TRIBUNALE DI CASSINO – 7 novembre 2011 – Petteruti Giudice Unico
Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Clausola di prelazione – Denuntiatio – Natura – Proposta contrattuale – Contenuto – Tutti gli elementi del contratto
(Artt. 2469, 1325, 1326 c.c.)
La denuntiatio, prevista dalla clausola di prelazione in caso di trasferimento delle quote di una società a responsabilità limitata, non si sostanzia nella mera enunciazione della sola intenzione di vendere la propria quota, ma integra una vera e propria proposta contrattuale, che, come tale, deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto che si intende concludere. (1)
Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Clausola di prelazione – Denuntiatio – Indicazione nominativa del terzo acquirente – Necessità – Condizioni
(Artt. 2469, 1362 ss. c.c.)
In presenza di una clausola di prelazione non dettagliata contenuta nello statuto di una società a responsabilità limitata, è necessario indicare nella denuntiatio il nome del terzo acquirente solo quando, valutate le circostanze del caso concreto ed esaminata la volontà posta alla base della clausola di prelazione, emerga chiaramente la rilevanza dell’intuitus personae. (2)
(Omissis)
Motivi della decisione
Come è noto, l’art. 2469 c.c., in tema di s.r.l., stabilisce, al comma 1, la libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi ed a causa di morte, facendo salva una diversa disposizione dell’atto costitutivo.
Quest’ultimo inciso normativo trova la sua estrinsecazione nelle clausole limitative della circolazione delle partecipazioni, nell’ambito delle quali deve certamente ricomprendersi la clausola di prelazione, la cui presenza nell’atto costitutivo obbliga il socio che voglia alienare le propria quota ad offrirla agli altri soci, i quali avranno diritto di acquistarle alle medesime condizioni concordate con i terzi.
Prescindendosi dalla questione relativa all’individuazione dell’interesse perseguito mediante l’apposizione della clausola di prelazione, uno dei maggiori problemi che pone questo tipo di pattuizioni è quello di stabilire quale sia il contenuto minimo della denuntiatio ed, in particolare, se in essa debba essere necessariamente indicato il nominativo del terzo acquirente.
Secondo una prima tesi, non vi sarebbe alcun motivo per cui l’alienante che abbia ricevuto una proposta vantaggiosa da un terzo debba rinunciare, nei confronti degli aventi diritto alla prelazione, al ruolo eventuale di accettante, affrontando così il rischio di una sicura conclusione del contratto: la denuntiatio, dunque, non sarebbe una proposta contrattuale, anche perché, così opinando, si lederebbe l’interesse del soggetto passivo del rapporto di prelazione a verificare se anche il soggetto attivo sia disponibile ad offrire le medesime condizioni del terzo e, quindi, a decidere solo in un momento successivo se addivenire o no alla stipulazione.
Secondo una seconda tesi, nettamente prevalente in dottrina ed in giurisprudenza e pienamente condivisa da questo giudice, invece, la denuntiatio non si sostanzia nella mera enunciazione della sola intenzione di vendere la propria quota (o parte di essa), ma integra una vera e propria proposta contrattuale, che, come tale, deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto che si intende concludere.
A tale conclusione si perviene osservando, in primo luogo, che dall’esame di tutta la normativa in tema di prelazione legale, cui quella volontaria e, quindi, anche quella in materia societaria, fa riferimento, si desume in maniera evidente come in capo all’alienante sussista un vero e proprio obbligo di offrire, con la conseguenza che la denuntiatio deve essere qualificata come vera e propria proposta contrattuale.
Ancora, si osserva che l’oblato ha solamente la possibilità di addivenire o no alla stipula del contratto, ma non di controproporre altre clausole o condizioni, e che questa situazione è tipica della mera accettazione, cui fa da contraltare una proposta contrattuale.
Ne consegue, secondo una tesi più rigorosa, che, tenuto conto delle finalità di controllo che persegue la clausola di prelazione, cioè la possibilità per l’avente diritto d’impedire il trasferimento ad un soggetto non gradito, in tutte le ipotesi di prelazione, tanto legale che volontaria, è sempre essenziale (nella denuntiatio) la menzione del nome del soggetto acquirente, sussistendo per entrambi i tipi di prelazione il medesimo regime giuridico di base.
Nettamente predominante, tanto in dottrina che in giurisprudenza (Cass. civ., n. 7879/01; Cass. civ., n. 1407/81) è, tuttavia, l’orientamento, pure condiviso da questo giudice, secondo cui l’indicazione del terzo è necessaria solo quando, valutate le circostanze del caso concreto ed esaminata la volontà posta alla base della clausola di prelazione, emerga chiaramente la rilevanza dell’intuitus personae.
Tale indicazione, infatti, non solo consentirebbe di tutelare l’interesse della società al mantenimento dell’omogeneità della compagine sociale, ma permetterebbe, altresì, un corretto esercizio del diritto di prelazione, in quanto la serietà dell’offerta potrebbe assumere una rilevanza determinante anche in base all’identità del soggetto offerente.
Ciò, alla luce della riforma del diritto societario, è a dirsi ancor di più per le s.r.l.: a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 06/03, infatti, la s.r.l. non è più qualificabile come mero sottotipo della s.p.a., avendo, al contrario, assunto un’autonoma rilevanza per l’impronta marcatamente personalistica impressale dal legislatore, che l’ha fortemente avvicinata alle società di persone.
In presenza di una clausola statutaria di prelazione non dettagliata, dunque: 1) è necessario che la proposta contenga tutti gli elementi essenziali minimi del contratto di cessione di quote sociali; 2) al fine di stabilire se il soggetto passivo del rapporto di prelazione abbia l’obbligo di indicare anche il nome del terzo interessato all’acquisto, si deve ricorrere ai criteri di cui agli art. 1362 ss. c.c., individuando le finalità che la clausola tutela «… sì che l’indicazione del nominativo del terzo è da ritenere necessaria tutte le volte in cui la clausola di prelazione – alla stregua degli elementi del caso concreto forniti dal tipo sociale, dalla compagine societaria preesistente, dall’entità della percentuale da trasferire, ecc. – risulti posta anche a tutela dell’interesse del socio ad influire, mediante la sua decisione se acquistare o no, sulla possibilità di ingresso in società di un soggetto a lui non gradito …» (Trib. Roma, 08 luglio 2005).
Nel caso di specie, si è senza dubbio in presenza di una clausola statutaria di prelazione cd. non dettagliata: l’art. 7 dello statuto, infatti, prevede, del tutto genericamente, soltanto l’obbligo di offerta della quota in prelazione ai soci, con una, del pari del tutto generica, specificazione «… delle condizioni e delle modalità della vendita …», ed un termine per l’esercizio del diritto di prelazione.
Ora, se così è, la denuntiatio inviata dai soci C. e T. è innanzitutto priva di uno degli elementi essenziali minimi del contratto di cessione di quote sociali di s.r.l., ossia l’esatta indicazione dell’oggetto del contratto, vale a dire l’entità della partecipazione oggetto della cessione.
La stessa, inoltre, atteso che viene in rilievo una s.r.l., vale a dire un tipo sociale in cui assume preminente rilievo, da un lato, la figura dei soci (ossia l’intuitus personae) e, dall’altro, l’entità della quota posseduta dal soggetto cedente, doveva necessariamente contenere il nominativo del terzo acquirente.
La clausola oggetto di esame, dunque, è inefficace ed improduttiva di effetti e tale è, di conseguenza, l’accettazione fatta dalla socia S. in esercizio del diritto di prelazione conferitole dallo statuto sociale.
Le domande attoree vanno, dunque, rigettate.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
(Omissis).
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1. Il caso - 2. L’assenza di una normativa di riferimento e i precedenti giurisprudenziali - 3. Le posizioni della dottrina sui requisiti della denuntiatio nella prelazione societaria: analisi critica dell’attuale stato dell’arte - 4.1. Il commento: irrilevanza della disciplina legale della prelazione e dell’indagine basata sulla natura giuridica della denuntiatio - 4.2. Segue: profili comparatistici - 4.3. Segue: incidenza dei profili funzionali della prelazione societaria sugli elementi strutturali della denuntiatio - 4.4. Segue: spunti circa la necessità di indicazione nella denuntiatio della persona del terzo come conseguenza dell’inerenza della prelazione statutaria alla disciplina del gruppo - NOTE
La sentenza in commento ha ad oggetto il problema della natura giuridica e dei requisiti della denuntiatio in ipotesi di clausola di prelazione c.d. non-dettagliata prevista dallo statuto di una società a responsabilità limitata. In particolare, la decisione del tribunale di Cassino si segnala poiché per un verso identifica la denuntiatio come proposta contrattuale e, per l’altro, prende posizione sulla questione dell’indicazione del nominativo del terzo acquirente, considerandola parte integrante del contenuto minimo essenziale della denuntiatio là ove – come nel caso concreto – dall’interpretazione dello statuto della s.r.l. emerga l’essenzialità dell’intuitus personae. La vicenda processuale – per quanto è possibile evincere dalla stringata motivazione – trae origine dal trasferimento delle partecipazioni di due soci di una s.r.l., attuata a favore di un soggetto, in violazione del diritto di prelazione sancito dallo statuto sociale. All’esito del giudizio, il Tribunale di Cassino dichiara improduttivo di effetti l’acquisto [1]. La declaratoria di inefficacia è conseguenza dell’affermata irregolarità della denuntiatio, poiché effettuata congiuntamente dai soci promittenti-alienanti senza la specificazione dell’oggetto del contratto, e senza l’indicazione del nominativo del terzo acquirente. Ed infatti, nonostante lo statuto della società contenesse una clausola di prelazione c.d. non-dettagliata, il giudice – per un verso – considera necessaria nella denuntiatio, in quanto vera e propria proposta contrattuale, l’esatta indicazione degli elementi essenziali minimi del contratto di cessione di quote sociali di s.r.l., ossia l’entità delle singole partecipazioni oggetto del trasferimento. Per altro verso, ritiene obbligatoria la menzione del nome del terzo potenziale acquirente: e ciò non solo per consentire agli altri soci di ponderare la serietà della proposta, ma anche e soprattutto per permettere loro di valutare l’opportunità o meno dell’eventuale ingresso in società di un terzo, in considerazione dell’intuitus personae, che sarebbe caratteristica connaturata alla s.r.l. dopo le modifiche apportate dalla riforma del 2003. Le conclusioni del tribunale laziale circa la natura e i requisiti della denuntiatio [continua ..]
La denuntiatio nella prelazione societaria non trova un’espressa regolamentazione codicistica. Come già sotto il vigore della disciplina precedente alla riforma del diritto societario, d’altro canto, né le norme in tema di s.r.l., né quelle in tema di s.p.a. disciplinano in maniera specifica la stessa clausola di prelazione societaria, nonostante la sua ampia diffusione nella prassi contrattuale [2]. Il fondamento normativo della legittima previsione di clausole di prelazione in entrambi i modelli capitalistici, come noto, è rappresentato dalla derogabilità della regola di libera trasferibilità, che informa la circolazione delle azioni e delle quote di s.r.l. [3]. Più precisamente, l’art. 2355-bis, 1° comma, c.c. si limita a prevedere che lo statuto può «sottoporre a particolari condizioni» il trasferimento delle azioni nominative di s.p.a. (nonché della partecipazione sociale nell’ipotesi di mancata emissione di titoli azionari) e può altresì, per un periodo di tempo limitato a cinque anni, vietarne del tutto il trasferimento [4]. In materia di s.r.l., invece, l’art. 2469, 1° comma, c.c., fissa il principio della libera trasferibilità, per atto tra vivi e per successione a causa di morte, delle partecipazioni sociali, «salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo», con una previsione che valorizza al massimo l’autonomia negoziale, la quale – potendo spingersi sino alla previsione dell’intrasferibilità assoluta (sia pure con i correttivi previsti dal 2° comma) – consente di conformare il modello della s.r.l. in chiave personalistica [5]. Tra le limitazioni al trasferimento delle partecipazioni sociali rientra la clausola di prelazione, la cui introduzione impone al socio, il quale voglia alienare la propria partecipazione sociale, di farne previa offerta agli altri soci attuali e di preferirli rispetto a terzi nella conclusione del contratto, di regola, a parità di condizioni [6]. Posto, dunque, che gli artt. 2355-bis e 2469 c.c. (come in passato i previgenti artt. 2355 e 2479 c.c.) si limitano a consentire l’astratta legittimità di clausole statutarie di prelazione, mentre la fonte della loro previsione in concreto resta il contratto sociale, ne deriva che la prelazione societaria rappresenta una [continua ..]
Anche in dottrina non si registra uniformità di vedute circa la natura e i requisiti della denuntiatio nella prelazione societaria. Ed infatti alcuni autori, negando la natura di atto negoziale, riconducono la denuntiatio allo schema degli atti di partecipazione di un evento (avviso, interpellanza), mediante il quale il promittente, senza vincolarsi alla stipulazione del contratto, si limita a formulare un invito ad offrire al prelazionario, per verificare se quest’ultimo sia disposto a formulare – a sua volta – una proposta contrattuale contenente le condizioni di acquisto che il terzo si è dichiarato disposto ad accettare [24]. La teoria prevalente sostiene, invece, la natura di vera e propria proposta contrattuale della denuntiatio (sia pure revocabile ex art. 1328 c.c.), idonea a condurre all’immediata conclusione del contratto ai sensi dell’art. 1326 c.c., qualora la dichiarazione positiva del beneficiario (accettazione) sia ad essa conforme [25]. Nessuna delle due impostazioni è però del tutto condivisibile, poiché entrambe urtano contro le risultanze della prassi contrattuale. Dall’esame delle clausole di prelazione convenzionale, infatti, emerge che l’atto con cui il promittente è tenuto ad adempiere l’obbligo di comunicazione può assumere le formulazioni più varie [26]. E, d’altro canto, l’assenza di una disciplina espressa consente ampia libertà in materia all’autonomia privata, che non è vincolata al rispetto di particolari principi, purché la denuntiatio sia in grado di garantire la concreta ed effettiva possibilità di esercizio del diritto di preferenza da parte del promissario rispetto a qualunque altro soggetto nella conclusione del contratto. Appare, allora, preferibile ritenere che il problema della natura giuridica della denuntiatio non possa essere risolto in maniera unitaria, poiché va indagato in concreto in base all’interpretazione della clausola attributiva del diritto di prelazione, per verificare se le parti abbiano voluto prevedere un’ipotesi di mera comunicazione non impegnativa, ovvero una vera e propria proposta contrattuale che deve contenere gli estremi del contratto da stipulare [27]. Se dunque la natura giuridica della denuntiatio non è univoca, ma va identificata di volta in volta, permane il problema interpretativo della [continua ..]
Come si evince dal panorama giurisprudenziale e dottrinario sin qui sintetizzato, l’aspetto ancora oggi più controverso in tema di contenuto della denuntiatio nella prelazione societaria è rappresentato dall’indicazione del nome del terzo. Anche nella prassi la questione è nota, tant’è che molto spesso i soci preferiscono prevenire possibili contenziosi, predisponendo clausole di prelazione che elencano dettagliatamente i requisiti della denuntiatio, richiedendo al promittente venditore di indicare il nominativo dell’acquirente, oltre al prezzo e all’entità delle partecipazioni offerte in vendita e alle eventuali altre condizioni della cessione [34]. Al di fuori di tali ipotesi, invece, l’incompletezza del patto statutario di preferenza fa sorgere delicati problemi interpretativi. Il tema non meriterebbe un particolare approfondimento se ci si limitasse all’alternativa tra le contrapposte posizioni dottrinali e giurisprudenziali sopra evidenziate, rispetto alle quali la sentenza in commento non fa che aderire all’orientamento ormai prevalente [35]. In realtà, la decisione in epigrafe offre lo spunto per una rimeditazione più approfondita, la quale, partendo dalla considerazione di talune questioni sottese alla clausola di prelazione societaria, possa consentire di giungere ad una soluzione parzialmente diversa. Si vuole, infatti, dimostrare come l’indicazione del nome del terzo nella denuntiatio sia in realtà sempre necessaria [36]. Il fondamento non consiste, però, come erroneamente affermato dalla sentenza in commento, dalla configurazione della s.r.l. come contratto intuitus personae [37]. Al contrario, è l’introduzione della stessa clausola statutaria di prelazione in una società di capitali – e in particolare in una s.r.l. – che in concreto fa assumere rilievo organizzativo all’intuitus personae, a meno che non si tratti di un patto di prelazione, sia pure formalmente inserito nello statuto, ma di natura “parasociale” (sempre che lo si ritenga ammissibile: v. infra, § 4.4): è proprio quest’ultima eventualità che rende doveroso l’esame, caso per caso, del contratto sociale (cfr. infra, § 4.2). Per dimostrare tali affermazioni, occorre preliminarmente sgomberare il campo da alcuni preconcetti che hanno [continua ..]
La prospettiva qui accolta è, d’altro canto, coerente anche con l’impostazione prevalente sul piano dell’indagine comparatistica. Nei principali ordinamenti europei non si dubita in generale della legittimità di limitazioni convenzionali alla circolazione delle partecipazioni nei tipi corrispondenti alla nostra s.r.l., ed in particolare si riscontra una certa diffusione delle clausole che attribuiscono ai soci attuali uno ius protimeseos rispetto ai terzi, allo scopo di evitare l’ingresso in società di soggetti non graditi. Tuttavia, la disciplina delle modalità di esercizio del diritto di prelazione deve essere ricavata – di regola – dalla fonte negoziale e, in caso di clausole non-dettagliate, in via interpretativa. Da una parte vanno presi in considerazione quegli ordinamenti (Spagna e Francia) nei quali la cessione delle quote di s.r.l. è disciplinata in maniera più restrittiva, mancando un principio di libera trasferibilità, se non a favore dei soci e dei loro congiunti, salva diversa disposizione dello statuto. Così, nell’ordinamento spagnolo l’art. 29.2 LSRL sulla transmisión voluntaria por actos inter vivos delle partecipazioni sociali della sociedad de responsabilidad limitada consente deroghe al regime legale mediante apposita «regulación estatutaria» [50]. Il regime convenzionale può prevedere – oltre alle cláusulas de consentimiento e a quelle de opción o rescate – un derecho de adquisición preferente, la cui iscrizione nel Registro Mercantil è però subordinato all’espressa previsione, tra l’altro, delle «condiciones de ejercicio de aquel derecho y el plazo máximo para realizarlo» (art. 188.2 del relativo Regolamento-RRM) [51]. Meno utile il raffronto con la SARL francese, nella quale la transmission des parts sociales è in linea di principio ammessa liberamente solo a favore dei soci, a conferma del caractère fermé de la société e dell’essenzialità dell’intutitus personae [52]; mentre la cessione a favore di tiers étrangers à la société è subordinata alla preventiva notifica, sia alla società sia ai singoli soci, di un projet de cession, contenente necessariamente il nome del terzo [53], al fine [continua ..]
In presenza di clausole che, come quella della fattispecie oggetto della sentenza in esame, non contengono una regolamentazione esaustiva – facendo riferimento genericamente alla comunicazione delle «condizioni» del contratto (c.d. clausole di prelazione non dettagliate) – la soluzione del problema se tra i requisiti essenziali della denuntiatio debba ricomprendersi anche l’indicazione del nome del terzo potenziale acquirente non può essere univoca, ma va individuata caso per caso. Privilegiando rispetto al dato letterale, quello interpretativo, si intende qui dimostrare come i profili funzionali della prelazione societaria siano in grado di incidere sugli elementi strutturali della denuntiatio, determinandone il contenuto minimo essenziale anche nel silenzio dello statuto. Tale impostazione metodologica, d’altro canto, appare in linea con la generale tendenza della dottrina, che – proprio in tema di prelazione societaria – fonda la soluzione di una serie di questioni applicative sull’interpretazione della clausola statutaria [61]. Esegesi dello statuto societario, che deve essere condotta in base ai tradizionali canoni di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362-1371 c.c., applicabili anche all’atto costitutivo di società con gli opportuni adattamenti [62]. Ed infatti, l’indicazione del nome del potenziale acquirente, anche se non compaia tra gli elementi genericamente richiamati dalla clausola statutaria di prelazione, può considerarsi implicitamente richiesto nel contenuto della denuntiatio se l’interpretazione, letterale e funzionale, della clausola medesima faccia propendere per la rilevanza della persona del terzo [63]. Con la precisazione che tale esegesi, secondo l’insegnamento che appare preferibile, deve essere condotta non già isolatamente, ma in relazione all’interpretazione complessiva dello statuto e delle regole legali in tema di s.r.l. [64]. Prendendo le mosse dall’interpretazione letterale, come osserva il Tribunale di Cassino, «nel caso di specie, si è senza dubbio in presenza di una clausola statutaria di prelazione c.d. non dettagliata». Ed infatti, l’art. 7 dello statuto si limita a prevedere che al fine di assolvere l’obbligo di offerta della quota in prelazione ai soci, l’alienante debba specificare nella denuntiatio le [continua ..]
Se è vero (come chiarito in apertura del precedente § 4.3) che il problema dei requisiti essenziali della denuntiatio può essere risolto non secondo un principio di diritto generale ed astratto, ma in base a un’indagine in concreto, è lecito a questo punto chiedersi se, alla luce delle considerazioni ricavate dall’esegesi del precetto statutario in chiave funzionale, sia possibile afferma-re la necessità della indicazione del nome del terzo nella denuntiatio come integrazione necessaria in via interpretativa dello statuto sociale (ergänzende Auslegung) [81], ossia come conseguenza dell’inerenza della prelazione alla disciplina del gruppo [82]. La risposta pare – a questo punto – essere senz’altro affermativa. Se, infatti, la clausola di prelazione sotto il profilo teleologico tutela l’interesse del gruppo di impedire l’ingresso in società di terzi estranei (c.d. funzione di “controllo” sulla composizione e successiva alterazione soggettiva della compagine sociale), in questa prospettiva la conoscenza del nome del terzo diventa sempre essenziale per consentire ai soci attuali di valutare con consapevolezza l’opportunità di acquistare le quote in vendita, sopportandone il relativo costo in termini patrimoniali [83]. E la stessa necessità si può e si deve affermare anche quando la prelazione operi nella circolazione fra gli stessi soci, dal momento che l’indicazione nella denuntiatio del nome del potenziale acquirente (uno dei soci attuali) diventa condizione di operatività della clausola medesima [84]. Solo là ove, dall’esame complessivo dello statuto, e dall’espressa formulazione della clausola di prelazione dovesse emergere che essa risponde esclusivamente all’interesse di un singolo socio (o di alcuni soci) soggettivamente individuato(i) ad accrescere la propria partecipazione in caso di alienazione da parte di altri consoci, allora si dovrebbe escludere la inerenza della prelazione dalla disciplina del gruppo e la si dovrebbe qualificare più propriamente come patto parasociale, sia pure formalmente inserito nello statuto [85]. Con l’ulteriore conseguenza, per il discorso che qui interessa, che sarebbe allora irrilevante la conoscenza del nome del terzo, il quale potrebbe essere omesso nella denuntiatio. In [continua ..]