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Riorganizzazione e “dis-organizzazione” dell’impresa: la trasformazione eterogenea della società di capitali in trust - 1. Impostazione della problematica. - 2. Segue: la trasformazione di una società di capitali pluripersonale in trust e le affinità con la trasformazione in comunione d’azienda. - 3. Segue: ammissibilità della trasformazione di società di capitali in impresa individuale e viceversa. - 4. Segue: possibili analogie tra trasformazione di società in trust con quella in fondazione o in associazione. - 5. Segue: il superamento della tipicità delle fattispecie trasformative eterogenee. - 6. Segue: la trasformazione come operazione di riorganizzazione dell’impresa. - 7. La delibera di trasformazione come fonte costitutiva degli effetti del trust. - 8. Conclusioni. - NOTE
Sta sempre più emergendo dalla prassi l’interesse a trasformare una società in trust [1]. Sulla questione, preliminarmente, è necessario rilevare che alcune affinità tra la trasformazione della società in comunione d’azienda o in un’impresa individuale e quella in un trust, anch’esso privo di ogni soggettività giuridica, sono certamente rinvenibili. Come similitudini e affinità possono essere individuate con la trasformazione di una società in fondazione. Anche in questa fattispecie, invero, così come nella trasformazione della società in trust, si verifica un particolare fenomeno consistente nel fatto che i soci, piuttosto che ricorrere all’ordinario sistema di liquidazione della società, a mezzo del quale è possibile destrutturare l’azienda sociale, disponendo di singoli cespiti, si avvalgono di un procedimento caratterizzato dal fatto che, mutando la causa lucrativa della società, si verifica l’effetto consequenziale, ma dirompente, che l’azienda sociale muta radicalmente la sua ragion d’essere. Effetti analoghi si producono con la trasformazione in trust, in cui, peraltro, ove si trattasse di un trust c.d. “non commerciale”, id est, che non esercita attività imprenditoriale, l’azienda sociale, senza alcuna attività liquidativa, viene destrutturata uno actu a mezzo della delibera di trasformazione, che, pertanto, non produce unicamente effetti modificativi dello statuto, bensì altri effetti, che incidono in maniera pregnante sulla causa dell’ente e sulla sua attività futura. Scopo della presente indagine è, appunto, quello di verificare se il riconoscimento legislativo della trasformazione di una società in comunione d’azienda e in fondazione o associazione non costituisca semplicemente la regolamentazione di fattispecie che prima della riforma si poneva al di fuori dello schema della trasformazione [2], bensì se alla detta normativa debba essere attribuita una innovativa rilevanza sistematica, che anche alla luce del principio di continuità di cui all’art. 2498 c.c., potrebbe costituire la base legislativa per quelle fattispecie trasformative c.d. “atipiche”. In tale contesto, sembra emergere una particolarità di talune ipotesi di trasformazioni eterogenee, che si differenziano [continua ..]
In primis, sembra utile approfondire le similitudini e le diversità esistenti tra la trasformazione di società in comunione d’azienda, con la fattispecie “atipica” della trasformazione di società in trust, atteso che, in entrambi casi, siamo di fronte a due operazioni in cui dalla trasformazione si verifica un’estinzione della società oggetto del procedimento, senza alcuna attività di liquidazione, e senza la nascita di un nuovo soggetto di diritto. Né la comunione d’azienda, né il trust, possono essere infatti qualificati enti dotati di autonomia patrimoniale, ragion per cui, ove i soci decidano di avviare un procedimento di trasformazione nei casi sopra indicati, generalmente, è presente l’interesse a disorganizzare l’impresa sociale, con un unico procedimento. Anzi, nell’ipotesi in cui dalla trasformazione nasca un trust (per cui vengono nominati quali trustees tutti gli ex sodali, che in tal modo divengono comunisti dell’azienda vincolata in trust) si può ben comprendere la ragione per cui un approfondimento sulla trasformazione della società in comunione d’azienda appare più che mai opportuno. Prima facie, sembrerebbe che la trasformazione eterogenea da società di capitali in comunione d’azienda sia incompatibile con il sopra enunciato principio di continuità nell’attività d’impresa, al punto che autorevoli interpreti sono giunti alla conclusione che la detta fattispecie si collochi fuori dagli schemi della trasformazione [9]. La comunione d’azienda è infatti caratterizzata dal fatto di non possedere né soggettività giuridica, né autonomia patrimoniale, con l’effetto che le situazioni attive e passive si imputano direttamente ai singoli comunisti, in proporzione alla quota da ciascuno di essi posseduta nella società estinta, in forza della trasformazione [10]. E la situazione di contitolarità nascente dalla trasformazione è di natura essenzialmente statica, poiché escludendo l’art. 2248 c.c. la c.d. comunione d’impresa, ove si trattasse di una situazione dinamica, ci troveremmo subito fuori dallo schema della comunione, per rientrare all’interno di quello societario [11]. In questo caso, invero, il principio della continuità dell’attività [continua ..]
Posto che il trust non è un ente dotato di soggettività giuridica, bensì un patrimonio segregato, come poc’anzi si è cercato di chiarire, sono certamente rinvenibili elementi di somiglianza tra la trasformazione di società in trust e quella della trasformazione della società in impresa individuale e viceversa, che dovrebbe rientrare anch’essa tra le ipotesi c.d. “atipiche”. E anche con riguardo all’ammissibilità di questo tipo di trasformazione, la dottrina appare divisa, non mancando l’opinione di quegli autori che ritengono che nella fattispecie de qua si è fuori dallo schema della trasformazione, che è un istituto destinato alla regolamentazione di strutture organizzate. Ciò si ricaverebbe anche dallo stesso disposto legislativo (artt. 2498 e 2500 co. 2 cc), ove è spesso contenuta la locuzione “ente” [26], anziché quella di soggetto o di persona, che avrebbe potuto anche consentire una estensione della detta normativa [27]. L’accoglimento dell’opinione favorevole ha un’indubbia rilevanza sistematica, in quanto significherebbe ammettere che anche l’imprenditore individuale possa rimodellare l’assetto organizzativo e patrimoniale della propria impresa attraverso atti tradizionalmente riservati alla società [28]. E proprio in considerazione del fatto che la trasformazione coinvolge l’intero assetto organizzativo e patrimoniale dell’ente, da un lato, e il superamento della procedura di liquidazione, senza un’espressa previsione normativa (con l’effetto dell’imputazione diretta all’unico socio del patrimonio appartenuto alla società), dall’altro, alcuni autori propendono per l’impossibilità di inquadrare la detta operazione all’interno dello schema della trasformazione [29]. Ammessa in forza di un’espressa previsione legislativa, la trasformazione della società in comunione d’azienda, non sembra sia peregrina la possibilità di inquadrare il passaggio da società ad impresa individuale nello schema della trasformazione [30]. Nel momento in cui si consente a due o più soggetti di continuare, in un contesto societario, l’impresa precedentemente svolta dal conduttore dell’azienda in comunione e, soprattutto, a due coniugi di assoggettare, senza [continua ..]
La trasformazione creando una continuità di rapporti tra l’ente societario e il trust, permette, con minori costi e con maggiore efficacia, di realizzare gli interessi dei sodali, in quanto, uno actu si estingue la società e nasce il trust. Quel che appare certo è che il nuovo assetto normativo agevola la possibilità di trasformare una società in trust, considerato che si è cambiato radicalmente il modo di approcciare all’istituto della trasformazione, di modo che non sembra che le conclusioni cui giungeva la dottrina e la giurisprudenza prima della riforma e in presenza di poche norme che disciplinavano la materia de qua siano adesso utilizzabili [32]. Al contrario è possibile sostenere che quanto regolato dagli artt. 2500-septies e octies non vuole imporre all’operatore un assetto di fattispecie individuate, cui il legislatore ha voluto estendere gli effetti della trasformazione, uno per tutti il principio di continuità; bensì è accoglibile un’impostazione secondo la quale il procedimento di cui agli art. 2498 ss c.c. è usufruibile ogni volta che si voglia modificare in toto la struttura organizzativa dell’ente, a prescindere dalla sua struttura originaria e dalla struttura di arrivo, a trasformazione avvenuta [33]. Però, come è stato rilevato, le figure previste dagli artt. 2498 e ss. c.c. si differenziano sia sul piano strutturale, sia su quello funzionale, il che sembra impedire di ricondurre ad una logica unitaria le diverse operazioni realizzabili: “sul piano strutturale, a fattispecie associative, o comunque, a strutture a carattere plurilaterale, si affiancano figure a carattere impersonale (fondazioni); ad alcune munite di personalità giuridica (società di capitali, cooperative, associazioni riconosciute), se ne contrappongono altre sprovviste, anche se dotate di soggettività giuridica (associazioni non riconosciute, consorzi) o addirittura prive anche di quest’ultima (comunione d’azienda)” [34]. Il mantenimento dell’apparato produttivo, e dunque, secondo tale visuale, il passaggio dalla tutela della struttura societaria a quello della struttura aziendale, al fine di realizzare gli interessi dell’economia nell’attività d’impresa, rafforzando il vincolo di destinazione sui beni destinati all’attività, anche a mezzo [continua ..]
Certamente, lo sconvolgimento dell’assetto normativo previgente alla riforma del diritto societario, così come si ricava dai suoi lavori preparatori, è stato finalizzato ad un ampliamento della sfera di operatività dell’istituto della trasformazione, essendo state inserite nel disposto codicistico tutta una serie di fattispecie in precedenza non contemplate [43]. Il favor trasformationis espresso dal legislatore della riforma ha una indubbia rilevanza sistematica, in quanto l’istituto de quo cessa di essere uno strumento di evoluzione organizzativa di enti di tipo societario e diventa, per contro, un’operazione che l’autonomia privata può utilizzare altresì per attuare il passaggio a strutture con scopo istituzionale diverso [44], e, dunque, con l’espressa finalità di “disorganizzare” l’impresa, senza passare attraverso un procedimento di liquidazione dei beni sociali. All’interno di questo quadro di “atipicità” si colloca la trasformazione della società in trust, la quale rappresenta senz’altro, per quanto sopra si è illustrato, un’operazione in astratto meritevole di tutela, potendo essere destinata ora alla valorizzazione dei beni sociali, ora ad una liquidazione più efficiente e con minori costi. Questo tipo di trasformazione si caratterizza anche per il fatto che da una persona giuridica, con soggettività piena, si passa ad una struttura qual è il trust, priva di soggettività, costituendo lo stesso un patrimonio separato con l’effetto di segregare i beni all’interno di un patrimonio di un determinato soggetto, il trustee, per il raggiungimento di uno specifico scopo e per il soddisfacimento di determinati beneficiari [45]. Per esempio, nel trust c.d. liquidatorio, attraverso un atto negoziale unilaterale, un soggetto (sia esso persona fisica o giuridica) conferisce in trust tutto o parte del suo patrimonio con lo scopo di soddisfare i suoi creditori mediante il ricavato della liquidazione; e l’eventuale avanzo potrebbe essere destinato anche a beneficio del costituente. Il trust nascente dalla trasformazione potrebbe essere inquadrato nel trust c.d. di scopo, in cui i beneficiari sono genericamente indicati nei creditori del disponente ovvero in un trust con beneficiari individuati [46]. In questo contesto, l’istituto del [continua ..]
La trasformazione, così come la scissione e la fusione, si colloca nell’ambito delle operazioni di organizzazione in senso ampio dei beni aziendali. Si tratta di un panorama forse troppo poco esplorato dal punto di vista funzionale, ma che apre nuovi spazi alla riflessione: “l’azienda come oggetto di una funzione organizzativa non traslativa richiede norme speciali, non necessariamente coincidenti con quelle applicabili ad una vicenda circolatoria. Fonda principi e tutele specifiche da cui trarre spunti interpretativi anche al di fuori della singola operazione di revisione organizzativa. Permette di configurare un microsistema delle operazioni di ristrutturazione dell’impresa” [59]. E all’interno di questo microsistema delle operazioni di riorganizzazione dell’impresa si collocano operazioni da cui derivano effetti eminentemente riorganizzativi ed evolutivi della struttura aziendale; ma possono essere individuate anche operazioni, come le trasformazioni eterogenee, che producono l’effetto di “disorganizzare” l’impresa sociale, poiché i soci hanno deciso di utilizzare i beni aziendali per finalità ideali e non lucrative, come avviene nella trasformazione della società in fondazione o in associazione; ovvero cessare ogni attività d’impresa, trasformando la società in comunione d’azienda. La trasformazione di società in trust, appunto, ha proprio tale finalità, cioè di gestire nel miglior modo possibile la decisione dei soci di riorganizzare o disorganizzare l’impresa, alla luce del principio di continuità di cui all’art. 2348 c.c. [60]. In verità, il nuovo quadro normativo in materia di trasformazione consente all’interprete una rivisitazione radicale dell’istituto, che non può in alcun modo essere paragonato alla previgente fattispecie di trasformazione regolata dal legislatore, la quale certamente risultava essere uno schema limitato agli enti societari e che produceva essenzialmente effetti riorganizzativi e modificativi dello statuto o dell’atto costitutivo della società oggetto del procedimento di trasformazione. Oggi, la trasformazione è un istituto moderno direttamente funzionale all’esigenza dell’impresa e con funzioni eminentemente riorganizzative o disorganizzative dell’impresa, concepito sia in [continua ..]
Orbene, se sulla base della ipotizzata ricostruzione è la delibera di trasformazione la fonte dell’atto istitutivo del trust, è necessario esaminare la diversa problematica se la legge straniera regolatrice del trust rinvenga tra i possibili atti giuridici idonei a far nascere un trust anche una deliberazione assembleare. Sul punto pare preliminarmente opportuno sottolineare che mentre l’atto di dotazione del trust, con cui i beni vengono conferiti nel trust, è disciplinato dalla lex fori (come avviene nel trust c.d. interno, cioè che non presenta elementi di estraneità), cioè dalla legge italiana, l’atto istitutivo del trust è regolato da una legge straniera, non essendo la legislazione italiana dotata di una normativa disciplinante i trusts, se non limitatamente agli aspetti fiscali e internazional-privatistici [70]. E sulla base di una rassegna delle principali leggi straniere che regolamentano i trusts è rilevabile che sussiste un principio comune di libertà di forma per quanto concerne l’atto istitutivo del trust. In altri termini la legislazione straniera in materia di trust, sotto tale specifico profilo, appare alquanto fluida e lascia libera l’autonomia privata nel determinare gli atti giuridici cui può essere ricondotto l’effetto costitutivo del trust. In particolare, analizzando gli ordinamenti che regolano il trust a livello internazionale, accomunati da principi comuni che interessano l’istituto del trust, che riguardano almeno una trentina di ordinamenti stranieri, è possibile affermare che la fonte di costituzione del trust non si caratterizza per una specifica forma, né vengono previsti tipi di atti da cui è possibile che scaturiscano gli effetti giuridici tipici del trust [71]. Infatti, nei paesi di common law per trust, quanto meno nella sua struttura essenziale, si intende un’operazione caratterizzata dal trasferimento della proprietà di un certo patrimonio da un soggetto (settlor) ad un altro (trustee) nell’interesse di un beneficiario (beneficiary) o per la realizzazione di un certo scopo, con la conseguente segregazione di tale patrimonio, rispetto alla vicende del settlor, del trustee e del beneficiary [72]. In tali ordinamenti non sussiste nessuna limitazione alla tipologia o alla forma degli atti giuridici che possono costituire una lecita fonte del trust. Accanto [continua ..]
Nell’ipotesi di trasformazione della società di capitali in un trust, in conclusione, l’intera azienda sociale diviene nella titolarità del trustee, il quale potrebbe essere sia una persona fisica, che diventerebbe titolare di un patrimonio segregato avente ad oggetto i rapporti prima imputabili alla società, con l’evidente analogia con la trasformazione di un ente societario in impresa individuale. Trustees potrebbero essere nominati anche più soggetti, magari gli ex soci dell’ente oggetto della trasformazione. In questo caso, la similitudine con l’istituto della comunione d’azienda è evidente, in quanto i trustees diverrebbero comunisti dell’azienda sociale, con la differenza sostanziale, però, rispetto all’ipotesi tipica della trasformazione espressamente regolata dall’art. 2500-septies, che l’azienda sociale non entra a far parte del loro patrimonio personale, bensì di un patrimonio segregato con il vincolo del trust. L’effetto precipuo, dunque, di questo tipo di trasformazione è quello di imputare l’azienda sociale ai soci non uti singuli, ma in qualità di trustees, con la costituzione di un patrimonio separato e destinato ad un determinato scopo, collocato all’interno del loro patrimonio generale; senza che dall’operazione nasca un nuovo soggetto di diritto. Il trust nascente dalla trasformazione potrebbe essere di tipo “commerciale”, ove gli ex sodali intendano esercitare un’attività d’impresa di natura diversa rispetto a quella esercitata a mezzo della struttura societaria [77]. Per esempio, come abbiamo visto in precedenza, un trust destinato alla valorizzazione del patrimonio sociale, che gli ex soci intendono destinare a museo, con l’avviamento di tutti i servizi aggiuntivi quali la ristorazione, la biglietteria, ecc. In questo caso la meritevolezza dell’interesse si rinviene nella continuità dell’attività d’impresa, con l’abbandono della forma societaria e l’utilizzazione del trust. Ma il trust nascente dalla trasformazione potrebbe essere anche di natura “non commerciale”, in quanto gli ex sodali non intendono continuare a mezzo del trust alcuna attività d’impresa. Nelle fattispecie di questo tipo, ferma in astratto l’ammissibilità della trasformazione, [continua ..]