<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. II – Osservatorio di diritto straniero (di Michele Miraglia)


SOMMARIO:

Banca islamica: struttura societaria e principali tipologie contrattuali - 1. Introduzione. - 2. Una possibile definizione di banca islamica. - 3. L’organizzazione ed i compiti della banca islamica. - 4. Le principali tipologie contrattuali della banca islamica. - 4.1. I contratti di deposito regolati in conto corrente. - 4.2. I contratti di finanziamento. - 4.3. I prestiti obbligazionari. - 4.4. I prodotti assicurativi. - 4.5. I contratti derivati ed i titoli azionari. - 5. Conclusioni. - NOTE


Banca islamica: struttura societaria e principali tipologie contrattuali

1. Introduzione.

La finanza islamica rappresenta una delle industrie finanziarie a maggior crescita nel mondo ed i suoi assets sono valutati complessivamente in oltre settecento miliardi di dollari, secondo le stime fornite da Standard & Poor’s nel 2009. La crescita del sistema finanziario islamico viene considerata sempre più come un’im­portante opportunità ed una notevole sfida. Gli economisti musulmani ritengono, infatti, che la c.d. economia morale dell’Islam possa dare un valido contributo per rafforzare i fondamenti etici del capitalismo contro comportamenti poco avveduti, così come la scelta di prodotti dell’industria finanziaria islamica è vista come un modo per le istituzioni ed i governi non musulmani di attrarre capitali esteri, soprattutto in periodi caratterizzati da crisi di liquidità e da recessione economica [1]. Peraltro, non si può negare come il fenomeno finanziario musulmano attiri sospetti per i suoi potenziali collegamenti con i movimenti politici islamici e con i gruppi terroristici che si rifanno ad una interpretazione fondamentalistica del Corano. Sono diversi gli economisti che si domandano se l’industria finanziaria islamica debba ritenersi coerente con i precetti morali dell’Islam ovvero se il sistema bancario musulmano possa essere più elastico alla globale crisi economica rispetto a quello convenzionale. Tutte questioni che presuppongono una maggiore conoscenza del problema [2]. Giova, pertanto, al fine di comprendere meglio i contenuti ed i confini della finanza musulmana ed i suoi rapporti con il fenomeno religioso [3], inquadrare seppur brevemente i principali connotati dell’impresa bancaria islamica e le principali tipologie contrattuali ad essa relative.


2. Una possibile definizione di banca islamica.

La banca islamica può essere definita [4] come un istituto finanziario per il quale le leggi, lo statuto e i regolamenti stabiliscono espressamente l’impegno ad operare secondo i principi della sharī’ah e l’eliminazione del ricevimento e del pagamento degli interessi in qualsiasi sua operazione. Per comprendere più a fondo la suddetta definizione, non si può prescindere dall’accennare rapidamente a cosa rappresenti la sharī’ah per il mondo islamico. La sharī’ah, che disciplina al contempo gli aspetti religiosi, socio-economici, politici e culturali delle società musulmane, è sia la legge sacra dell’Islam sia la fonte incontestabile del diritto [5]. Le sue fonti sono rinvenibili nel Corano e nella sunnah, ossia i detti e le azioni del profeta Maometto, trasmessi verbalmente in forma di hadīth (racconti dei compagni del profeta), e si completano con la giurisprudenza islamica (fiqh), basata sul processo di interpretazione (iğtihād) che gli esperti di giurisprudenza applicano in caso di regole implicite o non chiare, utilizzando il ragionamento deduttivo-analogico (qiyās) o fondandosi sul consenso degli esperti delle varie scuole (iğma’). Nel contesto islamico esistono diverse scuole giuridiche, di opinioni spesso divergenti; manca, per di più, una gerarchia con a capo un’autorità giuridica religiosa centrale capace di dirimere eventuali controversie. Le quattro principali scuole giuridiche sono: (i) la hanafita, diffusa in Turchia, Egitto, India, Pakistan e nell’ex URSS, con posizioni più liberali; (ii) la malikita, presente nell’area del Maghreb e rappresentante la tendenza giurisprudenziale più conservatrice; (iii) la shafiita, diffusa in Indonesia, Siria e Africa orientale, su posizioni intermedie tra le due precedenti; (iv) la hanbalita, prevalente in Arabia Saudita e caratterizzata da un’assoluta fedeltà alle fonti scritte dell’Islam e da un estremo rigore morale. Alla luce delle seppur brevi notazioni sopra riportate, come anche per le banche convenzionali, la banca islamica [6] è un’impresa, avente finalità di lucro, che raccoglie il risparmio ed eroga finanziamenti nel rispetto (almeno teorico!) dei divieti imposti dalla legge coranica, in particolare il divieto del ribā’ [7], ed in ossequio al principio [continua ..]


3. L’organizzazione ed i compiti della banca islamica.

Da un punto di vista più strettamente organizzativo, è possibile distinguere tre distinti modelli: 1) quello della banca islamica pura, che commercializza esclusivamente prodotti sharî’ah-compliant; 2) quello della succursale di una banca occidentale, specializzata nel “piazzare” strumenti islamici; ed infine 3) quello dello sportello islamico, interno ad una banca convenzionale, che si rivolge alla sola clientela musulmana con operazioni rispettose della legge coranica [9]. Occorre notare, altresì, come risulta valida, anche con riguardo alle banche islamiche, la distinzione tra banche commerciali e banche di sviluppo, queste ultime con il compito precipuo di promuovere la crescita e lo sviluppo delle realtà locali, attraverso sistemi islamici di credito e di investimento [10]. Al fine di monitorare costantemente il rispetto delle suddette rigide prescrizioni, all’interno di ciascuna banca è istituito uno sharî’ah board, che ha la responsabilità di certificare la coerenza delle operazioni effettuate e dei prodotti offerti con i principi islamici. Solitamente, esso è composto da accademici islamici e riveste un ruolo alquanto determinante per la governance dell’istituzione. A livello generale, è, altresì, previsto uno Sharî’ah Supervisory Board (S.S.B.) [11], che è un vero e proprio organo di supervisione centralizzato cui spetta il compito di controllare l’ef­fet­tivo rispetto della legge coranica e dei suoi precetti da parte di tutti gli intermediari del sistema finanziario musulmano. Al riguardo, non va taciuto che un tale sistema di governance ha fatto sinora emergere alcuni problemi, ed in particolare: (i) i potenziali conflitti di interesse dovuti alla penuria di esperti di diritto islamico, portatori al contempo di competenze economico-finanziarie, che sono spesso designati a far parte di più di un consiglio sciaraitico e (ii) la possibilità che la competenza dello Sharî’ah Board vada oltre la mera funzione di consulenza fino ad incidere sull’ope­ratività della banca [12]. I moderni istituti di credito islamici [13], oltre a rispettare il divieto del ribâ’, devono attenersi ad altri importanti imperativi della sharî’ah: a) impegnarsi in affari o attività commerciali o finanziari per conseguire profitti leciti e secondo giustizia [continua ..]


4. Le principali tipologie contrattuali della banca islamica.

Volgendo ora brevemente l’at­­­tenzione sui principali contratti [17], essi possono essere distinti per chiarezza secondo le seguenti modalità.


4.1. I contratti di deposito regolati in conto corrente.

Dal lato della raccolta del risparmio, le banche islamiche offrono due tipologie di conti, distinti da quelli proposti dalle banche convenzionali: a) non-profit accounts (depositi a vista) e b) profit-sharing deposit investments (depositi di investimento). I primi sono generalmente di natura retail, prelevabili in ogni momento senza preavviso; il capitale è garantito e non è previsto il pagamento di alcun interesse. I secondi sono depositi partecipativi, in cui la banca acquisisce la disponibilità dei fondi e li impiega [18], di modo che il depositante partecipa agli utili ovvero alle perdite secondo una percentuale prefissata nel contratto; i prelievi non sono a vista e possono avvenire solo periodicamente, di concerto con la banca.


4.2. I contratti di finanziamento.

Dal lato, invece, degli impieghi, a seconda del differente grado di partecipazione al rischio, si possono distinguere tecniche di finanziamento basate sul profit and loss sharing (PLS) e forme di finanziamento di natura non partecipativa non-PLS (cosiddette trade based o indirettamente partecipative). Le prime sono basate sul concetto della compartecipazione sulla fiducia e, quindi, risultano caratterizzate dal fatto che tanto la banca quanto il soggetto finanziato condividono il rischio dell’investimento. Le seconde, invece, non prevedono la compartecipazione al rischio, bensì un rendimento predeterminato, che formalmente non è un tasso di interesse e che è considerato legittimo ed aderente ai principi islamici in quanto legato alla prestazione di un servizio e non alla stretta dimensione temporale. Inoltre, mentre le tecniche di finanziamento non-PLS sono solitamente associate a forme di garanzia (come, ad esempio, la proprietà del bene sottostante), negli impieghi PLS normalmente ciò non avviene ovvero, se presente, è ammesso meramente come deterrente contro comportamenti opportunistici del prenditore di denaro. 4.2.1. I contratti di finanziamento PLS. – Più in particolare, i principali contratti di finanziamento secondo la metodologia profit and loss sharing (PLS) sono i seguenti: a) MUDARABA (trust finance contract): la banca finanzia il progetto di un imprenditore e partecipa, con una percentuale contrattualmente stabilita, ai profitti ed alle perdite (la partecipazione ai profitti non può essere una somma fissa). L’imprenditore non apporta capitali propri, ma soltanto capacità manageriali; egli non può chiedere una remunerazione per il proprio lavoro, ma partecipa ai profitti dell’affare. Le perdite sono sopportate solamente dal finanziatore; la perdita dell’imprenditore è limitata esclusivamente al suo sforzo lavorativo. La gestione dell’affare è rimessa alla libertà assoluta dell’imprenditore, senza ingerenze da parte del finanziatore[19]. b) MUSHARAKA (equity participation contract): la banca e l’imprenditore costituiscono una partnership; la banca potrebbe non essere la sola finanziatrice del progetto come del mudaraba. Il contratto può prevedere un potere di voto e di partecipazione alla gestione da parte dei finanziatori che partecipano ai profitti ed alle perdite in base alla quota [continua ..]


4.3. I prestiti obbligazionari.

Un cenno a sé meritano i titoli obbligazioni sharī’ah-compliant, c.d. sukūk, anche per il notevole successo che hanno riscosso sui mercati internazionali e per la previsione di crescita esponenziale del prodotto [23]. L’emissione di obbligazioni, prima vietate perché a reddito fisso, stanno trovando sempre più applicazione grazie all’introduzione del concetto di separazione [24]. In buona sostanza, mentre nelle obbligazioni tradizionali l’investitore riceve indietro, secondo periodi prestabiliti, il suo capitale investito ed una remunerazione a titolo di interesse, con i sukūk l’investitore concede un capitale alla banca che provvede ad investirlo in una concreta attività e riscuote i profitti generati dall’investimento effettuato [25]. L’essenza del sukūk, nella prospettiva di investimento, risiede nella possibilità che un soggetto partecipi alla proprietà di un bene gestito in modo conforme alla sharī’ah, ottenendo in cambio dei proventi periodici derivanti dall’attività stessa. In tal caso, l’essere compartecipe della proprietà è requisito fondamentale per rispondere al criterio del PLS: al contempo, il finanziamento di progetti specifici o attività di investimento predeterminate fanno sì che il detentore del certificato sappia esattamente cosa sta finanziando e come il bene di cui è comproprietario viene gestito [26]. Le numerose tipologie di sukūk esistenti possono essere raggruppate in due grandi categorie [27]: i)asset-backed/asset-based sukūk, che hanno come asset sottostanti delle attività che generano un rendimento predeterminato (ad es. īğārah sukūk) e che sono molto simili alle obbligazioni tradizionali[28]; ii)equity-based sukūk, per i quali il rendimento dell’attività sottostante non è predeterminato, ma è basato su una logica di profit and loss sharing (mushārakah o mudārabah sukūk), rendendo questi prodotti più simili a strumenti di capitale.


4.4. I prodotti assicurativi.

Altrettanta particolare considerazione deve essere rivolta al comparto assicurativo, i cui prodotti prima facie risulterebbero vietati secondo la legge coranica per la presenza di elementi di eccessiva incertezza e di speculazione, trattandosi di contratti fondamentalmente aleatori [29]. Secondo una elaborazione recente degli economisti, i prodotti assicurativi islamici, c.d. takàful, sono stati legittimati a condizione che, a differenza del concetto convenzionale di assicurazione, il titolare della polizza e la società di assicurazione si accordano preventivamente sull’ammontare del risarcimento, ammettendo anche la condivisione dei profitti [30]. Takàful significa in arabo “garantire entrambi” o “garanzia congiunta”. Esso rappresenta una forma di assicurazione islamica basata sul concetto coranico di mutua assistenza, assicurando la protezione dei beni e delle proprietà ed offrendo una congiunta divisione del rischio in caso di perdita. I principi di detto strumento assicurativo sono i seguenti: 1) i contraenti cooperano tra di loro per il bene comune; 2) ogni contraente paga la sua sottoscrizione per aiutare coloro che necessitano di assistenza; 3) le perdite sono suddivise secondo il sistema della partecipazione; 4) l’incertezza viene completamente eliminata; 5) non si ottiene alcun vantaggio a sfavore degli altri sottoscrittori. In buona sostanza e teoricamente, il takàful è percepito come una forma di assicurazione cooperativa, dove i membri apportano una determinata somma di denaro ad una fonte comune; lo scopo di questo sistema non è il profitto, ma sostenere il principio del guadagno senza ledere l’altrui interesse. In tal modo si perseguono anche finalità di cooperazione sociale e di mutualità e reciprocità [31].


4.5. I contratti derivati ed i titoli azionari.

Quanto, invece, ai contratti derivati [32], anch’essi, per l’evidente violazione dei divieti di gharâr e di maysîr, non sono ammessi dalla sharî’ah, anche se sono in corso studi da parte degli economisti e dei giuristi islamici per strutturare prodotti derivati compatibili al sistema. Maggiore apertura è emersa da parte dei boards, soprattutto nel mercato saudita, con riguardo alle operazioni di cartolarizzazione [33]. Per quanto attiene, inoltre, agli investimenti azionari ed ai fondi comuni di investimento, dopo una posizione inizialmente rigida e grazie ad una serie di compromessi (a volte anche contraddittori), essi sono stati ormai ammessi dai giuristi islamici e negli ultimi anni hanno avuto un notevole incremento ed un particolare gradimento da parte degli investitori anche occidentali. I settori di riferimento di tali fondi risultano diversificati (all’interno di quelli ammissibili) con un certa enfasi su quello immobiliare; da un punto di vista geografico, i mercati più attivi sono quelli USA e UE, ma si sta assistendo ad un forte incremento per il mercato del Sud-Est Asiatico e per quello del Golfo [34]. Un po’ controversa è l’ammissibilità delle azioni privilegiate e di ogni altro strumento partecipativo che limiti la partecipazione alle perdite o garantisca un rendimento certo. La posizione prevalente è contraria all’ammissibilità di questi strumenti, anche se diffusi in alcuni Paesi islamici. Ovviamente le azioni in cui è ammesso investire non possono essere emesse da società che svolgono attività proibite dalla legge coranica (prodotti alcolici, carne di maiale, industria pornografica, servizi finanziari e assicurativi tradizionali), così come non sarebbe lecito investire in strumenti azionari di imprese che ricorrono al debito pagando interessi o che concedono credito incassando interessi. La consapevolezza che, nella prassi corrente, tutte le imprese fanno ricorso, anche se in piccola parte, al debito, ha portato i giuristi islamici a proporre dei financial ratios volti a discriminare le situazioni ammissibili da quelle vietate: i principali proposti si basano sui rapporti tra debito e totale del passivo e tra assets che generano interessi e il totale dell’attivo [35]. Proprio al fine di controllare l’andamento sui mercati degli strumenti azionari sono nati di recente alcuni indici [continua ..]


5. Conclusioni.

La disamina, seppur rapida, di quanto appena illustrato evidenzia come il fenomeno finanziario islamico sembra dimostrare una certa elasticità di fronte alla recessione economica globale [39] e molto verosimilmente il suo incremento continuerà nel prossimo futuro. È evidente che l’apertura dei mercati occidentali alla finanza islamica presenti delle notevoli opportunità, come ad esempio attrarre capitali in tempi di crescita bassa e rafforzare le relazioni economiche con diversi Paesi musulmani, soprattutto con quelli del Golfo Persico [40]. Nonostante ciò, non possono essere trascurati o sottostimati i possibili rischi economici di un tale fenomeno. In primo luogo, i difetti del sistema finanziario, tanto convenzionale quanto musulmano, esplicitano sempre più l’esigenza di un rafforzamento e di un coordinamento della regolazione e della trasparenza, nonché di un miglioramento delle tecniche di risk management a livello globale [41]. La c.d. economia morale dell’Islam, infatti, non appare essere ancora in grado di promuovere lo sviluppo di istituzioni e prassi in grado di contribuire a determinare una “eticizzazione” dell’intero sistema economico. In secondo luogo, i governi e le economie occidentali che hanno interessi nei Paesi musulmani dovrebbero considerare le possibili implicazioni politiche di lungo periodo dell’espan­sione del fenomeno finanziario islamico. Ed infatti, l’impatto della crescita della finanza sharî’ah compliant negli Stati storicamente musulmani, come ad esempio nel Maghreb, ha avuto delle connotazioni di natura sociale e politica che non possono essere sottovalutate. La storia recente di alcuni Paesi islamici offre al riguardo interessanti spunti di riflessione. Seppure per cenni, non si può tacere che nel Sudan un’alleanza tra i Muslim Brotherhood ed una banca islamica preparò il terreno al colpo di stato del 1989, così come in Egitto i legami tra alcune istituzioni finanziarie sharî’ah compliant e i musulmani radicali portò a misure restrittive contro questi ultimi che furono accusati di aver sovvertito lo Stato. In altre parole, lo sviluppo del fenomeno finanziario islamico, oltre ad assumere un rilievo squisitamente economico, potrebbe andare sempre più ad incidere – come in talune occasioni si è già verificato – nel tessuto [continua ..]


NOTE