<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Verso uno «statuto speciale» degli amministratori indipendenti (Prime considerazioni sul d.lgs. n. 303/2006 e sulle modifiche al Regolamento Consob in materia di emittenti) (di Umberto Tombari)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Nuovi frammenti di uno «statuto speciale» degli amministratori indipendenti - 3. Alcuni problemi applicativi: perdita dei requisiti di indipendenza da parte di uno o più amministratori, successivamente alla nomina, e regime di «decadenza» (art. 147-ter, ultimo comma, Tuf) - 4. (Segue). Inesistenza di un obbligo per gli «amministratori non esecutivi» che presentino i requisiti di indipendenza di essere indicati come tali in lista ai sensi ed agli effetti del novellato art. 147-ter t.u.f. - 5. (Segue). Perdita dei requisiti di indipendenza da parte di uno o più amministratori nominati in un periodo antecedente all'introduzione dell’art. 147-ter t.u.f. (e senza voto di lista) e «decadenza» dalla carica - 6. (Segue). Amministratori indipendenti e gruppi di imprese - 7. Sulla funzione effettiva degli amministratori indipendenti nella governance delle società quotate italiane: «tanto rumore per nulla»? - NOTE


1. Premessa

Come è stato anche di recente osservato, «l’evoluzione del diritto azionario ha ormai fatto emergere una pluralità di figure o di categorie di amministratori, ciascuna connotata non soltanto da una propria diversa missione o identità sociologica, ma anche da una disciplina giuridica propria e differenziata quanto ai requisiti soggettivi, funzioni, doveri e di conseguenza anche regole di responsabilità» [[1]]. Relativamente alla società con azioni quotate, emergono distintamente tre figure di amministratori, dovendosi distinguere, innanzitutto, tra amministratori «esecutivi», «non esecutivi» e «non esecutivi indipendenti» [[2]]; a queste figure è certamente da aggiungere l’amministratore «di minoranza», ora espressamente previsto dall’art. 147-ter, 3° comma, t.u.f. [[3]]. Limitando la nostra attenzione agli amministratori «non esecutivi indipendenti» [[4]], se è vero che allo stato dell’ordinamento non esiste una disciplina organica, è possibile peraltro «rinvenire molteplici riferimenti a questa categoria di amministratori, sia a livello di codici di autodisciplina che a livello normativo» e su questa base (tentare di) «ricostruire sistematicamente un unico statuto speciale, che fissi un insieme di principi e di regole di condotta applicabili a qualsiasi amministratore che si qualifichi come indipendente» [[5]]. In questa prospettiva è stato anche sostenuto che lo statuto speciale degli amministratori indipendenti è da identificare, in primo luogo, nella sottoposizione di tale figura di amministratori a doveri «fiduciari» rafforzati rispetto a quelli che incombono sugli altri componenti del consiglio, ritenendosi che la qualifica di «indipendente» costituisca un fattore che innalza il livello di diligenza professionale richiesta e il dovere di lealtà di questi amministratori, «inteso quest’ultimo come dovere di presidiare l’interesse sociale, con particolare riferimento a quelle situazioni dove è forte il rischio di condizionamenti da parte degli amministratori esecutivi o del socio di controllo» [[6]]. Senza alcuna pretesa di approfondire in questa sede un tema così complesso e ricco di implicazioni (anche) pratiche, non vi è dubbio che [continua ..]


2. Nuovi frammenti di uno «statuto speciale» degli amministratori indipendenti

Nel tentativo di ricostruire le principali novità in punto di disciplina dell’amministratore indipendente, come sopra accennate, e di (ri)comporre, per questa via, lo statuto normativo di questa figura di amministratore, si può osservare, in estrema sintesi, quanto segue:   A) secondo il disposto del primo comma dell’art. 147-teru.f., le liste funzionali alla nomina dei componenti del Consiglio di amministrazione devono indicare «quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto»[[7]]. Tale obbligo è evidentemente strumentale a rendere noto, prima della elezione, quale, tra i candidati, risulti in possesso dei requisiti di indipendenza: e questo al chiaro fine di condizionare l’elezione, consentendo all’assem­blea dei soci di nominare alcuni componenti proprio in quanto in possesso di tali requisiti [[8]]. Come è stato esattamente osservato, è necessario che lo statuto disciplini la composizione delle liste e il meccanismo di elezione al fine di assicurare quanto meno «il risultato per legge (o anche quello per via di prescrizione statutaria) dovuto: e cioè l’elezione dell’amministratore o degli amministratori indipendenti» [[9]]. In particolare, ogni lista deve contenere un numero di «indipendenti» almeno pari a quello richiesto dalla legge (o dallo statuto), con la conseguenza che se viene presentata una solo lista (o se solo una viene votata nelle percentuali minime eventualmente richieste dallo statuto) viene comunque garantito il numero minimo di amministratori «indipendenti» [[10]]. È quasi superfluo sottolineare, inoltre, come non sia in alcun modo richiesto che l’amministratore indipendente sia tratto dalla lista di minoranza, la quale, del resto, potrebbe anche non essere, nel caso concreto, presentata.   B) Relativamente alla «Pubblicità delle proposte di nomina», il Regolamento Consob, 14 maggio 1999, n. 11971 stabilisce ora che «le società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani,senza indugio e comunque almeno dieci giorni prima di quello previsto per l’assemblea chiamata a deliberare sulla nomina degli organi di amministrazione e controllo, mettono a disposizione del pubblico presso la sede sociale, la società di gestione del mercato e nel proprio [continua ..]


3. Alcuni problemi applicativi: perdita dei requisiti di indipendenza da parte di uno o più amministratori, successivamente alla nomina, e regime di «decadenza» (art. 147-ter, ultimo comma, Tuf)

Delineato lo statuto normativo dell’amministratore indipendente, come contenuto nell’art. 147-ter t.u.f. e nelle nuove disposizioni del Regolamento Consob, 14 maggio 1999, n. 11971, nel prosieguo si intende concentrare l’attenzione su alcune tra le principali questioni applicative ad esso connesse. A questo proposito, è da chiedersi, in primo luogo, se la perdita dei requisiti di indipendenza (previsti dalla legge e dallo statuto) da parte di uno o più amministratori, successivamente alla nomina, determini la decadenza dalla carica ex art. 147-ter, ultimo comma, t.u.f., anche qualora permanga il numero minimo di amministratori indipendenti richiesto dalla medesima disposizione. Il problema si mostra di grande interesse (non solo teorico, ma anche) pratico, dal momento che molte società quotate italiane hanno un numero di amministratori «indipendenti» superiore al numero minimo imposto dal legislatore, con la conseguenza che l’eventuale decadenza di uno di essi per la perdita dei requisiti di indipendenza non determina la violazione del precetto legislativo. In via preliminare, sembra da escludere che validi argomenti interpretativi possano essere tratti dal dibattito sorto con riferimento al sistema monistico, nell’ambito del quale, come noto, «almeno un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall’art. 2399, primo comma» (art. 2409-septiesdecies, 2° comma, c.c.). In questo modello di amministrazione e controllo, se la presenza della percentuale minima di indipendenti determinata dalla legge (o eventualmente dallo statuto) è «condizione necessaria per la regolare composizione ed il corretto funzionamento del consiglio medesimo» [[17]], nulla impedisce che sia nominato un numero di amministratori indipendenti maggiore rispetto a quello stabilito dalla legge (o previsto in statuto). Alla luce di queste considerazioni non stupisce, pertanto, che, (anche) con riferimento al sistema monistico, sia stato posto il problema delle conseguenze giuridiche ricollegate alla perdita del requisito di indipendenza da parte di uno o più amministratori, argomentando alcuni che, fintanto che la percentuale minima è rispettata, la perdita dei requisiti di indipendenza da parte di uno o più amministratori non inficia la regolare [continua ..]


4. (Segue). Inesistenza di un obbligo per gli «amministratori non esecutivi» che presentino i requisiti di indipendenza di essere indicati come tali in lista ai sensi ed agli effetti del novellato art. 147-ter t.u.f.

Tanto chiarito, è opportuno chiedersi se debba necessariamente dichiararsi indipendente, ai sensi ed agli effetti dell’art. 147-ter t.u.f., ogni «amministratore non esecutivo» che sia in possesso dei requisiti di indipendenza previsti dalla legge e/o dallo statuto. Come è stato già rilevato [[23]], lo status giuridico di amministratore indipendente è conseguenza di un atto volontario, con il quale un amministratore accetta di essere dichiarato indipendente e di essere assoggettato alla relativa disciplina. Se questo è il quadro di riferimento, la risposta al quesito sopra enunciato deve essere negativa. Più in particolare, non può ritenersi sussistente alcun obbligo per gli «amministratori non esecutivi» che presentino i requisiti di indipendenza di essere indicati come tali in lista ai sensi ed agli effetti del novellato art. 147-ter t.u.f.. Resta tuttavia la necessità di conciliare tale soluzione con il dettato normativo riformato, in base al quale, come già ricordato, «le liste indicano» (nel senso che devono indicare) «quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto». Al riguardo, si potrebbe sostenere che in lista devono essere indicati: i) tutti gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza richiesti dall’art. 147-ter, ultimo comma, t.u.f., e tra questi ii) quali accettano di essere dichiarati indipendenti ai sensi ed agli effetti dell’art. 147-ter, ultimo comma, t.u.f.. Adottando questa soluzione è evidentemente rispettato il disposto della legge, ma non si impone a tutti gli «amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto» di assoggettarsi allo status di amministratore indipendente in caso di elezione. A tale status (comprensivo, tra l’altro, della decadenza dalla carica in caso di perdita dei requisiti di indipendenza) saranno assoggettati solo e soltanto quegli amministratori che (oltre ad essere in possesso dei requisiti di indipendenza richiesti dalla legge e dallo statuto) abbiano accettato di essere dichiarati in lista come «indipendenti ai sensi ed agli effetti dell’art. 147 ter, ultimo comma, t.u.f.».


5. (Segue). Perdita dei requisiti di indipendenza da parte di uno o più amministratori nominati in un periodo antecedente all'introduzione dell’art. 147-ter t.u.f. (e senza voto di lista) e «decadenza» dalla carica

Tra i problemi connessi al nuovo regime speciale degli amministratori c.d. indipendenti, vi è anche quello di stabilire se la perdita dei requisiti di indipendenza da parte di uno o più amministratori nominati in un periodo antecedente all’introduzione dell’art. 147-ter t.u.f. e quindi senza voto di lista, determini la decadenza dalla carica, qualora permanga il numero minimo di amministratori indipendenti richiesto dalla medesima disposizione. In altri termini, occorre decidere se sia applicabile anche a questa tipologia di amministratori attualmente in carica la soluzione, secondo la quale la decadenza opera per ogni amministratore che, successivamente alla nomina, perda i requisiti di indipendenza [[24]]. Ebbene, relativamente alle novità introdotte nell’ultimo comma dell’art. 147-ter t.u.f, dal d.lgs. n. 303/2006, esse non sembrerebbero a prima vista presupporre alcuna modifica statutaria e dovrebbero ritenersi in vigore dal 25 gennaio 2007 [[25]]. Per quanto in questa sede più interessa, tali considerazioni debbono essere tuttavia necessariamente integrate e corrette, sottolineando, ancora una volta, che il regime speciale della decadenza introdotto per gli amministratori indipendenti è strettamente connesso con il sistema del voto di lista e con la pubblicità da effettuare in quella sede in merito al possesso dei requisiti di indipendenza. Alla luce di queste considerazioni è dunque da ritenere che per gli amministratori indipendenti attualmente in carica – nominati con modalità diverse dal voto di lista, in genere dichiaratisi indipendenti solo successivamente alla loro nomina nel corso del primo consiglio di amministrazione e per i quali, conseguentemente, il possesso dei requisiti di indipendenza non è stato determinante ai fini della nomina assembleare – non opera la decadenza prevista dall’art. 147-ter, ultimo comma, t.u.f., qualora permanga il numero minimo di amministratori indipendenti richiesto dalla medesima disposizione di legge. Più in particolare, in caso di perdita dei requisiti di indipendenza successivamente alla nomina, l’amministratore non decadrà dalla carica, ma continuerà ad operare come amministratore esecutivo non (più) indipendente. In conclusione e per quanto in questa sede più interessa, la disciplina della decadenza presuppone [continua ..]


6. (Segue). Amministratori indipendenti e gruppi di imprese

Una società quotata appartiene, generalmente, ad un gruppo di imprese, ove svolge la funzione di capogruppo o (quanto meno in certi casi) di società c.d. dominata o dipendente (i.e., assoggettata a direzione e coordinamento ai sensi degli artt. 2497 ss., c.c.). Se questo è il contesto di riferimento, diviene opportuno chiedersi se uno stesso soggetto possa ricoprire la carica di amministratore «indipendente» in due distinte società quotate appartenenti al medesimo gruppo e in rapporto di «controllo» o se, invece, l’esistenza del rapporto di amministrazione in una società precluda la possibilità di essere qualificato come «indipendente» nell’altra società (e viceversa). Come già ricordato, ai fini dell’attribuzione della qualifica di indipendente l’art. 147-ter t.u.f.richiede il possesso dei requisiti stabiliti per i sindaci dall’art. 148, 3° comma, t.u.f. Per quanto in questa sede più interessa, la disposizione da ultimo richiamata prevede espressamente che non possono essere eletti sindaci e, se eletti decadono, «coloro che sono, legati alla società od alle società da questa controllate od alle società che la controllano od a quelle sottoposte a comune controllo ovvero agli amministratori della società e ai soggetti di cui alla lettera b) da un rapporto di lavoro autonomo o subordinato ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o professionale che ne compromettano l’indipendenza» (art. 148, 3° comma, t.u.f.). Anche a prescindere da ogni più puntuale qualificazione giuridica, il rapporto di amministrazione sembra certamente rientrare negli «altri rapporti di natura professionale», diventando conseguentemente compito del consiglio di amministrazione stabilire, ai sensi della disposizione in esame, se, nel caso concreto, questo rapporto «di natura professionale» assuma connotati tali da compromettere l’«in­dipendenza» dell’amministratore. A conclusioni sostanzialmente analoghe, si deve pervenire, del resto, anche alla stregua delle disposizioni dettate in via di autoregolamentazione dal Codice c.d. Capuano. Con riguardo al profilo in questa sede rilevante, il Codice Capuano stabilisce (Criterio 3.C.1.) che il consiglio di amministrazione valuta l’indipendenza dei [continua ..]


7. Sulla funzione effettiva degli amministratori indipendenti nella governance delle società quotate italiane: «tanto rumore per nulla»?

In seguito alle recenti modifiche legislative (nonché regolamentari ed autoregolamentari) il nostro ordinamento impone la presenza di amministratori c.d. indipendenti in una società per azioni con sistema «tradizionale», arricchendo, allo stesso tempo, lo «statuto speciale» di questa figura di amministratore. Sullo sfondo rimane tuttavia l’interrogativo in merito alla funzione che gli amministratori indipendenti sono chiamati a svolgere – e sono effettivamente in grado di svolgere – nella Corporate Governance delle società quotate italiane. Come noto, gli outside directors (o independent directors) si affermano nelle public corporation in funzione di «controllo» degli amministratori esecutivi (agents) nell’interesse degli azionisti (principals); più in particolare, adottando il paradigma conoscitivo degli agency costs, la figura dell’am­ministratore indipendente è stata pensata ed utilizzata per ridurre i «costi di agenzia» in un «widely held shareholder» system [[29]], ossia in un sistema – dominante in Usa [[30]] e nel Regno Unito e – caratterizzato da società ad azionariato diffuso senza un socio (o di un gruppo) di controllo [[31]]. A prescindere da ogni considerazione sul ruolo effettivo degli amministratori indipendenti nel­l’esperienza anglosassone [[32]], è altresì noto che in un sistema societario a proprietà concentrata e con un socio (o un gruppo) di controllo i «problemi di agenzia» assumono connotati differenti, nel senso che i «conflitti di agenzia» si manifestano tra azionista di maggioranza e azionista di minoranza [[33]]. Come è stato recentemente osservato, in questo diverso contesto, da un lato, gli amministratori esecutivi sono controllati direttamente dal socio di maggioranza, che provvede alla loro nomina [[34]], dall’altro (e conseguentemente), l’«indipendenza» dell’amministratore deve essere valutata in rapporto (non agli amministratori esecutivi, ma proprio) al socio (o gruppo) di controllo. Ebbene, se è indiscutibile che nel nostro ordinamento gli amministratori non esecutivi e indipendenti, al di là della definizione di «indipendenza» di volta in volta applicabile, sono «chiamati [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2007