Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Società in house providing e miste e responsabilità da direzione e coordinamento (di Francesca Vessia)


SOMMARIO:

1. Premessa. - 2. La nozione di “ente” alla luce dell’art. 19, 6° comma, d.l. n. 78/2009. - 3. La ratio dell’esenzione dello Stato dalla responsabilità da direzione e coordinamento. - 4. La natura imprenditoriale dell’attività svolta dalle società in house providing e miste e la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. - 5. Il grado di specialità della disciplina comunitaria e nazionale per le società in house. - 6. Sussistenza o meno dell’attività di direzione e coordinamento ex art. 2497 ed applicabilità della responsabilità alle società in house providing. - 7. L’applicabilità della responsabilità da direzione e coordinamento alle società miste. - NOTE


1. Premessa.

La questione dell’applicabilità della disciplina dei gruppi alle società in house providing e miste aveva già da tempo cominciato a porsi in dottrina in ragione della esigenza di individuazione dell’esatto contenuto del controllo analogo e delle conseguenti responsabilità gravanti in capo all’ente esercente tale controllo: in altre parole se il controllo analogo, secondo l’elaborazione fattane in sede comunitaria [1], fosse tale da integrare sempre gli estremi di un’attività di direzione e coordinamento, così da comportare l’applicazione della disciplina sulla responsabilità in capo all’ente pubblico controllante la società di autoproduzione. Più in generale il problema dell’applicabilità della disciplina dei gruppi, in particolare quella in tema di responsabilità della capogruppo, ha riguardato tutte le società pubbliche e già da tempo erano individuabili due diversi orientamenti: uno negativo tendeva a sottrarre a tale disciplina gli enti pubblici in forza della natura non imprenditoriale dell’attività esercitata secondo alcuni [2], e secondo altri in ragione del prevalente principio di contabilità pubblica che imporrebbe agli enti di procedere a spese solo di ammontare determinato o determinabile in ossequio alla norma dell’art. 81 Cost. [3]; un diverso orientamento positivo mirava ad affermare, per contro, la soggezione degli enti pubblici alla responsabilità da direzione e coordinamento come a tutte le norme di responsabilità previste dal diritto societario, sul presupposto della ricorrenza dei requisiti previsti dalla legge per le medesime fattispecie di responsabilità [4]. Tuttavia di recente il problema dell’applicabilità della responsabilità da direzione e coordinamento alle società in house providing e miste si è imposto con urgenza all’attenzione degli interpreti in forza dell’art. 19, 6° comma, d.l. n. 78/2009 convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102, intervenuto a chiarire in via interpretativa l’esclusione dello Stato dalla nozione di “ente” che esercita l’attività di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 c.c. [5]. Si tratta quindi di capire se tale norma possa essere interpretata estensivamente, sì da includervi anche le [continua ..]


2. La nozione di “ente” alla luce dell’art. 19, 6° comma, d.l. n. 78/2009.

La disposizione del­l’art. 19, 6° comma, succitato, sancisce che «per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria». Prima che il legislatore intervenisse con questa norma interpretativa l’opinione prevalente in dottrina circa la nozione di “ente” di cui all’art. 2497 era che vi potessero essere inclusi tutti i soggetti giuridici collettivi sia privati che pubblici [11] e tra quelli pubblici nessun distinguo veniva fatto fra Stato ed enti pubblici diversi (statali, locali, territoriali, societari a partecipazione pubblica totalitaria, maggioritaria o minoritaria e altri), salvo il riscontro relativo “all’agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui” da parte dell’ente pubblico (direttamente o tramite società controllate o partecipate), ossia l’esercizio di un’attività ulteriore e diversa da quella pubblica istituzionale, essendo questa una condizione necessaria per l’applicazione della disciplina sulla responsabilità nei gruppi. La citata norma interpretativa introduce una distinzione all’interno della nozione di “ente” tra lo Stato ed altri soggetti giuridici collettivi, ma dal tenore letterale della stessa non è possibile inferire se nella residua categoria inclusiva degli “altri” soggetti giuridici collettivi vi siano solo enti privati o anche enti pubblici, essendo individuato come criterio ordinatore di tali soggetti quello della detenzione della “partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”. Sembrerebbe che il legislatore abbia voluto escludere a priori che lo Stato possa svolgere attività imprenditoriale o agire per finalità di natura economica o finanziaria e per questa ragione abbia scelto di sottrarlo alla responsabilità da direzione e coordinamento. Stando ad una prima lettura sarebbe questa la ratio giustificativa dell’esenzione dello Stato dalla responsabilità per attività di direzione e coordinamento [12]. Ma già da tempo l’opinione dominante nella dottrina commercialistica ha negato che possa ravvisarsi sempre [continua ..]


3. La ratio dell’esenzione dello Stato dalla responsabilità da direzione e coordinamento.

La prima e più immediata soluzione relativa alla ratio dell’art. 19, si è già detto, potrebbe essere individuata nel carattere non imprenditoriale dell’attività svolta dallo Stato o della finalità non economica o finanziaria della partecipazione pubblica da esso assunta. Si ripropone qui la questione, ampiamente dibattuta in passato in riferimento alle società a partecipazione statale [16] e tornata d’attualità dopo la novella societaria del 2003, in relazione alla non riferibilità alle società pubbliche di un “interesse imprenditoriale proprio” [17], presupposto per l’applicazione della responsabilità disciplinata nell’art. 2497. È vero che il legislatore ha, già dal 2007 (con la legge finanziaria 2008), limitato la capacità generale degli enti pubblici relativamente all’assunzione di partecipazioni o alla costituzione di società, escludendola per le imprese di produzione di beni e servizi in genere e circoscrivendola alle “società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie attività istituzionali” (art. 3, 27°-32°-ter comma, legge 24 dicembre 2007, n. 244) [18]. Ma con ciò non si è certamente voluto togliere la matrice imprenditoriale ad alcune attività di produzione di beni e servizi, ma solo limitarne l’esercizio da parte degli enti pubblici a quelle che presentino una pertinenza con le attività istituzionali svolte dall’ente. Una valutazione che mirasse ad escludere la natura imprenditoriale alle attività economiche gestite dagli enti pubblici, quindi, peccherebbe per eccesso, non soltanto per il fatto che non si possa escludere a priori il perseguimento di finalità economiche e/o di interessi imprenditoriali da parte dello Stato, simultaneamente al perseguimento di finalità istituzionali e pubbliche; non anche solo per la intrinseca irragionevolezza e contraddittorietà degli effetti dell’opzione operata da questi interpreti, ossia di applicare tutta la disciplina della direzione e coordinamento agli enti pubblici ma di sottrarli alla relativa responsabilità (posto che se la natura imprenditoriale manca come presupposto della responsabilità dovrebbe mancare anche per l’applicazione [continua ..]


4. La natura imprenditoriale dell’attività svolta dalle società in house providing e miste e la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale.

Per avallare tale conclusione si deve verificare che l’attività svolta dalle società in house e miste abbia natura imprenditoriale o la partecipazione sociale sia detenuta per finalità di natura economica o finanziaria, essendo questa una condizione indefettibile richiesta dall’art. 19, 6° comma, per poter considerare destinatari della disciplina sulla direzione e coordinamento ex art. 2497 gli “enti” ed i soggetti giuridici collettivi diversi dallo Stato. In buona parte le cose già dette in ordine all’interesse perseguito dallo Stato nelle società da esso partecipate può essere ripetuto per gli enti pubblici territoriali e per gli altri enti pubblici diversi dallo Stato nei seguenti termini. Affermata l’utilizzabilità degli schemi societari per il perseguimento di finalità anche ulteriori rispetto a quella lucrativa (scopo mutualistico, consortile, pubblicistico), e la compatibilità con il sistema di società pluri-causali, non si potrà considerare estraneo l’interesse imprenditoriale, astrattamente ed in via generale, da parte degli enti che costituiscono, o partecipano a, società per l’esercizio e la gestione di servizi pubblici d’in­teresse economico senza andare a valutare caso per caso il grado di alterazione del tipo societario legale default, ossia delle deroghe legali o convenzionali al diritto societario generale necessarie per la realizzazione degli scopi pubblici prefissati. Muovono in questa direzione diversi indici. In primo luogo, come già sostenuto autorevolmente, “è da ritenere che anche la finalità di autoproduzione sia una finalità di natura economica” [28] come emerge dalla stessa legislazione pubblicistica, in particolare dall’art. 113-bis t.u.e.l., che qualifica tali servizi come servizi pubblici di rilevanza economica, definibili come quella categoria comprensiva di tutti i servizi suscettibili di presentare, anche potenzialmente, un interesse imprenditoriale ed economico [29]. In secondo luogo, in linea con tale qualificazione e partendo dalla premessa della natura imprenditoriale dell’attività svolta, si muovono le pronunce della giurisprudenza più recente che sostengono, per un verso, l’assoggettabilità delle società pubbliche alle procedure di fallimento e di amministrazione [continua ..]


5. Il grado di specialità della disciplina comunitaria e nazionale per le società in house.

Gli affidamenti in house providing hanno seguito, sin dalla nota sentenza Teckal [36], una regolamentazione particolare di matrice giurisprudenziale comunitaria, cui il legislatore nazionale aveva affiancato un regime ancor più restrittivo contenuto dapprima nell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008 (convertito in legge n. 133/2008, poi modificato dall’art. 15, 3° comma, del d.l. n. 135/2009 convertito in legge n. 166/2009) e nel suo regolamento di attuazione (d.p.r. n. 168/2010) e dopo il referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 nell’art. 4 del d.l. n. 138/2011. Oggi queste disposizioni risultano abrogate dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012 e non più riproposte dal legislatore interno, ad eccezione di un generico rinvio ai principi comunitari di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Alla luce della disciplina del “controllo analogo” si dovrà dare una risposta alla questione di vertice, se sia ravvisabile uno “statuto speciale” per le società in house [37], e in caso affermativo se gli elementi di specialità siano tali da intaccare il regime generale della responsabilità da direzione e coordinamento provocandone la disapplicazione. La giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunità europea richiede per gli affidamenti in house che ricorrano sia un controllo da parte dell’ente pubblico-socio sulla società partecipata “analogo a quello esercitato sui propri servizi” sia che la società “realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano” [38]. Sulla destinazione prevalente dell’attività non si sono poste particolari questioni. Invece, sul controllo analogo la Corte ha continuato ad intervenire negli anni per meglio specificare che esso richiede un controllo pubblico totalitario sul capitale anche se non esercitato individualmente [39] ma congiuntamente da più enti pubblici [40] e che non vi siano prospettive di privatizzazione o programmi di dismissione delle partecipazioni anche solo parziali [41] né forme indirette di controllo (mediante holding) [42] che non consentirebbero la piena esplicazione dei poteri che l’ente socio potrebbe esercitare sui propri organi ed uffici. Il socio pubblico, inoltre, deve poter [continua ..]


6. Sussistenza o meno dell’attività di direzione e coordinamento ex art. 2497 ed applicabilità della responsabilità alle società in house providing.

Venendo all’interrogativo di fondo sull’applicabilità della disciplina sui gruppi alle società in house, avendo appurato la sussistenza dei requisiti dell’interesse imprenditoriale, della violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e indagato il grado di specialità di queste società rispetto al regime codicistico generale – constatando che siamo di fronte a società speciali in relazione ad alcuni e ben specifici aspetti della disciplina che però nulla hanno a che vedere con la normativa sui gruppi – si deve registrare che il controllo analogo integra tutti gli estremi dell’at­tività di direzione e coordinamento, essendo un potere certamente più penetrante del tipico controllo societario (ex art. 2359 c.c.) espresso dalla formula “influenza dominante” secondo la presunzione dettata dall’art. 2497-septies [60]. Ed anzi forse si potrebbe dire che rappresenta la forma più conclamata di etero-direzione, tale da non poter essere scalfita minimamente neanche mediante prova contraria [61], che invece è ammessa in forza della presunzione semplice prevista dall’art. 2497-sexies c.c. Tuttavia, la mancanza di alterità sostanziale tra l’ente locale partecipante e la società in house partecipata, e la totale immedesimazione dell’interesse sociale con l’interesse dell’ente pubblico della partecipante, potrebbero indurre a sposare l’opposta conclusione, in forza della difficoltà di ravvisare gli estremi di un danno da direzione e coordinamento nel patrimonio della società che sia scindibile dal danno erariale al patrimonio dell’ente pubblico socio. In questi casi parte della dottrina afferma che ci si trovi di fronte a “società di mera forma privatistica ma la sostanza è tutta attratta nell’organizzazione dei pubblici poteri trattandosi di una attività di amministrazione indiretta” [62] o di una “proiezione organizzativa dell’ente pubblico, parte integrante dello stesso” [63]. Dovremmo giungere alla conclusione, con riferimento alle società in house, che alla forma societaria privatistica si contrapponga una sostanza pubblicistica, e che ci si trovi di fronte a “formule insincere”, per usare le parole di Tullio Ascarelli, o “società [continua ..]


7. L’applicabilità della responsabilità da direzione e coordinamento alle società miste.

Per le società miste [75] il problema dell’assoggettamento alla responsabilità da direzione e coordinamento, una volta risolto positivamente l’aspetto più discutibile e controvertibile relativo alle società in house providing, può essere risolto in modo piano invocando un argomento a fortiori di quanto già esplicitato. In relazione al danno, si può dire che laddove manca la unicità della titolarità del capitale sociale in capo all’ente pubblico-socio, e sorge l’esigenza di preservare anche gli interessi di soci privati (di minoranza o maggioranza) risulta a fortiori inadeguato lo strumento dell’azione contabile di responsabilità e indispensabile il ricorso alle azioni di responsabilità per l’abusivo esercizio dell’attività di direzione unitaria come anche delle ordinarie azioni – sociali e dei creditori – contro gli amministratori. In relazione all’interesse imprenditoriale proprio o altrui ed alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nulla di diverso rispetto alle considerazioni già svolte può essere riferito alle società miste, se non a fortiori che la compresenza di interessi privati accanto a quelli pubblici, certamente finalizzati al perseguimento del massimo profitto, confermano la compatibilità dello strumento societario con finalità e interessi diversi, anche pubblicistici, purché venga perseguito da parte degli organi sociali il rigoroso rispetto delle norme imperative che non siano espressamente derogate, ed in particolare quelle di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Da ultimo, in relazione alla sussistenza del potere di direzione unitaria, qualche dubbio potrebbe sorgere stante la estrema diversificazione delle fattispecie concrete che si possano presentare: socio pubblico con maggioranza del capitale sociale o socio pubblico con minoranza del capitale sociale. Se il socio pubblico detiene la maggioranza del capitale sociale la situazione si presenta in tutto conforme a quella fattispecie di controllo azionario di diritto, di cui all’art. 2359 c.c., da cui discende la presunzione di direzione unitaria ai sensi dell’art. 2497-sexies. Se il socio pubblico fosse invece minoritario si dovrebbe accertare in concreto la ricorrenza del controllo azionario di fatto che, sempre alla [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2012