<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. IV – Osservatorio M&A (di Umberto Tombari, Enrico Mugnai.)


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SOMMARIO:

Problemi in tema di alienazione della quota di s.r.l., intestazione fiduciaria e attività di due diligence - 1. Premessa. - 2. L’attività di due diligence nella prospettiva degli amministratori di s.r.l. - 3. Profili di disciplina dell’attività di due diligence. - 4. L’attività di due diligence alla luce dei diritti informativi del socio di s.r.l. - 5. Condizioni di legittimità e limiti dell’attività di due diligence. - 6. Diritti informativi e intestazione fiduciaria. - NOTE


Problemi in tema di alienazione della quota di s.r.l., intestazione fiduciaria e attività di due diligence

1. Premessa.

L’attività c.d. di due diligence assume un rilievo assolutamente centrale nella prassi delle operazioni societarie di M&A. Se questo è vero, all’esercizio della predetta attività si ricollegano una serie di complesse problematiche giuridiche, le quali, in assenza di norme specifiche, attengono principalmente all’individuazione della disciplina legale applicabile ed, in ultima analisi, allo stesso inquadramento giuridico della fattispecie nell’ambito della dialettica dei rapporti tra amministratori e soci. Il tema assume, poi, contenuti peculiari ove declinato con riferimento allo statuto normativo della società a responsabilità limitata, rispetto alla quale, come noto, il sistema dei diritti informativi risulta improntato alle diverse e “rafforzate” prerogative riconosciute al socio rispetto a quanto previsto in materia di società per azioni. Alla luce di tali considerazioni, il presente lavoro intende approfondire natura, contenuto e limiti delle attività di due diligence funzionali ai processi di alienazione delle partecipazioni in s.r.l. In questa prospettiva, verrà altresì esaminata la situazione, assolutamente ricorrente nella prassi, ove le partecipazioni interessate dai suddetti processi di trasferimento risultino oggetto di intestazione fiduciaria.


2. L’attività di due diligence nella prospettiva degli amministratori di s.r.l.

L’approfondimento dei temi prescelti presuppone, anzitutto, di chiarire, sul piano giuridico astratto, quale sia la posizione degli amministratori di una società a responsabilità limitata rispetto alla richiesta del socio di accedere a dati aziendali riservati nell’ambito di un processo di alienazione della partecipazione e – in questa prospettiva – di condividere con i potenziali acquirenti le informazioni medesime. Al riguardo, si potrebbe prospettare che un amministratore di s.r.l. si espone, in presenza di determinate condizioni, ad un’azione sociale di responsabilità, qualora comunichi a terzi dati sensibili e riservati della società appresi (in qualunque modo) nell’esercizio delle proprie funzioni amministrative. Più in particolare e limitandoci al piano civilistico, merita ricordare che in seguito alla riforma del diritto societario è stato espressamente previsto, con riguardo alla società per azioni, che “l’amministratore risponde (...) dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico” (art. 2391, ult. comma, c.c.) [2]. La suddetta disposizione, in quanto espressione di un principio generale di corretto svolgimento della funzione amministrativa, potrebbe trovare applicazione analogica anche in ambito di società a responsabilità limitata [3], con la conseguenza che anche gli amministratori di quest’ultimo tipo societario potrebbero essere chiamati a rispondere dei “danni derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio di terzi di dati e notizie appresi nell’esercizio del suo incarico”. Per le ragioni che analizzeremo nel prosieguo, la forma di responsabilità appena menzionata non trova tuttavia applicazione rispetto alla richiesta di informazioni del socio finalizzata al trasferimento della propria partecipazione sociale mediante una attività di due diligence e svolta nei limiti ed alle condizioni che andremo a tracciare.


3. Profili di disciplina dell’attività di due diligence.

Al fine di meglio comprendere e comunque di approfondire quanto sopra affermato, occorre, anzitutto, evidenziare che il nostro ordinamento non contiene alcuna specifica disciplina in merito alla facoltà di esercitare un’attività di due diligence sulla società da parte di un terzo potenziale acquirente, nonché ai limiti ai quali tale facoltà è eventualmente soggetta. La suddetta disciplina dovrà, dunque, essere ricostruita in via interpretativa, andando, in primo luogo, a verificare se ed eventualmente in quali termini alla base della richiesta di informazioni del socio finalizzata all’espletamento della menzionata attività di due diligence sia ravvisabile un interesse meritevole di tutela e protezione da parte dell’ordinamento societario. In merito, non può non assumere rilievo la considerazione per cui la c.d. “due diligence” rappresenta un momento, per prassi, assolutamente necessario nella cessione delle partecipazioni sociali rilevanti [4], di talché impedire l’accesso alle informazioni al socio nella prospettiva indicata potrebbe, nella sostanza, impedirgli l’alienazione delle proprie partecipazioni [5]. Più in particolare, appare pertanto corretto affermare che il diritto del socio di accedere alle informazioni richieste trovi il proprio fondamento giuridico – indipendentemente dal contenuto e dall’estensione dei diritti informativi allo stesso riconosciuti dalla disciplina legale o statutaria – nella facoltà riconosciuta ad ogni socio – in assenza di disposizioni contrarie contenute nei patti sociali (cfr. art. 2469, 1° comma, c.c.) – di alienare liberamente la propria quota di partecipazione [6]. Se questo è vero, deve ritenersi altrettanto pacifico che gli obblighi giuridici di carattere generale che disciplinano la condotta degli amministratori (di società per azioni come di società a responsabilità limitata) [7] impongano a quest’ultimi “di concedere informazioni al terzo potenziale acquirente nella fase della due diligence nel rispetto dell’interesse sociale e mantenendo la riservatezza” [8]. Non vi è dubbio, infatti, che un comportamento degli amministratori (e/o dei soci) che, senza alcuna motivazione, ostacolasse o addirittura impedisse, in vario modo e con diversi strumenti, la richiesta di [continua ..]


4. L’attività di due diligence alla luce dei diritti informativi del socio di s.r.l.

Se questo è vero, appare, dunque, corretto affermare, su di un piano generale, che ove le richieste informative assumano un valore strumentale e/o funzionale rispetto ai processi di alienazione delle partecipazioni le stesse debbano (perlomeno astrattamente) considerarsi espressione di un interesse del socio meritevole di tutela secondo l’ordinamento societario e conseguentemente gli amministratori della società target non potranno immotivatamente impedire o ostacolare le attività di due diligence da parte di terzi potenziali acquirenti. Conclusione, quest’ultima, che con specifico riferimento al tipo societario in esame, risulta confermata e, per così dire, “rafforzata”, ove si consideri che il diritto del socio di una s.r.l. di ottenere informazione nell’ambito di un processo di due diligence finalizzato alla vendita (diretta o indiretta) della quota trova o può comunque trovare (ulteriore) fondamento giuridico (anche) nei diritti di informazione e controllo previsti e disciplinati dall’art. 2476, 2° comma, c.c., ai sensi del quale, come noto, “i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi al­l’amministrazione” [10]. Tali diritti, infatti, se, da un lato, presentano carattere “autonomo”, potendo essere esercitati dal socio, a tutela del proprio interesse, strumentalmente a qualsiasi prerogativa spettante al medesimo (e, dunque, anche alla facoltà di cedere la quota) [11], dall’altro, secondo l’opinione largamente prevalente in giurisprudenza [12], non incontrano limiti intrinseci ed astratti legati, ad esempio, a ragioni di riservatezza o di privacy, ma soltanto limiti estrinseci e concreti consistenti, in ultima analisi, nell’obbligo di rispettare il principio di buona fede e correttezza sia con riferimento alla modalità di esercizio del diritto, sia nella successiva fase di utilizzo delle informazioni e dei dati appresi [13]. In questo senso sembra allora che un diritto di informazione – soggetto al medesimo limite del rispetto del principio di buona fede e correttezza – debba essere riconosciuto (anche) al socio di controllo, quanto meno nel momento dell’alienazione della sua [continua ..]


5. Condizioni di legittimità e limiti dell’attività di due diligence.

Tanto precisato, la pretesa di informazioni dei soci finalizzata ad una attività di due diligence da parte di terzi potenziali acquirenti perché possa essere legittimamente soddisfatta dagli amministratori dovrà necessariamente essere assoggettata a certe condizioni e a certi limiti. Secondo quanto osservato in materia di società per azioni, è, infatti, di tutta evidenza, che “l’accesso di soggetti estranei alla compagine societaria (quale il potenziale acquirente) alla documentazione riservata della società (...) in sede di due diligence potrebbe comportare una lesione del diritto alla riservatezza della società stessa, inteso come salvaguardia del riserbo afferente ai dati non oggetto di un obbligo di pubblicità” [14]. In sostanza, occorre contemperare le esigenze alla riservatezza della società e l’interesse dei soci all’alienazione della partecipazione sociale e verificare se e fino a qual punto il c.d. “ius vendendi del socio sia coerente con l’interesse della società” [15]. Conclusione, quest’ultima, che non pare in alcun modo revocabile in dubbio, in materia di s.r.l., neppure alla luce della particolare “estensione” dei diritti informativi del socio ex art. 2476, 2° comma, c.c., posto che, secondo quanto già evidenziato, l’utilizzo e l’eventuale divulgazione a terzi dei dati sensibili appresi per effetto dell’esercizio dei diritti medesimi dovrà in ogni caso avvenire nel rispetto del dovere di buona fede e correttezza e, dunque, in forme compatibili e non pregiudizievoli per l’interesse della società e degli altri soci. Se questo è vero, sembra corretto ritenere che i medesimi doveri generali che giustificano ed impongono agli amministratori di fornire una risposta positiva alle richieste informative del socio segnino, al tempo stesso ed inevitabilmente, anche i limiti a tale richiesta. In questo senso è allora di tutta evidenza che gli amministratori possono accondiscendere alle pretese informative del socio nei limiti in cui ciò non determini un danno, anche solo potenziale, per la società e dunque per l’interesse sociale [16]. Ai fini che in questa sede più interessano, da quanto affermato ne consegue necessariamente che: a) in condizioni normali la trasmissione dei dati e delle informazioni [continua ..]


6. Diritti informativi e intestazione fiduciaria.

Tanto precisato, resta da approfondire se e come l’eventuale intestazione fiduciaria della quota oggetto del processo di vendita venga ad incidere sulle dinamiche informative sopra descritte, dovendosi chiarire, in particolare, se sia possibile riconoscere una legittimazione “diretta” all’esercizio delle prerogative di cui trattasi anche al soggetto fiduciante e non solo al fiduciario. La questione tocca quello che – a ragione – è stato indicato come uno dei profili più delicati della ricostruzione dello “statuto della partecipazione fiduciariamente intestata”, concernente la scelta, tra fiduciante e fiduciario, del soggetto cui imputare le situazioni giuridiche, tanto attive che passive, derivanti dal contratto sociale e, dunque, per quanto qui più rileva, l’individuazione dei termini e delle modalità dell’eventuale rilevanza della posizione del fiduciante rispetto all’organizzazione sociale [18]. Al riguardo, è noto come la ricostruzione tradizionale del fenomeno, secondo lo schema della fiducia c.d. “romanistica”, abbia condotto dottrina e giurisprudenza a ritenere il fiduciario, in qualità di “interposto reale”, quale unico referente della disciplina societaria, relegando sul piano meramente interno il rilievo del rapporto con il fiduciante [19]. Siffatta impostazione, tuttavia, si presta a molteplici critiche in ambito societario, nella misura in cui non può negarsi che l’affermata irrilevanza ed estraneità dell’interesse del fiduciante rispetto all’organizzazione sociale conduce, in alcuni casi, ad esiti interpretativi in palese contrasto con la ratio delle regole destinate a disciplinare l’organizzazione medesima, regole che, peraltro, in più di un’ipotesi espressamente attribuiscono rilievo alla posizione del fiduciante ai fini della loro applicazione [20]. Se questo è vero, sembra in termini generali condivisibile l’impostazione che distingue, ai fini dell’applicazione delle norme dell’ordinamento societario, tra le regole rivolte al socio in quanto membro dell’organizzazione e titolare della posizione organizzativa rilevante nei confronti della società e quelle rispetto alle quali, invece, il socio rileva in quanto titolare dell’interesse economico sotteso alla quota partecipazione [21]. In questa [continua ..]


NOTE