This study considers the law applicable to Italian companies whose articles of association opted-in for a one-tier governance structure («sistema monistico») and it deals with some issues concerning duties, powers and liabilities of the audit committee («comitato per il controllo sulla gestione»).
Legal doctrine has been examining those three items following the herein above mentioned order, i.e., duties, powers and finally liabilities, of audit committee. Differently, this paper tries to reverse that sequence. Indeed it acknowledges that there is room for considering the audit committee liability separately, and independently, and it is based on the belief that the audit committee duties and powers may be better understood when the conditions of liability of its members have been preventively illustrated.
This study aims to achieve three main objectives. Firstly, it seeks to provide an in-depth demonstration that the rule regulating the company directors’ liability in general (art. 2392 c.c.) is applicable to the audit committee members, when a breach of their duty of supervision is challenged too. Secondly, this paper tries to investigate the conditions under which the default rule which holds all the directors jointly and severally liable for any damage does not apply, while the audit committee members must be considered liable on an exclusive basis: this case occurring when such members fail to give communication to the board about information or facts potentially triggering directors’ operation. Thirdly, and finally, this study seeks to use, and in a sense to exploit, the results achieved as to the allocation of liability, in order to provide a renewed illustration of audit committee duties and powers. And this with reference both to non listed and industrial companies and to companies admitted to stock exchange markets and/or banking entities.
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1. La disciplina della responsabilità come punto di osservazione sul sistema monistico - 2. L’inquadramento della responsabilità dei componenti del c.c.g. (oltre che, naturalmente, degli altri membri del c.d.a.) entro le previsioni degli artt. 2392 ss. c.c.: un profilo che necessita di una dimostrazione - 3. La responsabilità dei componenti del c.c.g. nel sistema della responsabilità degli amministratori. Le ricadute sulla diligenza dovuta - 4. L’inquadramento della responsabilità dei membri del c.c.g. entro il regime ex artt. 2392 ss. c.c. La tesi della rilevanza esclusivamente interna al riparto di responsabilità: critica - 5. (segue) I presupposti dell’attribuzione di responsabilità in via esclusiva ai membri del c.c.g. - 6. Una rilettura, alla luce delle regole di responsabilità, della disciplina del sistema monistico. La regolamentazione dei poteri (e dei doveri) del c.c.g. contenuta nel codice civile - 7. (segue) La declinazione dei poteri (e dei doveri) del c.c.g. nel testo unico della finanza e nella disciplina bancaria - 8. Le condizioni per la non imputazione di responsabilità al singolo membro del c.c.g.: note a margine della “doppia collegialità” caratteristica del modello monistico - 9. Una valutazione d’insieme - NOTE
Il dibattito relativo al modello monistico di amministrazione e controllo, adottabile su base volontaria da ogni società per azioni (art. 2380, co. 2, c.c.; art. 2409 sexiesdecies c.c.), si è sino a ora prevalentemente concentrato sulla natura della vigilanza svolta dal comitato per il controllo sulla gestione (d’ora in avanti, «c.c.g.»), e così sulla ricognizione dei relativi doveri e poteri, nonché sulla relazione esistente tra detto comitato e il consiglio di amministrazione (d’ora in avanti, «c.d.a.»). Un’attenzione più circoscritta, invece, è stata riservata alle ricadute di tale opzione statutaria sulla responsabilità, sia dei membri del c.c.g., sia degli altri amministratori. Quando sono state compiute riflessioni in proposito, ciò è avvenuto solo a valle (e così alla luce) delle conclusioni che, di volta in volta, i diversi commentatori avevano previamente raggiunto in merito ai profili strutturali e funzionali (natura del controllo, doveri e poteri, rapporto con il c.d.a.) appena menzionati. Un simile approccio – che, semplificando, potrebbe essere descritto con la sequenza doveri e poteri del c.c.g. / doveri e poteri del c.d.a. / responsabilità o anche con quella ruolo del c.c.g. / ruolo del c.d.a. / responsabilità – non è certo inesatto. È in linea di principio corretto individuare prima quale sia la ripartizione di competenze conseguente alla scelta di un dato assetto di amministrazione e controllo, quali siano in quel sistema gli strumenti attraverso i quali i diversi incarichi vanno eseguiti, infine quali siano i rapporti inter-organici o, nella fattispecie, infra-organici conseguenti; e definire poi, sullo sfondo (e sulla scorta) di detta ricostruzione, quali siano le regole per l’attribuzione della responsabilità in caso di inadempimento, produttivo di danno, delle prestazioni dovute. Il fatto è che – allo stato attuale dell’elaborazione dottrinale e, per di più, in assenza di contributi da parte della giurisprudenza – la definizione nel sistema monistico di chi fa che cosa e con quali mezzi è ancora molto controversa tra gli interpreti 1. Le diversità di vedute e di valutazione sono ancora numerose, con riferimento sia alla ricognizione dei [continua ..]
Nel paragrafo che precede si è accennato, senza precisazioni o limitazioni di sorta, al fatto che le regole di responsabilità applicabili nel sistema monistico siano, per tutti i soggetti coinvolti e quindi anche per i componenti del c.c.g., quelle contenute negli artt. 2392 ss. c.c., vale a dire quelle relative alla responsabilità degli amministratori. Ciò riflette un’opinione piuttosto diffusa in dottrina, la quale rileva, da un lato, che l’art 2409 noviesdecies, co. 1, c.c. richiama gli artt. 2392-2395 c.c., rendendoli applicabili, in quanto compatibili, anche al c.d.a. del sistema monistico; e, dall’altro lato, che l’art. 2409 octiesdecies, ult. co., c.c., specificamente inerente il c.c.g., nel rimandare in quanto compatibili a una serie di prescrizioni dettate per il collegio sindacale, citandole in sequenza, omette di menzionare proprio la previsione concernente la relativa responsabilità, ossia l’art. 2407 c.c. 16. A uno sguardo un poco più approfondito, però, la questione non risulta così semplice. Secondo un’opinione dottrinale minoritaria, e però autorevole, «il regime di responsabilità» dei membri del c.c.g. andrebbe «modulato in relazione agli inadempimenti che vengano loro contestati, nel ruolo di consiglieri di amministrazione o di membri dell’organo di controllo» 17, sicché il quadro normativo di riferimento sarebbe rappresentato, nel primo caso, dagli artt. 2392 ss. c.c. e, nel secondo, dall’art. 2407 c.c. Gli autori che si riconoscono in un simile orientamento non chiariscono quale sia il fondamento della propria argomentazione; è però ragionevole ritenere che essi facciano leva su una delle disposizioni di rinvio generale al modello tradizionale che più sopra si evocavano; in particolare, essendo le norme di legge in discussione previsioni del codice civile (art. 2392 c.c. vs art. 2407 c.c.), quella racchiusa nell’art. 223 septies, co. 1, disp. att. c.c. Alla luce di tale ultima disposizione normativa, in effetti, il dubbio potrebbe anche sorgere. Al pari di altre norme residuali di rimando al sistema tradizionale, essa rende estensibile al c.c.g. qualsiasi regola relativa al collegio sindacale a condizione che (i) non sia «diversamente disposto» da altra previsione di legge e che (ii) la norma relativa ai sindaci, [continua ..]
In una società retta dal sistema monistico, la prima conseguenza dell’inquadramento della responsabilità di tutti gli amministratori negli schemi di cui agli artt. 2392 ss. c.c. è che la diligenza applicabile per misurare adempimenti e inadempimenti è determinata, pure per coloro che sono membri del c.c.g., quando esercitano la funzione di controllo, in ragione della «natura dell’incarico» e delle «specifiche competenze» di cui gli amministratori sono titolari (art. 2392, co. 1, c.c.). L’impianto di tale disciplina non è radicalmente eterogeneo rispetto a quello che, nel sistema tradizionale, informa la responsabilità del collegio sindacale (art. 2407, co. 1, c.c.). A seguito della riforma del 2003, il dato di fondo comune a entrambi gli ordini di previsioni è che la diligenza dovuta è parametrata alla «natura dell’incarico» ed è così stabilita a un livello più elevato rispetto a quella dell’uomo medio (ai sensi dell’art. 1176, co. 1, c.c.). Si tratta del recepimento di un risultato raggiunto in via interpretativa nel diritto applicato già prima della riforma (in osservanza dell’art. 1176, co. 2, c.c.), sia per gli amministratori 38, sia per i sindaci 39. La legge ha così chiarito, sul piano del diritto positivo, che tutti coloro che appartengono a organi di amministrazione o controllo di una s.p.a. – e, per quanto qui specificamente rileva, i componenti del c.c.g. – devono profondere un impegno e una cura che (sono superiori a quelli esigibili in via ordinaria da qualsiasi debitore e in particolare) devono essere coerenti con la complessità dell’attività esercitata, con le dimensioni dell’impresa, con l’articolazione della relativa struttura organizzativa, con il grado di concentrazione proprietaria, nonché con ogni altra circostanza che possa influire sui rischi che la società, nel suo fisiologico operare, affronta 40. Tra i due sistemi di responsabilità, però, vi sono alcuni elementi differenziali su cui, ai fini presenti, è opportuno soffermarsi. Diversamente dalla disposizione prescrittiva della diligenza dovuta dai sindaci, quella omologa relativa agli amministratori non contiene alcun cenno alla «professionalità» richiesta dall’incarico 41; in [continua ..]
Uno dei profili più problematici del tema oggetto d’analisi, a ogni modo, resta quello dell’inserimento dell’attività del c.c.g. nelle plurime regole di responsabilità dettate dall’art. 2392 c.c. Si tratta di un aspetto delicato, stante la difficoltà, già ricordata al principio, di inquadrare il c.c.g. in termini largamente condivisi per quanto attiene a doveri, poteri, rapporti con il c.d.a. (v. § 1). Il punto nodale, e critico, è rappresentato dalla possibilità di considerare l’attività dei componenti del c.c.g. meritevole di avere rilevanza esterna nel riparto di responsabilità, ossia sufficiente per superare il principio di corresponsabilità (solidale) applicabile in via suppletiva 59. Il problema – mutatis mutandis discusso anche nel sistema giuridico statunitense 60 e, in parte, pure in quello inglese 61, ossia negli ordinamenti ove il modello monistico, come è noto, ha avuto origine – si presenta nel nostro sistema giuridico in una prospettiva affatto peculiare. A prevedere la disattivazione della regola di solidarietà è infatti – direttamente – una norma di legge, ossia l’ultimo segmento dell’art. 2392, co. 1, c.c., il quale individua i presupposti della concentrazione di responsabilità nelle «attribuzioni proprie del comitato esecutivo» o nelle «funzioni in concreto attribuite a uno o più amministratori». Nel dibattito nazionale, talune voci si sono orientate in senso favorevole all’applicazione di tale prescrizione anche al c.c.g., sulla scorta dell’osservazione – compiuta relativamente a tutti i comitati interni al c.d.a. e però anche con riferimento espresso, in caso di adozione del sistema monistico, al comitato in parola – secondo cui la relativa nomina comporta una «attribuzione di funzioni, e dunque di poteri, a più amministratori», la quale è «idonea ad arricchire la natura dell’incarico di costoro e la loro responsabilità» e così «ad alterare, entro i limiti di quelle attribuzioni, funzioni e responsabilità degli altri consiglieri» 62. L’opinione, pur autorevolmente sostenuta, non trova riscontro presso altri interpreti, che più analiticamente hanno studiato il modello di [continua ..]
È sullo sfondo delineato nel paragrafo che precede che si deve collocare e qualificare l’attività del c.c.g.: un’articolazione interna al c.d.a., sul piano organizzativo priva di potere decisionale autonomo e munita solo di un potere di proposta al c.d.a. e, però, sicuramente in possesso di dati e notizie che non sono a disposizione della generalità degli altri amministratori. Si pensi alle informazioni che il c.c.g. può trarre – per limitarsi ai soli poteri istruttori che pacificamente gli sono riconosciuti 82 – dai rapporti di scambio con il revisore legale dei conti (art. 2409 septiesc.c., applicabile ai sensi dell’art. 223 septies, co. 1, disp. att. c.c. 83; art. 150, co. 3 e 5, t.u.f.); dalla condivisione di informazioni con l’organo di controllo, a seconda delle ipotesi, della società controllante o delle società controllate (art. 2403 bis, co. 2, secondo periodo, c.c., pure operativo ex art. 223 septies, co. 1, disp. att. c.c. 84; art. 151 ter, ult. co., t.u.f.); in presenza di un comitato esecutivo, dalla partecipazione alle relative riunioni (art. 2405, co. 1, c.c. richiamato, in quanto compatibile, dall’art. 2409 octiesdecies, ult. co., c.c.) 85 e, infine, anche alla luce di tale ultima regola, che rende accessibili per il c.c.g. informazioni a disposizione dei soli organi delegati, dalla facoltà di interlocuzione diretta con gli amministratori esecutivi, o comunque titolari di un qualche incarico, «sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari» e ciò «anche con riferimento a società controllate» (art. 2403 bis, co. 2, primo periodo, c.c., applicabile, in quanto compatibile, ex art. 223 septies, co. 1, disp. att. c.c.). In ragione dell’attività di vigilanza che gli è affidata, il c.c.g. dispone dunque istituzionalmente di cognizioni che non sono ancora appannaggio dell’intero c.d.a. 86; di cognizioni, anzi, che in molti casi potranno essere conosciute dal c.d.a. solo in quanto sia lo stesso c.c.g. a trasmettergliele in ossequio ai propri doveri 87. È dunque assai facile che il c.c.g. sia in una posizione di vantaggio cognitivo, rispetto agli altri amministratori; ed è questa circostanza a renderlo potenziale portatore di una [continua ..]
Le notazioni svolte tracciano una prospettiva entro la quale può essere riconsiderata l’intera disciplina del sistema monistico. Se, infatti, il vantaggio cognitivo di cui il c.c.g. dispone, rispetto agli altri amministratori, è così decisivo, in termini di possibili ricadute sul piano della responsabilità, allora diventa ancora più importante stabilirne l’origine (quali sono gli strumenti informativi di cui il c.c.g. si può avvalere?), misurarne l’entità (quanto è ampio il differenziale di conoscenza che detti strumenti possono determinare in capo al c.c.g., rispetto agli altri amministratori?), definirne termini e condizioni (qual è il grado di autonomia del c.c.g. nel governare tali mezzi istruttori?): il tutto attraverso una rivalutazione complessiva del modello di amministrazione e controllo oggetto di discussione. Una simile trattazione, peraltro, non può essere condotta, come si è sostanzialmente fatto sin qui, in termini unitari per tutte le società che adottano il monistico, ossia senza avere riguardo al fatto che esse siano regolate dal (solo) codice civile ovvero (anche) dal testo unico della finanza o dalla disciplina bancaria. È vero, infatti, che gli strumenti conoscitivi del c.c.g. che si sono sino a ora incidentalmente richiamati (v. § 4: lo scambio informativo con il revisore legale dei conti, i contatti con l’organo di controllo della società controllante o delle società controllate, il diritto di presenza alle riunioni del comitato esecutivo, la richiesta di informazioni agli amministratori esecutivi, ecc.), sono presenti in tutti i segmenti normativi appena menzionati. Eppure, tra questi ultimi sussistono talune non trascurabili differenze, le quali consigliano di considerare separatamente il modello monistico così come disciplinato nel codice civile (nel presente paragrafo) e, poi, valutare le relative peculiarità nelle declinazioni della legislazione speciale (in quello successivo). Nell’architettura del codice civile, per la verità, il discorso sembrerebbe confinato proprio ai mezzi istruttori – presenti anche nella regolamentazione delle società quotate e delle società bancarie – appena ricordati: non vi è infatti cenno espresso ad altri poteri che il c.c.g. può esercitare e ciò ha rappresentato materia di acceso confronto, [continua ..]
La situazione muta parzialmente nella regolamentazione del sistema monistico contenuta nel testo unico della finanza e nella disciplina bancaria. In tali segmenti normativi, infatti, è del tutto pacifico che la società che adotti un simile modello allestisca al suo interno strutture e procedure di controllo, che i relativi responsabili riferiscano anche al c.c.g. e, infine, che quest’ultimo possa avvalersene per svolgere le proprie verifiche e i propri accertamenti (art. 150, co. 4 e 5, t.u.f.; Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, Parte Prima, Tit. IV, Cap. 1, Sez. III, § 3.1, nonché § 3.2, punto 1, lett. a): ciò è certo apprezzabile, poiché esonera chi interpreta (e applica) il sistema monistico dal compito di raggiungere tali risultati in via ermeneutica, come invece occorre fare rispetto alla relativa normativa codicistica, riflettendo sull’elenco dell’art. 2409 octiesdecies, co. 5, lett. b e c, c.c.; elenco, tra l’altro, che si deve ritenere di per sé applicabile anche nel contesto delle società quotate, sia pure con l’integrazione delle previsioni speciali di cui all’art. 149, co. 1 e 4 ter, t.u.f. 116. Peraltro, proprio perché l’attivazione obbligatoria di un sistema di controllo interno è un esito già conseguibile in sede interpretativa per le società di diritto comune, il fatto che l’ordinamento lo preveda dichiaratamente, in quelle invece di diritto speciale, non ha significative ripercussioni sull’entità del privilegio informativo che, per effetto di tale canale conoscitivo, il c.c.g. può maturare rispetto agli altri amministratori (per lo meno, non esecutivi), così come sull’ambito della relativa responsabilità: sotto questo profilo, quindi, le considerazioni già svolte a proposito dell’assetto risultante dal c.c., valgono anche quando la regolamentazione applicabile sia contenuta nel t.u.f. e nella disciplina del settore bancario 117. Più sensibili, invece, sono le conseguenze della scelta dell’ordinamento di fornire il c.c.g., nell’ambito delle società quotate e di quelle bancarie e diversamente da quelle di diritto comune, del potere di interloquire con gli organi (oltre che di controllo, anche) di amministrazione delle società controllate in merito all’andamento [continua ..]
Si impone a questo punto un’ultima serie di considerazioni. Dopo aver indagato termini e condizioni della responsabilità del c.c.g., in quanto titolare di specifiche «attribuzioni» nel sistema della responsabilità degli amministratori (v. §§ 4-5); e dopo aver verificato – distintamente a seconda che la società sia, o al contrario non sia, quotata o bancaria – l’origine e la portata del privilegio informativo conseguente a dette prerogative esclusive (v. §§ 6-7); occorre compiere un ulteriore (e qui conclusivo) passaggio: stabilire la posizione di responsabilità del singolo componente del c.c.g. rispetto a quella degli altri membri del medesimo organo. Il punto di partenza è, a tal proposito, la natura solidale della corresponsabilità che stringe tutti i componenti del c.c.g.: e ci si riferisce ovviamente (non tanto al caso in cui essa abbracci tutti i membri del c.d.a., quanto piuttosto) all’ipotesi in cui, a essere responsabili in via esclusiva, senza coinvolgimento degli altri amministratori (per lo meno di quelli non esecutivi), siano i soli componenti del c.c.g. La solidarietà tra componenti del c.c.g. ben riflette un dato emerso nelle pagine che precedono, ossia che le informazioni raccolte da tale organo devono sempre andare a vantaggio della generalità dei suoi membri. In effetti, sia che la responsabilità di chi è parte del c.c.g. derivi dalla mancata trasmissione (o dalla incompleta trasmissione, o dalla inesatta trasmissione) di dati e notizie al plenum; sia che essa discenda, per così dire a monte, dalla stessa mancata vigilanza (e dunque dalla mancata attivazione di poteri, il cui esercizio sarebbe stato coerente con un’esecuzione dell’incarico secondo diligenza); la condotta dannosa è sempre imputabile all’intero c.c.g. La scelta di non trasmettere (o di trasmettere parzialmente, o di trasmettere in un certo modo), così come l’inerzia nello svolgere indagini o verifiche (o la decisione di svolgerne solo alcune, anziché altre), sono riferibili all’organo di controllo nel suo complesso; e le connesse responsabilità si ripercuotono, con vincolo di solidarietà, su tutti i relativi componenti 123. È su questo sfondo che ci si può e ci si deve chiedere a quali condizioni il singolo componente del c.c.g. possa essere [continua ..]
Alcune notazioni di sintesi sono a questo punto possibili e, sulla base di esse, pure alcune osservazioni conclusive. Gli elementi raccolti durante l’indagine sono plurimi; se li si volesse condensare in pochi, e brevi, cenni, si direbbe che si tratta di quattro dati principali: (i) l’adozione di un parametro di diligenza, per scrutinare l’esercizio della funzione di controllo, parzialmente diverso rispetto a quello applicabile ai componenti del collegio sindacale, in quanto agganciato non alla necessaria «professionalità» dell’incarico, bensì alle «specifiche competenze» di cui i singoli membri siano portatori. La composizione del c.c.g. peraltro – con la necessaria presenza, anche nelle società non quotate e non bancarie, di almeno un revisore legale dei conti – comporta in ogni caso l’ingresso, nei criteri di determinazione della diligenza, di un certo grado di perizia: sia in relazione alla valutazione della funzione di controllo del c.c.g., sia con riferimento all’esercizio della funzione gestoria dell’intero c.d.a. (v. § 3); (ii) l’individuazione di un criterio per la disapplicazione della corresponsabilità (solidale) tra amministratori e, così, per l’applicazione della concentrazione di responsabilità in capo ad alcuni amministratori soltanto, fondato sulla disponibilità in via riservata, in ragione delle funzioni svolte, di informazioni che siano decisive rispetto ai fatti pregiudizievoli occorsi (v. § 4). Il che apre la possibilità di considerare il c.c.g. responsabile, quale titolare di specifiche «attribuzioni», tutte le volte in cui non abbia informato il c.d.a. delle criticità rilevate o quando abbia addirittura omesso gli atti di verifica e controllo che, nella situazione data, era doveroso assumere alla luce della diligenza attesa (v. § 5). Un meccanismo che dovrebbe spingere il c.c.g. a una costante, pronta e puntuale informazione del c.d.a. in merito a eventuali anomalie meritevoli di essere corrette o, anche solo, monitorate; (iii) la rivalutazione degli strumenti conoscitivi di cui il c.c.g. è munito, e da cui esso può ricavare un privilegio informativo rispetto agli altri amministratori e così: nelle società non quotate e non bancarie, l’individuazione della obbligatorietà di un sistema di controllo interno, oltre [continua ..]