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1. Introduzione. - 2. L’identità cooperativa in prospettiva comparatistica. - 3. L’identità cooperativa nei Principi dell’Allenza Cooperativa Internazionale. - 3.1. Lo scopo delle società cooperative. - 3.1.1. Lo svolgimento di attività d’impresa. - 3.1.2. La fornitura di servizi ai soci. - 3.1.3. L’agire in favore dei soci al fine di soddisfare un loro comune interesse di natura economica, sociale o culturale. - 3.1.4. I limiti alla remunerazione del capitale sottoscritto dai soci e l’obbligo di destinare parte degli utili in favore del movimento cooperativo e della collettività. - 3.2. La governance delle società cooperative. - 3.2.1. L’organizzazione democratica. - 3.2.2. Il controllo da parte dei soci (e l’inammissibilità del controllo esterno). - 3.2.3. La cooperativa quale organizzazione “aperta”. - 4. Identità cooperativa e legislazione cooperativa. - 4.1. Assenza di legislazione cooperativa (e di identità giuridica delle cooperative). - 4.2. Legislazione cooperativa ad identità cooperativa “debole” (e il modello legislativo del “doppio binario”). - 4.3. L’impresa cooperativa: attività con i soci ed attività con i terzi non soci. - 4.4. La base sociale: soci utilizzatori e soci finanziatori (non utilizzatori). - 4.5. La destinazione degli utili. - 4.6. Il principio democratico. - 4.7. L’ammissione di nuovi soci e il carattere “aperto” della cooperativa. - 5. Conclusioni. - NOTE
Questo articolo tratta dell’identità giuridica delle società cooperative in prospettiva comparatistica ed è diviso in tre parti. La prima contiene alcune riflessioni generali sul ruolo e la funzione della legge e dell’analisi comparatistica sul tema dell’identità cooperativa (§ 2). La seconda si concentra sull’identità cooperativa così come delineata nei Principi dell’Alleanza Cooperativa Internazionale (d’ora in poi: “Principi ACI”) e più in generale nella Dichiarazione dell’ACI sull’identità cooperativa, nella quale tali Principi sono inseriti (§ 3). La terza pone a confronto l’identità risultante dai Principi ACI con l’identità che diverse legislazioni nazionali europee assegnano alle società cooperative (§ 4). Seguono alcune considerazioni conclusive (§ 5).
È opinione diffusa quella per cui una legislazione cooperativa adeguatamente congegnata sia essenziale per lo sviluppo delle società cooperative, la loro difesa contro potenziali detrattori e il loro migliore posizionamento nella “competizione” con altre forme giuridiche di esercizio dell’impresa, in particolare le società con scopo di lucro [1]. È possibile giustificare questa tesi mediante una serie di argomenti che non necessitano, però, di essere qui tutti richiamati [2]. Può essere infatti sufficiente ricordare come, nella recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’8 settembre 2011, il Regolamento n. 1435/2003 sulla società cooperativa europea (d’ora in poi: “SCE”) si riveli essenziale nel ragionamento della Corte per la distinzione tra società cooperative ed altre forme giuridiche di esercizio dell’impresa, in particolare le società a scopo di lucro; e su questa base, per la valutazione di potenziale compatibilità col mercato unico, segnatamente con il divieto degli aiuti di stato, di norme di diritto nazionale che accordino alle cooperative un trattamento fiscale agevolato [3]. Ciononostante, la dimensione giuridica non ha ancora sufficientemente attratto la dottrina cooperativistica, soprattutto a livello internazionale e in prospettiva comparata. Solo in alcuni paesi europei, primi tra tutti l’Italia e la Germania, si è sviluppata ed è florida un’importante dottrina giuridica in materia di società cooperative, che però, anche in questi paesi virtuosi, non sembra avere ancora assunto una visione europea e una sufficiente propensione alla comparazione, come invece è accaduto per la dottrina in tema di società di capitali [4]. Anche in ragione dell’importanza che, come detto, la legislazione può assumere ai fini della tutela e dello sviluppo delle società cooperative, sarebbe pertanto auspicabile che il movimento cooperativo dedicasse maggiori risorse alla promozione della ricerca giuridica a livello globale e in prospettiva comparatistica. Una ricerca di questo genere dovrebbe muovere dal tema specifico dell’identità giuridica delle società cooperative, che assume precedenza su tutti gli altri non solo per ragioni sistematiche, ma anche in chiave strettamente politica, come la citata [continua ..]
La rilevanza dei Principi ACI (e più in generale della Dichiarazione dell’ACI sull’identità cooperativa) per l’analisi giuridica dell’identità cooperativa deriva in primo luogo dalla loro comprovata natura di fonti “persuasive” di diritto delle società cooperative. La dimostrazione più evidente di questa loro efficacia è costituita dal loro essere menzionati o addirittura formalmente incorporati in alcune leggi cooperative nazionali [22]. Non v’è dubbio, inoltre, che la loro importanza aumenterebbe considerevolmente qualora si accogliesse la tesi, prima riferita, secondo cui i Principi ACI sarebbero principi di diritto pubblico internazionale, essendo stati incorporati nella raccomandazione dell’OIL n. 193/2002. I Principi ACI individuano un tipo di organizzazione imprenditoriale caratterizzato sia dalle particolari finalità perseguite sia da una particolare struttura di governance. Conseguentemente, nel prosieguo si riorganizzeranno le varie disposizioni contenute nei Principi ACI intorno a due voci generali: “scopo” e “governance”, che sono poi i due elementi necessari e sufficienti nell’analisi giuridica per identificare un particolare tipo di organizzazione e distinguerlo da tutti gli altri [23]. Si adotterà qui un concetto ampio di “scopo”, comprensivo non solo dello scopo-fine della cooperativa, ma anche del suo scopo-mezzo, ovverosia dell’attività svolta al fine del raggiungimento dello scopo-fine. Si considereranno parimenti rilevanti per la definizione dello scopo le previsioni sulla destinazione degli avanzi di gestione e degli utili d’esercizio. Diversamente, non si terrà conto di quelle disposizioni dei Principi ACI che appaiono irrilevanti in termini di identità cooperativa, quali quelle in merito alla natura volontaria dell’atto di costituzione della cooperativa (cfr. “definizione” e primo principio) e alla natura dei soci, se individui, cooperative o altri tipi di organizzazione (sebbene quest’ultimo elemento sia in generale importante per l’articolazione interna della disciplina delle cooperative) [24]. Molte disposizioni dei Principi ACI necessitano di essere interpretate e/o integrate mediante ricorso all’interpretazione. In alcuni casi esse richiedono soltanto un’interpretazione [continua ..]
Seguendo lo schema sopra riferito, i successivi paragrafi tratteranno dunque dello scopo delle società cooperative come risultante dai Principi ACI, e metteranno in risalto le principali questioni emergenti dalla lettura di questo documento, anche in prospettiva di teoria generale della legislazione cooperativa.
Nella definizione di cui alla Dichiarazione dell’ACI sull’identità cooperativa, «un’impresa di proprietà comune e controllata democraticamente» costituisce il mezzo attraverso il quale la cooperativa persegue le proprie finalità. Pertanto, stando ai Principi ACI, la cooperativa è un tipo di organizzazione la cui attività consiste nell’esercizio di un’impresa. Di conseguenza, quelle organizzazioni il cui oggetto sociale sia diverso dallo svolgimento di un’attività di natura imprenditoriale (per esempio, erogare rendite o fornire servizi gratuitamente) non potrebbero in alcun caso essere considerate cooperative.
Il primo e il terzo principio ACI fanno riferimento alla fornitura di servizi da parte della cooperativa ai propri soci. Questo è uno degli elementi più significativi dell’identità cooperativa (soprattutto al fine di distinguere le cooperative dalle società lucrative), così come uno dei più controversi. Dai Principi ACI emerge dunque che l’impresa cooperativa è rivolta ai soci, essendo destinata a fornire loro servizi. In altre parole, i soci della cooperativa – che sono o diventano tali mediante sottoscrizione di quote del suo capitale (cfr. il terzo principio ACI) – sono altresì gli utenti dei servizi prodotti e forniti dalla cooperativa, che essi acquistano mediante transazioni o scambi con quest’ultima. Pertanto, nelle cooperative, i soci/proprietari dell’organizzazione sono anche utenti/acquirenti dei servizi forniti: essi posseggono questa “doppia qualità” [25]. I Principi ACI non chiariscono se l’identificazione socio/utente debba essere totale o possa anche essere soltanto parziale, ciò che solleva due questioni fondamentali: a) se una cooperativa possa avere soci che non siano utilizzatori dei servizi da essa forniti[26]; e b) se una cooperativa possa avere utenti che non siano soci (cioè, se una cooperativa possa fornire i propri servizi a terzi non soci)[27]. Nessuna delle due questioni trova esplicita soluzione nei Principi ACI. Una precisazione è inoltre necessaria. Nonostante i Principi ACI facciano riferimento alla fornitura di servizi, ciò non può tuttavia condurre a negare la possibilità che altre tipologie di scambio si svolgano tra la cooperativa e i soci, come prestazioni lavorative (nelle cooperative di lavoro) o fornitura di beni e servizi dai soci alla cooperativa (nelle cooperative di produzione) [28]. «Fornitura di servizi» deve pertanto interpretarsi estensivamente e non già testualmente.
Nella definizione di cooperativa presente nella Dichiarazione dell’ACI si legge che la cooperativa è un’organizzazione che agisce in favore dei propri soci, al fine di soddisfare un loro comune interesse di natura economica, sociale o culturale. Pertanto, sempre stando all’identità proclamata dall’ACI, la cooperativa, in termini strettamente giuridici, non potrebbe essere considerata un’organizzazione “altruistica” o “solidaristica”, ovvero più precisamente, considerato che esercita attività d’impresa, una “impresa sociale”. Ciò sarebbe impedito dalla circostanza che la cooperativa non agisce esclusivamente o principalmente nell’interesse generale o della comunità, bensì nell’interesse dei propri soci. Da questo punto di vista, dunque, parrebbe non sussistere alcuna differenza tra la cooperativa e le società lucrative [29]. Ciò non significa, tuttavia, ignorare la particolare funzione sociale delle cooperative rispetto alle società lucrative [30], che è conseguenza dello specifico scopo perseguito, cioè soddisfare bisogni dei soci diversi dal puro investimento del capitale conferito in società; della loro particolare struttura di governance, dove le persone contano più del capitale e dove, alla luce della democraticità, tutti i soci contano allo stesso modo indipendentemente dalla quantità di capitale sottoscritto (cfr. §§ 3.2.1. e 3.2.3.); e dei vari obblighi di destinazione “esterna” degli utili contemplati nei Principi ACI (cfr. § 3.1.4.) [31]. Questa è molto probabilmente una delle principali ragioni per cui la forma cooperativa è stata impiegata dai legislatori nazionali per introdurre la fattispecie dell’impresa sociale nei loro ordinamenti giuridici. Infatti, la prima generazione di leggi europee sull’impresa sociale, a cominciare dalla legge italiana 381/1991, è costituita da leggi sulle cooperative sociali: un tipo speciale di cooperativa caratterizzato dallo scopo di perseguire l’interesse generale [32]. Tuttavia, ferma restando la funzione sociale di tutte le cooperative, una distinzione concettuale tra cooperative ordinarie e cooperative sociali deve comunque essere stabilita e mantenuta. Le cooperative sociali, infatti, non perseguono il medesimo obiettivo [continua ..]
Dal terzo principio ACI si ricava che la cooperativa non può avere scopo principale di lucro, cioè lo scopo di remunerare il capitale sottoscritto dai soci distribuendo loro utili d’esercizio (che, al contrario, è lo scopo tipico delle società lucrative). Nelle cooperative è ammessa soltanto una limitata remunerazione del capitale. Questo è un altro dei più importanti elementi dell’identità cooperativa, determinante al fine della distinzione delle cooperative dalle società lucrative (che normalmente non sono sottoposte ad alcun vincolo nella remunerazione del capitale). I Principi ACI, tuttavia, non chiariscono quale remunerazione del capitale sia ammessa, ovverosia quali siano i limiti alla distribuzione di utili ai soci in base al capitale conferito. Inoltre i Principi ACI individuano alcune possibili destinazioni degli utili di gestione, e cioè: – allo sviluppo della cooperativa, possibilmente mediante la costituzione di riserve, almeno in parte indivisibili (terzo principio); – a beneficio dei soci, in proporzione alle loro transazioni con la cooperativa (terzo principio); – a supporto di altre attività approvate dai soci (terzo principio); – all’educazione e formazione di soci ed amministratori, etc., e all’informazione del pubblico (quinto principio); – al rafforzamento del movimento cooperativo (sesto principio); – ad azioni di sviluppo sostenibile della comunità (settimo principio). A quest’ultimo riguardo i Principi ACI appaiono però abbastanza vaghi. Sicuramente essi non pongono sufficiente enfasi sulla distribuzione degli utili in proporzione agli scambi dei soci con la cooperativa, che dovrebbe invece essere la tipica forma di remunerazione dei soci in un’organizzazione, come la cooperativa, in cui i soci assumono la “doppia qualità” di soci ed utenti. Invero, mentre nelle società lucrative i soci sono tipicamente remunerati in ragione ed in proporzione del capitale sottoscritto, i soci cooperatori dovrebbero essere remunerati in ragione ed in proporzione dei loro scambi con la cooperativa. Questa specifica forma di remunerazione dei soci cooperatori dovrebbe quanto meno essere denominata in un documento così importante come i Principi ACI [34]. I Principi ACI dovrebbero più nettamente stabilire che [continua ..]
Nei successivi paragrafi si descriveranno e commenteranno quei profili di governanceattraverso i quali i Principi ACI individuano le società cooperative, ponendo in evidenza le principali questioni disciplinari che essi sollevano
Il carattere democratico della cooperativa, che già compare nella definizione di cooperativa e tra i valori cooperativi nella Dichiarazione dell’ACI, è sviluppato nel secondo principio ACI, secondo cui «nelle cooperative di primo grado i soci hanno gli stessi diritti di voto (“un socio, un voto”) e le cooperative di grado superiore sono anch’esse organizzate in maniera democratica». Siamo evidentemente al cuore dell’identità cooperativa e della distinzione tra cooperative e società lucrative, dal momento che in queste ultime il principio organizzativo di default è “un’azione (o una quota), un voto” [36]. Nelle cooperative ciascun socio ha un voto a prescindere dall’ammontare di capitale sottoscritto, ciò che implica trattamento paritario dei soci indipendentemente dall’eventuale diversa misura della partecipazione finanziaria di ciascuno nella cooperativa. Questa è la ragione per cui in alcuni ambienti giuridici le cooperative sono sostanzialmente considerate associazioni di persone, e per cui i soci di cooperativa non sono chiamati azionisti o quotisti (ma semplicemente “soci”) ancorché, di fatto, essi contribuiscano alla formazione del capitale sociale della loro cooperativa (come si evince anche dal terzo principio ACI); ed ancora, ciò giustifica la ricorrente affermazione secondo cui nelle cooperative la persona prevale sul capitale [37] e spinge a constatare come il capitale delle cooperative non svolga la medesima funzione (organizzativa ed economica) di quello delle società lucrative. I Principi ACI non contemplano alcuna esplicita eccezione al principio “un socio, un voto” nelle cooperative di primo grado, sicché ci si deve chiedere se sia consentito ai legislatori nazionali prevedere eccezioni al principio, e in caso di risposta affermativa, entro che limiti e nel rispetto di quali condizioni. Il secondo principio ACI è invece più generico con riferimento alle cooperative di secondo grado (nel cui ambito rientrano i consorzi di cooperative, propri di alcune esperienze giuridiche nazionali, come quella italiana) o di grado ulteriore, per le quali impone un metodo democratico di organizzazione, ma non necessariamente il voto capitario. Peraltro, in senso stretto, cooperative di secondo o ulteriore grado dovrebbero essere [continua ..]
In un certo senso, il quarto principio ACI completa il principio democratico di organizzazione (cfr. § 3.2.1.), corroborandone così gli effetti. Il quarto principio ACI chiarisce tanto che un singolo socio non può controllare la cooperativa (ciò che è già la conseguenza del principio “un socio, un voto”), quanto che tutti i soci nel loro complesso devono poter governare la cooperativa in autonomia e senza influenze esterne derivanti, ad esempio, da contratti di finanziamento [39]. Nel caso di legislazioni che consentano l’ammissione di soci investitori in una cooperativa – ciò che in effetti si verifica con riguardo a diverse legislazioni nazionali europee – il quarto principio ACI dovrebbe svolgere la funzione di impedire che una cooperativa possa finire con l’essere controllata da questa categoria di soci. Sarebbe probabilmente eccessiva l’interpretazione secondo cui questo quarto principio escluda la possibilità di ammettere soggetti non soci nell’organo di amministrazione della cooperativa o, quanto meno, imponga che la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione sia costituita da soci della cooperativa. Infatti, se gli amministratori non soci sono nominati e revocati dai soci della cooperativa, il controllo della cooperativa rimane pur sempre in capo a questi ultimi (ancorché indirettamente), sicché il quarto principio ACI dovrebbe ritenersi rispettato [40].
La struttura aperta della membership cooperativa è conseguenza di quanto dispone il primo principio ACI, secondo cui «le cooperative sono … aperte a tutte le persone in grado di utilizzare i loro servizi e disposte ad accettare le responsabilità connesse all’adesione, senza alcuna discriminazione sessuale, sociale, razziale, politica o religiosa». Questa disposizione, tuttavia, può essere interpretata in due differenti modi: a) o nel senso che una cooperativa è obbligata ad ammettere tutti coloro che, capaci di utilizzarne i servizi e disposti ad accettare le responsabilità dell’adesione, chiedano di essere ammessi (principio della “porta aperta”); oppure b) nel senso che, se e quando la cooperativa decida di ammettere nuovi soci, non possa selezionarli su base discriminatoria. Nel primo caso sussisterebbe l’obbligo della cooperativa di accogliere le domande di ammissione presentate dai terzi. Nel secondo soltanto l’obbligo di non discriminare i richiedenti sulla base degli elementi indicati nel primo principio (sesso, opinioni politiche, ecc.). Accogliendosi la prima interpretazione, sorgerebbe il problema di stabilire le condizioni sostanziali e i limiti dell’obbligo di accettazione, ovverosia se e quando il rifiuto di ammissione da parte della cooperativa sia legittimo, di come controllare le decisioni della cooperativa riguardo all’ammissione di nuovi soci e di come proteggere i terzi aspiranti soci. Alla luce del principio della “porta aperta”, poi, sarebbe davvero difficile giustificare una cooperativa che da un lato operi stabilmente con terzi non soci, dall’altro rifiuti richieste di ammissione, specie se provenienti dai medesimi terzi con cui opera. La difficoltà sussisterebbe altresì nell’ipotesi in cui la cooperativa di fatto applicasse ai non soci (nelle transazioni con questi ultimi) le medesime condizioni che ai soci, dal momento che i primi in ogni caso non deterrebbero i diritti di amministrazione che i secondi possiedono in quanto soci della cooperativa. Il carattere aperto della cooperativa, dunque, non è soltanto effetto della variabilità del capitale sociale, che costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico destinato a facilitare l’ammissione di nuovi soci in un tipo di organizzazione che è per definizione [continua ..]
In questa seconda parte dell’articolo si porranno in luce le principali questioni che le legislazioni cooperative di diversi ordinamenti nazionali europei sollevano sotto il profilo dell’identità cooperativa, in particolare se si assumono i Principi ACI come termine di comparazione. In tal modo si avrà altresì la possibilità di presentare la grande varietà esistente nel definire una cooperativa nelle legislazioni europee, nonché le diverse modalità con cui i legislatori nazionali si relazionano ai Principi ACI.
Preliminarmente occorre chiedersi se l’assenza di una disciplina nazionale delle società cooperative, e conseguentemente di una loro specifica identità legislativa, sia compatibile con la raccomandazione dell’OIL n. 193/2002, soprattutto se si condivide la tesi secondo cui quest’ultima sia fonte di diritto pubblico internazionale. Invero, il punto 6 di questa Raccomandazione recita: «Una società equilibrata necessita dell’esistenza di un settore pubblico e di un settore privato forti, come pure di un forte settore cooperativo, mutualistico, e di altre organizzazioni sociali e non governative. In tale contesto, i governi dovrebbero porre in essere una politica e un quadro giuridico favorevoli, commisurati alla natura e alla funzione delle cooperative, ispirandosi ai valori e principi cooperativi …»; e il suo punto 10 (1) aggiunge: “Gli Stati membri dovrebbero adottare specifiche legislazioni e norme sulle cooperative, basate sui valori e i principi cooperativi … e rivedere tali legislazioni e norme ove necessario». Ebbene, mentre migliorare la legislazione cooperativa al fine di promuovere le cooperative è una questione che può porsi con riferimento a tutti gli ordinamenti giuridici nazionali europei, esiste un paese in Europa privo di legislazione generale sulle cooperative, che è l’Irlanda. Attualmente si discute in Irlanda se una legge sulle cooperative sia necessaria, e debba essere dunque introdotta, oppure se l’assenza di una legge sulle cooperative continui ad essere la soluzione preferibile [45]. Se si considera la raccomandazione dell’OIL fonte di diritto pubblico internazionale, appare evidente come il dibattito in questo paese (e, più in generale, in ogni paese appartenente all’OIL che fosse privo di legislazione cooperativa) non possa essere diretto soltanto a valutare la convenienza pratica di una legge sulle cooperative e dunque di un’identità legislativa delle cooperative – svolgendo eventualmente un’opportuna comparazione, e valutazione in termini di potenziali benefici per il movimento cooperativo, tra paesi, come la Danimarca, in cui la legislazione cooperativa ha un bassissimo livello prescrittivo, e paesi, come la Norvegia, in cui invece la legislazione cooperativa è ad alta intensità prescrittiva [46] – ma debba altresì tenere [continua ..]
Alcune leggi nazionali disciplinano le cooperative in un modo tale per cui una specifica identità cooperativa risulta quasi inesistente o, quanto meno, non conforme all’identità dei Principi ACI. È difficile in questi casi attribuire alle cooperative un’identità effettivamente diversa da quella delle società lucrative [48]. In alcuni casi ciò è il risultato di una disciplina composta unicamente o principalmente di norme dispositive, ovverosia regole che non sono imperative bensì derogabili, trovando applicazione soltanto in assenza di una diversa e contraria disposizione statutaria. Nella disciplina delle cooperative in Lussemburgo, ad esempio, non ci sono norme sull’attività della cooperativa con i soci, sulla distribuzione degli utili in funzione ed in proporzione alle transazioni dei soci con la cooperativa, o sulla costituzione di riserve indivisibili. Inoltre, la regola “un socio, un voto” si applica soltanto in assenza di previsioni statutarie (cfr. art. 117, par. 1, n. 4, legge 10 agosto 1915 sulle società commerciali) [49]. In questo paese la situazione è ancora peggiore se si considera la figura delle «società cooperative organizzate come società anonime» (art. 137-1 ss., legge 10 agosto 1915, come modificata dalla legge 10 giugno 1999), che è stata giustamente definita una “caricatura” di cooperativa [50]. Le legislazioni cooperative olandese (cfr. libro II del Codice civile olandese) e svedese (EFL SFS 1987:667) rappresentano esempi simili. L’identità che attribuiscono alle cooperative è incompleta sotto diversi aspetti, ed anche i profili considerati (incluso quello della democraticità) lo sono soltanto mediante norme dispositive, derogabili per statuto. Una situazione leggermente diversa si riscontra in quei sistemi che adottano una sorta di modello del “doppio binario” nel disciplinare le cooperative, poiché riconoscono due (sotto)tipi o (sotto)categorie di cooperativa, una delle quali caratterizzata da un’identità cooperativa molto debole se non addirittura inesistente, laddove nell’altra alcuni profili di identità cooperativa sono presenti (ciò che, comunque, di per sé non significa che questi profili siano corrispondenti a quelli identitari presenti nella Dichiarazione [continua ..]
Come già osservato, alla luce dei Principi dell’ACI la cooperativa è un’organizzazione che si propone di agire con e nell’interesse dei propri soci, quali acquirenti (dei beni o servizi forniti dalla cooperativa), fornitori (dei beni o servizi impiegati dalla cooperativa nello svolgimento della propria attività d’impresa), o lavoratori della cooperativa stessa. Ciò rende le cooperative differenti dalle società lucrative, poiché in queste ultime i proprietari dell’impresa non necessariamente sono anche suoi utenti, fornitori o lavoratori né, qualora per avventura lo fossero, le società lucrative sarebbero tenute ad agire nel loro interesse in quanto tali (cioè, in quanto utenti, fornitori o lavoratori), bensì soltanto in quanto investitori e dunque in proporzione all’ammontare del capitale conferito. Di conseguenza, diversamente dalle società lucrative, le cooperative non sono strumenti di remunerazione ed accumulazione del capitale, bensì soddisfano interessi di natura diversa. Occorre accertare se il diritto cooperativo individui e protegga questo particolare profilo identitario escludendo o almeno circoscrivendo la possibilità per una cooperativa di agire con terzi non soci (cioè di rifornire, acquistare da, e impiegare al lavoro terzi non soci), poiché quest’azione strumentale sul mercato dei beni o servizi o del lavoro al fine di massimizzare l’utilità dei soci costituisce elemento identificativo delle società con scopo di lucro. Nell’occuparsi di questo aspetto, è necessario peraltro tenere presente che una cooperativa potrebbe avvertire una contingente necessità di espandere il bacino dei propri acquirenti, fornitori, lavoratori, sicché il problema vero è posto da una permanente attività con terzi non soci. L’esame delle legislazioni nazionali europee produce il seguente risultato. In alcune leggi cooperative la definizione di cooperativa comprende espressamente la relazione tra cooperativa e soci, mentre l’aspetto dell’attività con terzi non soci non è preso in considerazione, ciò che potrebbe intendersi nel senso che la cooperativa non sia legittimata ad agire con terzi non soci (mutualità esclusiva o pura). Più esattamente, alcune leggi cooperative proibiscono in via di [continua ..]
Secondo i Principi ACI, una cooperativa ha lo scopo di concludere transazioni con i propri soci, che sono pertanto soci-utenti. Conseguentemente, la cooperativa, a differenza delle società lucrative, non si propone di remunerare il capitale conferito dai soci. Più precisamente, la remunerazione dei soci sulla base del capitale conferito è ammessa solo entro determinati limiti. Detto ciò, si pone la questione se una cooperativa possa avere soci interessati esclusivamente alla remunerazione del capitale, e non già anche a scambiare con la cooperativa o a lavorare per essa. Detto diversamente, la questione concerne se una cooperativa possa ottenere capitale di rischio anche da soci (non utilizzatori e pertanto esclusivamente) investitori. Ovviamente questo è un punto particolarmente rilevante sotto il profilo dell’identità cooperativa, dal momento che la remunerazione del capitale sottoscritto dai soci costituisce la finalità delle società lucrative e la ragione del conferimento da parte dei soci. D’altra parte, le cooperative, al pari delle società lucrative, possono avvertire esigenze finanziarie alle quali la partecipazione di soci investitori potrebbe fornire adeguata risposta. Come deve il diritto cooperativo regolare questo punto? Il silenzio dei Principi ACI deve intendersi nel senso che la partecipazione di soci meramente investitori sia vietata? Ed in ogni caso, i limiti alla remunerazione del capitale devono ritenersi applicabili anche ai soci investitori? [61] Rispetto alle suddette questioni, le legislazioni nazionali europee reagiscono in modo diverso: – la maggioranza delle legislazioni cooperative non si occupa di soci investitori, legittimando pertanto l’interpretazione secondo cui essi non siano ammissibili [62]; – altre legislazioni cooperative semplicemente attribuiscono agli statuti delle cooperative la facoltà di prevedere l’ammissione di soci investitori [63]; – ancora altre legislazioni cooperative – sulle stesse linee del regolamento SCE, che in questa materia ha chiaramente influenzato i legislatori nazionali – da una parte autorizzano la partecipazione di soci investitori (normalmente a condizione che lo statuto della cooperativa lo preveda), dall’altra impediscono mediante norme imperative che la cooperativa possa finire per essere controllata dalla categoria dei soci [continua ..]
Come detto, facendo riferimento ai Principi ACI, la distinta identità delle cooperative si fonderebbe anche su particolari criteri di distribuzione ai soci degli avanzi di gestione; criteri che siano coerenti con la natura delle cooperative quali organizzazioni che si propongono di operare con i propri soci nella veste di utenti (oppure di fornitori o lavoratori), soddisfacendo in tal modo interessi diversi dall’investimento del capitale. Inoltre, facendo riferimento a forme di allocazione degli utili diverse dalla loro distribuzione ai soci – cioè la costituzione di riserve indivisibili, il sostegno del movimento cooperativo e lo sviluppo sostenibile della comunità – i Principi ACI delineano un tipo di organizzazione la cui “funzione sociale” emerge con chiarezza. Si pone pertanto la questione se, come ed in che misura il diritto delle società cooperative consideri ed inglobi questo elemento identitario. Tale elemento comprende diversi aspetti che possono essere specificamente trattati e combinati dalla legge in maniera diversa. L’analisi sarà qui di conseguenza limitata a mostrare dove le legislazioni cooperative nazionali prevalentemente si pongano in contrasto con i Principi ACI nella disciplina di questo specifico profilo identitario. Diverse legislazioni cooperative europee non riconoscono con nettezza il concetto di “patronage refund” o ristorno cooperativo, e di conseguenza non distinguono quest’ultimo da quello di dividendo quale remunerazione del capitale conferito dai soci [65]. Ciò ovviamente produce il risultato che la legge non è in grado di obbligare la cooperativa a distribuire ristorni piuttosto che dividendi [66] o a limitare la distribuzione di dividendi, favorendo in tal modo la distribuzione di ristorni. In molti paesi europei, dunque, la materia della distribuzione degli avanzi di gestione, ancorché cruciale per l’identità cooperativa, non è oggetto di norme imperative, ma è interamente affidata agli statuti delle cooperative [67]. Confusione sul punto, con conseguente assenza di disposizioni adeguate, si nota anche nel regolamento SCE. Primo, il regolamento SCE, nella sua versione in lingua inglese, chiama “dividends” quelli che in realtà sono ristorni (così viene infatti correttamente tradotto nella versione italiana del regolamento SCE il [continua ..]
Il principio ACI “un socio, un voto” – che forse, per ciò che attiene alla governance dell’ente, costituisce il più importante e tradizionale profilo dell’identità cooperativa – è seguito da quasi tutte le legislazioni cooperative europee. Tuttavia, l’attuazione del principio varia significativamente tra i diversi paesi, cosicché, nuovamente, i diritti cooperativi nazionali possono essere classificati nel modo seguente: – ci sono legislazioni cooperative in cui la regola “un socio, un voto” è imperativa e non sono contemplate eccezioni alla medesima [76]; – ci sono invece legislazioni cooperative in cui la regola “un socio, un voto” è dispositiva e pertanto derogabile da parte degli statuti di cooperativa. Più precisamente, questo secondo gruppo deve essere diviso in sotto-gruppi, dal momento che: – alcune legislazioni cooperative non pongono espliciti limiti agli statuti di cooperativa, sicché la deroga alla regola “un socio, un voto” è per principio libera [77]; – altre legislazioni cooperative, invece, ammettono soltanto alcune deroghe in ragione della natura della cooperativa (ad es., cooperative agricole); della base sociale (ad es., cooperative di secondo grado, cooperative di imprenditori); del criterio applicato per attribuire più voti (ad es., in proporzione all’attività del socio con la cooperativa); della natura del beneficiario del voto plurimo (ad es., socio investitore); oppure di una combinazione dei suddetti criteri [78]; – ancora altre legislazioni cooperative pongono specifici limiti al potere statutario di deroga, finalizzati a prevenire che la cooperativa finisca per essere controllata da un solo socio (o da un’unica categoria di soci) [79].
Facendo riferimento alla base sociale aperta delle cooperative, il primo principio dell’ACI fa emergere un ulteriore aspetto della socialità delle cooperative. Infatti, se la base sociale è aperta, tutte le persone desiderose di diventare socie della cooperativa possono, in teoria, essere ammesse a partecipare alla distribuzione dei benefici che la cooperativa è in grado di generare in favore dei soci. Evidentemente, il concetto (e il precetto) della base sociale aperta presuppone che gli utenti non soci della cooperativa siano trattati diversamente dai (e non meglio dei) soci utenti, poiché altrimenti questo profilo di identità cooperativa non avrebbe molto senso [80]. Come si è precedentemente sottolineato, tuttavia, il principio della base sociale aperta può essere interpretato in due differenti modi: o come obbligo per la cooperativa di ammettere nuovi soci o soltanto come obbligo per la cooperativa di non discriminare i terzi che chiedano di essere ammessi. In ogni caso, come già osservato, il carattere aperto della cooperativa richiede uno strumento tecnico-giuridico che faciliti l’ammissione di nuovi soci, che è la variabilità del capitale, infatti contemplata da quasi tutte le legislazioni cooperative europee (in alcuni casi nell’ambito della stessa definizione di cooperativa). Come hanno i legislatori interpretato ed applicato il primo principio dell’ACI? Il regolamento SCE cerca una sorta di compromesso tra l’autonomia della cooperativa e l’interesse dei terzi attraverso una regola che è possibile rinvenire in diverse legislazioni cooperative europee [81]. Infatti, l’art. 14, par. 1, Reg. 1435/2003, da una parte prevede che la richiesta di ammissione debba essere approvata dagli amministratori; dall’altra, nel caso di rifiuto, attribuisce al richiedente il diritto di fare appello all’assemblea dei soci. Pertanto, il carattere aperto della cooperativa certamente non s’intende qui nel senso che la cooperativa è obbligata ad ammettere i terzi aspiranti, cioè nel senso che i terzi hanno diritto di diventare soci. In realtà, ai terzi è offerta solo tutela in forma indiretta mediante il diritto di fare appello all’assemblea (la quale, naturalmente, ben potrebbe non accogliere tale appello e così confermare la decisione degli amministratori). Si pone la [continua ..]
L’analisi comparatistica rivela l’esistenza in Europa di numerose identità giuridiche cooperative, confermando dunque che i Principi ACI non sono integralmente seguiti o sono estensivamente interpretati dai legislatori europei. Questa situazione non aiuta a differenziare, soprattutto a livello sovranazionale, le cooperative dal modello dominante delle società detenute e controllate dagli investitori di capitale per finalità di puro profitto, ciò che senz’altro può avere ripercussioni negative in termini di effettivo pluralismo delle forme di impresa presenti sul mercato. Invero, un trattamento giuridico particolare delle cooperative, ad esempio a fini tributari o della concorrenza, è più difficile da giustificare se l’identità giuridica delle cooperative non è chiara, è variabile di paese in paese, ed in alcuni casi è molto distante da quella ideale proposta dall’ACI. Una maggiore produzione di studi giuridici, soprattutto di natura comparatistica, eventualmente promossa dal movimento cooperativo e dalle sue organizzazioni di rappresentanza, potrebbe in qualche modo aiutare a fronteggiare la questione con mezzi adeguati. Inoltre, e soprattutto, maggiore attenzione dovrebbe essere dedicata ai Principi ACI, anche in prospettiva di una loro revisione. La loro efficacia, infatti, non dipende soltanto dalla loro pretesa qualità di principi di diritto pubblico internazionale, quale conseguenza della loro formale incorporazione nella raccomandazione n. 193/2002 dell’OIL, ma anche dalla loro completezza e chiarezza, così come dalla capacità dell’ACI di imporre questo standard normativo, ciò che forse presupporrebbe una governance del movimento cooperativo meno centrata sulle singole nazioni, e più proiettata in dimensione sovranazionale, di quanto attualmente non appaia essere. Gli studiosi del diritto delle società cooperative dovrebbero inoltre cominciare a discutere il tema dell’uniformità e diversità della legislazione cooperativa. Si tratta di un argomento che ha attirato l’attenzione degli studiosi del diritto societario [84], ma non ancora di quelli specializzati nel diritto delle cooperative. L’opinione diffusa secondo cui esiste una tradizione locale del diritto cooperativo che deve essere rispettata a dispetto di qualsiasi tentativo di [continua ..]