262/2005) le «correzioni» del d.lgs. n. 303/2006 riguardano, sul punto, proprio il potere della Consob di variare (evidentemente, tanto in aumento quanto in diminuzione [3]) la soglia minima per la presentazione delle liste e il riconoscimento alla autonomia statutaria di subordinare la elezione del­l’amministratore tratto dalla lista di minoranza al raggiungimento da parte di quest’ultima di un certo numero di voti. Ambedue le modificazioni in parola sono chiaramente finalizzate a tentare di dare risposta a una delle principali [continua ..]


3. (Segue). Il voto di lista

Come si diceva, il legislatore, fissati i principi appena illustrati, lascia allo statuto l’onere di regolare in modo efficiente il funzionamento del meccanismo di selezione degli amministratori. La singola società può quindi muoversi tra tante possibilità e facoltà. Al proposito mi limiterei alle seguenti osservazioni sulle possibili varianti della clausola statutaria relativa alla elezione del consiglio. A) Dal momento che, adesso, la soglia massima di partecipazione al capitale per come fissata dalla Autorità di vigilanza può in ogni momento mutare in relazione alla singola società[13]e poiché, come è stato detto, la Consob può non solo innalzare la soglia massima rispetto al quarantesimo della legge, ma anche diminuirla [14], l’unico tipo di clausola statutaria idonea a non rischiare di dovere essere modificata a ogni eventuale intervento della Consob è quella che fissi il limite minimo di partecipazione al capitale legittimante i soci alla presentazione di liste rinviando alla misura determinata dalla legge o dalla Consob ovvero a un suo sottomultiplo o frazione [15]. B) L’autonomia statutaria può oggi prevedere che le liste possano essere votate, per essere prese in considerazione ai fini della elezione dei suoi componenti, anche da percentuali minori (per esempio un quarto, un quinto, ecc.), di quelle previste dal ricordato ultimo periodo del 1° comma dell’art. 147-terU.F.[16], che all’evidenza costituisce solo un limite massimo oltre il quale lo statuto non può spingersi per limitare l’operatività del voto di lista (tanto è vero che lo statuto può anche non prevedere nulla in punto: e allora sarà sufficiente un qualsiasi numero di voti raccolti dalla seconda lista per trarre dalla stessa almeno un amministratore). È appena il caso di chiarire, benché la questione non sembra che possa assumere grande rilevanza pratica, che, se lo statuto prevede un limite minimo di voti, la regola non può che applicarsi a tutte le liste, ivi compresa, in ipotesi, quella di maggioranza. In questo senso è la lettera della legge e in questo senso è soprattutto il principio di parità di trattamento tra soci (art. 92 T.U.F.). Se dunque, dopo essere presentate, tutte le liste venissero votate da così pochi soci da non integrare il minimo dei [continua ..]


4. (Segue). Collegamento tra liste

Altra novità recata dal decreto n. 303/2006 riguarda il collegamento tra liste. Nella originaria formulazione dell’art. 147-ter, 3° comma, T.U.F. si prevedeva, come si ricorderà, che almeno uno dei consiglieri di amministrazione dovesse essere tratto «dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e che non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con la lista risultata prima per numero di voti». La norma – chiarissima nel suo intento – poneva una serie di problemi interpretativi e applicativi, come non si era mancato da subito di rilevare. Per questa ragione l’intervento correttivo ha sentito l’esigenza di chiarire che il collegamento non è tra liste, ma tra la lista arrivata seconda e «i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti». In realtà, anche questa nuova formulazione non è priva di ambiguità; essa tenta di chiarire che il collegamento rilevante è solo quello tra i soci che hanno presentato o votato le diverse liste e non anche quello tra candidati inseriti nelle varie liste o tra i candidati e i soci; ma ci riesce solo in parte, dal momento che letteralmente non si fa riferimento al collegamento tra soci che hanno presentato o votato una lista e soci che ne hanno presentato o votato un’altra, ma tra lista che ha ottenuto il maggior numero di voti dopo la prima (e quindi in teoria anche o solo le persone dei suoi componenti) e soci che hanno presentato o votato la lista di maggioranza [23]. Una interpretazione strettamente letterale porterebbe – così come avrebbe portato anche prima della modificazione – a un risultato addirittura contrario allo spirito dell’intervento riformatore: sicché mi sembra necessario ribadire che – a prescindere dalle imprecisioni formali del vecchio e del nuovo 3° comma dell’art. 147-ter T.U.F. – ciò che solo conta e che sempre deve contare è il rapporto (di collegamento) tra soci proponenti o votanti le varie liste [24]. Tutto ciò non esaurisce evidentemente le questioni interpretative e i problemi applicativi. Si tratta infatti pur sempre di stabilire che cosa significhi «collegata in alcun modo, neppure indirettamente» e si tratta ancora una volta di segnalare il pericolo che il [continua ..]


5. (Segue). Amministratori indipendenti

Accanto alle previsioni relative agli amministratori eleggibili dalle minoranze azionarie, l’art. 147-ter T.U.F. dispone in merito agli amministratori indipendenti. Dopo le modificazioni recate dal d.lgs. n. 303/2006, la loro presenza è in ogni caso necessaria, dal momento che «almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione, ovvero due se il consiglio di amministrazione sia composto da più di sette componenti, devono possedere i requisiti di indipendenza» previsti per i sindaci (art. 148, 3° comma, T.U.F.). Lo statuto, come è ovvio, è libero di stabilire che la componente «indipendente» del consiglio sia più ampia di quella prescritta dalla legge, così come può prevedere che un certo numero di amministratori siano «non esecutivi» (ovvero «esecutivi»), se del caso ulteriormente rinviando alle «nozioni» di amministratore indipendente e non esecutivo dettate da codici di autodisciplina (e primo tra tutti a quello delle società quotate promosso dalla Borsa italiana, la cui attuale versione – la terza – è del marzo 2006). È pure ovvio che l’autonomia statutaria potrà ulteriormente esplicarsi in punto di altri requisiti personali (di tutti o di alcuni) degli amministratori e così provvedere direttamente o attraverso rinvio a norme autoregolamentari in tema di requisiti di professionalità, onorabilità o di limite al cumulo degli incarichi. Tuttavia, come si accennava nel precedente paragrafo e come non si era mancato di rilevare nel precedente studio dell’argomento [27], ciò che soprattutto è d’uopo che lo statuto faccia è di disciplinare la composizione delle liste e il meccanismo di elezione al fine di assicurare (almeno) il risultato per legge (o anche quello per via di prescrizione statutaria) dovuto: e cioè l’elezione dell’ammi­nistratore o degli amministratori indipendenti. Per raggiungere tale fine non vi è un unico mezzo; ma, a differenza di quanto avveniva prima del decreto n. 303/2006, la legge espressamente impone che «le liste indicano quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto» (art. 147-ter, 1° comma, secondo periodo, T.U.F.). Come si dirà nel paragrafo seguente, tale [continua ..]


6. (Segue). Dichiarazione di indipendenza e decadenza dalla carica

Come si accennava, i candidati alla carica di amministratore dotati del requisito di indipendenza previsto dalla legge o dallo statuto devono essere espressamente indicati nell’ambito delle liste (art. 147-ter, 1° comma, secondo periodo, T.U.F.); inoltre, «l’amministratore indipendente che, successivamente alla nomina, perda i requisiti di indipendenza deve darne immediata comunicazione al consiglio di amministrazione e, in ogni caso, decade dalla carica» (art. 147-ter, 4° comma, ultimo periodo, T.U.F.) [31]. Il principale problema interpretativo che pone questa ultima disposizione è quello di stabilire le conseguenze del venir meno del requisito della indipendenza in capo agli amministratori ritenuti tali al momento della nomina, ma eletti oltre il numero minimo di indipendenti previsto dalla legge o dallo statuto. Si tratta, in altre parole, di chiedersi se l’ultimo periodo del quarto comma si applichi a tutti gli amministratori indipendenti ovvero solo a quelli richiesti dalla legge o dallo statuto [32]. Premetto che la norma non mi sembra che possa applicarsi agli amministratori non dichiaratisi indipendenti all’atto della presentazione delle liste [33]. A tale riguardo si danno due ipotesi: o l’amministratore non era indipendente al momento della presentazione delle liste (e la condizione di indipendenza è sopraggiunta) o era indipendente e non lo ha dichiarato. Il primo caso non pone problemi: se un certo amministratore non è indipendente nel momento in cui si candida e viene eletto (e quindi non deve né può dichiarare tale qualità in occasione della presentazione della lista di voto) ma lo diviene successivamente nel corso del mandato, la sua ancora successiva perdita di indipendenza (ammesso che questo duplice passaggio di condizione possa all’atto pratico occorrere nel corso di un solo triennio) non determina certamente la sua decadenza dalla carica (anche se fosse stata nel frattempo pubblicizzata, magari nell’ambito della relazione sulla corporate governance della società). Ma alla stessa conclusione si deve arrivare anche nel secondo caso, quello cioè del candidato alla carica di amministratore che, pur essendo indipendente sin dal momento della presentazione della lista, non dichiari tale qualità. Infatti, a mio modo di vedere, benché l’art. 147-ter, 1° comma, [continua ..]


7. Elezione e composizione del collegio sindacale

La elezione del collegio sindacale dovrà necessariamente avvenire con la tecnica del voto di lista, cioè in modo assolutamente conforme rispetto a quanto già originariamente previsto nell’art. 148 T.U.F., e alla lista (o alle liste) di minoranza (non collegate con quella di maggioranza) dovrà essere riservato almeno un sindaco. Il 2° comma dell’art. 148 nella versione attualmente vigente prevede infatti che: «La CONSOB stabilisce con regolamento modalità per l’elezione, con voto di lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza che non siano collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti». Resta ovviamente uno spazio significativo per la regolamentazione secondaria [40], che potrà specificare, così riducendo lo spazio della autonomia statutaria, tempi, modalità e condizioni di presentazione delle liste dei candidati alla carica di sindaco, così come potrà spiegare che cosa si ricomprenda nella nozione di collegamento tra soci che abbiano presentato o votato più liste e, soprattutto, potrà prevedere che i sindaci tratti dalla lista di minoranza siano in numero superiore all’unità qualora il collegio sia composto (per disposizione statutaria: art. 148, 1° comma, T.U.F.) di un numero cospicuo di sindaci (effettivi) [41]. È forse il caso di specificare che prima della adozione del regolamento della Consob non vi è luogo per procedere a modificazioni imposte dalla legge sulla tutela del risparmio e dal decreto correttivo, continuandosi comunque ad applicare la disposizione statutaria conforme all’originario disposto dell’art. 148 T.U.F. e dunque un meccanismo di voto di lista (con uno o più sindaci riservati alla lista o alle liste non di maggioranza e non a questa collegate). Così come è il caso di ribadire che il mancato esercizio della potestà regolamentare della Consob, di cui al 2° comma dell’art. 148 T.U.F. (e quindi il mancato adeguamento dello statuto alla stessa in punto di nomina dei sindaci), non sembra minimamente poter sospendere la operatività e la vigenza di quanto disposto dal successivo comma 2°-bis in materia di nomina del presidente del collegio sindacale [42]. Infatti, [continua ..]


8. Sostituzione dei componenti degli organi sociali nominati dalle minoranze

Problemi di particolare delicatezza pone la sostituzione dei componenti degli organi di amministrazione e controllo nominati dalle minoranze per il mezzo del voto di lista. Si tratta, al fondo, di stabilire fino a che punto la finalità perseguita dal legislatore attraverso le nuove disposizioni degli artt. 147-ter e 148 T.U.F. possa considerarsi idonea a informare il regime legale della sostituzione dei singoli componenti di tali organi. A) Per quanto attiene all’organo amministrativo, non è ad esempio mancato chi, esaltando il «diritto» delle minoranze di eleggere un proprio amministratore, ha ritenuto che le nuove norme «lungi dall’esaurire i loro effetti in punto di deroga alle norme ordinarie in tema di nomina del consiglio di amministrazione, finiscono per incidere anche sul quadro delle disposizioni che, nell’ambito della disciplinaex codice, regolano l’eventualità della cessazione dalla carica e la loro sostituzione determinandone … l’inapplicabilità ai sensi di quanto disposto dall’art. 2325-bis, 2° comma, c.c.»[45]. In particolare, la conseguenza di tale impostazione sarebbe quella di ritenere sempre inapplicabile il meccanismo della cooptazione fissato in via ordinaria dall’art. 2386 c.c. e, per contro, di considerare la cessazione dalla carica dell’amministratore di minoranza comunque una causa legale di cessazione dell’intero consiglio [46]. Tale posizione, per così dire, estrema non sembra, tuttavia, certa, perché non appare dimostrato il fondamento ultimo sul quale poggia: avere cioè il legislatore voluto in ogni caso assicurare un risultato (e cioè che almeno un amministratore sia comunque espresso dalla minoranza) [47]. Infatti, il sistema potrebbe pure (e per me dovrebbe) ricostruirsi in termini diversi: affermando, cioè, che il legislatore ha voluto assicurare alle minoranze, più che un risultato, uno strumento o un mezzo per raggiungerlo nella più parte dei casi, e, cioè, la possibilità di esprimere un consigliere in occasione della nomina del consiglio di amministrazione. In questa prospettiva la regola residuale rimarrebbe quella del principio maggioritario, chiamato allora a operare, oltre che nell’ipotesi in cui nessuna lista di candidati alla carica sia stata tempestivamente e [continua ..]


9. Elezione e composizione degli organi di amministrazione e controllo nei sistemi alternativi

Le novità in materia di sistemi di amministrazione e controllo c.dd. alternativi appaiono, dopo il d.lgs. n. 303/2006, limitate. A parte quanto già rilevato in materia di regime di decadenza degli amministratori indipendenti di una società amministrata e controllata con il sistema c.d. monistico (v. supra, sub § 4), esse si sostanziano in una serie di variazioni di disciplina derivate dalle modificazioni appena passate in rassegna in tema di amministrazione e controllo nelle società amministrate col sistema tradizionale e riflesse sul regime di amministrazione e controllo di tipo dualistico o monistico, in virtù dei richiami operati dal regime dei secondi a quello del primo. Ne discende che nelle società organizzate secondo il modello dualistico: (i) il consiglio di sorveglianza è eletto con la tecnica del voto di lista e secondo le ulteriori determinazioni che la Consob detterà con regolamento (comma 4°-bis dell’art. 148 che rinvia al 2° comma del medesimo art. 148 T.U.F.); (ii) la presidenza del consiglio di sorveglianza non compete necessariamente al consigliere o a uno dei consiglieri tratti dalla lista o dalle liste «di minoranza» (l’art. 148, comma 4°-bis, non rinvia infatti anche al comma 2°-bis del medesimo articolo); (iii) per la elezione dei consiglieri di gestione non deve farsi ricorso alla tecnica del voto di lista: non si impongono, pertanto, adeguamenti necessari. Tuttavia, si è del parere che l’autonomia statutaria possa prevedere tecniche di elezione del consiglio di gestione da parte del consiglio di sorveglianza che non si basino sulla applicazione del principio maggioritario puro, ma che consentano – per esempio attraverso il voto di lista o il voto cumulativo – di assicurare la elezione nel consiglio di gestione di esponenti delle minoranze [51]; (iv) qualora il consiglio di gestione sia composto da più di quattro consiglieri, non meno di uno deve in ogni caso essere dotato dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci (e per i consiglieri di sorveglianza) dall’art. 148, 3° comma, T.U.F.: tale disposizione non sembra necessitare di recepimento statutario, anche se esso si appalesa all’atto pratico opportuno [52]; resta naturalmente ferma la possibilità per lo statuto di [continua ..]


10. Voto a scrutinio segreto per la elezione delle cariche sociali

Per la elezione delle cariche sociali – qualsiasi cosa ciò significhi [54] – le votazioni non devono più svolgersi con scrutinio segreto, come invece imponeva, con norma imperativa e non bisognosa di recepimento statutario, il 2° comma dell’art. 147-ter T.U.F., ora (opportunamente) abrogato dal decreto correttivo [55]. Al riguardo, resta tuttavia da stabilire: (i) se sia possibile continuare a prevedere statutariamente, e quindi su base «volontaria» (in forza di un atto di autonomia statutaria), la votazione a scrutinio segreto per nomina delle cariche sociali; (ii) se e come operino quelle previsioni statutarie, introdotte nel vigore della legge sulla tutela del risparmio non modificata, ma non ancora abrogate dopo il 25 gennaio 2007 (data di entrata in vigore, come ricordato, del d.lgs. n. 303/2006). Ritengo che, venuta meno la disposizione legislativa del 2° comma dell’art. 147-ter T.U.F., nelle società per azioni a causa lucrativa il sistema, che già consigliava una interpretazione restrittiva della eccentrica norma speciale, non permetta più di fare ricorso a clausole statutarie che impongano il voto a scrutinio segreto. Diverso discorso è invece ancora oggi a farsi con riguardo alle società cooperative (anche quotate: banche popolari e mutue assicuratrici) dove il voto a scrutinio segreto – che non è il voto segreto, evidentemente – è da ritenersi, ove previsto dallo statuto, legittimo in virtù delle particolarità della società a causa mutualistica e degli interessi dei soci-lavoratori, dei soci-clienti a esprimere un voto libero e privo di condizionamenti nelle deliberazioni che abbiano a oggetto la nomina, la revoca o altre vicende delle persone chiamate a ricoprire cariche sociali. Ritengo inoltre che, nel caso di presenza nello statuto di una clausola che impone la votazione con scrutinio segreto per la elezione delle cariche sociali, la abrogazione della norma eccezionale del 2° comma dell’art. 147-ter comporti la illiceità della clausola statutaria in questione per sopravvenuta contrarietà a principi imperativi propri del sistema delle società di capitali, con la ulteriore conseguenza che la disposizione statuaria dovrà sin dalla entrata in vigore del decreto correttivo ritenersi non operante e [continua ..]


11. Nomina del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari

Marginali modificazioni vengono apportate dal d.lgs. n. 303/2006 alla disciplina della nomina del «dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili». Lo statuto dovrà prevedere oltre alla «modalità di nomina» del dirigente preposto, anche i suoi «requisiti di professionalità». La identificazione da parte dello statuto di tali requisiti potrà avvenire anche in termini generali (e quindi, almeno in certa misura, inevitabilmente generici), ma non in termini così vaghi da risultare inconsistenti; in particolare, non sembra ammissibile che, di fronte al dettato normativo che oggi impone allo statuto di identificare i requisiti minimi di professionalità del preposto, l’atto costitutivo si limiti a prevedere che tali requisiti siano determinati dall’organo amministrativo (o dal diverso organo sociale cui compete la nomina del dirigente contabile): così facendo, infatti, mi sembra che si svuoterebbe e vanificherebbe la disposizione di legge che, appunto, richiede una previsione di rango statutario dei requisiti di professionalità. Resta comunque necessario il preventivo parere dell’organo di controllo; parere la cui natura non è – anche dopo il decreto correttivo – espressamente chiarita: la maggior parte degli interpreti propendono per riconnettergli, in assenza di espressa statuizione dell’atto costitutivo, natura non vincolante. Si continua a ritenere che la previsione del parere obbligatorio dell’organo di controllo, non vieta (ma semmai convince della legittimità del)la previsione statutaria che affidi la nomina del dirigente contabile al collegio sindacale, consiglio di sorveglianza o comitato per il controllo sulla gestione. Lo statuto infine può – volendo – meglio circostanziare il tipo di rapporto che può o deve intercorrere tra «preposto» alla redazione dei documenti contabili e società. Se è infatti vero che l’uso del termine «dirigente» da parte dell’art. 154-bis T.U.F. suggerisce trattarsi, in linea di massima, di un soggetto legato alla società da un rapporto di lavoro subordinato, collocato nell’ambito dei più alti livelli della gerarchia dell’impresa e deputato a svolgere mansioni di particolare rilievo con autonomia di direzione (artt. 2094 e 2095 c.c.), nulla mi sembra vieti che il [continua ..]


12. Modalità di adeguamento dello statuto

Come si è appena detto, le modificazioni statutarie necessarie ad adeguare gli statuti alle norme della legge n. 262/2005 e del d.lgs. n. 303/2006 debbono intervenire, a norma dell’art. 8, 2° comma, d.lgs. n. 303/2006, entro il 30 giugno 2007; il 1° comma del medesimo art. 8 abroga poi la norma della legge sul risparmio che originariamente fissava al 12 gennaio 2007 il termine per procedere agli adeguamenti statutari imposti da quella legge. Le società potranno quindi utilizzare l’occasione della assemblea per l’approvazione del bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2006 al fine di apportare al loro (atto costitutivo-)statuto – in sede, ben si intende, straordinaria – le modificazioni necessarie [56]. L’obbligo di adeguamento riguarda (come espressamente chiarisce il citato art. 8, 2° comma) le società iscritte nel registro delle imprese alla data di entrata in vigore del decreto n. 303/2006 e quindi quelle iscritte al 25 gennaio 2007. Può, a questo ultimo proposito, legittimamente sorgere il dubbio se la norma si riferisca alle sole società pure quotate alla data di entrata in vigore del decreto correttivo o anche a quelle ammesse a quotazione dopo il 25 gennaio 2007 (ma prima del 30 giugno 2007): propendo decisamente per la prima soluzione, sembrandomi che nei casi di successiva quotazione non si possa avere a che fare con una «uniformazione» (questa essendo l’espressione usata dal legislatore) dello statuto della società a quello legale delle società quotate e che quindi non vi sia spazio per applicare la norma transitoria, ma solo quelle, per così dire, definitive (e cioè, ad esempio, quella che impone che le società quotate abbiano uno statuto sociale che preveda la elezione del consiglio di amministrazione per il tramite della tecnica del voto di lista, ecc.). Inoltre, col decreto n. 303/2006 il legislatore ha sentito l’esigenza di prevedere che la «assemblea straordinaria chiamata ad assumere le deliberazioni necessarie per uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni introdotte dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262, e dal presente decreto, delibera con il voto favorevole della maggioranza del capitale sociale rappresentato in assemblea, ferme restando le maggioranze richieste dalla legge o dallo statuto per la regolare costituzione [continua ..]


13. Per concludere

La nuova disciplina relativa al reclutamento e alla composizione degli organi di società quotate suggerisce alcune considerazioni di carattere più generale e sistematico, alle quali è conclusivamente necessario accennare, seppure in estrema sintesi. In primo luogo, le previsioni del voto di lista per la elezione del consiglio di amministrazione e la necessaria presenza di amministratori indipendenti consacrano, anche sul piano legislativo, il principio per il quale l’organo o gli organi amministrativi delle società quotate hanno necessariamente struttura pluripersonale [58]. In secondo luogo, è a dirsi che il nuovo regime di elezione degli amministratori, dei sindaci, dei consiglieri di sorveglianza e di scelta del presidente del collegio sindacale rafforza il ruolo degli investitori qualificati e quindi in sostanza degli investitori professionali e istituzionali, così accentuando una tendenza e una linea di politica legislativa già propria dell’originario sistema del testo unico delle disposizioni in materia finanziaria. Ma soprattutto deve rilevarsi come la riformata disciplina relativa alla elezione e composizione dell’organo amministrativo definitivamente confermi come, anche dal punto di vista sistematico, non sia dato parlare, almeno in astratto e almeno quando si abbia a che fare con una società «aperta», di una nozione di interesse sociale unitaria, standardizzata e precostituita, emergendo chiaramente l’esigenza di una selezione e composizione (prima ancora che ponderazione) dei più interessi sociali rilevanti [59].


NOTE
Fascicolo 2 - 2007